PERCHE’ S’INCAZZA?

Non partecipo a nessun dibattito su Saviola. Non l’ho mai fatto e c’è un motivo: non voglio alimentare i dubbi sull’ovvio. Perché è ovvio che un fuoriclasse del genere nel Verona debba giocare (titolare o subentrante a seconda della condizione fisica, ma deve giocare). Di cosa stiamo parlando? L’assurdo, se vogliamo, è l’uso con il contagocce che Mandorlini ne fa. Ancora più assurdo, aggiungo, è che Mandorlini non abbia mai voluto nemmeno giustificare un’esclusione così eccellente, come se si parlasse dell’ultimo giovane della rosa, anzi si sia sempre mostrato infastidito. Per un allenatore come lui, che mira ad allenare in grandi piazze e non ha mai fatto mistero di sognare l’Inter, è un difetto non da poco, perché in certi ambienti i mass media non perdonano. Se s’incazza a Verona dove tutti gli vogliamo bene, a Milano che fa?

Non partecipo a nessun dibattito nemmeno su Nico Lopez, giovane, forte, fresco e frizzante, a cui basta sbagliare mezza partita (Cesena) per tornare in panchina, mentre ad altri giocatori meno bravi vengono date infinite possibilità. Misteri, avrebbe detto un altro interista, Enrico Ruggeri.

Ma attenzione, non voglio infierire su nessuno, tanto meno su Mandorlini, a cui invece auguro un buon compleanno gialloblu (4 anni). A San Siro hanno parlato i fatti e abbiamo visto tutti (imbeccata di Campanharo, genialata di Saviola, gol di Lopez). Sarebbe bello però ogni tanto, anche da parte sua, ammettere di aver sbagliato, come facciamo tutti noi comuni mortali, invece di dire “non me ne frega un cazzo”. Sì mister, Lopez e Saviola con l’uomo in più li dovevi mettere prima. T’incazzi? Amen, ma perché? Al posto tuo mi goderei Lopez, Saviola, Obbadi, Campanharo, un futuro radioso con loro, la sosta e un buon lunedì gialloblu.  

IN CERCA DI UNA BOTTA DI VITA

Pagina bianca, vuota, senza un’idea, nemmeno uno slancio. Un po’ come il Verona di questo periodo, pallido, cereo, vacillante e confuso. Cosa succede? Riflettiamoci su finché la classifica è tranquilla e i pareggi arrivano di straforo. C’è chi denuncia la mancanza di qualità, ma tirare in ballo la qualità dopo aver faticato con il mediocrissimo e rabberciato Cesena è un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. C’è chi allora mette all’indice una rosa poco adatta al gioco di Mandorlini. In parte può essere (pochi contropiedisti), ma poi a ben vedere le assi portanti della squadra sono tre fedelissimi dell’allenatore, Moras, Tachtsidis e Toni. Certo, qualcosa sul mercato è mancato e ne parleremo a tempo debito, ma non tanto da giustificare le recenti prestazioni. Quello che oggi balza all’occhio è l’assenza di amalgama tra giocatori e di un gioco meno prevedibile.

Pagina bianca, anonima, afona. Come la prestazione di Cesena. Come, temo, il campionato che verrà se non ci si mette qualcosa in più. Un campionato che non vorrei entusiasmante come l’ora di ragioneria a scuola, erotico come il cilicio della Binetti, o emozionante come le notti bukowskiane all’archivio postale. E attenzione qui non si discute di estetica o di vittorie, ma di animus pugnandi, questo sconosciuto. Ricordate le parole di Setti lunedì? “Vincere a Cesena darebbe un senso alla nostra stagione”. Lo stiracchiato e fortunoso pareggio che senso dà invece? In breve, ci sono squadre più scarse della nostra e quindi alla lotta per non retrocedere – a meno di ingiustificati harakiri – non ci voglio nemmeno pensare; tuttavia attenzione al felpato limbo del ligio compitino, all’indolente area relax della metà classifica, senza uno straccio di un’illusione, di uno spasimo, di un sospiro o di un battito. Scrivo questo prima di San Siro non a caso, è lo stadio che non abbiamo mai espugnato, chissà mai che… Ed è di questo che si vive anche, dannazione, sperare di andare a Milano per scrivere la storia, no?

