E’ IL CALCIO (PADOVA), BELLEZZA! BASTEREBBE CAPIRLO

Ah, il calcio. Ah, il Padova. Quante emozioni riesce a provocare, quante cose fa sovrapporre tra mente e cuore, tra i ricordi e un presente tutto da vivere, tra la nostalgia di un passato glorioso e la speranza sempre presente e forte, nonostante tutto, di un futuro migliore o meglio in un ritorno ai fasti di un periodo collocato ormai troppo indietro nel tempo. Può capitare che vinci senza meritare, che perdi dopo aver fatto 50 tiri in porta e aver tenuto il possesso palla per 70 minuti su 90. Può capitare che ti ritrovi a ridere, a piangere, a gridare e a rimanere impietrito in un silenzio irreale a distanza di pochi minuti tra uno stato d’animo e l’altro. E’ il calcio, bellezza. Così straordinariamente appassionante proprio perché imperfetto e restio a rispettare le basilari regole della razionalità.
Ragione e intelletto zero, certo, ma qualche legge da rispettare c’è, se no si ridurrebbe tutto a 22 giovani uomini in mutande che banalmente inseguono una cosa rotonda di plastica che rotola su un prato e così non è. Per viverlo in modo così totalizzante il calcio, in particolar modo a Padova, il tifoso ha bisogno di sentirselo addosso. Di respirarlo quotidianamente come se scendesse in campo anche lui di fianco ai suoi beniamini, a dar loro pacche sulla schiena e fiato in aggiunta quando le cose non vanno benissimo e c’è bisogno dello sforzo in più per andarla a vincere. Deve sentirsi partecipe e per farlo deve identificarsi in questo e quel giocatore come fosse il suo eroe. Arriviamo al punto: soprattutto in una categoria infame come la serie C in cui la qualità dello spettacolo è quella che è, i campi in cui si va a giocare sono quello che sono (Euganeo compreso, con l’obbrobrio di una curva iniziata e finora non finita a causa di scandali, contro scandali e lungaggini burocratiche) e il sentimento popolare è quello di un Padova che in questa categoria infame non ci dovrebbe essere perché merita di più, molto di più, la società non può continuare a comportarsi senza un minimo di quell’intelligenza emotiva che ci vuole quando decidi di fare calcio in una piazza ferita, delusa e appesantita dai risultati che di recente spesso non sono arrivati per un inciampo nell’ultimo metro.
L’esempio più calzante non può che riguardare Igor Radrezza, in quanto Igor Radrezza e in quanto simbolo di quel legame (e di quel collante) che solo un giocatore bandiera può creare con il suo pubblico, con il suo tifo. Proprio perché alla fine la tanto agognata serie B non è arrivata, le uniche emozioni vere, gli unici momenti di orgoglio puro sono stati provati in situazioni in cui il protagonista è stato proprio il numero 10 con quella sua capacità di assumersi responsabilità grandi al momento giusto, con quella sua lucida follia di voler tirare un rigore col cucchiaio davanti al muro dei tifosi del Vicenza, con quella sfrontatezza nel sottolineare sorridente, a fine partita al “Menti”: “Lo so che non si dice, ma ho goduto molto”.
E il Padova che ha fatto? Ha preso questa bandiera e l’ha ammainata. Non capendo che solo partendo da emozioni come queste può sperare di mantenere alti l’umore e l’entusiasmo dell’intera truppa alla vigilia dell’ennesimo campionato in terza serie.
Probabilmente è tardi per pensare a un possibile rientro alla base di Igor (o forse no), ma non è troppo tardi per la società per provare a capire di più i tifosi, per provare a scendere in mezzo a loro, a fare un bagno di umiltà. Forse rientrerebbe anche la questione dello sciopero degli abbonamenti (o forse no). Ma sarebbe un primo passo fondamentale per allentare la tensione a mille di quest’estate 2024 che non prelude, come tutte le sensazioni tendenti alla negatività, a nulla di buono.
E’ il calcio, bellezza. E’ il Padova, bellezza! Patrimonio della società certo, ma soprattutto della città e dei tifosi che gli danno vita, forma, sostanza, emozioni.

