POCO ORGOGLIO, MOLTO BUON SENSO

L’orgoglio, o il buon senso? Era questo il bivio di Mandorlini. Il mister ha avuto l’intelligenza di seguire il secondo e di continuare sulla strada del rinnovamento tattico, nonostante la sconfitta di lunedì. Ho sempre pensato che il 5-3-2 sia il modulo migliore per le caratteristiche dei giocatori più forti del Verona (quelli su cui costruire l’undici), ma il mio dubbio era: Mandorlini ne è davvero convinto? Scrivevo che se non lo fosse stato era inutile proporlo. Il mister invece ha saputo vincere le sue vecchie certezze, il suo proverbiale orgoglio e ha avuto l’umiltà di ascoltare con i fatti le voci più critiche, sia interne che esterne alla società. Bravo. Ma non diciamolo (per ora) troppo forte, perché c’è un derby da affrontare e la tensione deve rimanere alta. Un consiglio al tecnico: rimanga umile (che non significa buono o simpatico) e capisca finalmente che le critiche sono a fin di bene e le muove chi lo ritiene preparato, ma con un grande limite in questi tempi di calcio ‘liquido’ e non ideologico: la cocciutaggine. Da oggi forse cocciuto, Mandorlini, lo è un po’ meno.  E i giocatori? Non si esaltino troppo, hanno fatto semplicemente il loro dovere, che non è vincere sempre, ma dare tutto quello che hanno.

P.S Lazaros da mezz’ala è un signor giocatore e lì può fare la differenza. Con il ritorno di Obbadi a gennaio avremo trovato la quadratura del cerchio. Aspettando il mercato…

P.P.S. Mandorlini è MacGyver, ormai è assodato 🙂

 

 

MISTER RICORDI MACGYVER E COLIANDRO?

Gli alibi non portano da nessuna parte, sono il lavacro dei deboli. Le frasi fatte non risolvono i problemi, semmai li alimentano. E di alibi e frasi fatte ne ho sentite abbastanza ieri in sala stampa. Gli infortuni stanno incidendo, è vero. Obbadi, per esempio, è un giocatore determinante per il Verona. Tuttavia se raccogli tre punti in otto partite non ti puoi aggrappare agli episodi avversi. Piuttosto vanno discussi alcuni aspetti.

Rodriguez. Ora viene accolto come una sorpresa, ma sorpresa non è. L’ex nazionale uruguayano due stagioni fa a Torino dimostrò di essere da serie A. Il suo mancato impiego sinora induce a qualche riflessione.

Tachtsidis. Ad agosto, mentre tutti lo strombazzavano, scrivevo che mi sembrava azzardato consegnare le chiavi del centrocampo a un giocatore che in serie A poco o nulla aveva combinato, e che il vero errore di mercato di Sogliano era stato quello di non pensare a un’alternativa, mentre quello di Mandorlini di puntarci incondizionatamente. La mia idea è questa: il greco può essere importante, ma da interno, come nei suoi migliori spezzoni (primo tempo di Roma e gli otto minuti con la Fiorentina). L’infortunio di Obbadi ha complicato i piani, ma davanti alla difesa va trovata al più presto un’altra soluzione. Campanharo? Valoti? Marquez?

Rafa Marquez. Il suo rendimento è inferiore alle attese, è fuori discussione. Tuttavia vista la qualità (e il contratto) del messicano bisogna cercare di capirne le cause e non sparare nel mucchio con sentenze facili e premature. Per me l’attuale Marquez rende da centrale in una difesa a tre (ieri era sul centrodestra dei tre), con due ‘marcatori’ a fianco (Marques o Moras, con Rodriguez): staccato due metri indietro in fase difensiva, spostato due metri avanti in ripartenza per dettare il primo passaggio. Se si gioca a quattro fa più fatica, a quel punto meglio la coppia Moras e Rodriguez.

