“LA SITUAZIONE È GRAVE, MA NON È SERIA”

Seconda peggior difesa; peggior attacco; solo un gol su azione. E zero vittorie in 11 partite. Numeri impietosi, che dicono (quasi) tutto, senza bisogno di ulteriori commenti. Invece i commenti – in ordine temporale – di direttore sportivo, direttore generale, ancora ds e infine – per dirla con il collega Benny Calasanzio – del “rappresentante della proprietà” Maurizio Setti, senza contare quelli bisettimanali (pre e post partita) dell’allenatore, sono improntati a sminuire, snocciolare alibi, parlare d’altro e individuare stucchevolmente a tutti i costi nemici immaginari.

Mai un’analisi seria della crisi, un’autocritica, un affrontare a muso duro la realtà (anziché alcuni giornalisti, che hanno il ‘demerito’ di saper fare il loro mestiere). Solo fatalismo, frasi fatte e l’immancabile “ci rifaremo alla prossima”.

E allora avanti con il Bologna, parso rinsavito con Donadoni, tecnico di recente accostato al Verona e faccia che qualcuno giura di aver avvistato in città nelle settimane scorse. Avanti con il Bologna e speriamo bene, appellandoci alla fortuna e alla statistica (prima o poi una la dovremo anche vincere). D’altro canto come diceva sarcasticamente Flaiano “la situazione è grave, ma non è seria”. E infatti Mandorlini, superando se stesso e riguadagnando il primato nella sfida, tutta interna, delle strane dichiarazioni, ci ha ricordato che “abbiamo preso un punto sul Frosinone” e “fatto la partita”. Sono soddisfazioni.

LISTA DELLA SPESA

Dopo gli stanchi ritornelli di queste settimane (e di ieri) ho immaginato la lista della spesa in via Belgio. No, la discutibile campagna acquisti up and down dei costosi e celeri botti Pazzini e Viviani e dell’affannoso colpo di coda Matuzalem non c’entra, anche perché come ha detto ieri sera Maurizio Setti alle tv locali nei suoi quasi dodici-minuti-dodici di ‘tutto va bene madama la marchesa’: “Gennaio è lontano”. E quanto alla situazione infortunati, certo si potrebbe accendere un cero al santo che più ci aggrada (magari santo spirito, una parola talmente gettonata negli ambienti gialloblu da far invidia a quelli clericali), ma forse aiuterebbe anche, sfiga a parte, essere più giudiziosi in sede di mercato e poi nella gestione fisica degli stessi calciatori.

La lista della spesa prevede barattoli di colla per “stare uniti”, perché, va da sé, a furia di sentirlo ripetere, il sospetto che lo spogliatoio non sia proprio in totale armonia nasce; allora ecco che l’antico metodo superattack può tornare utile. Seguono squadra e righello per “fare quadrato”, altra hit del momento, sebbene la geometria servirebbe soprattutto in campo. L’auspicio, ovviamente, è che in qualche market immaginario vendano anche il gioco, le soluzioni alternative al centravanti classico (la vecchia e cara ‘palla a terra’), e si possano barattare un po’ dei soliti alibi che società e allenatore sciorinano ogni due per tre con quel tanto che basta di tempra per limitare i danni e restare a galla.

Il resto lo fa l’ideologia dell’attendismo, a cui pare essersi votato anche Setti, che pur tra qualche afflato calvinista da self-made man qual è (“Mi hanno insegnato che più si lavora più si possono ottenere risultati”), ha indicato la via del fato per guarire: aspettare dicembre e sperare (che l’infermeria si svuoti). Anch’io spero: che non sia già troppo tardi.