ANCORA LACRIME E… SERIE C

E’ finita così, tra le lacrime di chi voleva più di ogni altra cosa raggiungere la serie B con la maglia biancoscudata perché la ama visceralmente, tra la comprensibile rabbia dei tifosi che ancora una volta ci hanno creduto fino alla fine, cantando, incitando, sventolando bandiere ed esibendo sciarpate. Per il quinto anno consecutivo il Padova non è riuscito a conquistare la serie B, fermandosi ai quarti di finale contro il Vicenza. Fa male, fa tanto male, perché l’avversario era il Vicenza e ha vinto in entrambe le sfide, perché dopo un intero girone d’andata senza conoscere sconfitta e dopo una rincorsa al Mantova tenuta viva fino a metà del girone di ritorno le aspettative erano ben diverse. I sogni avevano giustamente iniziato a decollare. Cosa sia successo poi è sotto gli occhi di tutti: lo 0-5 contro il Mantova, il mercato di gennaio che ha in qualche modo intaccato un equilibrio che era stato raggiunto dall’allenatore con duro lavoro e particolare attenzione ai dettagli, il cammino in Coppa Italia che si è sovrapposto al campionato, con la doppia finale col Catania finita male, sia per l’invasione di campo di alcuni supporters etnei con lancio di fumogeni contro i tifosi del Padova all’andata all’Euganeo che ha freddato la tifoseria, sia per la sconfitta al “Massimino” del ritorno con i due gol decisivi degli etnei segnati a un soffio dal novantesimo e a ridosso della fine dei supplementari. Infine, ultimo ma non ultimo, il cambio del tecnico a tre giornate dalla fine, con l’esonero di Vincenzo Torrente e l’arrivo, per la seconda volta dopo la parentesi di due anni fa, di Massimo Oddo.

Ancora una volta la piazza è chiamata a raccogliere i cocci di una disfatta e a cercare in fondo al sacco della propria anima l’ultimo rimasuglio di passione e di attaccamento. Tenendo staccato l’amore per il Padova che mai si spegnerà (nonostante la troppa serie C degli ultimi 30 anni e nonostante uno stadio incapace di risvegliare qualunque tipo di sussulto emotivo positivo) dal risentimento che è maturato in questi mesi nei confronti della società. Società che, di fronte all’ennesimo fallimento, ha precise responsabilità: son capaci tutti di fare 13 al Totocalcio con la Gazzetta del lunedì in mano e del senno di poi sono piene le fosse, è vero, ma i dirigenti e il direttore sportivo non possono non mettersi a questo punto una mano sulla coscienza. Perché non può più reggere, da sola, la storia che nel 2021 col Perugia in campionato e ad Alessandria in finale abbiamo avuto solo sfortuna, che due anni fa abbiamo beccato il SudTirol dei miracoli e dei soli 9 gol presi in campionato, che l’anno scorso non ci hanno dato un rigore, seppur sacrosanto, contro la Virtus Verona nel secondo turno preliminare e che quest’anno il Mantova non doveva nemmeno essere in C perché retrocesso e riammesso solo all’ultimo e ha fatto un campionato strepitoso contro ogni previsione.

La fortuna uno se la deve anche andare a cercare e una società deve imparare a programmare, evitando di dover intervenire sempre strada facendo. L’esonero di Torrente a tre giornate dalla fine non ha avuto alcun senso. Comprare 5 giocatori a gennaio, con caratteristiche diverse da quelle che servivano per dare continuità al lavoro fatto fino a quel momento, è servito ancora meno perché hanno costretto l’allenatore a cambiare il modulo e a privarsi di chi, fino a quel momento, ce lo aveva portato il Padova al secondo posto in classifica.

Gli equilibri all’interno di uno spogliatoio sono delicati: ci vogliono mesi per crearli, basta una singola azione sbagliata per far crollare tutto. Il filo è sottile, sottilissimo. Dopo di che, appena visto l’avversario dei quarti, la sensazione è stata subito quella che sarebbe stata durissima più che con l’Avellino e il Catania. Il Vicenza era in fiducia e con le due vittorie dei quarti ha raggiunto i 20 risultati utili consecutivi, uno in più del Padova di Torrente nel girone d’andata. Ci voleva la perfezione assoluta per battere un avversario del genere, non il Padova visto al Menti, reduce peraltro da 24 giorni passati in isolamento assoluto e non a respirare la città per caricarsi in vista del rush finale.

Direttore se ci sei batti un colpo. Nel frattempo ai tifosi non resta che continuare ad amare la maglia in modo da farla sembrare l’immagine del bambino che c’è il loro. E’ l’unico modo umano per sopravvivere in una categoria che da troppi anni ci sta stretta ma rappresenta purtroppo la triste realtà del presente.

