Dialogo da mal di testa All’AtaHotel Quark di Milano. “Ti cedo Tizio in prestito”. “Ok ma voglio il diritto di riscatto, sai com’è…”. “Bah, al massimo posso concedertelo per la metà”. “E se facciamo che me lo dai in comproprietà subito ma con pagamento dilazionato in piccole rate, e sul prezzo ci mettiamo anche Caio, che non ti serve ma ci crea la plusvalenza fittizia?”. “Si può fare ma prima devo parlare col club che detiene l’altra metà del cartellino, sai il giocatore è già in comproprietà”. Le strane (e discutibili) formule tutte italiane del calciomercato. Formule che alimentano l’industria “rotondolatrica” (cit. Beha), ingrassano procuratori e direttori sportivi, danno lavoro a imprecisati intermediari e risanano (non si sa come) i bilanci virtuali di molte società. Una bulimia di compravendite, o di scambi che arricchisce gli addetti ai lavori, fa impazzire i siti internet (anche e soprattutto i meno credibili, che pur di arrivare prima alla notizia e quindi al “clic” dell’utente, ne danno una sbagliata) e fa sognare i tifosi, che non fanno in tempo imparare i nomi dei nuovi beniamini, che questi diventano già vecchi.
Ma poco importa, il calciomercato fa sognare. E, come lo shopping, rilassa. Se ne discute alla macchinetta del caffè, magari anche col capo che chiude un occhio sulla pausa prolungata, salvo poi tornare tutti in ufficio e per prima cosa sbirciare internet di sottecchi alla ricerca di nuove notizie (o bufale, of course) da riportare al collega alla prossima pausa caffè. Se ne parla coi vicini di casa, e ringraziamo Dio, ché sennò l’alternativa sarebbe un imbarazzante silenzio con nervoso giro di chiavi per tutto il viaggio in ascensore. Il calciomercato per noi tifosi rappresenta ogni volta un po’ quel tornare bambini, i soldi falsi del Monopoli, o gli alberghi in cartone di “Hotel”, le vacanze e la Gazzetta ancora “fresca” comprata dal papà prima di raggiungere la spiaggia, e quella frenetica ansia nell’aprirla per vedere se il Verona aveva spostato qualche tassello dall’illusoria casella “trattative” alla più realistica “acquisti”.
Certo, spesso noi fedelissimi gialloblù siamo rimasti delusi, talvolta nemmeno illusi (il ché forse è peggio). Ricordo però quella (presunta) fantasmagorica campagna acquisti dell’estate del 1991, col Verona del paron Mazzi e Genio Fascetti neopromosso, ma con dichiarati sogni di Uefa. Arrivarono giocatori forti da grandi squadre come Renica, il fresco campione d’Italia Luca Pellegrini, Celeste Pin e soprattutto la stella Stojkovic. L’ultimo tassello mancante, ricordo, era una punta e i giornali – in attesa della firma di qualcuno – “titolavano” quotidianamente i campioni più disparati, ogni giorno uno diverso: dal bomber tedesco Ulf Kirsten ad, addirittura, Gianluca Vialli. Anni dopo Mazzi racconterà che aveva bloccato un certo Batistuta, ma Fascetti allergico ai sudamericani rifiutò il giocatore. Arrivò Raducioiu e sappiamo come andò a finire. Perché il calciomercato spesso è questo, un serpente incantato, un pifferaio magico, un eterno primo appuntamento. Un effimera ma bellissima illusione.