Pagina bianca, come il pallore di un malato. E il Verona di adesso non sta bene, dunque teniamoci stretto il punto. Perdere avrebbe lasciato i lividi, rimontare e difendere il pari con un uomo in meno può invece ridare coraggio e motivazioni. Quindi Dio solo sa quanto è prezioso il gol di Gomez, ma la pagina rimane bianca. Per scriverla aspettiamo un altro Verona, terribilmente in cerca di una botta di vita.

MANDORLINI, RICORDA QUEI TACCHETTI IN ALLUMINIO?

La Lazio ci sottovaluta e questo è un bene. Più o meno volontariamente le parole di Candreva (“con il Verona non abbiamo già vinto”) credo siano il manifesto degli opposti stati d’animo delle due squadre alla vigilia. Timore in casa Hellas, una certa sicurezza tra i laziali. Quella stessa eccessiva sicurezza che avevamo noi prima del Milan e s’è vista poi la figuraccia. Chissà che il copione non si rispetti con una figuraccia di colore biancoceleste…

Toni e Moras ieri si sono fatti sentire e anche questo è un bene. L’attaccante ha denunciato l’assenza di un vero gruppo, il difensore la mancanza di umiltà. Ed entrambi hanno sottolineato che “perdere così non esiste”, alla faccia di chi – i pompieri in servizio permanente – è riuscito a minimizzare pure l’umiliante 6 a 2 di Napoli. Derubricare è un esercizio spesso pericoloso, nel calcio come nella vita. Se le sconfitte contro Milan e Napoli fossero state normali, Toni e Moras non sarebbero stati chiamati a pronunciarsi e certe parole non sarebbero state dette. Elementare Watson.

Mandorlini si è risentito per qualche critica e questo è il bene supremo. Ogni volta che lui si arrabbia poi vince. Battute a parte, come ho spesso scritto il nostro allenatore si esprime al meglio sotto pressione. Essere pungolato gli fa bene, la tranquillità meno. E’ sempre stato così, anche quando giocava. Gianfranco Matteoli, suo ex compagno all’Inter, tempo fa ricordava: “Un giovedì dovevamo fare una partitella in periferia contro una squadra dilettantistica e uscendo dallo spogliatoio sento un rumore fortissimo: tra-tra-tra. Mi giro e vedo Andrea che aveva messo tacchetti alti in alluminio, solitamente riservati alle partite di campionato, per giunta da battaglia. Come mai? Gli chiedo. E lui: ‘Gianfranco sento che questa settimana tira aria brutta. Aria da panchina. Voglio convincere il mister che sto al meglio’”.

Caro Mandorlini, rispolveri quei tacchetti in alluminio…

LE TUE PAROLE FANNO MALE…

“Io credo che in generale abbiamo fatto benino comunque. Potevamo andare sul 2 a 0. Ci sta di perdere qualche partita. Abbiamo tenuto a lungo il Napoli. Siamo stati condannati da troppi episodi negativi”. Così, in sintesi, Andrea Mandorlini ieri in sala stampa.

Avrei preferito altre dichiarazioni, che so: “Abbiamo avuto un atteggiamento rinunciatario contro una squadra in difficoltà, nonostante dopo il gol lampo di Hallfredsson fossimo nella situazione perfetta. Non va bene, perché abbiamo perso molto male contro Milan e Napoli, due rivali storiche del Verona. Pochi alibi o scuse, cerchiamo di rialzarci in fretta”.

Chiedo troppo? Forse sì, ma allora a questo punto aboliamo la conferenza stampa di fine partita, messa cantata dopo una vittoria, refugium peccatorum dopo una sconfitta. Perché, non so a voi, ma a me certe parole hanno fatto male. Spero siano una finta (ma allora, ripeto, aboliamo la stucchevole recita), altrimenti con la Lazio saran dolori.

Sveglia vecchio Hellas!

LA SVOLTA DI SETTI E GARDINI

Anche i Richelieu hanno un’anima. E’ sbiancato Giovanni Gardini l’altra mattina in sede quando gliel’hanno detto. Anche i “cardinali” sbottano, s’incazzano, tremano di fronte a un sopruso. Ansia, angoscia, impotenza: capita anche a chi ha fatto di un self control ai limiti dell’algidità la sua cifra stilistica. Cuore a duemila, groppo in gola e una prima sensazione di smarrimento. Ma come, due anni di lavoro buttati nel cesso per colpa di una negligenza (chiamiamola così) di tre ispettori federali? Ma come, si sarà chiesto il dg, da quando sono qui mi sbatto per riproporre il Verona a Palazzo con tutti i crismi del caso, a costo anche di qualche occhiataccia dei puristi, e poi tre burocrati zelanti del nulla mandano tutto in malora?