ODD(I)O

Ho pensato spesso a mister Torrente in questi giorni. L’immagine che mi è sempre venuta in mente per prima è quella immediatamente successiva alla vittoria per 3-2 sulla Pro Vercelli all’Euganeo con gol decisivo di Palombi al 92′ nel girone d’andata: al triplice fischio, una volta portato a casa il massimo risultato al termine di una partita che era iniziata benissimo col doppio vantaggio biancoscudato ma che poi si era complicata per la rimonta dei piemontesi, l’allenatore del Padova si mise a camminare in campo guardando gli spalti e cominciò a battere le mani al pubblico padovano, lasciando poi cadere le braccia come fa il guerriero quando ha appena portato a termine la sua battaglia, la sua impresa, e si gode il meritato trionfo. Ho sempre interpretato quella gestualità come una sorta di ringraziamento e contemporaneamente di “scuse”. Era come se Torrente volesse dire: “E’ vero, ogni tanto ci complichiamo la vita da soli, ma continuate a credere in noi perché non abbiamo mai mollato e non molleremo”. E’ questa l’immagine di Vincenzo Torrente che mi voglio portare dentro, nella testa e nel cuore. Nella testa perché i numeri (70 punti e il secondo posto alle spalle del davvero irraggiungibile Mantova) sono assolutamente dalla parte dell’allenatore e sempre lo saranno, indipendentemente dal finale che il Padova riuscirà a disegnare dopo il suo esonero, e nel cuore perché Torrente è proprio così: semplice, diretto, genuino, un uomo di calcio “vecchia maniera” e proprio per questo non meritevole della sorte che questo calcio moderno, frenetico e sempre più incapace di programmare e di attendere gli esiti della sua programmazione gli ha inflitto, nonostante il bellissimo cammino fatto a Padova in un anno e mezzo di permanenza sulla panchina biancoscudata (vi ricordate vero le due sole sconfitte subìte da dicembre 2022 a dicembre 2023?).

Su Torrente si è abbattuta la scure della legge più banale e allo stesso tempo più feroce del mondo del calcio, quella secondo cui se qualcosa comincia a non funzionare più benissimo si butta senza prima provare ad aggiustarla. Se qualcosa va storta si cambia senza tentare di trovare un modo per raddrizzarla. E’ indubbio che il Padova, nelle ultime partite, non sia stato lo stesso Padova del girone d’andata. La miglior difesa ha iniziato a imbarcare gol, il prolifico attacco ha fatto sempre più fatica a segnare, i cambi, fin qui sempre azzeccati e in grado di dare la svolta alla partita, non si sono più dimostrati efficaci. Ma la decisione della società di esonerare Torrente ha preso davvero in contropiede tutti: dall’ambiente agli stessi giocatori che non se l’aspettavano.

Se esonero doveva essere, comunque, per dare la famosa “scossa”, credo che la scelta di far tornare Massimo Oddo anziché puntare su un profilo sconosciuto, sia stata un’operazione “simpatia” non da poco. Conosce la piazza, la piazza conosce lui, di sicuro non avrà bisogno di tempo per capire come muoversi perché lo ha già fatto a queste latitudini. In più, anche se lui ha assicurato che non è così, un minimo di voglia di portare a termine quanto fatto due anni fa regalandosi un finale diverso deve pur averla provata quando ha letto il numero del direttore sportivo Mirabelli sul telefonino che squillava.

Non ci resta che augurargli di lavorare bene (“Ho già le idee molto chiare”) di riuscire a tirar fuori il meglio da ciascun giocatore (“Io di solito cerco di metterli in campo nel ruolo a loro più congeniale per farli esprimere al meglio”, ha detto) e di riuscire a conquistare la matematica certezza del secondo posto già sabato per poi lasciarsi alle spalle il campionato e proiettarsi sui playoff (basta un punto, che ce vo’?).