Il modulo. Se Mandorlini decide per il 5-3-2 lo deve fare con convinzione e non a furor di popolo. E’ stretta psicologia commerciale: se tu vendi un prodotto che non ti convince, non convincerai mai nessuno, nel tal caso i giocatori. Ritorno al 4-3-3? No, perché Lopez e Toni devono giocare vicini per rendere al meglio. A me è piaciuta molto la formazione di partenza con la Fiorentina: Tachtsidis interno, Hallfredsson più alto, Obbadi centrocampista centrale e Ionita mediano destro. A Udine si potrebbe riproporre con il rientro dell’islandese e gli innesti di Lazaros (a destra) e Campanharo (cc).

Mandorlini. Sta commettendo errori (proporre un 5-3-2 con Agostini e Gonzales significa rinunciare in partenza ai cross dal fondo), ma merita ancora fiducia, perché qualche attenuante ce l’ha (leggi infortuni), il rimedio lo può trovare (sullo stile della formazione con la Fiorentina) e la classifica non è compromessa. Certo, da Udine e dal derby passa il suo futuro a Verona, questo l’hanno capito anche i sassi. Ricordo un mio vecchio pezzo, scherzando lo paragonavo a MacGyver e Coliandro: il primo salvava la pelle all’ultimo istante quando ormai sembrava spacciato; mentre l’ispettore di Carlo Lucarelli, pur goffamente, risolveva i casi grazie a un mix di fortuna, sfacciataggine e intuito. Speriamo che il mister ricordi come si fa.

LA VERSIONE DI SOGLIANO

“Dobbiamo sporcarci la faccia di fango”. Sean Sogliano, come d’abitudine quando le cose vanno male, ha vestito i panni del poliziotto cattivo. Giovanni Gardini, la settimana scorsa, era stato invece il poliziotto buono, prima del Sassuolo l’atteggiamento più giusto. Ma l’inopinata sconfitta di Reggio Emilia ha mischiato le carte e l’ambiente necessitava di una sferzata. Sia chiaro, non che il ds abbia detto chissà che, ma due concetti non banali sono passati. Quello del ‘fango sulla faccia’, un messaggio pubblico diretto ai giocatori, a Reggio troppo compassati al di là di moduli o schemi. E la dichiarazione: “La società è una risorsa dell’allenatore, lo abbiamo dimostrato due anni fa. Lavoro per il bene della società e del tecnico, i commenti non mi interessano. Quello che pretendiamo da allenatore e giocatori lo pretendiamo proprio perché siamo corretti”. Una netta presa di posizione per non dare alibi a nessuno, e contro quel ‘chiacchiericcio’ di chi la vuole buttare per forza sul personale sui rapporti tra lui e Mandorlini.

La questione invece è solo professionale, com’è normale che sia. Sogliano, che con i giocatori del Verona ha un filo diretto, sta cercando di far valere il suo ascendente nello spogliatoio per unire e non per dividere. Come due anni fa. Certo, magari ds e mister possono avere anche idee diverse, ma sulle quali – vivaddio! – si confrontano quotidianamente nel rispetto dei ruoli (“parliamo tutti i giorni, poi lui è l’allenatore e deve fare le sue scelte” un passaggio di Sogliano venerdì). Ovvio che adesso la società, in primis Setti, pretende già da domani segnali di risveglio e soprattutto punti. Flaiano sarcasticamente diceva che “in Italia la situazione politica è grave, ma non è seria”. Quella del Verona, detto senza sarcasmo, non è grave, ma certamente è seria. Se si vuole uscirne è giusto rimarcarlo.

IO NON VOGLIO FINIRE IN SERIE B

Dicono: “Non abbiamo qualità a centrocampo”. Ma chi è che ha deciso che Tachtsidis deve giocare sempre, o che Lazaros non può essere schierato nel suo ruolo di mezz’ala? L’infortunio di Obbadi (e di Sala), in questo contesto, risulta ancora più drammatico.

