LA ‘ROMETTA’ CI HA ILLUSO…

Luca Toni, ieri sera dopo il KO di Marassi, ha centrato il bersaglio con una dichiarazione dai più sottovalutata, o nel migliore dei casi fraintesa: “Eravamo fisicamente superiori, ma loro avevano più ‘gamba’ di noi”. Credo che con il termine gergale “gamba” Toni non volesse additare tanto la condizione atletica, quanto una caratteristica del Verona, che dispone di giocatori muscolari, ma non velocissimi, specie nelle zone nevralgiche del campo, e che dunque può andare in sofferenza contro avversarie che su dinamismo e aggressività basano il loro calcio.

Scrivevo una settimana fa su questo blog: “Aspetto il Verona contro squadre più dinamiche e organizzate della Roma vista a Verona, forte nei singoli, ma apparsa senza un’idea di gioco e con uno sterile e lento tiki-taka a centrocampo che certamente ha favorito la nostra zona centrale dei non fulmini di guerra Greco, Moras e dello stesso Marquez. A Marassi contro un Genoa gasperiniano meno forte della Roma, ma in casa tradizionalmente “verticale” nel gioco, atletico e dai ritmi alti di manovra, sarà una partita più difficile per le nostre caratteristiche”.

Come temevo con avversari di quella pasta soffriamo da matti. Almeno Marassi dice questo. “Ma abbiamo fermato la Roma che ha battuto la Juve”, affermeranno coloro che si aggrappano a sillogismi fuorvianti.  Marco Gaburro ieri sera a Telenuovo ha detto bene:  Genoa-Verona è stata una partita di altro spessore sul piano del ritmo rispetto a Verona-Roma, ma anche rispetto a Roma-Juventus. In buona sostanza, come ho ricordato dagli stessi studi: non si possono confrontare due partite diverse, quella Roma non fa testo proprio perché atleticamente abulica e quindi incapace di mettere in luce i nostri difetti.

Come fare, allora con squadre tipo Genoa? Non lasciare loro il pallino del gioco e imporre la propria fisicità giocando con due punte come Pazzini e Toni. Ripeto, non sempre, ma quando l’avversario ha le caratteristiche di cui sopra. Poi certo possiamo disquisire di tattica, moduli e atteggiamento, o di Sala distratto dal mercato. Ma sono discorsi sterili. Piuttosto ascoltiamo Toni e riflettiamo.

GRANDE VERONA, MA NON ILLUDA LA ‘ROMETTA’

Pressing. Fase difensiva. E un terzino sinistro. Queste le buone nuove di ieri. Aggiungiamoci un Mandorlini rilassato in sala stampa, spogliato da bizzose polemiche e riferimenti più o meno diretti alla rosa e al mercato, e a suo agio nel ruolo che meglio gli riesce: allenare, senza guerre e nemici, senza Montecchi e Capuleti. Ovviamente aspetterei per giudizi definitivi, perché la Roma del Bentegodi è apparsa una squadra in crisi di gioco e identità. Mandorlini invece non ha sbagliato una virgola.

FASE DIFENSIVA. Il Verona non ha rinculato nella propria trequarti e ha tenuto alte e corte le linee di centrocampo e difesa. Cosa rara nelle scorse stagioni. Con questo atteggiamento ne hanno giovato anche Marquez e Moras, mai impegnati in affannosi e pericolosi ‘uno contro uno’, a dimostrazione di una tesi che abbiamo sempre sostenuto: se migliora la tattica migliorano anche i singoli, frettolosamente e superficialmente messi sul banco degli imputati in passato. Permettetemi una parola su Marquez: per i suoi trascorsi di campione e la sua professionalità meritava la conferma; il messicano è una risorsa e non un problema, a patto che la sua classe e le sue caratteristiche vengano salvaguardate e non messe alla berlina con gli atteggiamenti tattici sovente suicidi dell’anno scorso. Precisiamo, sarebbe sbagliato e riduttivo colpevolizzare il solo Bordin, ma i fatti dicono che con il cambio dello staff tecnico (e dunque l’autocritica dello stesso Mandorlini) qualcosa di nuovo e migliore si è visto.

