Osvaldo Bagnoli aveva una sua idea di calcio. Ma prima di tutto sapeva adattare gli uomini al modulo e non viceversa. Era questo il suo segreto. “Parlo poco con i calciatori” mi spiegò una volta “e quando lo faccio è per chiedere loro dove preferiscono giocare”. Così l’Osvaldo riuscì a “inventare” il Briegel mediano e poi marcatore su Maradona, riuscì a giocare con i due attaccanti piccoli (Iorio e Galderisi) e con la torre (Pacione), fece faville con i terzini che “aggredivano” lo spazio (Marangon) e con le ali che diventavano attaccanti aggiunti (Fanna). Persino quando i dirigenti sconvolsero la sua squadra e le sue idee acquistando Dirceu per sacrificare Guidolin, Bagnoli, dopo una buona dose di incazzature, adattò la squadra alle esigenze del brasiliano e non viceversa. Altro calcio, certo. Meno pressing, non esisteva la zona se non per i centrocampisti e non per tutti. Ma la lezione “filosofica” dell’Osvaldo resiste comunque al tempo. Una squadra deve avere un progetto di gioco ma deve al contempo mettere nelle condizioni i singoli di esprimersi al meglio.
Oggi appare evidente che il Verona di Remondina gioca molto meglio con il suggeritore (Parolo) alle spalle delle punte che con i tre attaccanti voluti e preferiti dal tecnico.
Le cose migliori della stagione si sono viste proprio quando entra in campo il centrocampista ex Foligno e non con le due ali larghe e il centravanti isolato in mezzo. Il gioco del tridente è infatti funzionante se i due laterali sono veloci e sanno creare tagli e superiorità numerica. Questo, per un motivo o per l’altro, fino ad oggi nel Verona non s’è visto. Vuoi per gli infortuni, vuoi per l’equivoco Tiboni (punta centrale o laterale?). Spinto dalla necessità, dunque, Remondina ha adattato il modulo alle caratteristiche della squadra imitando in questo l’Osvaldo. Il problema è che il mister non appare convinto di questa scelta, affezionato com’è alla sua idea originale di 4-3-3. Ed è un errore grossolano che rischia di costare caro al Verona soprattutto se Remondina continuerà a perseguirlo. In questo momento, infatti la squadra non può giocare con quel modulo, non c’è niente da fare. S’è visto benissimo nel primo tempo della gara con la Spal, quando il povero Girardi veniva sommerso dai due centrali avversari, mentre i due esterni vagavano larghi come i reduci della “zattera della medusa”. Quando invece è entrato Parolo la squadra ha trovato subito la misura. Si è accorciata, ha ristabilito le distanze e il resto è venuto di conseguenza.
Quindi Remondina si faccia convinto. Non è un disonore essere un allenatore moderno e cambiare idea adattando il materiale umano al suo progetto di gioco. Bagnoli ha costruito su ciò uno scudetto allestendo una macchina perfetta. Chissà che anche il buon Gian Marco non riesca a creare, con un po’ più di elasticità, il suo piccolo miracolo.
LA PARTITA DEGLI SMS
Gara finita da un minuto. Scrivo da un internet point. Scaraventato via ragazzino inglese che sedeva davanti al computer. In spiaggia il mio tatuaggio con la scritta Hellas mi fa scambiare per un nazionalista greco. Ho spiegato già una decina di volte che non trattasi di nazione greca ma di nobile squadra pallonara veronese.
Stasera Rasu ha speso una fortuna in messagini per tenermi informato dell’andamento del match, mentre era in diretta con la trasmissione. Ho avuto anche un "infiltrato" speciale in Curva, noto frequentatore del blog, nonchè "santo" e oracolo. Pare abbia veramente doti divinatorie visto che il messaggio con il gol di Corrent era già pronto prima che il nostro "220 volt" battesse la punizione. Non mi pare che sia stata una grande partita. Ma che bello vincere in rimonta. Adesso basta con il mojito. Andiamo con l’Ouzo. Sono o non sono dell’Hellas, in fondo?