Affermano: “Sogliano non ha costruito una squadra per Mandorlini”. Torniamo sempre lì: Tachtsidis fulcro del gioco chi l’ha voluto a tutti i costi? E Toni (sempre sia lodato, ché non ci fosse lui…) non è il tipo di attaccante che il mister ha sempre desiderato? E Rafael, Moras, Agostini, Hallfredsson non sono suoi fedelissimi? “Eh ma in attacco non hanno comprato esterni veri”, lamentano. Trovatemi un allenatore in serie A a cui hanno cucito un abito su misura. Ricordo un certo Conte (non pincopallo) che tre anni fa cambiò il suo amato 4-2-4 in un 3-5-2 per le esigenze della Juventus; idem con patate Ventura. Rammento le parole di Ancelotti la settimana scorsa a Repubblica: “Il sistema di gioco va adattato ai giocatori”.

Sentenziano: “Siamo più scarsi dell’anno scorso”. A parte che non capisco il perché se vinciamo con Jorginho, Iturbe, Romulo e Toni goleador è merito del mister (ovviamente lo è, ma in parte) e non della forza della squadra, mentre se perdiamo perché Iturbe e Romulo non ci sono più e Toni segna meno non è colpa del mister (invece lo è, in parte) ma solo della squadra scarsa. Visione a senso unico? Ma – per restare in tema – davvero siamo più scarsi? Non c’è la controprova. Asseconderò questo giudizio solo quando vedrò Luna e Rodriguez, non gli ultimi arrivati. Converrò con l’opinione diffusa nel momento che potrò valutare con una certa continuità Brivio e Campanharo. Bacerò la pantofola del comune pensiero solo quando sarà risolto l’enigma Saviola, o Lopez potrà fare solo la seconda punta e non il mediano.

Per intanto resto della mia. Ritengo che l’organico del Verona sia tranquillamente da metà classifica. Ritengo Mandorlini, per competenza e curriculum, un allenatore da serie A. Ma ritengo anche che se non si cambia qualcosa nel modo di giocare, o nelle scelte tecniche si soffrirà tanto e rischierà molto. Ritengo che se i giocatori, anziché farsi un bagno di umiltà, si creeranno alibi si andrà a finire male (situazioni già vissute in passato, abbiamo già dato grazie!). Serve una riflessione: della società (che non può fare finta di nulla, anche mediaticamente), dell’allenatore (accetti le critiche e riveda qualche scelta) e dei giocatori (si assumano le loro colpe). Occorre reagire. Io in serie B non ci voglio finire.

IL VERONA PRIMA DI TUTTO

Mi chiedono perché non ho scritto nulla dopo Verona-Fiorentina. E’ presto detto: siamo a uno snodo decisivo della stagione e non sono opportune troppe parole. E’ un mondo difficile, diceva il refrain di una canzone. Il mondo non lo so, ma di sicuro è il momento del Verona a non essere facile. Più di quanto dica la classifica. Sassuolo, Samp, Udinese e poi il derby: è chiaro che da qui a Natale capiremo molto, se non tutto, dei destini dell’Hellas che – al di là delle frasi di circostanza o delle retromarce postume – non è stato programmato per la lotta per la salvezza.

Serve poco ora ripetere cose già dette su un potenziale non sfruttato appieno, sui punti lasciati per strada e su certi equivoci tecnici e tattici che si stanno trascinando. Mandorlini è sempre riuscito a emergere nei momenti di difficoltà, specie due anni fa quando di questi tempi la sua panchina scottava non poco. Nella exit strategy alla “crisetta” del Verona è coinvolto anche Sean Sogliano, molto più che un ds, uomo spogliatoio, presenza costante.