SOUPRAYEN. II francese ha ripetuto la promettente prova con il Foggia. L’impressione? Piede educato, elegante falcata e personalità. Se si conferma abbiamo trovato un fluidificante coi fiocchi che mancava dai tempi di Falsini e Seric e permette una soluzione offensiva in più. Se è questo, un plauso a Gardini e Bigon.

DIECI UNDICESIMI. Mandorlini ha schierato la squadra dello scorso anno, ad eccezione di Souprayen, a dimostrazione del valore della rosa costruita un anno fa, a torto criticata. Tuttavia Gardini e Bigon, al di là della dichiarazioni di facciata sul mercato chiuso in entrata, devono provare a colmare le lacune attuali. In difesa serve un centrale, mentre a centrocampo, oltre all’assenza del regista, c’è un problema numerico, specie dovesse partire Sala.

NO ILLUSIONI. Sì all’entusiasmo, che è linfa vitale, non alle precoci illusioni. Aspetto il Verona contro squadre più dinamiche e organizzate della Roma vista a Verona, forte nei singoli, ma apparsa senza un’idea di gioco e con uno sterile e lento tiki-taka a centrocampo che certamente ha favorito la nostra zona centrale dei non fulmini di guerra Greco, Moras e dello stesso Marquez. A Marassi contro un Genoa gasperiniano meno forte della Roma, ma in casa tradizionalmente “verticale” nel gioco, atletico e dai ritmi alti di manovra, sarà una partita più difficile per le nostre caratteristiche. Ma se il Verona è questo può vincere anche lì.

IL CALCIO E’ SOFFERENZA (E CI MANCAVA FOTTUTAMENTE)

“Ho cominciato a provare gusto nella sofferenza che il calcio procura”. Lo so, citare l’inflazionato (ma sempre eterno) “Febbre a 90’” non è il massimo dell’originalità, ma domani riparte quell’antico rito che è il campionato e solo chi vive il calcio (non chi lo segue) può capire la frase di Nick Hornby. Perché, cari sportivi, inculcatevelo in testa, il calcio non è spettacolo, divertissement, ma sofferenza. Sofferenza pure masochistica, perché in fondo ci piace, tanto da sentirci smarriti e orfani poi nel piattume estivo, così crudo, povero e impalpabile nella sua inerzia da rispolverare – per descriverne il vuoto – il “sono andato a letto presto” di Robert De Niro-“Noodles” di ‘C’era una volta in America’.

Sia benedetto dunque il campionato. Sia benedetto questo stato d’irrequietudine che ci accompagnerà come un’ombra nelle nostre 38 settimane di vita parallela. Sia benedetta questa voglia di tornare a tifare, condividere una gradinata, “sacramentare”, godere, o piangere, o tutte e due le cose insieme. Domani all’entrata dello stadio l’emozione sarà nuova e antica allo stesso tempo, perché come scrive Hornby “la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione”.

Con le sue liturgie laiche, con i suoi riti pagani che ci mancavano fottutamente. Bambini o adulti non importa, perché in fondo poi è lo stesso,  perché del resto ci vuole “del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti” (“La canzone dei vecchi amanti” versione Battiato) e il Verona in questo un po’ ci aiuta. Buon campionato vecchio Hellas!

UN MERCATO RICCO E (FINORA) INCOMPLETO

Premessa, il mercato è (ancora) lungo e molto si delineerà negli ultimi giorni. Ma un fatto balza all’occhio ed è un paradosso: si sono spesi tanti soldi (e ne abbiamo dato atto a Setti nello scorso topic), ma la squadra appare ancora incompleta e soprattutto sguarnita in alcuni ruoli chiave. L’avvio promettente (e costoso) della campagna acquisti ha creato (legittimamente) delle aspettative che tutt’ora permangono (con Toni e Pazzini non puoi parlare di salvezza), ma gli infortuni, le prime amichevoli vere e le successive operazioni di mercato qualche piccola riflessione la inducono. Lo stesso Pazzini, allo stato attuale, mi sembra la ciliegina di una torta ancora da sfornare. Setti ha dichiarato: “L’obiettivo è fare più punti della scorsa stagione”, per riuscirci la rosa va puntellata con almeno tre tasselli importanti.