L’ULTIMATUM DI BIGON A MANDORLINI

Solo sette giorni fa Bigon e Mandorlini ci avevano segnalato che il Verona, nei primi tempi, è una delle migliori squadre d’Italia. Un po’ come avere una donna, ma  accontentarsi di un bacio asessuato e del letto vuoto. Fu l’apice delle ‘simpatiche’ dichiarazioni che da tempo tendono a giustificare, derubricare, minimizzare ogni delusione. Ma un bel tacer non fu mai scritto, verrebbe da dire dopo i 45′ di Marassi, che hanno spazzato via ogni no sense racchiuso negli insipidi brodini del solito “bisogna lavorare” (frase che non vuol dire nulla) e dell’immancabile “stiamo uniti” (per certi versi irrispettoso rivolto a un ambiente che non ha mai contestato). L’inquietante realtà invece l’ha fotografata oggi Giampaolo Pazzini: “Dopo il loro gol abbiamo smesso di giocare”. Parole che rimbombano sorde e grevi nel solito cianciare di circostanza. Perché questa arrendevolezza non è un bel viatico in vista non tanto della proibitiva Fiorentina, ma soprattutto dei tre scontri diretti (Carpi, Bologna, Frosinone) nelle prossime cinque partite, quando l’animus pugnandi conterà più di tutto.

Una rassegnazione che ha colpito pure il ‘pretesco’ Bigon, che dopo la gaffe di sette giorni fa sulla ‘vox populi’, si è pesantemente smarcato dall’allenatore, blindato solo una settimana fa, ora invece messo a un palmo di distanza ché non si sa mai: “Mandorlini? Vediamo di giornata in giornata”. Se non è un ultimatum, poco ci manca. Nel mare delle solite ovvietà e nel giorno dell’ennesima brutta figura, è questa l’unica novità in casa Hellas. Siamo alla resa dei conti? Quel che è certo è che Mandorlini è solo come non mai. Sogliano l’anno scorso e tre anni fa gli si piantò davanti come scudo, ora nel bene o nel male il tecnico dovrà cavarsela da sé.

GARDINI NON È PIÙ RICHELIEU

Benedetta fu la sosta. L’infermeria del Verona si è svuotata (Toni a parte, che però difficilmente rivedremo a breve) e gli acciaccati hanno potuto allenarsi con regolarità per ritrovare atletismo e nerbo. La pausa spero sia stata un toccasana anche moralmente: per tirare somme e sottrazioni di questo avvio negativo, per riannodare i fili, ritrovare slancio e autostima.

“Siamo preoccupati il giusto” ha detto il deus ex machina del Verona, al secolo Giovanni Gardini, fu Richelieu in un’epoca recente eppure, oggi, così lontana. L’epoca di quando il nostro, nascosto nelle retrovie, volutamente anonimo come i completi grigi di alta fattura che ama indossare, non muoveva un sopracciglio e non si scomponeva in quello sguardo perfettamente annodato come il nodo delle sue cravatte. Ora Richelieu non esiste più: dalla recente conferenza stampa all’Hellas Store Gardini è come tutti noi: si spazientisce, qua e là mostra le corde del nervosismo, le smorfie tradiscono l’umorale umanità di noi comuni mortali.

Credo dipenda dalla consapevolezza del doversi mostrare. Per indole e proverbiale riservatezza lui eviterebbe, ma glielo impone il ruolo di uomo forte di via Belgio nel post Sogliano. Il resto lo fa un avvio di campionato chiaramente non all’altezza delle aspettative presidenziali. Tuttavia il fu Richelieu, tra una risposta e l’altra ai cronisti, ha tenuto la barra dritta della coerenza sugli obiettivi del Verona, confermando le parole estive di Setti e poi del suo uomo di fiducia Bigon: “L’obiettivo resta quello di una salvezza tranquilla”. Il non voler rinegoziare al ribasso l’obiettivo, anzi il ribadirlo con chiarezza, dimostra nella fattispecie la serietà del direttore generale, che non ha cercato furbi riposizionamenti volti a sminuire o normalizzare la (momentanea) crisi. Gliene do atto.

Spero che abbia ragione lui e che il calciomercato estivo (economicamente frizzante, ma a mio modo di vedere non del tutto indovinato), la rosa e l’allenatore siano adeguati a un campionato meno travagliato, consono agli obiettivi e al Verona degli ultimi anni. Dieci giorni fa chi vi scrive si è espresso diversamente, chiedendo alla società di abbassare il tiro, paventando, a differenza di Gardini, un campionato di sofferenza. Ma qui siamo (ancora) nel campo delle opinioni e mi auguro ovviamente che quella sbagliata sia la mia.