Metteteci anche il divieto alla trasferta di Napoli deciso 24 ore prima e potete capire cosa balenava per la testa dei dirigenti del Verona. Frustrazione, amarezza, senso di accerchiamento per le due ingiustizie a stretto giro. Gli stessi sentimenti della piazza. Gardini così si è trovato tra due fuochi. Da un lato i rapporti, le relazioni, il doroteismo del “nemici mai” di cui ha fatto un caposaldo esistenziale, convinto come fosse l’unica via possibile per ottenere il risultato. Dall’altro la rabbia sacrosanta dei tifosi. Gardini non ha avuto dubbi, troppo grossa ‘sto giro  l’angheria perpetrata. Troppo anche per lui, vecchio lupo di mare delle stanze dei bottoni. Così il nostro si è allentato il nodo della cravatta impeccabile fin dalla culla, ha smesso il gessato di alta sartoria e la camicia perfettamente  stirata, ha abbandonato i panni del “politico” ed è sceso in trincea a combattere in prima linea per difendere il fortino: cioè il Verona, l’identità e la sua diversità. Ed ecco dunque il “SOLI CONTRO TUTTI” del comunicato stampa, quello stesso “soli contro tutti” abiurato da Setti più di due anni fa nella conferenza stampa d’insediamento.

Non è un dettaglio. Non è una quisquìlia. E’ la fine di una politica: quella del Palazzo, di Milano (Lega Calcio) e di Roma (Figc) prioritari rispetto alla propria gente. E la fine di un’era: quella del compromesso sempre e comunque, dell’immagine a tutti i costi. E’ la svolta. Sai che vi dico? Spero riaprano la curva, per crederci ancora in un po’ di giustizia in questo calcio di merda;  intanto però forse abbiamo trovato una dirigenza in tutto e per tutto. Benvenuto tra noi, mister Setti!

MANDORLINI, CI STUPISCA!

“Abbiamo perso 3 a 0 e Abbiati è stato il migliore in campo”. ha detto Mandorlini in sala stampa. E’ una verità, ma una verità parziale, che dunque non aiuta a una riflessione compiuta. Come la scusa dei nazionali in giro per il mondo (li ha il Verona come molte altre squadre). Peggio ancora il “se non ci fosse stata l’autorete…” che pure qualcuno (non il tecnico), qua e là, ha abbozzato.

Per favore, evitiamo paraculaggini e frasi fatte. Abbiamo perso e male. Non mi interessa soffermarmi sul computo matematico delle occasioni, o sugli stucchevoli onanismi dei se e dei ma. Prima dell’autogollonzo di Marques, El Sharaawy ha “ciccato” clamorosamente un gol facile. Insomma, non è stata aria sin dall’avvio e la sconfitta è meritata. Punto.

Ma forse non tutto il male vien per nuocere. Se siamo intelligenti il 3 a 1 può servirci da lezione. Se facciamo autocritica ci rendiamo conto che prima di ieri non era tutto oro quello che luccicava. L’ho detto anche al “Vighini Show” di due settimane fa: “Prima o poi, soprattutto in attacco, qualcosa bisognerà rivedere, non credo si potrà andare avanti così a lungo”. Del resto  gli Iturbe che sanno fare tutto, pure sfiancarsi in copertura e in una frazione di secondo essere già dall’altra parte del campo a concludere a rete o suggerire l’assist a Toni, non li puoi clonare; i Romulo che ti permettevano contropiedi micidiali sono stati sostituiti da giocatori altrettanto bravi, ma con caratteristiche differenti; e un Marquinho non ce l’hai più. Lo dicono tutti: il Verona di quest’anno è diverso da quello della scorsa stagione. E se sei diverso non puoi mantenere lo stesso modo di giocare. Lapalissiano.

Non giriamoci intorno caro Mandorlini: se vuole sfruttare appieno l’organico che ha a disposizione proponga qualcosa di nuovo, nell’assetto tattico e nell’undici titolare. E’ sicuro che sulla fascia sinistra un Brivio non le possa dare più fisicità e corsa di un Agostini agli ultimi scampoli di carriera? Perché spostare Moras, che da centrale non ne ha sbagliata mezza, dal suo unico ruolo possibile? Privo di Sala e Martic ritiene Sorensen così inadeguato? E Campanharo, probabilmente il centrocampista più qualitativo della squadra, non crede sia determinante dall’inizio?