C’è la questione del terzino sinistro che auspico che non si risolva con la scelta tra Albertazzi e Souprayen; c’è un “buco” nel reparto dei centrali dove Bianchetti rimane un’incompiuta (felice di essere smentito, ma non ne capisco il riscatto), Helander ha talento ma è da valutare in Italia, mentre i titolari Marquez e Moras in coppia hanno già palesato evidenti difficoltà. Anche a centrocampo, nel ruolo chiave di metodista, siamo scoperti finché Viviani non recupera (e i suoi tempi di guarigione sono ancora tutti da valutare) e per come va il calcio, sino al 31 agosto non darei per scontata la permanenza di Sala (e le parole di Mandorlini a Sky non sono né casuali né banali e forse tradiscono una lieve irrequietezza). Su Toni e Pazzini concordo con Vighini e non aggiungo nulla a quanto già scritto da Gianluca nel suo blog.

In sintesi le incognite non mancano, per questo mi attendo qualche altro squillo di tromba dalla dirigenza. Quanto fatto sinora non basta ed è meglio dirlo ora, senza troppi giri di parole.

IL SETTI CHE PREDICA MALE E RAZZOLA BENE

Storia recente. Il 26 maggio Setti a Telenuovo parlò di numeri, bilanci, plusvalenze ridimensionate e a rate, di spese per i procuratori (che però non vivono d’aria) e ammise di aver coperto di persona ammanchi di cassa (5 milioni). A sentirlo sembrava che la gestione del suo management fosse stata scellerata. A distanza di poco più di un mese però sono arrivati Pazzini e Viviani, investimenti milionari, senza contare l’acquisto di Helander, il riscatto di Bianchetti, le conferme (al momento) di Sala e Romulo, e una campagna acquisti che un paio di colpi, credo, li riserverà ancora.

Da decenni il Verona non investiva questi denari. Gardini assicura che i conti tornano e non ho motivo per non credergli. Ciò significa che in questi anni si è lavorato egregiamente. Dunque non capisco il Setti del ‘Vighini Show’: perché ha predicato male (sminuendo involontariamente anche il suo lavoro) per (poi) razzolare bene? A sentirlo parlare per tre ore di numeri, bilanci e commissioni ai procuratori, quella sera qualche domanda sulle possibilità economiche del Verona me l’ero fatta. Ecco perché anche le parole sono importanti: se Setti avesse pure predicato bene ci saremmo risparmiati un po’ di preoccupazioni. In ‘sti tempi di crisi – anche nel calcio, con società storiche che saltano – non è poco.

Quindi presidente le domando: visto che finanziariamente può e lo ha dimostrato, la prossima sera che viene in tv parliamo solo di calcio?

‘SUD’ AGLI OSPITI: UN PROBLEMA IN PIÙ

Le cose stanno così. Per anni la North Side chiede (comprensibilmente) di avere la curva nord. Volontà anche legittima: due tifoserie nella stessa curva sono un’anomalia tutta veronese, c’è la voglia dei clivensi di distinguersi e, soprattutto, la Sud è da sempre il tempio laico della tifoseria dell’Hellas. Così Campedelli (altrettanto comprensibilmente) accontenta i suoi sostenitori, ma cosa fa? Sposta (meno comprensibilmente) i tifosi ospiti in sud superiore. Dico, era proprio necessario? No. Non si potevano mettere altrove? Sì. Sarebbe stato burocraticamente più complesso, ma non nascondo che avrei apprezzato questo sforzo di volontà. Così non è stato.

Dall’altra parte c’è il Verona, ci sono Setti e Gardini, senza il potere di incidere nella fattispecie (lo stadio è del Comune), ciò non toglie che avrei desiderato da parte loro un maggiore pressing per evitare che tutto questo accadesse, anche perché presumo non abbiano vissuto con giubilo la faccenda, anzi.

