COMINCIA IL ‘SETTI BIS’

“Dove sono in troppi a comandare nasce la confusione” diceva Luigi Einaudi, che pure era un liberale e non un tiranno. Al Verona, dicono i beninformati, da circa un anno tra Gardini e Sogliano non corre buon sangue. Quello che è certo è che Sogliano se ne andrà, “deluso per come sono mutate le cose” spiega chi lo conosce bene; mentre Gardini diventerà il dominus di via Belgio, sempre più cardinale Richelieu, come lo ribattezzai tre anni fa.

La voce che i rapporti fra i due manager non siano idilliaci nell’ambiente circola da tempo. Scrivevo il 4 febbraio nel pezzo ‘Il Verona e il futuro’: “La sensazione è che in casa Hellas tiri aria di riassetto nei quadri dirigenziali”. In quei giorni si era appena concluso il (non) mercato di gennaio e Sogliano aveva deciso di non convocare la tradizionale conferenza stampa post sessione. Quel silenzio assordante mi sembrava foriero di un presagio. Così è stato.

I motivi di un rapporto mai decollato? Caratteri agli antipodi, ma pare ci sia dell’altro. Forse Gardini ha sempre pensato a un assetto societario diverso, con un ds con poteri più circoscritti. Anche le dichiarazioni dei due a Telenuovo, martedì sera in Gran Guardia, non mi sono sembrate casuali.  “Resto solo se c’è chiarezza e sincerità tra tutte le componenti” ha chiosato secco Sogliano. Più felpato e cerimoniale Gardini: “Ci auguriamo che restino tutti coloro che hanno raggiunto risultati importanti. Poi se qualcuno farà scelte diverse ci dispiace, ma i programmi del presidente vanno comunque avanti”.

Setti ha scelto il ‘modello Gardini’, questo spiegherebbe l’amarezza di Sogliano, consapevole di aver ottenuto risultati sportivi e finanziari di rilievo, e memore del corteggiamento che lo stesso Setti gli fece nel 2012 per ingaggiarlo, o solo un anno fa per convincerlo a non cedere alle sirene milaniste. Le plusvalenze nate dalle intuizioni del ds sono incontestabili: quelle note (i 10 mln di Iturbe, i 2,5+1 del 18enne Donsah, la quotazione milionaria di Sala, quella potenziale di Gollini) e meno note (1 mln Martinho, 500 mila euro Albertazzi, 400 mila euro Cacciatore).

Setti dunque si accolla un bella responsabilità. Idem Gardini. Perché il Verona perde un ds di grande caratura (non per niente lo cerca il Napoli) che con maggiore volontà si sarebbe potuto trattenere; e questo ridisegna radicalmente gli equilibri societari, consegnando alla cronaca l’inizio del Setti bis. Perlomeno si è fatta un po’ di chiarezza, dopo mesi di silenzi e temporeggiamenti presidenziali e  settimane di balletti su trattative americane e offerte milionarie, confermate (da Timossi in primis, mica un pinco pallo qualsiasi) e poi smentite (da Setti). E’ già qualcosa.

P.S. Gardini dice che ha sbagliato ad aumentare i prezzi degli abbonamenti. Mandorlini ammette che Saviola avrebbe dovuto giocare di più perché è un grande campione e grande uomo. Manca all’appello la ragazza che ti molla perché ti vuole bene e non ti merita.

SERVE CHIAREZZA

L’ipotesi nell’ambiente circolava da tempo. Sussurrata, tra il detto e il non detto: Setti vende? Chi mi segue ricorda il mio articolo del 28 aprile: “Cos’ha in testa Setti?”. Lo scrissi – non casualmente – dopo la smentita del presidente su una possibile cessione. Qualche dubbio mi accompagnava da tempo e in quella circostanza Setti non mi aveva convinto. Scrivevo in un passaggio: “Setti prima di pronunciarsi sul futuro dei suoi dirigenti, vuole capire bene il suo”. Troppe cose non quadravano. La questione dei contratti in scadenza di Sogliano &C., continuamente rimandata; il repentino cambio di atteggiamento del presidente negli ultimi mesi – dalla guasconeria “ranzanesca” al low profile – e l’impressione di un possibile ridimensionamento economico dopo il (non) mercato di gennaio.