Poi c’è l’attacco e l’annosa questione esterni. Giocando col 4-5-1 lei non può far altro che schierare Gomez e Jankovic. E non ha torto, altri esterni puri non ne ha. La questione piuttosto è un altra: forse in rosa abbiamo giocatori più forti di Juanito e Bosko, solo con caratteristiche diverse. Non sarebbe allora il caso di cambiare? Lopez è una seconda punta, ama partire dall’esterno, ma non è un tornante. Saviola, l’ha ammesso anche lei, è una seconda punta, certo non sarà il Saviola del Barca e forse nemmeno quello del Siviglia, ma non credo sia così bollito da meritare appena sessanta minuti. Gomez nasce come attaccante e lo stesso Nenè può giocare in appoggio a Toni. Facendo la conta: tanti attaccanti bravi, pochi esterni all’altezza. Idea, perché non provare con il trequartista (Campanharo, Valoti, Lazaros) e due frecce lì davanti? Caro mister, ci stupisca!

E SE IL MODELLO FOSSE L’ATHLETIC BILBAO?

“Non c’è mondo per me al di là delle mura di Verona: c’è solo purgatorio, c’è tortura, lo stesso inferno. Bandito da qui è come se fossi bandito dal mondo; e l’esilio dal mondo vuol dire morte”. Lo disse Romeo, lo scrisse Shakespeare. Manifesto identitario, vessillo della veronesità.

Mi direte: che c’entra un gigante come Shakespeare con un piccolo blog di calcio? Rispondo: cosa c’è di più identitario del calcio? Vorrei lanciarvi una provocazione: perché Setti, che ha detto di ispirarsi al Borussia Dortmund, nella creazione del suo modello calcistico non ci mette anche una spruzzatina di Athletic Kluba, alias Athletic Bilbao? Lo ammetto, sarebbe una scelta rivoluzionaria e in controtendenza in questa melassa insipida che è il calcio del duemila; ma vuoi mettere il fascino?

Oddio, mi rendo conto che non si può in un nanosecondo – e soprattutto in questo calcio – emulare 116 anni di storia del club basco, che è un modello a sé difficilmente esportabile. Per esserne consapevoli basterebbe farsi un giro da quelle parti, giusto per capire il carattere di quel popolo e i sentimenti di quella terra, vera e propria piccola patria.

Scimmiottare dunque sarebbe stupido, ma qua e là qualcosina si può “rubare”. Ad esempio, mi piacerebbe vedere qualche italiano in più nella mia squadra, pur non essendo di principio contro gli stranieri e capendo qualcosina di libero mercato e quindi delle ragioni (soprattutto economiche) che portano le società a tesserarne in quantità industriale. Ma è il modello del settore giovanile della società basca, in particolare, a ispirarmi. L’Athletic Club in passato tesserava solo calciatori originari dell’Euskal Herria, adesso ha “aperto” anche a quelli non indigeni purché cresciuti nel suo vivaio. Il caso di Fernando Llorente è solo il più emblematico, ma non l’unico. Nato navarro nella Pamplona cara a Hemingway, infanzia nella Rjoia, l’attaccante ora della Juventus è però cresciuto a Bilbao dove si trasferì a soli dieci anni per formarsi nella cantera rojiblanca. Il caso Llorente peraltro dimostra che anche con “l’autarchia” si possono fare le plusvalenze care a qualsiasi presidente di calcio e imprescindibili per una società di media fascia come il Verona. A questo proposito Setti ha in testa da tempo un centro sportivo per le giovanili: sarebbe una svolta decisiva nell’ottica di costruirsi calciatori in casa, che abbiano il giusto mix di senso di appartenenza e fame di imporsi alla ribalta.

Ma più in generale, assodato che per i tifosi l’essenza del Verona Hellas è la sua identità, i suoi colori e la sua storia di unica vera squadra della città (per questo, ripeto, gli addetti ai lavori e i mass media quando si rivolgono all’esterno dovrebbero sforzarsi di chiamarlo Verona prima ancora che Hellas), su quale strategia deve puntare invece la società? Sull’omologazione, consentitemi la parola, quindi l’internazionalizzazione del brand, perché per campare con dignità in questo calcio non ci sono altre vie e dunque essa è l’unica scelta responsabile? O sulla propria specificità, riuscendo nell’impresa di imporlo, il brand, all’esterno, attraverso la creazione di una propria via che possa caratterizzare nella sua singolarità il “modello Setti”? Personalmente sceglierei la seconda strada. E’ possibile?