PS: il ragazzo inglese mi ha chiesto se gli ridò il computer: Cosa faccio? Offro da bere anche a lui? Buonanotte a tutti
HO TROVATO UN HOTSPOT
Ho fatto i salti mortali, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho trovato un hotspot wi-fi per collegarmi. Dopo quattro giorni di black-out informativo ho aperto il computer e sono volato al sito del Tggialloblu. Con la fame (e te parea…) d’informarmi sull’amato Hellas.
Ho ricevuto una prima pugnalata quando ho letto della sconfitta con il Rodengo. Una seconda quando ho sentito Remondina al microfono di Fabbri chiedere scusa. Una terza quando ho letto l’intervista di Previdi che parlava di prestazione vergognosa.
Porca put… Mi sa che ho buttato via tempo e denaro per collegarmi a Internet. Da lontano si vede tutto con occhi diversi. Ma non è che le incazzature sono minori. Ora capisco che cosa dovete provare voi tifosi dell’Hellas che siete in giro per il mondo.
Vedere la propria squadra fare schifo con i proprio occhi è doloroso, non vederla e leggere soltanto lo è ancora di più.
Potrei continuare la navigazione e guardarmi la sintesi e il 4-2. Ma risparmio i soldi e stasera mi faccio un mojito in riva al mare. Forse per dimenticare. Forse perchè è gusto così.
LETTERA A DOMENICO GIRARDI
Caro Girardi,
chi le scrive è stato nella sua gioventù un fans di Preben Elkjaer Larsen. Preben era un campione danese, che, sbarcato in Italia, fece vincere al Verona uno scudetto.
Parto da lontano per farle capire quali campioni abbiamo ammirato qui a Verona. Elkajer è stato uno di questi ma prima di lui abbiamo potuto vedere un certo Gianfranco Zigoni da Oderzo, che metteva le scarpette rosse e la pelliccia quando il mister di allora lo relegava in panchina.
I nostri papà invece ci parlavano di Emanuele Del Vecchio, di Sergio Sega e Gigi Caldana, di Guido Tavellin. Siamo cresciuti, qui a Verona con il mito delle due torri, non quelle crollate a New York, ma Bui e Traspedini, due attaccanti eccezionali. Ma non possiamo dimenticarci di Mascetti e di Livio Luppi e del "gringo" Clerici. Poi vennero a Verona Penzo, Galderisi, Iorio, Inzaghi, Maniero, Mutu, Adailton e Bogdani. Così, tanto per gradire, abbiamo visto anche Marco Pacione e Paolino Rossi, il bomber mundial.
Questo per spiegarle che di attaccanti ce ne intendiamo.
Purtroppo, come è nella storia di ogni società ci è capitato di vedere anche clamorose ciofeche. Vado a veloce memoria: Capuzzo, Calloni (che comunque in venti partite fece sei gol in serie A) Raducioiu, Max Vieri, Lamberto Piovanelli. Gli ultimi, i peggiori, sono quelli che l’hanno preceduta: un certo Da Silva Barbosa e Daniele Morante che lei avrà conosciuto in questi giorni (è quello che passeggia di tanto in tanto lì all’antistadio e che prende uno stipendio almeno sette volte il suo…). Queste righe sono per dirle che noi, con tutto il cuore, ci auguriamo che lei appartenga al primo gruppo e che ripeta le gesta di Superpippo,di Preben, di Nanu e ci faccia dimenticare al più presto le scarponate di Da Silva e la tristezza di Morante.
Per fare questo, però, lei lo sa meglio di noi, è necessario fare gol. Esattamente il contrario di quello che, purtroppo, ha fatto lei e i suoi colleghi domenica a Lumezzane. In bocca al lupo, dunque.