Ora a chiudere il cerchio emerge la notizia di un’offerta di un gruppo americano. Attenzione, ciò non significa automaticamente che il Verona verrà venduto. Un conto è una trattativa, o la volontà di cedere (e di comprare), un conto è che l’affare vada in porto. Tra il dire e il fare in questi casi c’è di mezzo… un oceano. E non mi stupisce neppure la smentita a stretto giro di posta di Setti, che rientra nel gioco delle parti. Sappiamo infatti come funziona in questi casi: è chi vuole comprare che ha interesse a smuovere le acque per fare pressioni, dunque a mettere in giro la notizia. Il (potenziale) venditore invece minimizza, smentisce per rafforzare il proprio potere contrattuale.

Intanto stiamo alle certezze. Giampiero Timossi, uno degli autori dello scoop, è un giornalista serio e, particolare non marginale, ha lavorato per anni a Genova al Secolo XIX, e sappiamo come il carpigiano Setti sia legato da strette amicizie calcistiche nell’ambiente ligure (Volpi e Marotta, quest’ultimo a lungo dg della Sampdoria). Non per ultimo, chi vuole vendere o comprare un qualsiasi club calcistico sa che questo è il periodo più adatto.

Staremo a vedere, qualsiasi cosa accada però urge chiarezza e tempismo per il rilancio di un nuovo progetto societario e tecnico. Con Setti o senza.

CAMPIONI D’ITALIA (SENZA RETORICA)

Senza retorica è più bello. Senza retorica, come la Curva Sud e la sua spettacolare sciarpata di domenica scorsa. Senza retorica, come Preben Larsen Elkjaer, che in un intervista a Repubblica di ieri ha fermato il tempo a suo modo: “E’ stata una bella avventura. Qualche volta la sera, quando chiudo gli occhi, vedo Verona”. Senza retorica, come Osvaldo Bagnoli – “un duro gentiluomo, un uomo onesto” (cit. Elkjaer), “Schopenhauer” (cit. Gianni Brera) – che ogni volta che riannoda i fili con quel passato sembra avere i lucciconi agli occhi (“mi commuovo e piango anch’io”, disse in una memorabile intervista proprio a Brera). Osvaldo, poi, che a volte finge di dimenticare i particolari, talmente è intimo e pudico nelle sue emozioni. Senza retorica perché siamo veronesi e il “cinema” e le cafonaggini le lasciamo ad altri. Senza retorica per rifuggire alla banalità, perché guai a essere banali nel celebrare il trentennale di uno scudetto che fu unico e straordinario (aggettivo quest’ultimo spesso abusato, ma che nella fattispecie calza a pennello).

Il 12 maggio 1985 il Verona era campione d’Italia e lo ricordiamo anche noi senza retorica, inutili orpelli lessicali e vane ridondanze. Basta l’essenza. Grazie Campioni, la Storia vi è grata.

CHE SIA LA FESTA (SOLO) DEL VERONA

Verona-Chievo non è un derby tra tifosi, o per la supremazia tra i club. Il Verona è indiscutibilmente LA squadra della città; lo suggerisce il nome stesso e la storia. Il Chievo nasce e (per lunghi anni) cresce come squadra di un quartiere cittadino e solo la sua storia recente (da metà anni 80′ in poi) l’ha proiettata a imporsi come UNA squadra (ma non LA squadra) di Verona. Sul piano della tifoseria poi il paragone nemmeno si pone: i numeri e la storia sono talmente distanti che la rivalità non può nemmeno cominciare. Questo intende, credo, chi sostiene che “il vero derby è con il Vicenza”.