Bisogna fare quadrato, perché sarebbe deleterio trovarsi poi nei bassifondi. Questa squadra infatti, per giocatori e struttura, non è stata costruita per soffrire e temo che nell’eventualità faticherebbe a sollevarsi. Gardini, a modo suo, con parole distensive ha voluto dire questo: nervi saldi, finché la classifica è relativamente tranquilla non serve alzare i toni.

Aggiungo, è il momento forse più delicato degli ultimi tre anni e per i dibattiti e le filosofie ci sarà tutto il tempo quando le acque (si spera) saranno più calme, ma adesso conta solo la partita di sabato che non è come tutte altre. Il Verona prima di tutto.

CARO SETTI TI SCRIVO

“Correva l’anno di grazia 1903 quando nelle aule del liceo Maffei nacque e prese forma un’idea destinata a lasciare un profondo segno nella storia della città di Verona. Un gruppo di giovani studenti, ispirati dal professor Decio Corubolo e dal Conte Carlo Fratta Pasini, diede inizio alla gloriosa e ultracentenaria epopea dell’Hellas, culminata il 12 maggio 1985 con la conquista del campionato di calcio italiano di serie A”.

Ha visto caro presidente Setti? Non erano studenti greci, ma proprio liceali veronesi. Glielo dico sottovoce anch’io, come Marzullo, perché – premessa d’obbligo – qua non si sta disquisendo della crisi tra Mosca e Kiev, o dell’accordo Usa e Cina sulle emissioni di gas serra. Ma glielo dico comunque, perché pur sempre del nostro glorioso Verona Hellas si tratta.

Sia chiaro, da lei non pretendo conoscenze storiche o filologiche particolari. Da lei pretendo quelle capacità imprenditoriali e manageriali che ha dimostrato di avere e tanto mi basta. Un tempo la chiamavo Ranzani: non ce n’è più bisogno, quella definizione, peraltro bonariamente ironica, è adesso fuori tempo e fuori luogo, superata dai fatti. Ha strutturato il club, gli ha dato solidità finanziaria, ha indicato un percorso graduale di crescita e ha ottenuto i risultati sportivi. Potrei fermarmi qui, eppure… Eppure vede, non tutto il male vien per nuocere, così mi piacerebbe che questa sua gaffe le desse modo di riflettere anche solo cinque minuti.

Al di là dello strafalcione storico dell’altra sera (del resto, a differenza mia, lei è bravo in economia), più in generale avverto in lei ancora quel pizzico di freddezza che le impedisce di fare il salto. Quale? Quello dal “sono rispettato” al “mi vogliono bene davvero”. Credo dipenda in buona parte dal suo carattere. Lei – come tutti quelli che nella vita ce l’hanno fatta – è narciso, ma il suo è un narcisismo al contrario, che non si mostra al fine di piacere per forza, ma che si cela affinché siano gli altri a fare lo sforzo di scoprirla e capirla. Comprendo, ma non basta, a volte nella vita bisogna buttarsi nella mischia. Perché non prova a entrare nel cuore dei veronesi e si sforza un poco anche lei di capirli? Senza, sia chiaro, ruffianeria e nel rispetto reciproco dei ruoli. Perché non s’interessa maggiormente agli aspetti identitari del Verona Hellas? Le si aprirebbe un mondo. Perché non si mischia ogni tanto alla gente? Con il suo stile, ovviamente, da carpigiano diretto e senza fronzoli, a tratti ruvido. Perché non comunica con più frequenza anche a livello locale? Perché non porta il Verona ad allenarsi in città una volta a settimana?

Sono domande. Sarebbero inizi. Il calcio è cambiato, lo sappiamo, ma i sentimenti sono un motore universale. Ieri, oggi e domani.

PERCHE’ S’INCAZZA?