LA SOCIETÀ ABBASSI IL TIRO

Premessa: in serie A le parole sono importanti, non solo quelle dentro lo spogliatoio, ma anche quelle rivolte alla stampa, utilizzata dagli addetti ai lavori per parlare ai tifosi. Setti al ‘Vighini Show’ lo scorso maggio, poi in estate, scolpì le sue parole nella pietra: “L’obiettivo è confermare o migliorare l’ultimo campionato, lo garantisco”. Bigon il 2 settembre ribadì: “Abbiamo costruito un organico clamorosamente competitivo per centrare l’obiettivo della salvezza”.  Ieri Eros Pisano è ritornato sul medesimo concetto: “L’obiettivo è quello di una salvezza tranquilla”. Tradotto: metà classifica, o comunque ben lontani dalla mischia di quelle 5-6 squadre in affanno. Come è sempre stato dal ritorno in A.

Dopo sette partite credo si possa dire che potrebbe non essere così, anzi: il Verona è nelle ‘sabbie mobili’ e forse dovrà lottare sino all’ultimo per uscirne, nonostante un mercato molto pubblicizzato e non certo sparagnino. L’unico vero e sacrosanto alibi che concedo sono gli infortuni a stretto giro di posta di Toni e Pazzini, ma come scrive Vighini in determinate circostanze sono mancate le prestazioni anche quando quell’alibi non reggeva. Credo siano state fatte delle valutazioni errate sul mercato, come ho avuto modo di spiegare in articoli recenti, ma anche in tempi non sospetti. Lo dico non per fare polemica, ma per capire, perché non ci può essere crescita senza consapevolezza: dal centrocampo trascurato, nonostante Ionita e Romulo fossero reduci da infortuni e non dessero piene garanzie già in precampionato (salvo poi ripiegare sullo svincolato Matuzalem a mercato finito); a riscatti non certo a costo zero (Bianchetti) forse avventati. Inoltre, come ha rimarcato sempre Bigon, quella della rosa ristretta (più i giovani) è stata una precisa scelta, se è vero che da regolamento un paio di tasselli erano ancora disponibili.

Ora molti, anche gli insospettabili, tirano in ballo Mandorlini. Lo ripeto: lui è sempre lo stesso, il suo calcio anche (al di là dei moduli). Ma ora il suo calcio è orfano di Toni – e di Iturbe e Romulo, e di Cacia e Martinho in B, ma anche di riserve bistrattate che l’anno scorso solo di gol ci hanno dato una decina di punti (ed escludo l’infortunato Ionita dall’elenco, sennò saremmo a 16). Non è una differenza da poco. Ci sono allenatori che con la tattica e il lavoro ‘di campo’ fanno la differenza; altri che basano le loro fortune sulla qualità dei singoli e l’efficace gestione del gruppo. Mandorlini appartiene alla seconda categoria: l’ho scritto, detto e pensato quando vinceva, lo scrivo, dico e penso ora che la classifica piange. E non è una diminutio affermarlo, o una critica, ma una constatazione, che forse può a sua volta spiegare il momento.

Ora sia benedetta la sosta. Pazzini è sulla via del recupero e gli acciaccati possono ritrovare la condizione. Speriamo di recuperare anche quell’abnegazione per “portare a casa il pane” (autocit.) che sinora spesso è mancata, tra barriere che si aprono, palloni persi banalmente in zone nevralgiche, rimonte subite, palloni in tribuna non pervenuti (e che ci vorrebbero). Il Verona affronterà l’Udinese in casa, avversario alla portata, Mandorlini Colantuono, un suo “gemello” per temperamento e modo di fare calcio. Serve solo vincere, spero se ne stiano accorgendo anche i cantori delle sconfitte, o gli esegeti dei pareggi, o i lacrimanti degli infortuni. Nel frattempo personalmente gradirei che la società approfittasse della pausa per dare un messaggio ben lontano da quel siamo “clamorosamente competitivi per la salvezza” di bigoniana memoria e lo stesso Setti abbassasse il tiro rispetto ai suoi (legittimi) auspici estivi. Sarebbe un intelligente passo indietro, un’apprezzabile lezione di umiltà. Una nuova consapevolezza. Un punto da cui ricominciare.