LA SQUADRA ORA VA PROTETTA

E’ vero, il rigore fischiato a Perrotta era più che dubbio, perché il pallone sembra sbattergli sulla spalla più che sul braccio. Per comprendere appieno l’incredulità dello stesso Catania nel vederselo assegnare, basta guardare l’atteggiamento di Di Carmine che, davanti alla porta di Zanellati, si preoccupa di indicare con il braccio da che parte deve essere battuto l’angolo.
E’ vero, l’arbitro Nicolini di Brescia non ha rivisto l’episodio al Var e questo non è giusto, visto che, una volta tanto, il servizio di video check era disponibile perché la Lega aveva deciso di investire sulla tecnologia.
E’ vero, il gol (regolarissimo) annullato a Liguori griderà vendetta fino alla fine della storia del calcio. Se decidi di lasciar proseguire l’azione la lasci proseguire e terminare, non la fermi dieci secondi dopo.
E’ vero, l’espulsione di Filippo Delli Carri era sacrosanta e il suo fallo, a 50 metri dalla porta almeno, assolutamente scellerato, ma guarda caso lì, dopo averlo ammonito, l’arbitro è andato a rivedere l’episodio al Var e ha cambiato il colore del cartellino.
E’ vero, mister Torrente, in 10 contro 11, ha pensato troppo presto a blindarsi e ha fatto cambi che, a posteriori, sono risultati non efficaci.
E’ vero, nonostante tutto, per due volte abbiamo portato la Coppa dalla nostra parte e due volte ce la siamo fatta scappare quando bastavano un po’ più d’attenzione e di cattiveria.
E’ vero, nel match di andata all’Euganeo mai avremmo dovuto permettere al Catania di riaprire il risultato. Avevamo disputato un primo tempo su altissimi livelli, il calo di tensione, alla luce dell’esito del doppio confronto, è stato davvero deleterio (ma è stato deleterio anche quello che è successo tra primo e secondo tempo, con quella vergognosa invasione di campo seguita da lancio di fumogeni verso i tifosi biancoscudati di un centinaio di catanesi che ha rovinato in un attimo la festa dei primi quarantacinque minuti).
E’ vero, quando tifi Padova la storia si ripete, clamorosamente e inesorabilmente. E quando assisti a certi torti, impotente e frustrato perché capitano sempre a te, rimetti in fila tutto quello che è successo negli ultimi anni, facendoti il fegato amaro a ripensare al gol di mano di Trieste che ti è costato la promozione diretta in B in favore del Perugia, al gol non gol di Chiricò nella finale playoff di andata col Palermo del 2022, al rigore su Liguori trasformato clamorosamente in punizione dal limite nel secondo turno dei playoff della passata stagione.

Ma arrivati a questo punto ha davvero senso peggiorare una situazione già emotivamente difficile da gestire dando contro alla squadra e al suo allenatore? Ancora una volta, rispondo con un secco “no”. Gli errori ci sono stati, alcuni da circoletto rosso, altri da parolaccia spinta, ma quando vedo giocare questa squadra riesco ancora a provare ammirazione per come riesce ad affrontare cose più grandi di lei, per come tenta di venir fuori dalle sabbie mobili quando qualcun altro ce la butta dentro fino ai capelli. L’ingenuità è ancora troppa, la mancanza di cattiveria e continuità un po’ preoccupano in vista dei playoff di cui, volente o nolente, a Catania abbiamo avuto un assaggio anticipato (e senza il pubblico delle grandi occasioni…). Ma ora che arrivare secondi e vincere gli spareggi promozione diventano le uniche due strade obbligate per dare un senso alla stagione occorre proteggere questa squadra, anche da sè stessa e dai suoi difetti, e accompagnarla nelle migliori condizioni possibili al traguardo. In fondo ci siamo abituati a soffrire. Siamo abituati a lottare contro tutto e contro tutti. Prendiamo per mano questo gruppo e continuiamo a credere in questi ragazzi che tutto vogliono fuorché non tentare di superare i loro limiti per regalarsi un sogno.