RIDICOLI COUNTDOWN

Vorrei essere Dan Aykroyd e non perché era amico di John Belushi. Lo so, già questo sarebbe un motivo sufficiente, ma si tratta di altro. Vorrei essere Dan Aykroyd e come un provetto ghostbusters acchiappare i fantasmi del minimalismo, i piccoli Casper del “meno 29 alla salvezza”. Un disco rotto l’anno scorso e che ora riprende a gracchiare stonato e fastidioso.

Liberamente ispirato al Principe De Curtis dico: siamo uomini o ragionieri? Ricominciamo la litania? Sembriamo militari che segnano croci sul calendario; programmatori del tempo libero che non è più libero, salutanti ferragosto per pensare già a capodanno; turisti piantatori di bandierine in itinerari prestabiliti; ipocondriaci che viviamo malati per morire sani. Ma viversela giorno per giorno, no? Scoprirsi piano piano e vedere strada facendo dov’è possibile arrivare non ci è concesso? Perché irrigidirsi in stucchevoli e italioti obiettivi? Che facciamo, la meniamo ancora lagnosamente con ‘sta tiritera della “quota 40”? E poi? Poi chiudiamo baracca perché appagati come l’anno scorso?

La verità è che il Verona sinora non ha sbagliato un colpo (l’exploit di Torino compensa il pari col Genoa). E c’è riuscito con la compassata maturità delle squadre forti, e non con l’esaltante ma spesso effimero entusiasmo delle piccole. La verità è che – a pensarci bene – siamo qui addirittura a recriminare per la sconfitta di Roma, dove in certi frangenti forse avremmo dovuto osare di più.

Di grazia, come si fa allora solo a nominarla la salvezza? Mi sembra un atteggiamento di comodo, infantile e modesto. Come il bambino che non vuole crescere, come il timido romantico sempre un metro più a lato della ragazza che sogna di baciare e alla quale in realtà fatica solo a dire un “ciao”.

Perché pensare al calcio solo come piccolo cabotaggio? Non si tratta di parlare di Europa o altro, ma solo di non porsi limiti. Giorno per giorno.

P.S. La mia pagina facebook dove si può intervenire quotidianamente:

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SOLIDITA’ MORALE, NON (ANCORA) TATTICA

Teniamoci il punto. Teniamoci la rimonta. Il resto? Mandorlini ha sintetizzato bene: “Grande cuore, ci manca ancora qualcosa a livello tattico”. Il Verona ha otto punti e hai detto poco; ha sfruttato pienamente il calendario, benché sia ancora in fase di conoscenza con se stesso. In attesa di Roma (vada come vada), questo fa ben sperare per un campionato da parte sinistra della classifica. Per i discorsi di Europa League aspettiamo: togli 4-5 squadre sopra e 4-5 sotto, le altre più o meno si equivalgono.

COSA VA. Il Verona ha qualità tecnica, forza fisica e una rosa ampia. E questo è merito soprattutto di Sogliano, che ha saputo costruire senza spendere molto un organico sulla carta non inferiore a quello dello scorso anno. L’Hellas, privo di quei due-tre giocatori di qualità assoluta, ha però rinforzato il livello medio generale. Ionita non è solo un “cagnaccio”, Marquez (errore di ieri a parte) è un professore; Tachtsidis, ora in condizione, mi ha convinto e se cresce anche in intelligenza calcistica può fare la differenza; Obbadi è il classico mediano che non sempre si vede ma sempre si sente, e Toni non sarà quello dell’anno scorso, ma ha ancora lampi di classe e una decina di gol nel serbatoio. Altro? Sì, Brivio, ancora poco utilizzato, può essere il terzino che aspettavamo da anni, Gollini il portiere del futuro e fra qualche anno una super plusvalenza. Il resto lo fa lo zoccolo duro, la “classe operaia” dei Rafael, Moras, Hallfredsson e Gomez. Il resto lo fa la mentalità della squadra, che è quella del suo l’allenatore: gruppo unito e grande solidità morale. Di questi tempi e in questo calcio, con rose troppo ampie e rischio gelosie sempre in agguato, non è poco. E nel Verona dei  molti giocatori nuovi (cambiare era necessario), alcuni di grande personalità e di livello internazionale, è un merito in primis dell’allenatore e in secondo luogo di un ds presente anche nello spogliatoio e di una società che rispetta le autonomie di ognuno. Peraltro Mandorlini nelle sue dichiarazioni pubbliche appare quest’anno più pretenzioso e severo nell’analisi della partita (mi riferisco alla sfera pubblica, poi in privato magari lo è sempre stato). E questo mi piace.

