Non tutti campioni. Qualcuno non il più forte in assoluto. Semplicemente i miei campioni, quelli a cui mi legano i ricordi più vividi. La mia top 11 del cuore racconta di un Verona che ha attraversato la mia infanzia e adolescenza. Attraversa gli anni ’80 in cui sognavo di fare il calciatore o il benzinaio (quando ancora la figura del benzinaio non era stata uccisa dal self service), per arrivare ai ’90 e ai primi ’00, cotte, primi amori, amicizie, i prodromi dell’età adulta, con l’Hellas un po’ sullo sfondo e un po’ al centro di tutto. Il mio “undici” passa da GIULIANI in porta (di cui ho già scritto in uno dei primi post) e poi in ordine dal 2 all’11 (scusate ma a 32 anni ho fatto in tempo a godere della mitica vecchia numerazione): CAVERZAN, DE AGOSTINI, IACHINI, PIN, TRICELLA, FANNA, MARASCO, DE VITIS, MORFEO, ELKJAER. Di questi, nella top 11 assoluta (quindi secondo esclusivi parametri tecnici) rientrerebbero probabilmente solo Tricella, De Agostini, Fanna e ovviamente il “cavallo pazzo” danese, ma il calcio, si sa, è fatto di tante altre componenti. In primis la visceralità, la sola che ti fa amare un giocatore, al di là delle sue capacità. Eccoli uno a uno le mie “figurine” gialloblù più preziose:
Giuliano Giuliani (1985-88). Di “Giulio” ho già scritto. Ma qua più che la sua triste vicenda, vorrei ricordare le caratteristiche: stilisticamente perfetto, Giuliani dal punto di vista tecnico era un portiere completo, senza grandi difetti. Mancava solo di quel proverbiale carisma che l’avrebbe reso un grande estremo. Memorabili alcune sue prestazioni nella Coppa Uefa 1987-88, ma anche quel gol che gli fece Maradona da centrocampo. Indimenticabili i suoi riccioli e quel fare da uomo di mondo. Intelligente, viveur, appassionato d’arte e dotato di spiccato senso estetico e di un eloquio affascinante. Brillavano i suoi occhi.
Diego Caverzan (1993-98). Il terzino trevigiano può vantare (tra i pochi) un coro personale della Curva: “Ma dove casso valo Caversan?”. Una presa in giro affettuosa, per un giocatore comunque che a Verona ha vinto un campionato di B e ha sempre fatto il suo con onore. E’ stato il nostro ultimo terzino marcatore. Arcigno cappellone, Caverzan per me era il Jimmy Page del Verona. Un terzino rock.
Luigi De Agostini (1986-87). Grande terzino sinistro, a mio modo di vedere il più forte in gialloblù e uno dei dieci più bravi di tutta la storia del calcio italiano. Cross taglienti, bravo anche da mediano di spinta, classe e corsa da vendere e tanta umiltà. Rimase un solo anno, ma lasciò il segno.
Giuseppe Iachini (1987-89). Mediano di corsa e sostanza, tantissima quantità (si attaccava ai polpacci dei 10 avversari) ma anche qualità, dote in lui sottovalutata, non per niente finì la carriera a 37 anni da regista. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, persona squisita, sebbene un po’ noiosa perché dedita esclusivamente al calcio. Educato, ma non ruffiano, sanguigno marchigiano, l’uomo del “piglio giusto” per pochi centimetri non divenne l’eroe di Brema, quando una sua traversa dalla distanza segnò l’eliminazione del Verona di Bagnoli dai quarti di Coppa Uefa e di fatto la fine del leggendario ciclo dell’Osvaldo. Calzettoni abbassati, polpacci da paura, basso e tozzo, capelli al vento, con Galia faceva un coppia di fatto lì in mezzo al campo.
Celeste Pin (1991-95). Stopperone, uno dei pochi sempre puntuali e positivi in un periodo di alti e bassi per il Verona. Mi esaltava nei duelli rusticani coi centravanti avversari, ricordo i suoi capelli quasi mohicani e la sua corsa da guerriero, il suo senso dell’anticipo e il suo numero 5. Pin mi riporta al calcio della marcatura a uomo, dei difensori con pochi fronzoli e a cui non veniva chiesto di impostare.
