Gli occhi non sono lo specchio dell’anima. Non l’ho mai pensato e Andrea Mandorlini me l’ha confermato. Ha gli occhi di ghiaccio l’allenatore del Verona. Quegli occhi da spietato e cinico condottiero senza macchia e senza paura che nascondono in realtà tutt’altra persona: fumantina, sanguigna, poco fredda e molto emotiva. A tratti leonina, a momenti timorosa. Anche fragile e romantica, per certi versi. Molto contradditoria e altrettanto affascinante. Mandorlini è uno che non se ne frega, cova e poi sfoga. I detrattori lo accusano di essere un capopopolo un po’ ruffiano. Lo è, ma non per ipocrisia (che il tecnico non ha nel dna), direi piuttosto per narcisismo. Mandorlini necessita di essere amato, adorato, addirittura venerato dalla sua gente. Lui, in cambio, per la gente ci mette la faccia, gli piace ergersi a paladino del suo popolo, fino a prendersi insulti da mezza Italia e un deferimento per un coretto ironico, e a rischiare botte da orbi a Salerno per aver osato parlare male degli avversari meridionali nei giorni precedenti alla partita.
Mandorlini queste azioni non le compie per ingenuità, o per puro istinto. Mica è scemo, l’uomo. Agisce così semplicemente perché non ne può fare a meno. Determinati gesti lo fanno sentire vivo, se stesso, lo gratificano. Se fosse diplomatico magari avrebbe avuto ben altra carriera, ma non starebbe bene. Sfogare il proprio ego vale più di mille trofei. Mandorlini, quindi, ha preferito essere “re in Gallia che “servo a Roma”. Meglio numero 1 a Verona, che uno qualunque altrove.
Anche il popolo dell’Hellas lo ama perché ne ha bisogno. Ha bisogno di avere un rappresentante che ci metta voce e faccia. Ha bisogno che le frustrazioni, i torti, gli arbitraggi vessatori, le eventuali discriminazioni nazionali trovino sfogo e un contraltare pubblico e autorevole. Ha bisogno di sentirsi protetto da un leader e un referente ben definito. Per questo Mandorlini non è solo un semplice allenatore qui a Verona. Per questo “non si tocca”, come tanti hanno scritto in questi giorni anche su questo sito. Al di là dei risultati. Al di sopra delle questioni tecniche. Prescindendo da eventuali nuovi equilibri societari.
Questo però, permettetemi, portato all’eccesso è pericoloso. Credo che l’Hellas venga prima di tutto: prima di presidenti, allenatori e giocatori, come da anni la Curva Sud canta convintamente. Mandorlini è stato un discreto giocatore che ha fatto una grande carriera (grazie al carattere) ed è un grande allenatore che ha fatto una discreta carriera (per colpa del carattere). Teniamocelo stretto, quindi, per le sue qualità (un lusso per la B) e anche per il suo feeling con la piazza e la città. Ricordandoci, altresì, che il solo totem è l’Hellas, l’unica cosa che “non si tocca” sono i colori gialloblù. Non Mandorlini, non Martinelli, non Setti. “Cambieranno i giocatori, il presidente, l’allenator, ma il Verona resterà per sempre nel mio cuor”, è un canto pieno di significato. Non sconfessiamolo.