COSA NON VA. L’equilibrio tattico ancora da trovare, specie se si vuole sfruttare appieno il potenziale offensivo (Saviola e Lopez in primis). L’anno scorso Iturbe, al di là della classe inarrivabile del giocatore, garantiva grazie al suo fisico sia copertura che estro. Al momento Saviola (suo ieri il primo gol a mio avviso) e Lopez danno solo estro, Jankovic solo copertura, Gomez un po’ tutto ma senza straordinarietà. Per schierare Saviola, col Genoa Mandorlini ha proposto un 3-5-2 un po’ improvvisato e quindi da rivedere (“abbiamo avuto solo due giorni per prepararlo e non è facile” ha confessato Marques in sala stampa), a dimostrazione che l’inserimento del Conejo nel tradizionale modulo è problematico, come a suo tempo scrissi. Ma è un problema che il tecnico deve risolvere, perché almeno uno tra Saviola e Nico Lopez va messo per rendere la squadra più forte.

Lascia ancora a desiderare il rendimento di Christodoulopoulos, uno dei giocatori di maggior talento della rosa. Mandorlini lo stima molto, ciononostante il paradosso è che il centrocampista – né mediano né ala – rischia di risultare un pesce fuor d’acqua nel calcio mandorliniano, fatto di mediani di spinta e non mezzali di tocco a centrocampo, ed esterni “di gamba” e non trequartisti sulle fasce. Quanto al “professor” Marquez, come detto sopra non si discute, l’unica perplessità può essere la sua tenuta in un campionato di 38 partite e la sua gestione in impegni ravvicinati. Detto questo, a me andrebbe bene che giocasse ai suoi livelli venti partite, bastano e avanzano. Infine, sebbene se ne parli poco, pesa l’assenza di Sala: la sua duttilità in questo Verona è preziosa.

COL GENOA VIETATO DISTRARSI

E poi ci sono quelle serate epiche, in cui ti riappropri dell’unico senso del calcio, che è passione non spettacolo. Un carico di sentimenti. Speranza è il Verona del primo tempo, che superiore al Torino regalava dolci presagi. Preoccupazione i primi venti minuti del secondo, con la partita che sembrava girarsi. Euforia è Ionita (bravo), strattonato ma ancora in piedi e con la forza di concludere, capace di farci saltare sui tavoli dall’ebbrezza. Paura questa sconosciuta, se Rafael ci avesse avvisati prima: “In settimana come rigorista avevo studiato Quagliarella, ma El Kaddouri lo ricordavo dai tempi del Sud Tirol”, dirà il portiere negli spogliatoi. E poi dicono che l’esperienza è un sostantivo calcisticamente vuoto. Ansia nei minuti finali, ché sennò mica sarebbe stato così bello.

Sentimenti, solo sentimenti, quindi tutto. La bellissima dedica di Rafael ad Hallfredsson, il “sogno americano” di Ionita, il Verona là in alto che per quelli come me è come riprendersi l’infanzia.  E il lato tecnico? Crescerà con l’inserimento fisso di uno o due elementi davanti in grado di aiutare Toni e piazzare il colpo. Crescerà perché, a centrocampo, Ionita o Campanharo forse non sono solo rincalzi e Tachtsidis ha margini. Crescerà perché Mandorlini alla formazione e alla “quadra” ci sta ancora lavorando. Sì avete capito bene, sebbene da terzi in classifica e con sette punti in tre partite sembra strano dirlo: questa squadra tiene ancora qualcosa per sé ed è stata (riconosciamolo) anche un tantino fortunata. Però la fortuna te la cerchi e il Verona ha due grandi qualità: è forte e, nonostante i cambiamenti, non ha perso il marchio di fabbrica mandorliniano. Tuttavia, guardando il passato, un pericolo lo vogliamo sventare: i cali di tensione anch’essi mandorliniani. Godiamoci una classifica straordinaria, ma col Genoa vietato distrarsi.

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