URGONO NUOVI EQUILIBRI PER DEI PLAYOFF DA PROTAGONISTI

Nell’analizzare la situazione attuale del Padova, che da gennaio in poi si è incasinato la vita davvero un po’ troppo, va sottolineata e ribadita una doverosa premessa, che, per onestà intellettuale, non va mai dimenticata o sottovalutata: la squadra di Torrente ha disputato un girone d’andata praticamente perfetto, senza mai conoscere l’onta della sconfitta. Fino allo scontro diretto col Mantova della prima giornata di ritorno, nessuno ha avuto mai il benché minimo dubbio che questo gruppo avesse grandi valori, tecnico-tattici ma anche umani e che ci fosse anche un fortissimo collante tra i giocatori a fare da valore aggiunto nei momenti di difficoltà, che nell’arco di una stagione ci sono sempre. Cosa è successo da inizio 2024 in poi allora? Perché qualche meccanismo, che pareva oliato a meraviglia, si è inceppato? Guardando gli eventi sotto il profilo prettamente oggettivo, è successo: 1) Che il Mantova si è rivelato essere di un altro pianeta, così come il Südtirol due campionati fa. Stravincendo all’Euganeo e rialzandosi prontamente dai (per la verità pochi) passi falsi commessi nel cammino successivo). 2) che il mercato di gennaio ha portato all’ombra del Santo nuovi giocatori e Torrente si è ritrovato a dover gestire nuove caratteristiche e nuove teste, inserendole in un contesto in cui era stato raggiunto un equilibrio. Equilibrio che era stato proprio il decisivo ingrediente in più messo dall’allenatore, bravissimo a tenere tutti sulla corda, a far sentire partecipi anche quelli che giocavano meno con cambi tempestivi e sempre azzeccati, a tenere alta l’asticella delle aspettative perché “se ti chiami Padova non puoi che lottare per un obiettivo ambizioso, qualunque siano i proclami societari con cui ti presenti ai nastri di partenza”. Torrente ha così messo in discussione quello che era stato fino a quel momento il suo credo calcistico, passando dal 3-5-2 al 4-3-3 (più adatto alle qualità del neo acquisto Valente) e trasformando poi il 4-3-3 in un 4-2-3-1 che potesse far giocare insieme uno degli indiscussi pilastri e artefici delle fortune di questa squadra, ovvero Igor Radrezza, e il nuovo arrivato Lorenzo Crisetig che a centrocampo è di sicuro stato l’acquisto più importante. Durante questi delicati passaggi qualcosa indubbiamente il Padova ha perso per strada, alternando prestazioni di grande spessore a giornate decisamente no, ma se è vero quel che ha detto ieri al termine della sconfitta in casa della Pro Vercelli proprio Crisetig, ovvero che gli viene da sorridere quando sente parlare di moduli, perché in campo ci vanno i giocatori e sono loro che devono dare il massimo in qualunque schieramento”, non sono d’accordo con chi adesso invoca il ritorno all’antico tout court e la fine dei cosiddetti esperimenti. Il Mantova ormai è andato e con ogni probabilità festeggerà la promozione in serie B contemporaneamente alla Pasqua. L’obiettivo di Torrente deve ora essere quello di forgiare il miglior Padova possibile in vista dei playoff. Se riuscirà a fare questo tornando al 3-5-2 ben venga il ritorno al 3-5-2, se invece si proseguirà sull’onda degli ultimi cambiamenti bisognerà acquisire in fretta nuove certezze. Le valutazioni però vanno fatte sempre con equilibrio e testa, non sull’onda dell’isteria, dell’esasperazione o della necessità di tornare subito a vincere a dispetto della continuità che invece quest’ultima parte del campionato deve tornare ad avere, come è stato nel girone d’andata.
Una parte importante del lavoro il tecnico la dovrà fare sulla testa dei ragazzi in modo che vengano messi nella condizione, Crisetig docet, di scendere in campo e dare il meglio, con qualunque schieramento. Calma e gesso, che ad agire sull’onda dell’istinto o del risultato da riconquistare subito, si rischia di non arrivare a dopodomani. E quindi di fare solo peggio.

RINCORSA FINITA, MA NON ANDIAMO IN PACE

La rincorsa è finita. Anche se non matematicamente. 7 partite al termine, 21 punti a disposizione, tutto in teoria può ancora succedere. Ma la sconfitta in casa della Giana Erminio pesa, pesa tantissimo, soprattutto di fronte a un Mantova che, vistosi arrivare il Padova a soli 4 punti dopo i suoi due pareggi di fila con Novara e Pro Vercelli e le vittorie biancoscudate con Arzignano e Renate, ha risposto sul campo da grande squadra con due poker strepitosi ai danni di Virtus Verona e Pergolettese, rimettendo la giusta distanza tra sé e la diretta inseguitrice. Con 9 lunghezze da recuperare, 10 se si considera l’ormai famigerato scontro diretto a sfavore dell’Euganeo, è impensabile che si verifichino contemporaneamente le due condizioni necessarie ovvero che i virgiliani perdano tre partite, e mezza, da qui alla fine e Donnarumma e compagni non ne sbaglino più una.

Il Padova è caduto male al Città di Gorgonzola, perdendo contemporaneamente partita e bussola. Lasciando per strada una delle ultime possibilità di avvicinarsi alla vetta e la “pace interiore” che era sempre stata una sua caratteristica. Non riuscendo più a fare dell’equilibrio, mentale ed emotivo, il suo grande punto di forza. Mai visti gli uomini di Torrente giocare così male, così nervosi, così contratti, mai visti cambi che non hanno inciso minimamente nel prosieguo del match. Fa bene l’allenatore a sottolineare che in questo momento più che pensare a come riprendere la corsa sul primo posto il Padova (e il suo allenatore) dovranno concentrarsi su come rimettere insieme i pezzi della loro identità. Su come recuperare fiducia, coraggio, personalità e pure un po’ di serenità.