Ps: cari amici del blog, parto in questo momento per un viaggio nell’Hellas, pardon in Grecia. Spero di avere sull’isoletta dove mi reco, collegamenti Internet che mi tengano informato su quanto succede qui. Comportatevi bene e fate i bravi. Ciao, vigo
FORZA HELLAS
A te che mi fai piangere
a te che mi fai incazzare
a te che… sempre e solo Hellas
A te che mi hai dato
momenti che non posso dimenticare
A te che annaspi
e non puoi annegare
A te che hai i colori gialloblù
a te che mi hai fatto
bagnare e correre e sorridere
nella fontana della mia città
A te che hai conosciuto
ladri e banditi,
a te che mi hai fatto abbracciare
ad amici che non conoscevo
A te, per tutti
i miei fratelli con
il cuore a due colori
A te per tutti noi
che siamo in fondo
un poco fuori
a credere che
l’inferno non sia questo
ma un posto blu e giallo
nella testa un sogno
e nel sangue un grande sballo
Un tricolore nel mese di maggio
ed è lì che per me e per i butei
sei il nostro tatuaggio.
Vai grande e vecchio Hellas
vai e buon viaggio…
STORIA DI ALBERTO, TIFOSO DELL’HELLAS
Giorgio Tremante è una persona straordinaria. Ha visto due figli morire e uno costretto su una sedia a rotelle, dopo che erano stati vaccinati. La sua battaglia contro la vaccinazione obbligatoria è ormai da anni uno scopo di vita.
E’ ormai provato (e questo grazie alle battaglie di Giorgio) che sia stata la vaccinazione per la polio Sabin la causa dello scempio.
Il primo figlio di Tremante è morto all’età di sei anni. Si chiamava Marco. Era il 1971 e Giorgio aveva già capito tutto. Era stata la vaccinazione a portargli via il figlio.
Cinque anni dopo nascono Andrea ed Alberto, due gemellini. Tremante, ricordando quello che era successo a Marco, si oppone in tutte le maniere per non vaccinarli. Ma non c’è nulla da fare. Per lo Stato se non vaccini i figli, sei un fuorilegge. I bambini avevano otto mesi. A quattro anni la situazione degenera. Andrea viene ricoverato all’ospedale in seguito ad una crisi. Giorgio Tremante implora i medici almeno di non dargli farmaci immunodepressivi. I medici lo trattano da rompicoglioni e vanno avanti con le cure. Cinque ore dopo il ricovero, Andrea muore.
Nell’83 Giorgio Tremante si ritrova nella stessa situazione con il secondo gemello, Alberto. A causa di un’insufficienza respiratoria, Alberto viene sottoposto ad un’operazione alla trachea. Dopo sei mesi di ricoveri, a Giorgio dicono che per Alberto non c’è nulla da fare. Tremante a questo punto si ribella. Cerca di portare via il figlio per sottoporlo ad una terapia immunostimolante. La struttura sanitaria, si rivolge così ai giudici, e Tremante deve persino subire la sentenza che gli toglie la patria potestà.
Sotto la responsabilità diretta del papà, Alberto viene comunque curato con farmaci immunostimolanti ed è ancora vivo.
Alberto è un tifoso del Verona. Vive per l’Hellas. Stamattina è venuto a trovarmi in redazione. Per il suo compleanno gli ho regalato una maglietta gialloblù che gentilmente Riccardo Prisciantelli mi ha fatto avere. Alberto mi ha detto grazie con l’alfabeto muto.
Per chi vuole saperne di più sulla battaglia di Giorgio Tremante www.tremante.it
Ps: ai due fratellini Tremante scomparsi per colpa della vaccinazione obbligatoria verrà dedicata ad ottobre una piazza a Porto San Pancrazio.
VERONA CHE SCHIFO: LA DIFESA DI REMONDINA
Una schifezza. Giusto per essere chiari e senza tanti giri di parole. Prima volta che vedo l’Hellas dal vivo e francamente se me ne restavo a casa era meglio.
Così tanto schifo, che francamente non può essere vero. Non entro nel merito del modulo tattico. Quando giochi così, qualsiasi numero applichi esce sempre una ciofeca.