Non partecipo a nessun dibattito su Saviola. Non l’ho mai fatto e c’è un motivo: non voglio alimentare i dubbi sull’ovvio. Perché è ovvio che un fuoriclasse del genere nel Verona debba giocare (titolare o subentrante a seconda della condizione fisica, ma deve giocare). Di cosa stiamo parlando? L’assurdo, se vogliamo, è l’uso con il contagocce che Mandorlini ne fa. Ancora più assurdo, aggiungo, è che Mandorlini non abbia mai voluto nemmeno giustificare un’esclusione così eccellente, come se si parlasse dell’ultimo giovane della rosa, anzi si sia sempre mostrato infastidito. Per un allenatore come lui, che mira ad allenare in grandi piazze e non ha mai fatto mistero di sognare l’Inter, è un difetto non da poco, perché in certi ambienti i mass media non perdonano. Se s’incazza a Verona dove tutti gli vogliamo bene, a Milano che fa?

Non partecipo a nessun dibattito nemmeno su Nico Lopez, giovane, forte, fresco e frizzante, a cui basta sbagliare mezza partita (Cesena) per tornare in panchina, mentre ad altri giocatori meno bravi vengono date infinite possibilità. Misteri, avrebbe detto un altro interista, Enrico Ruggeri.

Ma attenzione, non voglio infierire su nessuno, tanto meno su Mandorlini, a cui invece auguro un buon compleanno gialloblu (4 anni). A San Siro hanno parlato i fatti e abbiamo visto tutti (imbeccata di Campanharo, genialata di Saviola, gol di Lopez). Sarebbe bello però ogni tanto, anche da parte sua, ammettere di aver sbagliato, come facciamo tutti noi comuni mortali, invece di dire “non me ne frega un cazzo”. Sì mister, Lopez e Saviola con l’uomo in più li dovevi mettere prima. T’incazzi? Amen, ma perché? Al posto tuo mi goderei Lopez, Saviola, Obbadi, Campanharo, un futuro radioso con loro, la sosta e un buon lunedì gialloblu.  

IN CERCA DI UNA BOTTA DI VITA

Pagina bianca, vuota, senza un’idea, nemmeno uno slancio. Un po’ come il Verona di questo periodo, pallido, cereo, vacillante e confuso. Cosa succede? Riflettiamoci su finché la classifica è tranquilla e i pareggi arrivano di straforo. C’è chi denuncia la mancanza di qualità, ma tirare in ballo la qualità dopo aver faticato con il mediocrissimo e rabberciato Cesena è un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. C’è chi allora mette all’indice una rosa poco adatta al gioco di Mandorlini. In parte può essere (pochi contropiedisti), ma poi a ben vedere le assi portanti della squadra sono tre fedelissimi dell’allenatore, Moras, Tachtsidis e Toni. Certo, qualcosa sul mercato è mancato e ne parleremo a tempo debito, ma non tanto da giustificare le recenti prestazioni. Quello che oggi balza all’occhio è l’assenza di amalgama tra giocatori e di un gioco meno prevedibile.

Pagina bianca, anonima, afona. Come la prestazione di Cesena. Come, temo, il campionato che verrà se non ci si mette qualcosa in più. Un campionato che non vorrei entusiasmante come l’ora di ragioneria a scuola, erotico come il cilicio della Binetti, o emozionante come le notti bukowskiane all’archivio postale. E attenzione qui non si discute di estetica o di vittorie, ma di animus pugnandi, questo sconosciuto. Ricordate le parole di Setti lunedì? “Vincere a Cesena darebbe un senso alla nostra stagione”. Lo stiracchiato e fortunoso pareggio che senso dà invece? In breve, ci sono squadre più scarse della nostra e quindi alla lotta per non retrocedere – a meno di ingiustificati harakiri – non ci voglio nemmeno pensare; tuttavia attenzione al felpato limbo del ligio compitino, all’indolente area relax della metà classifica, senza uno straccio di un’illusione, di uno spasimo, di un sospiro o di un battito. Scrivo questo prima di San Siro non a caso, è lo stadio che non abbiamo mai espugnato, chissà mai che… Ed è di questo che si vive anche, dannazione, sperare di andare a Milano per scrivere la storia, no?