Il punto è che i tifosi del Verona lamentano pericoli per l’area esterna (il monumento) ed interna alla curva sud; il Chievo però assicura che non ci saranno problemi e che tutto è stato studiato nei particolari. In realtà, penso io, un tifoso ospite potrebbe tranquillamente saltare dalla sud superiore all’inferiore: al Chievo non lo escludono, tuttavia mi spiegano che le eventuali ‘teste calde’ saranno segnalate e punite. Anche il Verona, assicura la dirigenza, è pronto a tutelare in qualsiasi modo la sua tifoseria. Eppure la mia sensazione è che ora ci sia un problema in più, non in meno.

CON PAZZINI MENO SCUSE E PIÙ CORAGGIO

Non ho ricordi, nel Verona, per esborso economico e valore tecnico del giocatore, di un acquisto dell’importanza di Giampaolo Pazzini. Premendo il tasto review e senza scomodare la prima metà degli anni ’80 (epoca a parte per l’Hellas), mi viene in mente Stojkovic, fuoriclasse di altra levatura certo, ma paragonabile per investimento e aspettative al Pazzo. Il decennio successivo ha visto altri grandi vestire il gialloblu, come Mutu, Camoranesi e Morfeo, ma il primo era ancora una promessa, l’indio uno sconosciuto, mentre il genio pupillo di Prandelli un prestito. Nemmeno le recenti intuizioni di Sogliano, Toni e Iturbe, reggono il paragone, perché Toni due estati fa era annoverato già tra i pensionabili, mentre Iturbe solo un giovane in rampa di lancio. Lo stesso vale per due fuoriclasse come Saviola e Marquez, ingaggiati dal Verona al tramonto della carriera (ma a mio avviso ancora in forze per questa serie A; spero che almeno Marquez lo possa dimostrare). Pazzini invece, che è tra i due-tre migliori attaccanti italiani (Toni è fuori classifica), giunge nel pieno della maturità (31 anni nel calcio moderno non sono poi così tanti): l’ingaggio quinquennale di circa 1,2 milioni annui attesta le speranze che Setti e il club ripongono su di lui, bomber prolifico in rapporto alle presenze (101 gol in A in 11 campionati, solo cinque di questi da titolare fisso) e dall’ottimo curriculum anche nei grandi club.

L’ex rossonero e lo stesso Viviani (altro investimento di rilievo per cartellino e contratto) credo siano le cartine di tornasole del nuovo corso del Verona. Un Verona che anche senza Sala (come sarà probabile) guarda più alla parte sinistra della classifica che alla zona retrocessione. Ma per riuscirci, oltre alle tante cose buone fatte, mi aspetto da Mandorlini e squadra qualche alibi in meno e un pizzico di coraggio in più.

L’IDENTITÀ RAFFORZA IL MARKETING, MA GARDINI…

In privato e su facebook mi si chiede perché non scrivo delle maglie. La mia opinione è nota, la espressi su questo blog già due anni fa, poi di nuovo l’anno scorso e ancora in tv, dove mi presi del “professore” da Giovanni Gardini, che nell’occasione mi spiegò che “i colori non sono importanti”. Non ho cambiato idea e, a quanto pare, non l’ha cambiata neppure Gardini, ma siccome c’è caldo e repetita in questo caso non iuvant mi taccio, non infierisco (molti tifosi sui social si sono già espressi negativamente) e mi limito a precisare un paio di cose. Qua non si discute di bellezza, ma di identità, e nessuno è contrario al marketing, anzi. Aggiungo a beneficio di quelli che… “l’importante è la serie A”, che categoria e identità sono due sostantivi diversi e slegati e perciò non è bene sommare le mele con le pere. Premesso questo, domando: la seconda e terza maglia (quindi almeno metà delle partite del Verona nel prossimo campionato) senza più il gialloblu neppure nel simbolo sono identitarie? E l’identità espressa con i colori è importante, o è un valore ormai desueto? Prima rispondiamo a questo e poi decidiamo se discutere la scelta di Gardini & C. è un mero sollazzo estivo, o un fatto preminente. Infine marketing e identità possono coesistere? A Wimbledon usano ancora le tradizionali maglie bianche, ciò dimostra una tesi a me cara: l’identità non solo convive con il marketing, ma lo rafforza. A Gardini lo dissi anche vis-à-vis. Ma niente da fare, da quell’orecchio Richelieu non ci sente.

p.s. Sul mercato di Bigon l’impressione è più che positiva. Bene l’ingaggio di Viviani e i rinnovi di Valoti e Gomez. Pazzini sarebbe il botto. Aspettiamo per un giudizio più compiuto.