A poco vale pensare che, come due anni fa con il SudTirol, è la prima della classe che sta facendo cose stratosferiche. Certo non ci fosse stata la compagine altoatesina di Ivan Javorcic allora, a prendere solo 9 gol in tutto il campionato, e non ci fosse il Mantova di Possanzini ora ad aver vinto 23 partite in 31 giornate e ad essere bravo a rialzarsi prontamente al primo passo falso, il Padova sarebbe primo con un margine sulle seconde ancora più ampio di quello che c’è tra il primo e il secondo posto attuali. Meno ancora è utile pensare che l’anno scorso il Mantova lo ha fatto retrocedere proprio il Padova vincendo all’ultima giornata al Martelli e condannandolo ai playout (dove poi ha perso con l’AlbinoLeffe di Claudio Foscarini). Meglio concentrarsi sul qui e ora. Risollevare morale e spirito. E se saranno playoff, come sembra, arrivarci rigenerati e pronti a combattere una nuova battaglia.

EPPURE CI CREDIAMO ANCORA

Il Mantova si sta davvero dimostrando un’autentica e (fin qui) indistruttibile macchina da guerra. Qualche colpo lo ha pure preso lungo il cammino il carrarmato virgiliano (il più recente con l’AlbinoLeffe, sconfitta 2-1 a Zanica) ma ha sempre saputo rimettersi in pista, riparando agevolmente gli ingranaggi manomessi dall’avversario di turno.

Come ha sottolineato, da scafato uomo di calcio, Massimo Paci, l’allenatore della Pro Sesto al termine del match perso con il Padova all’Euganeo, la squadra allenata da Possanzini “ha qualcosa in più, non tanto dal punto di vista della qualità della rosa ma sotto il profilo dell’idea di gioco. Un’idea che negli ultimi anni in Lega Pro si è vista poco”. L’analisi del tecnico è assolutamente condivisibile: i mantovani, riammessi in C dopo essere retrocessi ai playout al termine della scorsa stagione, stanno dimostrando sul campo di meritare la serie B diretta, grazie a numeri da capogiro: 21 vittorie, 3 pareggi e 3 sole sconfitte in 27 gare sono un bottino incredibile, una marcia da categoria superiore, non c’è dubbio alcuno.

Fatta la doverosa premessa però anche Paci ha ammesso che il calcio è strano e che quindi finché la matematica non conforta i verdetti finali tutto può succedere. Considerazione altrettanto condivisibile e peraltro tanto cara alle nostre latitudini. E’ proprio su questo “terreno” che il Padova deve inserirsi. Si tratta di un terreno in cui i biancoscudati storicamente hanno sempre dimostrato di sapersi muovere e destreggiare bene. Se vogliono sovvertire una sentenza che sembra già pronunciata, è l’unico percorribile in questo momento.

E’ tipico del Padova, quando le cose si fanno complicate e difficilmente raggiungibili, estrarre dal cilindro prestazioni, coraggio, continuità di risultati e un’insopprimibile voglia di non mollare mai. E’ quando il percorso può essere lineare e affrontato con una normale gestione che, chissà perché, gli uomini di Torrente hanno alti e bassi e cadono magari contro avversarie sulla carta più deboli.

Proprio per questo, perché conosce troppo bene il suo “pollo”, il popolo biancoscudato ci crede ancora. Eccome se ci crede. Pur sbandierando ai quattro venti che il Mantova è più forte, più continuo e ormai troppo lontano per essere raggiunto, i tifosi sotto sotto coltivano la speranza di essere smentiti, di essere stupiti dai loro beniamini, di doversi prima o poi ricredere su quanto oggi come oggi sembra già scritto. 11 partite sono poche, ma non troppo poche per rinunciare al sogno. Almeno per qualche settimana ancora, facciamoli andare a letto col sorriso.

PADOVA, STAVOLTA IL CERCHIO VA CHIUSO

Dopo settimane passate (giustamente) a lamentarsi del fatto che il calendario anticipava la partita del Mantova rispetto a quella del Padova ad ogni giornata, costringendo i biancoscudati a scendere in campo con l’obbligo assoluto di portare a casa i tre punti sapendo che i virgiliani avevano già vinto, ecco la congiunzione astrale perfetta, ovvero il Mantova che gioca sì prima del Padova ma, incredibilmente, perde. In casa dell’AlbinoLeffe, 2-1.