Eppure, a suo modo, Verona-Chievo è un derby tecnico e sportivo, a cui è giusto dare anche una spruzzata di veleno e di senso di rivalsa. Le vicende degli ultimi 10 anni lo certificano: da un lato le difficoltà dell’Hellas nelle dimenticate (dai mass media) serie minori, dall’altro la ribalta nazionale della società della Diga che ogni domenica compariva davanti all’Italia come Chievo Verona; poi la fusione sfiorata nel 2009 (come attestato da più fonti giornalistiche); infine i discutibili comportamenti di Luca Campedelli sulla questione dei simboli e dei colori.

Credo che sia un dovere morale di chi domenica scenderà in campo farsi raccontare questi ultimi dieci anni e tenerli bene a mente. Campedelli, anche se non lo ammetterà mai, tiene troppo a farci un dispetto e, di conseguenza, non mi stupirò nel vedere i giocatori del Chievo particolarmente motivati. I nostri non dovranno essere da meno. Qualcuno ci verrà a raccontare, con la consueta pallosissima retorica, che è la festa della città. Al ché rispondo con un bel chissenefrega. Io voglio che alla fine della partita sia solo la festa del Verona, anche perché c’è un trentennale tricolore da celebrare.

 

COS’HA IN TESTA SETTI?

Il Setti-Ranzani è solo un pallido ricordo. Che tempi quei tempi in cui il Nostro, vestito con sgargianti giacche a quadri, o stilosi maglioni da Cortina, si presentava alla stampa con ostentata sicurezza e, qua e là, esternazioni tra il ganassa e il baudesco (nel senso di Pippo Baudo). “Sogliano, Gardini, Cometti li ho scoperti io, li ho salvati”, oppure “adesso facciamo questo, subito dopo facciamo quello…”. Era ruspante e sbrigativo quel Setti, che si divertiva mediaticamente a giocare sulla sua immagine, rinverdendo il mito un po’ appannato (dal calcio dei capitali globali) del self-made man, padronale, paternalista, vincente, che sì delega, ma da cui tutto passa. Quel Setti, pur negli eccessi appunto un po’ ranzaneschi (dal personaggio radio-televisivo), sui quali perfidamente lo punzecchiavo, lo percepivo entusiasta, partecipe, operativo e decisionista.

Ora il presidente mi dà l’impressione di divertirsi meno. E’ diventato serioso, castigato, formale, sobrio, un po’ come il vestito nero che indossava domenica. Setti non gioca più, Setti non gigioneggia con teatralità. Setti adesso non accelera, anzi frena, aspetta e prende tempo: “Sogliano, Gardini e Mandorlini? Vedremo nelle prossime settimane” ha detto. Siamo ormai a maggio ed è ovvio che quel “nelle prossime settimane”, vago e indefinito, non passa inosservato detto da uno come lui, uomo pratico e consapevole che nel calcio, come nelle aziende, è meglio programmare per tempo.

E così le voci si rincorrono. Il presidente del Verona ha negato una possibile vendita del club. In questi casi le smentite lasciano il tempo che trovano, ma gli crediamo, pur con giudizio. D’altro canto lui stesso, per la prima volta, ha aperto le porte a nuovi azionisti: “Il Verona è appetibile, se qualcuno vuole darmi una mano ben volentieri”.

Ecco il temporeggiamento di Setti potrebbe spiegarsi così: prima di pronunciarsi sul futuro dei suoi dirigenti (e a cascata del suo allenatore), vuole capire bene il suo. Andare avanti da solo con risorse limitate? Far entrare nuovi soci e poter dare inizio a un consolidamento e a una crescita degli investimenti? Dalla risposta a queste domande nascerà il prossimo Verona.

