QUANTI BRUTTI PENSIERI… CON L’UDINESE BISOGNA SCACCIARLI VIA SUBITO

Primo brutto pensiero. A 33 punti non s’è vista la fame, la rabbia, la cattiveria che rendono speciale una squadra normale. Secondo brutto pensiero: gli infortuni di Caprari e Faraoni, comunicati solo all’ultimo secondo. Terzo brutto pensiero: Casale e Barak strombazzati uomini mercato che fanno flop. Quarto brutto pensiero: l’impiego di Lasagna titolare che fa scoppiare il caso Kalinic che lascia la squadra dopo la partita (mai visto sulla faccia della terra).

Ci sta perdere con la Juventus. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. E il Verona non è stato disastroso, solo “normale”. Ma la serata ci ha lasciato quel sapore lì, come di qualcosa andato a male. Saranno state le orribili magliette verdi bianche su pantaloncino nero (diciamo basta con forza a questo scempio), sarà stata la nebbiolina o sapere di affrontare la Juve senza i tuoi uomini migliori, ma la sconfitta ha preso il gusto del latte dimenticato in frigo per un mese.

Non sarà che ora, a salvezza quasi acquisita, ci dovremo sorbire un Verona senza obiettivi che vivacchia in attesa di maggio e del prossimo mercato con giocatori che si preservano e altri con la valigia in mano? Dio ce ne scampi per favore. Noi abbiamo fiducia che non sia così perché in realtà c’è ancora tanto in ballo: il piazzamento in classifica che vuole dire soldi in più e più banalmente la valorizzazione dei giocatori migliori (Barak e Casale se giocassero da qui alla fine come ieri sera farebbero la fine di qualche criptovaluta farlocca). Già con l’Udinese capiremo se i cattivi pensieri e il gusto acido che ci ha lasciato questa gara, hanno un senso.

NOI VOGLIAMO #CAPRARIINNAZIONAL

Gianluca Caprari rappresenta il miglior affare di Tony D’Amico da quando è ds al Verona. Meno appariscente rispetto ai Rahmani, Kumbulla, Amrabat e Barak, è sicuramente la sua idea migliore.

Caprari arriva a Verona per sostituire un monumento come Zaccagni che appariva insostituibile dopo le prime tre giornate in cui aveva retto quasi da solo il Verona. La sua cessione alla Lazio fu una ferita per i tifosi e un de profundis per l’ambiente che nel frattempo faceva i conti con il Verona ancora bloccato a zero punti.

Caprari era solo un palliativo a quel doloroso addio, un “giocatorino” talentuoso che aveva sì qualche bel colpo, ma che fino al suo arrivo in gialloblù aveva sempre tradito le attese. Figurarsi se poteva prendere il posto del romagnolo tutto sale e pepe e social.

Tony D’Amico che invece sa sempre coniugare le nozze con i fichi secchi, ci credeva. Sapeva che nell’ambiente giusto, con la fiducia giusta, con la responsabilità sulle spalle, Caprari poteva far dimenticare Zaccagni. E così fu. Caprari iniziò la sua stagione con una gara meravigliosa con la Roma, continuò con lo Spezia in casa, non si fermò più. Trovando così anche quella chimera chiamata continuità, l’unica parte, la più importante, che mancava al suo repertorio.

Oggi Caprari è un giocatore nuovo, più maturo, più consapevole. Non so se più bravo di Zaccagni, forse sì. Sicuramente una delle più belle sorprese del campionato dell’Hellas di cui diventerà a tutti gli effetti un giocatore con una spesa tutto sommato modica di 5,5 milioni di euro, un riscatto obbligatorio già fissato con la Samp. In prospettiva un altro giocatore che potrebbe valere tantissimi soldi ma che potrebbe anche diventare, perchè no? un punto fermo.

Intanto però, Caprari non può essere dimenticato da Mancini e dalla nazionale italiana. Non si può non convocare in maglia azzurra un simile talento che in mezzo a tanti mediocri pedatori potrebbe veramente far comodo. Il gol di tacco alla… Mancini è più che un messaggio lanciato al Ct. Una vera e propria petizione popolare: noi vogliamo #Caprariinnazional…

E COSI’ SETTI MANDA AVANTI LA BARAK

Visto com’era semplice? Metti Tameze a centrocampo, inserisci Barak sulla trequarti, usi Kalinic per il finale e… voilà il gioco è fatto. No, in realtà non è stata così semplice, è stata una vittoria soffertissima e meritatissima che sana in un colpo di spugna la ferita aperta dalla sconfitta con la Salernitana in casa e proietta il Verona verso la salvezza.