Roberto Tricella (1979-87). Giocatore sontuoso, primo libero che sapeva anche sganciarsi e offendere. Tecnica e carisma a chili, ebbe solo la sfortuna di giocare nello stesso periodo di Scirea e Baresi, i due monstre nel ruolo. Capitano dello scudetto, Tricella era con Di Gennaro, Briegel, Elkijaer e Fanna uno dei 5 fuoriclasse di quello squadrone.
Pietro Fanna (1982-85 – 1989-93). Pierino accendeva il “Turbo”, come raccontano le cronache dell’epoca. Ambidestro, giocava indifferentemente a destra e a sinistra, ala-tornante classica come non ce ne sono più. Diceva Mandorlini l’altra sera in un fuorionda: “Pierino aveva un cambio di passo che io ho visto a pochi, ed aveva anche grande struttura fisica, nel calcio di oggi sarebbe un top player”. Quel gol al Napoli al San Paolo poi è da album dei ricordi, non poi così diverso da quello di Maradona contro l’Inghilterra o di Baggio in Napoli-Fiorentina. Fanna è stato un grandissimo, ma fuori da Verona ha pagato il suo carattere troppo perbene e remissivo.
Antonio Marasco (1998-00). Ho amato questo giocatore, che per me incarnava il Verona prandelliano. Lui e Pin sono i motivi per cui a calcetto gioco col 5. Mediano di quantità e qualità, centrocampista moderno, ha cambiato il primo Verona di Prandelli, che col suo arrivo sistemò il centrocampo e iniziò la marcia verso la serie A. Lui, fuori dalla classica retorica, davvero non mollava mai. E’ stato poi squalificato per calcioscommesse, ma io voglio ricordarlo per quello che ha dato al Verona in quegli splendidi due anni.
Totò De Vitis (1995-99). Il bomber, il mio bomber. Io, per motivi di età, non posso inserire i vari Luppi, Clerici, Bui e Zigoni. Per me c’è De Vitis, attaccante all’antica, devoto solo al gol e all’area di rigore. Seppur dotato di grande tecnica, partecipava poco volentieri alla manovra, lui mero finalizzatore, lui slegato dagli altri dieci. Tuttavia ogni pallone vagante in area, con De Vitis era un pericolo per gli avversari. Destro e sinistro, colpo di testa e agilità acrobatica. Totò è stato l’essenza del centravanti.
Domenico Morfeo (2000). L’impronta dell’artista, quei geni a cui tu ti leghi anche se loro non si legano a te. A prescindere. Morfeo ha cambiato il secondo Verona prandelliano, portandolo a un nono posto eccezionale se escludiamo l’epopea di Bagnoli. Brutto carattere Morfeo, iroso, lunatico, irascibile con compagni ed avversari. Il più grande talento inespresso del calcio italiano, con buona pace di Cassano & C.
Preben Larsen Elkijear (1984-88). Be’ ha bisogno di presentazioni? Il più forte giocatore della storia del Verona, con Platini, Mattheus e Lineker il migliore giocatore europeo degli anni ’80. “Cavallo Pazzo”, “Vichingo”, chiamatelo come volete. Per me è Preben e ho avuto la fortuna di viverlo. Il gol senza scarpa, il finto assegno firmato a Wurz, ognuno ha il suo ricordo. Il mio? Quel fantastico gol a San Siro l’11 ottobre 1987 e la sua esultanza vergine. Finì 1-1 (l’Inter pareggio con Scifo su assist di testa di un certo Mandorlini). Fu con Preben che battezzai la mia prima trasferta.
Ho lasciato fuori, con dispiacere, altri “miei” protagonisti, penso a Peruzzi e Frey, Falsini e Vanoli, Calisti e Pusceddu, Galia, Ficcadenti e Valoti, Gaudenzi e Davide Pellegrini. Dovevo sceglierne 11 e ne ho preferiti altri. Voi chi scegliete? Quali sono le vostre “figurine” gialloblù?.