 

NEBBIE DI PRIMAVERA (SETTI, SOGLIANO, TONI…)

Mandorlini che saluta la curva interista e guadagna il tunnel degli spogliatoi dopo il deludente 3-0. Sogliano e Toni, le persone più importanti per i risultati del Verona, costretti a non poter promettere la loro permanenza in gialloblu. “Vedremo – dirà il bomber a Giovanni Vitacchio a fine partita – dipende da chi va e chi resta” (confermando le mie preoccupazioni di giovedì al ‘Vighini Show’, quando avevo smentito la vulgata secondo la quale “o smette, o resta al Verona” che esclude a priori altre possibilità). “Vedremo”, dirà il ds ad Andrea Spiazzi, nel parcheggio fuori la sala stampa, dove il collega lo ha raggiunto ormai a tarda sera.

Entrambi, nonostante le sirene altrui, vorrebbero rimanere al Verona, ma ancora non conoscono i programmi societari e attendono segnali da Setti. Segnali che per ora non arrivano, con il presidente anzi che prende tempo parlando poco e parlando d’altro (“internazionalizziamo il brand”). Per il resto silenzio, un silenzio enigmatico, che alimenta dubbi anziché dissiparli. L’impressione è che sia un silenzio di “distacco”, di “disamore” (ammesso che Setti sia mai stato “innamorato” del Verona), segno di un filo di stanchezza e di “disimpegno” (non operativo, ma programmatico). Setti vende? Setti ridimensiona e va avanti al piccolo trotto (contratti annuali) e chi ci sta ci sta? Setti, smentendoci, invece riazzera tutto e riparte con altri collaboratori e nuovi più ambiziosi programmi?

Alla salvezza sicura mancano due-tre punti e l’indolente, pigra e incostante squadra di Mandorlini (scrive bene Luca Fioravanti, “montagne russe”) saprà farli, perché ha un calendario abbordabile (Sassuolo e Udinese in casa, Parma alla penultima) e perché quando ha il pepe al sedere si trasforma, capace anche dell’impresa (derby e Juve sono tappe da segnare). Quindi ribadisco quanto già scritto venerdì: Setti sciolga i dubbi e cominci a pensare al futuro, altrimenti il rischio è di perdere uomini di valore, dirigenti e-o attaccanti che siano. Lo diciamo senza allarmismi, ma le cose del calcio corrono veloci. Ripartiamo da Sogliano e Toni. Che aspettiamo?

IL BRAND? CARO SETTI LE PRIORITÀ SONO ALTRE

Cavalli di battaglia. “Internazionalizziamo il brand” ha detto l’altro giorno Maurizio Setti, che parla poco e solo con i suoi house organ, con buona pace di chi vorrebbe risposte e meno silenzi in certi frangenti. “Internazionalizziamo il brand” è un mantra che Setti (con Gardini) ripete da anni. Vuol dire tutto e vuol dire niente, ma fa sempre il suo effetto. Noi invece che siamo terribili provinciali registriamo, più concretamente, che ad aprile inoltrato ancora non si conosce l’organigramma dirigenziale della prossima stagione. In una società come il Verona, presieduta da un presidente per sua stessa ammissione delegante (quindi non un Lotito, un De Laurentis o un Campedelli per intenderci, presidenti ‘totalizzanti’), questo non è un dettaglio.

Intanto le voci corrono: Setti sta pensando di vendere? Setti sta pensando, al contrario, di ripartire da zero? Setti ha già il suo quadro chiaro in testa, ma non lo comunica nemmeno ai suoi collaboratori? E Sogliano, la cui priorità è rimanere e che con poco ha portato plusvalenze e salvezze tranquille ed è stato un riferimento anche nello spogliatoio, è proprio il caso di lasciarlo andare a cuor leggero? E l’eventuale sostituto sarà un nome dello stesso spessore (esperto o emergente che sia non importa), o un ds di più basso profilo? Parliamo del direttore sportivo non a caso: è la base per la conferma o meno dell’allenatore (in qualsiasi club i risultati dipendono dal rapporto tra le due figure) e la costruzione della squadra. Già la squadra: Toni e Sala saranno confermati? I migliori resteranno in nome del promesso consolidamento tecnico, o ceduti come l’anno scorso?  Ci piacerebbe che l’industriale carpigiano desse al più presto una risposta a queste domande. Soprattutto con i fatti. Bisogna già cominciare a lavorare operativamente alla prossima stagione. Va bene il brand, ma ora le priorità sono altre.