Quale miglior premessa per scendere in campo al “Gavagnin Nocini”, pochissimi minuti dopo il fischio finale della sfida di Zanica, e far un sol boccone della Virtus Verona? E invece niente. L’approccio alla gara contro la squadra di Fresco è stato decisamente meno intenso di tante altre volte in cui il Padova doveva per forza imporsi per non permettere al Mantova di allontanarsi ancor di più. La paura che la capolista scappasse via ha provocato negli uomini di Torrente una reazione più forte rispetto alla concreta possibilità di accorciare il divario dalla vetta. Il risultato è stato che, contro la Virtus, il Padova, aldilà del forcing finale che ha eletto il portiere di casa Voltan migliore in campo, non ha fatto abbastanza per vincere, perdendo un’occasione imperdibile, lasciando per strada due punti che tutti ci auguriamo di non dover mai rimpiangere.

Il mercato di gennaio ha portato alla corte di Torrente rinforzi importanti in tutti i reparti: Faedo in difesa si è subito conquistato il posto da titolare, Crisetig a centrocampo rappresenta un lusso, Valente e Zamparo hanno il giusto mix di esperienza, qualità e voglia di rimettersi in pista, Tordini è un giovane di prospettiva che già ha avuto a disposizione spezzoni di partita per mostrare il suo valore. Si tratta peraltro (particolare assolutamente non trascurabile) di ragazzi che si sono inseriti nel gruppo senza provocare scossoni negli equilibri già creati, scelti tra vari candidati proprio perché uomini di un certo spessore prima che calciatori. Certo a Verona mancavano Fusi e Radrezza, due elementi fondamentali per far girare a dovere questo Padova, ma la loro assenza non può essere un alibi perché le alternative, adesso, ci sono.

Il Padova deve mettersi in testa che mancano sì ancora tante partite alla fine ma che non è più tempo di lasciarsi sfuggire le occasioni quando il campionato gliele serve su un piatto d’argento. Nelle ultime stagioni è capitato troppo spesso che la differenza l’abbiano fatta un pugno di punti, un pareggio anziché una vittoria, una sconfitta immeritata, una prestazione anche solo un po’ sottotono rispetto a quella precedente. E’ ora di premere sull’acceleratore e andare avanti col piede a tavoletta fino a fine aprile.

Il primo posto è ancora raggiungibile. Ma non se il Padova si comporta come nel primo tempo della sfida del Gavagnin Nocini.

UN BRUSCO RITORNO ALLA REALTA’, FONDAMENTALE SARA’ LA REAZIONE

Padova-Mantova 0-5. Solo a leggere il risultato, senza aver visto la partita, vengono i brividi e c’è da rimanere increduli. Come è possibile che una squadra come quella biancoscudata, dopo un intero girone passato senza perdere una gara, chiuso con un più che lusinghiero secondo posto in classifica e la miglior difesa del raggruppamento, prenda 5 gol in un’unica volta?

Per evitare di buttare via 19 partite fatte davvero molto bene e, soprattutto, di trascinarsi l’errata prestazione della ventesima rischiando di incappare in altri passi falsi che allungherebbero un divario dalla vetta che già si è fatto di 8 punti, occorre precisare alcuni aspetti che devono trasformarsi in piccoli trampolini per rilanciarsi immediatamente.

1) Innanzitutto il Mantova ha fatto la partita perfetta. Esistono gli avversari e la squadra di Possanzini ha dimostrato di meritare il primo gradino del podio per quanto espresso fino a questo momento. Il Padova invece, che pur aveva avuto un buon approccio alla sfida, si è poi lasciato trascinare nel vortice del nervosismo e del dispendio inutile delle energie in proteste per falli non concessi o situazioni non viste dall’arbitro (che pur ci sono state, va precisato). Diciamo, per fare un esempio, che il Padova si è comportato come la Triestina proprio contro i biancoscudati al “Rocco” lo scorso 22 dicembre, mettendo Donnarumma e compagni nella condizione di far proprio il risultato.

2) I gol presi sono stati 5 perché il Padova fino all’ultimo ha provato ad andare a riaprirla, anche sullo 0-3, incassando gli ultimi due gol oltre il novantesimo perché terribilmente sbilanciato in avanti. Insomma non ci troviamo certo di fronte allo 0-5 della passata stagione contro la Pergolettese, giusto per citare il precedente temporalmente più vicino e più infelice. Il fatto che i ragazzi non abbiano voluto mollare, pur non riuscendo a rendersi concretamente pericolosi, la dice lunga sulla loro grande generosità e sullo spirito di sacrificio che è davvero il loro marchio di fabbrica, da apprezzare sempre e comunque. Hanno “sudato” la maglia anche contro il Mantova, insomma, non riuscendo però a convogliare sui giusti binari il loro immenso impegno (i tifosi, a fine gara, lo hanno percepito, accogliendoli, nonostante la debacle, sotto la tribuna, con cori di incitamento).

