Con il mercato la società, tenendo i pezzi migliori, ha dato un segnale: si deve concludere con dignità il campionato. Pertanto niente sbracamenti, o vacanze anticipate. C’è stato il divorzio, un po’ furtivo e improvviso, con Kalinic, però nella sostanza era chiaro da mesi che in attacco, dove c’è abbondanza, uno se ne sarebbe andato. Intoccabile Simeone, restava da piazzare uno tra Lasagna e il croato, quest’ultimo con più mercato.
Le conferme di Barak, Caprari, Casale ecc sono un buon viatico per questa seconda parte di torneo. Tuttavia non basta: sarebbe auspicabile che il presidente Setti fissasse pubblicamente un nuovo obiettivo, così da legittimare il lavoro dell’allenatore e compattare lo spogliatoio da qui a maggio. L’unico che si è esposto su traguardi più ambiziosi è stato Barak, che non si è trincerato dietro le consuete minimali banalità. Ma il coming-out di un calciatore, per quanto autorevole, non basta.
Il resto è nelle mani di Tudor e della squadra. L’allenatore croato si gioca anche il suo futuro a Verona. Qualsiasi trattativa per il rinnovo e l’adeguamento dell’ingaggio è congelata, la qual cosa a occhi esterni può perfino apparire incredibile dato il ruolino di marcia che il gigante di Spalato ha realizzato dal suo arrivo a Verona. Il club però si è dato tempo e vuole capire bene se Tudor può essere il futuro. Pensiero razionale, liberato da qualsiasi condizionamento emotivo, che mi sento di condividere, come a suo tempo fui tra i pochi (forse l’unico) ad appoggiare il divorzio da Aglietti. Una società forte è indipendente dalla figura di qualsiasi allenatore e persino dal suo rendimento. Lo pensavo (e l’ho scritto) anche ai tempi di Juric, che pure è stato la figura più importante (tecnica-finanziaria) del Verona dell’era Setti.