AVETE GIÀ MOLLATO?

Non gioco più, me ne vado… Celebrata Mina (75 anni compiuti in settimana, auguri!) l’incipit potrebbe essere: batti il Napoli e poi… ti rilassi, cullandoti nell’inopinato appagamento. No, non può essere così. No, non deve essere così. Il finale del film l’abbiamo già visto l’anno scorso e non vorrei si ripetesse. Perché è un finale che irrita e chi vuole bene al Verona non lo può accettare. Caro allenatore, cari giocatori vi abbiamo (giustamente) celebrato dopo la straordinaria (per prestazione e intensità) vittoria con il Napoli, ora che succede? Senza acqua alla gola, a salvezza praticamente raggiunta, cominciate a “regalare” punti in giro? Pensate di aver dato e fatto abbastanza? Passi (ma non troppo) per le “vacanze romane” dell’Olimpico contro la Lazio, attualmente una macchina da guerra (ma con un Verona non pervenuto), ma lo spettacolo offerto ieri contro il mediocrissimo Cesena è a dir poco imbarazzante. Ok, potete giustificarvi con i due eurogol di Carbonero e Brienza (ma sulla punizione Benussi è ancora una volta in clamoroso ritardo), ma attaccarsi agli episodi sa di presa in giro a fronte di quei minuti così remissivi e lascivi. La sensazione è che se non avessimo preso quei gol ne avremmo comunque presi altri.  Quindi risparmiateci i rosari autoassolutori che non è il caso. Che sia stato inconscio rilassamento, o superficialità poco cambia: non sarebbe dovuto accadere.

Quali intenzioni abbiamo caro allenatore e cari giocatori, andiamo avanti al piccolo trotto in attesa della fine, concedendoci ogni tanto qualche pausa? Vi chiedo: non avete voglia di darvi altri obiettivi, che ne so migliorare la classifica, provare a entrare nella sua parte sinistra? Un campionato dura 38 partite, non 27-28, si può vincere o perdere, ma il decoro dei novanta minuti non dovrebbe mai mancare, che l’avversario di turno sia la formidabile Lazio, o il bisognoso Cesena.

C’è un piatto finale che di stimoli ne offre. L’Inter, il derby, la Juve. E  per il resto un calendario abbordabile per rimpinguare il bottino. Avanti fino alla fine, senza pause. E’ il vostro dovere.

P.S. Auguri di una Buona Pasqua a tutti.

HA VINTO IL POPOLO DEL VERONA

L’ispirazione la ebbe Mogol per Celentano: “L’emozione non ha voce”. Certe sensazioni non si possono spiegare, ammesso poi che di fronte a certe emozioni la voce rimanga. Perché (ab)battere il Napoli in questo modo ti ripaga di tutto e con gli interessi. Così è ancora più bello e allora lo urli a perdifiato. Ti riappropri del senso del calcio che non è solo classifica, calcolo, piccolo cabotaggio, 40 punti, salvezza ecc, ma anche e soprattutto lotta identitaria, rivalità faziosa, appartenenza a un simbolo e a una comunità. Chi ieri in campo ha rappresentato il Verona Hellas lo ha capito e lo ha dimostrato con i fatti e non solo con le scialbe (e a volte irritanti) interviste. Ora anche i più scettici e i perenni equilibristi (quelli che…è vietata qualsiasi vera critica o polemica), capiranno quanto sia importante che la squadra si avvicini alla sua gente, respiri la città, i suoi umori, le sue aspettative.