Pagina bianca, come il pallore di un malato. E il Verona di adesso non sta bene, dunque teniamoci stretto il punto. Perdere avrebbe lasciato i lividi, rimontare e difendere il pari con un uomo in meno può invece ridare coraggio e motivazioni. Quindi Dio solo sa quanto è prezioso il gol di Gomez, ma la pagina rimane bianca. Per scriverla aspettiamo un altro Verona, terribilmente in cerca di una botta di vita.

MANDORLINI, RICORDA QUEI TACCHETTI IN ALLUMINIO?

La Lazio ci sottovaluta e questo è un bene. Più o meno volontariamente le parole di Candreva (“con il Verona non abbiamo già vinto”) credo siano il manifesto degli opposti stati d’animo delle due squadre alla vigilia. Timore in casa Hellas, una certa sicurezza tra i laziali. Quella stessa eccessiva sicurezza che avevamo noi prima del Milan e s’è vista poi la figuraccia. Chissà che il copione non si rispetti con una figuraccia di colore biancoceleste…

Toni e Moras ieri si sono fatti sentire e anche questo è un bene. L’attaccante ha denunciato l’assenza di un vero gruppo, il difensore la mancanza di umiltà. Ed entrambi hanno sottolineato che “perdere così non esiste”, alla faccia di chi – i pompieri in servizio permanente – è riuscito a minimizzare pure l’umiliante 6 a 2 di Napoli. Derubricare è un esercizio spesso pericoloso, nel calcio come nella vita. Se le sconfitte contro Milan e Napoli fossero state normali, Toni e Moras non sarebbero stati chiamati a pronunciarsi e certe parole non sarebbero state dette. Elementare Watson.

Mandorlini si è risentito per qualche critica e questo è il bene supremo. Ogni volta che lui si arrabbia poi vince. Battute a parte, come ho spesso scritto il nostro allenatore si esprime al meglio sotto pressione. Essere pungolato gli fa bene, la tranquillità meno. E’ sempre stato così, anche quando giocava. Gianfranco Matteoli, suo ex compagno all’Inter, tempo fa ricordava: “Un giovedì dovevamo fare una partitella in periferia contro una squadra dilettantistica e uscendo dallo spogliatoio sento un rumore fortissimo: tra-tra-tra. Mi giro e vedo Andrea che aveva messo tacchetti alti in alluminio, solitamente riservati alle partite di campionato, per giunta da battaglia. Come mai? Gli chiedo. E lui: ‘Gianfranco sento che questa settimana tira aria brutta. Aria da panchina. Voglio convincere il mister che sto al meglio’”.

Caro Mandorlini, rispolveri quei tacchetti in alluminio…

LE TUE PAROLE FANNO MALE…

“Io credo che in generale abbiamo fatto benino comunque. Potevamo andare sul 2 a 0. Ci sta di perdere qualche partita. Abbiamo tenuto a lungo il Napoli. Siamo stati condannati da troppi episodi negativi”. Così, in sintesi, Andrea Mandorlini ieri in sala stampa.

Avrei preferito altre dichiarazioni, che so: “Abbiamo avuto un atteggiamento rinunciatario contro una squadra in difficoltà, nonostante dopo il gol lampo di Hallfredsson fossimo nella situazione perfetta. Non va bene, perché abbiamo perso molto male contro Milan e Napoli, due rivali storiche del Verona. Pochi alibi o scuse, cerchiamo di rialzarci in fretta”.

Chiedo troppo? Forse sì, ma allora a questo punto aboliamo la conferenza stampa di fine partita, messa cantata dopo una vittoria, refugium peccatorum dopo una sconfitta. Perché, non so a voi, ma a me certe parole hanno fatto male. Spero siano una finta (ma allora, ripeto, aboliamo la stucchevole recita), altrimenti con la Lazio saran dolori.

Sveglia vecchio Hellas!