Partiamo allora dalla condizione fisica. A fine gara blocco il nostro Remondina e chiedo: mister, perchè non corrono? Risposta: è una squadra “grossa” dal punto di vista fisico, molto grossa e molto massiccia. I “carichi” di lavoro importanti, hanno creato l’attuale situazione. Per come la vede il mister, il modulo è efficace se c’è rapidità sulle fasce, se ci sono sovrapposizioni e tagli, se ci si muove senza palla. Insomma la base minima indispensabile sia che uno giochi col 4-2-3-1, col 4-4-2 o col 4-3-3.
Altra domanda a Remodina: era previsto questo ritardo di condizione? Risposta del mister: in parte sì e in parte no. Mi spiego meglio, mi dice Remondina. Girardi, Anaclerio, Corrent, Bergamelli, Conti, Moracci, in parte Campagna, in parte lo stesso Parolo, sono giocatori che non hanno il “cambio di passo”. Sono “compassati” e in più vanno in forma dopo. Ergo: ora il Verona ha necessità di avere giocatori che aggrediscono di più, che prendono campo e ribaltano il fronte con rapidità. Ad esempio, mi dice ancora il mister, quando è entrato Da Dalt è stata un’altra musica. Solo che in questo momento gli uomini che hanno quelle caratteristiche sono tutti fermi ai box. Puccio ha preso una botta al piede a Trento, Gomez si è allenato in pratica solo per i primi tre giorni di ritiro, Dianda è infortunato. In più c’è la necessità di far giocare quelli “grossi” proprio per arrivare in forma in campionato.
Chiedo poi di Tiboni: mister, spiegami questa posizione, perchè a me sfugge la tua scelta… Dunque, mi spiega Remondina, innanzitutto parto dalla considerazione che Tiboni è un buon giocatore. Uno di quelli che vorrei sempre far giocare. Ha centimetri, peso e tecnica. Il fatto di partire largo non pregiudica le sue caratteristiche. In pratica Tiboni deve “tagliare” in mezzo e andare a fare la seconda punta dietro a Girardi, il quale, invece, molto bravo nelle “spizzate” e nel dai e vai, resta un po’ più avanti. Anche qui, spiega Remondina, il problema non è Tiboni, ma lo spazio lasciato libero da Tiboni. E’ lì che bisogna “entrare”, “aggredire”, altrimenti resta il buco e il movimento non serve a nulla.
Alla fine il capitolo difesa: qui il mio giudizio è stato netto. Vista così è una difesa da retrocessione. Il gol preso con la Sambonifacese denuncia pesantissimi limiti tecnici ancor prima di quelli tattici. E i limiti tecnici sono sempre i più difficili da rimediare. Su questo argomento anche Remondina è stato molto chiaro: la difesa è giovane e, così com’è, è una difesa che ha bisogno di tantissimo tempo per crescere. Tempo che evidentemente non c’è (ecco qui la differenza tra essere a Sassuolo, a Cittadella e a Verona…). Quindi, conclude Remondina, ho parlato con la società. Faremo quello che c’è da fare per sistemare il reparto.
EL SEGNA SEMPER LU…
Premessa doverosa: quando Morante firmò il contratto con il Verona nessuno mise la pistola alla tempia al padrone dell’Hellas. Morante era stato il vicecapocannoniere della C1 (girone B) con la maglia della Sambenedettese, il Padova aveva fatto un timido tentativo per averlo (poi preferirono prendere Varricchio…) e il Verona ritenne di aver fatto il colpo della stagione. Morante costò 400 mila euro all’Hellas (pardon alla Juve della serie C). Cannella (“Per me parlano i risultati”), fece firmare a Morante un triennale a cifre da capogiro (per la C1, ma probabilmente anche per la B). Su per giù (più su che giù), 450 mila euro lordi a stagione, praticamente quasi un miliardino delle vecchie lire. Morante si presentò a Verona in sovrappeso e fuori forma.