 

IL VERONA NON È MANDORLINI (NEL BENE E NEL MALE)

Il Verona, nel bene e nel male, non è Mandorlini. Lo scrivevo quando la popolarità dell’istrionico allenatore era ai massimi e oscurava i paritari meriti altrui (di Martinelli e Setti, di Gibellini e Sogliano); lo ribadisco ora che il suo share sembra in ribasso e lui l’unico responsabile della crisi dell’Hellas.

Lo scrivevo quando il tecnico approfittava dei risultati per attaccare i critici e dividere la piazza in pro o contro la sua persona (quasi che lui fosse il Verona e criticarlo volesse dire non essere tifosi); lo ribadisco ora che sembra il Malaussène di Pennac, di professione capro espiatorio.

Il Verona, nel bene e nel male, non è Mandorlini. Ho sempre ritenuto malsano considerare una vittoria del Verona una ‘sua’ vittoria; derubricare adesso ogni sconfitta a ‘sua’ sconfitta è persino deleterio. Non mi piace l’affermazione: “Mandorlini dalla sua ha sempre avuto i risultati”, perché sottintende che li ha ottenuti da solo, senza l’aiuto di dirigenti e calciatori bravi. Mi piace ancora meno però l’epitaffio dei giorni nostri: “Mandorlini ha finito un ciclo”, come se le colpe ora fossero tutte sue. Lui non mi garba, è risaputo, anzi dirò di più: io e lui ci stiamo cordialmente sulle palle. Ma questo aspetto non ha nessuna importanza: l’unico autografo chiesto in vita mia credo sia stato a Iuzzolino (Elkjaer l’ho sempre mancato) e non ho mai frequentato dirigenti, allenatori e calciatori (al mondo ci sono un sacco di persone più interessanti), neppure per una birra (sia chiaro, non ho nulla contro chi lo fa).  E’ noto pure che il suo calcio non mi fa impazzire, ma il suo calcio è sempre stato questo, con la differenza che ora sono andati in tilt i perni che gli permettono di proporlo efficacemente, o per infortunio (leggi il centravanti), o per scarso rendimento  (Viviani, che colleziona assist sui calci piazzati ma è fuorigiri in campo, e Sala). Eppure credo che Mandorlini vada sostenuto da Setti, Gardini e Bigon, anche pubblicamente, come è stato sostenuto da Setti, Gardini e Sogliano tre anni fa e l’anno scorso.

Perché Mandorlini, nel bene e nel male, non è il Verona,  ma è l’allenatore del Verona e anche chi non lo ama lo sostiene perché ama il Verona. E’ un sillogismo banale questo, che forse qualcuno  negli ultimi anni di vittorie ha dimenticato (con stucchevoli plebiscitarismi personali e l’Hellas in secondo piano), ma che va ricordato ora nelle sconfitte.

PORTARE A CASA IL PANE

“Sconfitta immeritata, ma dobbiamo fare ancora di più, perché in questo momento non basta quello che facciamo. Il calcio è impietoso, pensiamo alla Lazio”. Questo in sintesi il Mandorlini pensiero e mi trova d’accordo. L’emergenza c’è, fatta di sfortuna vera (Toni, Pazzini e Hallfredsson), ma anche di gestioni discutibili (Romulo, Ionita e Marquez). L’emergenza c’è, ma in questo momento compiacersi di aver perso “bene” non aiuta a uscire dalla crisi e Mandorlini, a differenza dei buonisti, ha mostrato di esserne consapevole, al netto delle (reali) attenuanti (Pazzini e arbitraggio). La sfortuna, tanta o poca che sia, non la governi, i miglioramenti o i peggioramenti sì. Parlare del fato rischia di immergerci in un torpore oppiaceo senza fine.