3) C’è chi dice che il Mantova ora crederà di avere la B diretta in pugno e mollerà inconsciamente la presa. Lo ha sottolineato anche mister Possanzini a fine gara, dicendo chiaramente che toccherà a lui “rompere ai suoi giocatori le palle, per tenerli sempre sul pezzo”. 8 punti sono tanti e, anche se mollerà la presa di qualche centimetro, di sicuro il Mantova ha messo una zampata decisiva verso la serie B allungando il suo vantaggio sul Padova. Ma è giusto che, come ha già fatto qualche tifoso biancoscudato un po’ più “matto” di qualche altro, cavalcare quest’onda e pensare che, dopo questa battuta d’arresto, saremo proprio noi a caricarci al punto da compiere una bella rimonta. Anche qui torna alla mente l’episodio del 2017, quando, dopo aver perso malamente alla prima di campionato a Meda contro il Renate, l’allenatore del Padova Pierpaolo Bisoli andò sereno e convinto dal presidente Roberto Bonetto a dirgli: “Dopo questo 0-3 sono ancora più sicuro che vinceremo il campionato”. E alla fine arrivò proprio la B diretta.

Il mese di gennaio sarà contrassegnato dal mercato di riparazione. Il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli ha già detto che non farà stravolgimenti. Dopo la batosta contro il Mantova, a mio avviso deve essere ancora più rigido su questo concetto: comprare giocatori di nome tanto per rimpolpare con qualche colpo a effetto, sconfessando di fatto il progetto della scorsa estate che ha puntato su un gruppo di ragazzi sani e con voglia di emergere, sarebbe un pericoloso boomerang e romperebbe equilibri che fin qui hanno funzionato alla perfezione.

Questa è la strada per non farsi travolgere da quanto successo lunedì sera all’Euganeo. Mister Torrente si è preso tutte le responsabilità, ma esattamente come Possanzini, è dalla scorsa estate che lavora senza indugio alla costruzione e al potenziamento tattico e morale di questo gruppo che finora non aveva mai sbagliato l’atteggiamento. Saprà senz’altro continuare sulla strada tracciata, che ha portato ad una prima parte della stagione davvero strepitosa, con prestazioni maiuscole contro tutte le componenti del girone A, ad esclusione solo del Mantova.

AVANTI A PICCOLI MA COSTANTI PASSI

Il Padova visto a Crema ha messo in evidenza, nella stessa partita, entrambi gli aspetti che si porta dietro dall’inizio del campionato: quello positivo è l’inesauribile voglia di non mollare mai, di rialzarsi quando viene colpito, di recuperare una situazione di svantaggio. Quello “un po’ meno positivo” (non parlerei di “negativo” visto che ci troviamo di fronte una squadra ancora imbattuta e che ha fin qui messo insieme, nelle 9 vittorie e nei 6 pareggi conquistati fino a qui, diverse prestazioni convincenti e avvincenti) è la costanza soprattutto mentale nel rendimento. I passi avanti rispetto alla passata stagione sono chiari e importanti: quando una partita inizia male il Padova non si sfilaccia più e anzi si ricompatta e reagisce. Lunedì sera al termine di un primo tempo decisamente sottotono i biancoscudati sono andati sotto e, subito dopo il ceffone del gol di Mazzarani, non solo hanno pareggiato ma hanno anche sfiorato il gol della vittoria in rimonta che a quel punto sarebbe stata più che meritata. Il primo posto, ora occupato a +2 dal Mantova, è sfumato ancora una volta ma, in questo momento del campionato, non è importante essere primi o secondi. L’importante è essere lì, nelle prime posizioni, continuare a crescere a piccoli ma costanti passi e non far sì che chi è davanti allunghi il proprio vantaggio. L’equilibrio regna sovrano nel girone A: fondamentale per il Padova sarà non perderlo mai, nel gioco e nella mentalità, per poi sì tentare la fuga in primavera, quando il campionato si deciderà. Ancora una volta ha ragione Torrente quando dice che guardare la classifica adesso non ha senso. “Voglio essere primo il 28 aprile”, ha detto nella sala stampa del “Voltini” di Crema. Già, solo allora averli tutti sotto gli avversari avrà veramente valore.