Non si era allenato a San Benedetto, pensando alla sua futura maglia. La scarsa condizione lo penalizzò nelle prime uscite. E fu lì che i veronesi lo videro per la prima volta, facendo la sua conoscenza: lento, impacciato, sempre fuori posizione e fuori tempo. Il povero Colomba, quando iniziarono ad arrivare i primi mugugni cercò di fargli da scudo. Gli diede oltremodo fiducia, fino alla sfinimento, fino a perdere il posto. Ci si aspettava almeno un guizzo, un bagliore, un piccolo scatto d’orgoglio in questo ragazzone: ed invece niente. Partite sempre più scialbe, sempre più penose.
A gennaio Galli (tra una scommessa e l’altra su Da Silva…) cercò di piazzarlo. Pareva che il Taranto lo volesse. Galli mi fece vedere anche le offerte che i pugliesi avevano fatto su foglietto a matita a Morante. Cifre assolutamente importanti. Ma Morante aveva iniziato a proferire la sua celebre sfilza di no. Disse di no a quei pochi che lo avrebbero voluto e probabilmente solo per difendere il suo ricco ingaggio veronese, consapevole, forse, di non aver mai più potuto strappare cifre del genere con le sue prestazioni calcistiche.
L’unico guizzo, quello capace di raddrizzare una stagione Morante lo ha avuto con la Pro Patria, nella gara d’andata dei play-out. La storia la sappiamo tutti. Il Verona che segna proprio all’ultimo istante con il suo colpo di testa. Un bel gesto, certo, seguito però da una valanga di gestacci inutili. Cosa voleva dire Morante quando si portò l’indice al naso per zittire il Bentegodi? Che aveva fatto il suo dovere? Che era colpa dei tifosi che non l’avevano capito se aveva fatto la miseria di zero gol nella stagione regolare? Che era colpa della società che puntualmente lo aveva pagato sino a quel momento? Non lo sapremo mai, naturalmente perchè l’inutile giocatore si è anche inventato, come da peggiore anedottica calcistica, un silenzio stampa.
Poi venne il nuovo Verona e la nuova stagione. In cui Morante non troverà mai posto. Eppure il suo ricco ingaggio è ancora lì a gravare sul bilancio della società. Se Da Silva ha capito che a Verona non tirava più aria per lui, se lo hanno capito Comazzi e compagnia, Morante no, è ancora lì a difendere il suo ricco stipendio. Messo fuori rosa, umiliato, ai margini della squadra, con i tifosi che iniziano ad incazzarsi nei suoi confronti. Capace di dire solo no. No alla Ternana (che offre secondo lui poco), no persino alla Sambendettese (anche qui offerta troppo bassa).
Morante costa al Verona (costerà) qualcosa come due milioni di euro in tre anni.
IL “CINESE” MACALLI E IL PECHINESE ABETE
Leggo dalla Gazzetta dello Sport che il presidente federale Abete da cui dipendono le sorti della Lega Pro è a Pechino alle Olimpiadi.
Ma a parte questo, ci sono solo piccoli dettagli che il “cinese” Abete dovrebbe sistemare qui in Italia.
La stagione è iniziata e ancora non si sa chi parteciperà ai campionati (forse, ma forse nelle prossime ore). Non ci sono i gironi (forse, ma forse nelle prossime ore). I calendari (forse, ma forse…). Senza contare la Coppa Italia che inizierà tra poche ore (anche qui, forse ma forse…). E fino a prova contraria l’Aic ha indetto uno sciopero che farà saltare la prima giornata di campionato.
In un paese appena normale, il presidente di una Federazione che ha solo mezzo di questi problemi se ne starebbe qui in Italia, disdicendo anche l’unica settimana di ferie a Riccione. Altro che Cina…
Ora, sempre l’informatissimo Binda della Gazzetta ci fa sapere che, invece, tutto è in bilico per colpa del fuso orario cinese (siamo a più sei ore). Incredibile davvero.
Macalli deve dipendere dalle voluttà cinesi del suo presidente federale.
Questa è solo l’ultima amenità del calcio malato italiano. Se la serie A è ormai il quarto campionato europeo dietro a Inghilterra, Spagna e Germania, se la serie B sta per dichiarare bancarotta, se la Lega Pro è questo enorme casino che stiamo vedendo, almeno si punti il dito sui colpevoli.