Inutile girarci intorno: dopo il confronto con la tifoseria, il comportamento (e di conseguenza il rendimento, perché la qualità era indiscutibile) della squadra – e se mi permettete anche del tecnico – è cambiato. Meno rilassato e più partecipe, meno vittimistico e più positivo. Gli allenamenti a porte aperte e il bagno di folla di giovedì al Bentegodi hanno fatto il resto. Luca Toni, gigante in campo e saggio capitano fuori, lo ha spiegato in una frase: “Avevamo più fame del Napoli”. Una ‘fame’ nata non tanto per ragioni di classifica (la posizione era già tranquilla), ma dalla consapevolezza di giocare, correre, combattere per migliaia di persone che la partita la sentivano eccome.

Per questo ieri ha vinto la gente del Verona, il popolo gialloblu. Chi pensa sia retorica non ha mai messo piede al Bentegodi, o del Bentegodi forse frequenta solo la tribuna vip, o la sala stampa. Chi pensa che sia populismo ha una concezione del calcio asettica e classista, per cui il tifoso va bene solo quando è un cliente da spennare, per il resto deve starsene zitto e buono e non chiedere conto dei passaggi a vuoto. La fortuna del Verona, ancora un volta, è stata la sua tifoseria.  Quei padri che tramandano ai loro bambini, che a loro volta quando saranno padri tramanderanno ai figli (ed è così da cent’anni), il senso e il valore di tifare Verona Hellas, senza cercare facili scorciatoie in una Juventus, in un Inter o in un Milan, come accade nelle città limitrofe. Hanno vinto loro, quelle migliaia di persone che, essendo innanzitutto individui pensanti, possono anche “scannarsi” amabilmente su tizio o su caio, sul mercato o sul modulo, ma che poi sono tutt’uno nel soffrire e godere per gli stessi colori, alla faccia del calcio moderno che le vuole distanti e innocue, posate e imborghesite. Questo conta.  Questo è il Verona.

LA VIRTÙ DELLA SFACCIATAGGINE

Mi è bastato lo ‘scavino’ di Luca Toni a Diego Lopez. Quel gesto sfacciato compiuto nel luogo simbolo del pallone inteso come borioso sfarzo, è goduria calcistica allo stato puro. In quel gesto irridente c’è il riscatto del Verona su San Siro, stadio ancora tabù, ma da ieri un po’ meno. Quel gesto spregiudicato ribalta cent’anni di storia e di certezze: il Milan non è più forte del Verona e l’unico vero campione gioca con noi. Era così l’anno scorso, è così quest’anno. In precedenza fu così solo nella prima metà degli anni ’80 e poco oltre (fino al 1987). Affiora perciò un filo di rimpianto e l’eco di una frase: “Avremmo potuto vincerla”. E a proposito di tabù San Siro, guardando l’Inter e il Milan delle ultime due stagioni la domanda sorge spontanea: se non ora quando? Ma ormai è andata, il Meazza anche, e non serve perdersi in inutili rimpianti.

Piuttosto l’auspicio è che tecnico e giocatori, ieri sera, prima di guadagnare gli spogliatoi, abbiano osservato bene la festa dei propri tifosi sugli spalti. Emozionante. Non è un dettaglio, domenica arriva il Napoli e non è vero che il Verona non ha nulla da perdere, come spesso si suole dire in questi casi per mettere le mani avanti (sarebbe anche ora di piantarla con questa retorica vuota). I 14 gol incassati negli ultimi tre precedenti gridano vendetta e vincere darebbe anche un significato emozionale alla stagione, finora caratterizzata da qualche stento di troppo e priva di grandi acuti. Senza dimenticare che da quando siamo ritornati in A manca il colpaccio autentico.

Ma serve un Verona che, al momento giusto, sappia essere come Toni ieri sul dischetto: sfacciato, irridente e spregiudicato. Con lo ‘scavino’ o senza, poco importa.