L’emergenza deve rendere partecipi, non assopire di comprensibile ma pericoloso vittimismo. Per affrontare ‘alla morte’ la Lazio, come se fosse l’ultima spiaggia, come se stessimo vivendo un epico spartiacque poi da raccontare. Portare a casa il pane, come in un vecchio film neorealista in bianco e nero. Non altro, non importa come: se in attacco o in trincea, se di fioretto o di spada, se con le maglie imbiancate di ritrovata classe, o sudate e infangate di vittorioso affanno. L’ho detto ieri in tv: in questa situazione non è disdicevole giocare per il punto, per muovere la classifica, waiting in the world to change. I fattori di fiducia non mancano: Sala cresce, Siligardi è più a suo agio nel vivo del gioco, Greco non sta facendo rimpiangere Hallfredsson, Bianchetti, Helander e Zaccagni promettono; ma come ha detto Mandorlini serve “fare ancora di più”, perché così “non basta”. E’ vero.

MOMENTO DELICATO

Ci sono dettagli che fotografano un momento. Ieri ero a Bergamo, seduto nella tribuna centrale dietro alle panchine. Mandorlini dopo qualche minuto era già accovacciato con lo sguardo a terra, subitaneamente conscio del cattivo approccio alla partita del Verona. Già nel primo tempo, da un lato chiedeva di alzare i ritmi, dall’altro esortava a rallentare le rimesse in gioco, quasi che si rendesse conto che in quelle condizioni anche un rabberciato pareggio sarebbe stato oro. E così è stato. Il gioco latita (palla lunga per il centravanti e morta lì), il centrocampo è contato (ma delle condizioni di Ionita e Romulo si sospettava dall’inizio, vero Bigon e Gardini?) e Toni – da due anni frontman del monotema tattico mandorliniano – si è fatto male. Tutto sembra girare contro e ci aspetta un trittico (Inter, Lazio e Chievo) mica da scherzo. Pure Mandorlini, mai visto così abbattuto e critico in sala stampa, ha rinunciato a rinvangare il suo romantico passato a chi gli chiedeva dell’Inter. E’ un segnale: non è tempo di ricordi, ma di punti che servono come il pane. Perché è vero che siamo solo all’inizio, ma ritrovarsi già a rincorrere renderebbe tutto più complicato.

SI FACCIA CHIAREZZA SU PAZZINI

Dichiarazione ‘pesante’ di Mandorlini a Sky: “Toni e Pazzini per ora non possono giocare insieme, più avanti vedremo”.  Dichiarazione anche curiosa per quell’avverbio “ora”. Dunque è solo questione di tempo? Per quale motivo? Forse la squadra – nonostante la stagione sia iniziata da quasi due mesi – non è ancora in grado di sostenere tatticamente i due attaccanti? Oppure Mandorlini è convinto in assoluto che la convivenza non sia possibile e con quel “per ora” vuole solo guadagnare tempo? Sarebbe bene chiarire la questione, perché Pazzini non è venuto a Verona per stare a guardare e la filastrocca che lui è “il futuro”, nel senso di erede di Toni, è una cazzata per i creduloni. Nel calcio non esiste futuro, per un attaccante men che meno, specie nell’anno dell’Europeo. Lo stesso Pazzini lo ha ribadito senza giri di parole qualche settimana fa: “Io e Toni possiamo giocare assieme, sennò non sarei venuto a Verona”.

Parole che non lasciano adito a interpretazioni, come il passato dell’attaccante di Pescia, che lasciò la Fiorentina per le troppe panchine e l’anno scorso ha avuto vivaci confronti con Inzaghi al Milan per lo stesso motivo. Insomma su Pazzini va fatta chiarezza assoluta per non farlo diventare un ‘caso’. L’esborso economico della società è stato notevole e Setti  ha detto chiaro e tondo che l’ingaggio del giocatore è stato condiviso con l’allenatore (e Mandorlini non ha mai smentito, né dato da intendere il contrario). La mancanza di risultati poi non contribuisce alla serenità delle parti in causa.