(Ps: l’Avellino sarà iscritto alla serie B pur non avendo i soldi per iscriversi alla C. Per la mancata presentazione della fidejussione è stato deferito. Anche questo ho letto sulla Gazzetta di oggi. Che schifo!)
L’OSSESSIONE DI ARVEDI (METTI UNA SERA A CENA CON…)
Non voglio sottolineare più di tanto le parole di Arvedi che ho pubblicato nell’intervista che ho realizzato a casa sua.
Ognuno tirerà le proprie conclusioni e ognuno avrà la sua opinione. Quello che voglio fare con questo post è darvi un’idea, spiegarvi le mie sensazioni, insomma cercare di illustrarvi un “dietro alle quinte” dell’intervista che forse serve come chiave di lettura della stessa.
Parto intanto da descrivervi l’ambientazione: Villa Arvedi è una casa gigantesca. Saloni enormi, mille camere. Ma Piero Arvedi non vive lì. Sarebbe come vivere nel Sahara. Arvedi abita in una casetta attigua, una piccola stanzetta che fa da sala da pranzo, una cucinetta, due camere da letto al piano superiore. Arvedi guarda la televisione su un piccolo 14′ pollici nascosto dentro ad un mobile vicino al caminetto, al secondo piano (l’ho scoperto ieri sera…) c’è un Lcd più grande proprio ai piedi del letto. A fianco del letto, un computer connesso con l’Adsl (anche questa una scoperta…) con cui il vecchio presidente probabilmente legge pure i post su questo sito e chissà, forse interviene nelle nostre discussioni con qualche nick segreto… (ma questo non gliel’ho chiesto). Sempre sul letto, Arvedi ha documenti di tutti i tipi. Progetti, planimetrie, persino curriculum di giocatori. Ieri sera voleva farmi vedere il curriculum di un centrale bosniaco che forse verrà in prova al Verona (da qui la nostra vista al piano superiore…).
Il conte Piero vive in simbiosi con il suo cellulare. Un Nokia, non di ultima generazione, che come squillo ha il canto di un gallo. Solo, dentro la piccola dependance della sua enorme villa, Arvedi si tiene in contatto con il mondo esterno grazie al suo cellulare. E il mondo esterno di Arvedi è fatto soprattutto (se non esclusivamente) di Hellas Verona. Giusto per farvi capire: ieri sera ha telefonato un paio di volte Previdi, ragguagliando il conte sulla giornata e sui programmi del giorno dopo.
Arvedi tiene sempre il cellulare in viva voce. Per cui mi sono trovato ad ascoltare le due telefonate di Previdi (che ho salutato). Mi è parso (sempre sensazione…) che Previdi sia molto meno mellifluo e ossequioso rispetto ai suoi predecessori, molti dei quali sembravano più dei maggiordomi che dei dipendenti.
A parte un’altra telefonata, Arvedi non ha parlato con nessun altro al cellulare. Se non ci fossi stato io, quelli sarebbero stati gli unici contatti con il mondo “fuor della villa di Cavalcaselle”. Mi pare chiaro, quindi che il mondo di Arvedi, oggi sia soprattutto (se non esclusivamente) quello dell’Hellas. Non è difficile capire dove voglio parare con queste considerazioni. Il Verona oggi è uno scopo di vita (come del resto lo stesso Arvedi racconta nell’intervista) che prescinde qualsiasi considerazione economica e finanziaria. Per essere chiarissimi: a mio avviso ad Arvedi non importa nulla quanto sta perdendo per il Verona e quanto ancora ci perderà. Credo che tutto quello che sta facendo lo appassioni terribilmente e che questo alla fine sia il miglior mezzo per “sentirsi vivo”. Mi pare, quindi difficile, e questa è la mia conclusione che Arvedi possa privarsi adesso del suo Verona. Gli ho chiesto papale papale: “Piero, bando alle ipocrisie: qui devi dirci cosa vuoi farne del Verona, perchè non possiamo essere tuoi prigionieri, accontentarci del piccolo cabotaggio&rdqu