Pietrificati. Credo sia l’aggettivo che renda maggiormente l’idea dello stato d’animo generale dopo l’inopinata e terribile sconfitta casalinga di ieri. Eppure, a freddo, invito a un sano realismo: no a (ridicoli) allarmismi, sì a (sacrosante) riflessioni. Non si campa sul passato, nemmeno se recente, ma stiamo pur sempre parlando di una squadra che dopo un terzo di campionato ha quasi sempre vinto, spesso convinto, sovente dominato e soprattutto totalizzato 30 punti (con questa media si arriverebbe a 90 e non è mai successo nella storia del Verona). Insomma voglio pensare si sia trattato di un episodio, drammatico, brutale e umiliante, ma pur sempre un episodio. Ovviamente non casuale, ma motivato da cinque ragioni.
PSICOLOGIA. Credo che il Verona abbia vissuto la nemesi psicologica dell’exploit di La Spezia. Una vittoria, quella, per certi versi inaspettata (almeno nelle proporzioni) e ottenuta grazie a una prestazione scientificamente perfetta (che non significa per forza di cose esteticamente bella), ma anche mentalmente faticosa. Con il Novara il Verona è apparso scarico, inconsciamente rilassato, abulico. Da questo punto di vista lo 0-4 può essere la sveglia migliore, ideale a riprendere il cammino.
CALO DEGLI UOMINI CHIAVE. Fossati a La Spezia (ma anche nelle precedenti partite) è stato il migliore in campo, ieri era avulso dalla partita, si nascondeva e non ha mai impostato il gioco. Episodio? Per lui può essere. Bessa invece appare un po’ stanco già da tre partite. Per Romulo il discorso è diverso: a mio avviso viene sballottato in troppi ruoli (anche a partita in corso) e rischia di snaturarsi e di non incidere in nessuno (neanche nel suo di mezz’ala destra). Così capita che non riesca più a giocare 90 minuti ai suoi livelli, nemmeno quando è protagonista (come al Picco), figuriamoci se in ombra come è successo ieri ma anche in altri recenti match. Ho citato apposta questi tre giocatori perché con Pazzini sono il cuore e il cervello della squadra. Pazzini che, per inciso, non segna da quattro partite: ma se non gira il centrocampo la vita è dura anche per lui e di conseguenza lo è per il Verona, che delle invenzioni in zona gol di un campione come il Pazzo ha particolare necessità in partite “bastarde” come quella di ieri. Come rimediare? Da un lato questi sono cali fisiologici da mettere in conto nell’arco di una “maratona” di 42 partite, dunque potremmo liquidare la questione alla Eduardo De Filippo (addà passà ‘a nuttata); dall’altro Pecchia deve ridefinire una nuova gestione della rosa, specie a centrocampo, che è la zona più dispendiosa del gioco del calcio, ma che è anche il reparto dove il Verona ha diverse alternative (Valoti e Zaccagni possono dare più cambi a Bessa, Romulo e Fossati, fatto salvo il valore assoluto dei tre titolari).
PECCHIA E I DETTAGLI MANCANTI. Scrivevo il 30 ottobre sulla mia pagina facebook dopo la vittoria con il Trapani: “Pecchia ha talento, conoscenza e personalità ma pecca ancora nei dettagli”. Un concetto che in altri termini ho espresso più volte anche in questo spazio. Ieri l’allenatore del Verona (che ricordiamolo sempre ha portato cultura del lavoro, metodo, sagacia tattica, gioco) si è fatto sorprendere da Boscaglia che ha schierato per la prima volta il Novara con la difesa a 5. Pazzini così si è ritrovato a battagliare per 60 minuti abbondanti tutto solo contro tre marcantoni in una giornata già difficile di suo (per i motivi spiegati sopra). Proprio per questo avrei evitato di inserire un altro esterno (Luppi) e di sconvolgere la squadra togliendole il regista (Fossati) e avrei provato a inserire già al riposo una punta (Ganz o Gomez al posto di Valoti) da affiancare a Pazzini per giocare meno di manovra e più sulle seconde palle (come è successo nel secondo tempo con il Brescia). Certo Ganz poi è entrato e ha giocato male, ma qui io difendo il concetto tattico di inserire un centravanti in più, indipendentemente dalla prestazione del singolo, e comunque Ganz è entrato con un Verona che aveva già perso i suoi equilibri (l’uscita di Fossati), mentre sarebbe stato preferibile vederlo con Pazzini sostenuti entrambi da un centrocampo classico. Ecco, a mio avviso Pecchia a volte va in difficoltà nella lettura delle partite (altre invece è stato bravo e l’ho sottolineato) e quelle volte sempre per lo stesso motivo: il manicheismo con cui tende a vedere il calcio. Indipendentemente dai moduli (che invece cambia spesso) la “tara” è la stessa: gioco manovrato e palla a terra, ma in contesti come quelli di ieri io non disdegnerei un gioco più sporco (due punte, seconde palle e spizzicate). Tuttavia ribadisco quanto detto altre volte: Pecchia è un allenatore in evoluzione, già preparato ma non ancora “fatto e finito”, va difeso in questo suo percorso perché il suo potenziale è notevole. E anche la sua onestà intellettuale, basta rivedere le sue dichiarazioni post partita.
LA PARTITA DELLA VITA. Il Novara ha ragione: “Riconoscete anche i nostri meriti” sottolineavano ieri i suoi giocatori. La squadra di Boscaglia ha fatto la partita della vita per intensità atletica, ordine tattico, cattiveria agonistica e malizia. Il Verona ha combinato quel che ha combinato (e lo abbiamo detto nei punti precedenti) e la perfezione occasionale degli avversari ha fatto il resto. E’ il calcio bellezza: lo sport, tra tutti, nel quale accade più frequentemente che il più debole batta il più forte.
L’ARBITRO. Chi mi legge abitualmente sa che in questi anni non ho mai parlato della classe arbitrale. Non mi piace e non appartiene alla mia cultura. Ma ieri la partita è stata evidentemente condizionata da una terna pessima sia negli episodi (primo gol viziato da un fuorigioco di due metri e un rigore non concesso al Verona) che nella gestione della partita, che ha assecondato la furbizia dei giocatori del Novara. Il Verona, per caratteristiche tecniche e fisiche, è una squadra che non riesce a metterla in bagarre, ma basterebbe un arbitro che tutelasse il corso naturale della partita, cioè il gioco.