Questo non significa ovviamente che il Verona non vince perché non c’è Pazzini. Il problema è di fondo: l’Hellas non sa imporre il suo ritmo (nel primo tempo il Toro camminava, ma il Verona attaccava senza aggressività) e subisce quello altrui (Marassi la partita simbolo, ma anche lo spento Torino è riuscito a infilarci nelle rare accelerazioni). Succede per la poca condizione di uomini cardine come Sala (male), Toni e Viviani (oggi comunque positivi), ma anche per la mancanza a tratti di imprevedibilità. Questo non è un vizio recente: l’anno scorso un Toni straordinario celò molte pecche generali, quello precedente la squadra era individualmente molto forte; ora siamo gli stessi della scorsa stagione ma con un Toni lontano dal formato extraterrestre. Augurandoci che Toni torni al top e ci dimezzi i problemi, credo non sia follia pensare a qualche variante nel tipo di calcio proposto. Non è una questione di moduli, ma di saper sfruttare le caratteristiche dei giocatori più bravi.  E qui torniamo a Pazzini, ma anche a Siligardi, poco adatto ai ripiegamenti del 4-5-1 muscolare di Mandorlini. Forse un po’ di flessibilità tattica non farebbe male.

 

 

 

DAL ‘VANGELO’ SECONDO LUCA (TONI)…

Luca Toni, domenica 30 agosto, nella sala stampa di Marassi: “La Roma ci aveva un po’ sottovalutato (…). Prendiamo tanti gol e non sempre se ne possono fare tanti, quindi la cosa principale è cominciare a prenderne meno. E’ una cosa su cui penso voglia lavorare il mister…”.

Riccardo Bigon, ds del Verona, due giorni dopo: “Ci sono squadre che hanno centrali molto meno bravi dei nostri, ma che sono impostate difensivamente molto bene e subiscono pochi gol. Noi siamo impostati per essere propositivi e fare tanti gol, ovvio patire qualcosa”.

Dichiarazioni contrastanti: l’attaccante dice che non sarà sempre possibile segnare tanto, il ds invece risponde che siamo impostati per segnare. Toni ha voluto redistribuire le responsabilità (tradotto “non posso pensarci sempre io”) e lanciato la palla al suo allenatore (come dire “fa in modo di risolvere il problema”), mentre Bigon ha spiegato che il problema è l’atteggiamento tattico e non sono i singoli, difendendo neanche troppo velatamente il suo operato in risposta a chi gli chiedeva conto del mancato acquisto di un difensore. Peraltro l’ex dirigente del Napoli ha pubblicizzato Helander e Bianchetti (“per me sono dei titolari”) ed è un fatto da tener presente riguardo le future scelte di Mandorlini.

Ma al di là delle dichiarazioni divergenti dei due, registro che finalmente l’annoso problema dei gol subiti viene pubblicamente affrontato con sincerità (e anche un filo di tensione) dagli stessi tesserati del Verona, senza le solite frasi di rito. Voglio dire, perlomeno se ne parla davvero. Mi direte: ma in privato ne avranno sempre parlato anche negli anni scorsi. Sì, ma sappiamo che passare dal privato al pubblico cambia la percezione della gravità del problema anche negli stessi tesserati. Proprio per questo il tempismo delle dichiarazioni di Toni (fatte alla 2^ giornata) non è casuale. Il suo non è solo un campanello di allarme, ma una presa di coscienza che il campione del mondo vuole condividere. Da due anni il Verona campa sui suoi gol, eppure Toni è il primo a sapere che alla sua età ogni anno che passa è un nuovo macigno e che dunque non può garantire automaticamente 20 gol a campionato. Lo si dice ogni anno? Sì ed è giusto, perché quello che ha fatto Toni fino oggi non è normale, ma straordinario.

Dobbiamo prenderne atto immediatamente, anziché crogiolarci con rassicuranti chiose (“la squadra è la stessa dell’anno scorso e quindi può solo essere più forte”) e partire da due assunti: la squadra è diversa anche se è la stessa (ogni annata fa storia a sé, altrimenti tutti club che hanno fatto bene l’anno precedente confermerebbero in blocco i propri giocatori, e poi i nostri titolari non sono giovanissimi); e quest’anno non possiamo cullarci sulle prodezze di Toni o Pazzini.

P.S. il “vangelo” del titolo rigorosamente tra virgolette, questo è solo calcio.