BIGON E MANDORLINI: QUALE RAPPORTO?

Potremmo chiosarla così: il cardinal Gardini, Sua Eccellenza Richelieu, ha nominato il suo “parroco”, Riccardo Bigon. Ma poi Maurizio Setti s’incazza e torna a rivendicare l’ovvio: che Bigon è una sua scelta ed è stato ingaggiato perché è bravo e non perché amico di Gardini. Come se qualcuno pensasse stupidamente che Setti subisce le scelte, o che Bigon è scarso.

Chiariamo subito: Setti è scafato, chiede, s’informa e ha l’ultima parola su tutto, ma è altrettanto evidente che Gardini, ora come ora, esercita una forte influenza su di lui. E, intendiamoci, di per sé non c’è nulla di male: Gardini fa il direttore generale, non il pizzaiolo (mestiere peraltro affascinante). Ciò che conta sono i risultati: quindi ripetere, se non migliorare, nei prossimi tre anni (in termini di classifica, costi e plusvalenze) quanto fatto negli ultimi tre da Sogliano e Mandorlini. Solo questo sentenzierà se Gardini come deus ex machina sia stata una scelta giusta o sbagliata.

Peraltro non inganni la faccia pretesca di Bigon, o il suo passato napoletano di ds defilato rispetto a De Laurentis e Benitez, o ancora il suo tono di voce quasi remissivo. Ci riferiscono che il figlio di Albertino sia tutt’altro che uno sprovveduto, nel senso che il suo mestiere (cioè costruire una squadra) lo sa fare egregiamente. L’incognita – se vogliamo – è il rapporto che saprà costruire con l’allenatore. Sebbene infatti i mandorliniani più mandorlinisti dello stesso Mandorlini si ostinino a negarlo, nei momenti di crisi Sogliano è stato un appoggio determinante per l’allenatore.

E’ questa la pesante eredità che lascia l’ex ds,  non tanto il suo calciomercato, comunque in attivo nell’unico parametro oggettivo che esista: il rapporto costi-rendimento-qualità (relativamente agli obiettivi). Il mercato di Bigon sarà diverso nel metodo, credo più regolare (meno intuizioni, ma anche meno scommesse e cambiamenti) e forse più in linea con i dettami di Mandorlini, tuttavia adeguato a una salvezza tranquilla. Il punto, ripeto, sarà la quotidianità della dialettica tra Bigon e Mandorlini. Questo farà la differenza.

GARDINI, MANDORLINI E QUEL PARADOSSO…

Era il Verona di Sogliano, sarà il Verona di Gardini. “Richelieu”, che sarebbe pronto a firmare un ottimo triennale, si è confermato abile tessitore della sua tela. Ora ha il diesse che desidera (Bigon) e si consacra regista del nuovo corso. Anche nel biennale a Mandorlini c’è molto del dg, che in questi anni con il tecnico di Ravenna ha costruito un feeling particolare, salvo tuttavia tergiversare sul futuro dello stesso allenatore dopo la pesante sconfitta di Genova. Ricordate la famosa conferenza stampa? Vighini chiese conto a Gardini del futuro del tecnico in caso di sconfitta con la Roma e il Cardinale sorvolò, senza esprimersi.

Sogliano non ha mai amato Mandorlini (“non è il mio allenatore ideale in assoluto, ma per me contano i risultati” ti diceva in privato), ma l’ha sempre difeso e protetto nei momenti di crisi. Confido che Gardini, a maggior ragione perché “mandorliniano”, sì comporti nella stessa maniera, senza quei “balbettii” pre-Roma.

Non vorrei mai che il “nuovo” Mandorlini – quello legittimato dal nuovo contratto – si ritrovasse (apparentemente) più potente, ma in realtà più solo. Bordin, il suo vice storico, l’uomo della fase difensiva, è stato “silurato” (dunque il tecnico ci dà ragione e ammette che esisteva un problema tattico sui tanti gol presi). E Sogliano, colui che ci metteva la faccia, non c’è più. Sarebbe un paradosso.