Ecco, in tanti, compreso il mio amico Francesco Barana, si chiedono cosa ne sarà del Verona conquistata la salvezza. Saremo costretti ad assistere a noiosi finali di stagione che mal si adattano allo spirito perennemente sulle montagne russe del tifoso del Verona?

Argomento che mi appassiona fino ad un certo punto e che proietterò in là nel tempo, il giorno dopo in cui il Verona conquisterà la possibilità di giocare il suo quarto anno in serie A.

Ora mi pare troppo importante questo consolidamento di una società che non ha trovato pace per trent’anni ed infatti è più di trent’anni che non disputa quattro stagioni consecutive nella massima serie.

Ci sarà pure un perché a questo dato e sicuramente ci fa capire come la storia del Verona dopo gli anni ’80 favolosi è stata costellata di delusioni più che di gioie. L’ultima volta che abbiamo giocato in Europa fu a Brema e i ragazzi si ricordano la trasferta di Busto Arsizio più che la mitologica transumanza verso Belgrado.

Ora come ora questo è il massimo che possiamo chiedere a Setti, sperando che le tre reti di oggi possano far lievitare ancora la quotazione di Barak così da dare al Verona ancora la possibilità di investire e crescere. Sarà dal prossimo anno che vedremo veramente la voglia di Setti di migliorare il Verona. Oggi il presidente ha giocato la sua 250° gara in serie A, evento prontamente rilanciato dai social del club ed è giusto così. Domani però si potrà alzare l’asticella e chiedere anche di raggiungere obiettivi che non siano solo la salvezza. Tempo al tempo. Oggi intanto scrosciano solo applausi. Anche per mister Tudor, tornato nei suoi panni consueti. In fondo era così facile…

SETTI E’ UN BENEFATTORE DEL VERONA. E VI SPIEGO PERCHE’

Tremilionisettecentoottantomila euro. Una cifra altissima, da top manager di multinazionale. E’ lo stipendio di Setti, amministratore unico del Verona. In tanti si sono scandalizzati per questi soldi, io no. Anzi, ritengo Setti un benefattore del Verona e ora vi spiego perchè.

La storia recente del Verona forse non è chiara a molti di voi. L’Hellas ha rischiato di sparire perchè nessuno in questa città se lo filava. Dopo i Mazzi, era arrivato Pastorello con l’aiuto di Tanzi e dopo Pastorello per salvare il Verona dovette arrivare Arvedi e successivamente Martinelli.

A quel tempo, il Verona pareva un peso, un fardello, un orpello inutile che forniva solo fastidio con quella tifoseria mal sopportata, razzista e contestatrice. La più brillante idea che partorì la nostra città in quel tempo fu di fare una fusione, unendo il Chievo di Campedelli, allora esempio e modello e la tradizione dell’Hellas.

La fusione sbattè contro un muro costruito dai tifosi, Martinelli cambiò rotta, risanò il Verona, tornò grazie a Mandorlini in serie B. Ammalato e stanco, il presidente di Castelnuovo del Garda, cercò disperatamente di far uscire il Verona dall’isolamento. Ma senza riuscirci. Nessuno in quel momento storico ebbe il coraggio, la capacità imprenditoriale, la lungimiranza di capire il potenziale del Verona. Solo Setti. In quel senso, lo possiamo considerare un visionario. Piccolissimo imprenditore di Carpi, forse con potenzialità minore rispetto allo stesso Martinelli, sicuramente molto più piccolo della stragrande maggioranza delle imprese veronesi, Setti aveva ben chiara una cosa. Se ben gestito il Verona è una miniera d’oro.

Lascio perdere qui il percorso che Setti ha fatto per ottenere i risultati di oggi. E’ stato un percorso travagliato, pieno di errori, ma che il presidente ha sempre corretto con tremenda puntualità, tagliando teste e liberandosi di coloro che lo avevano mal consigliato.

Resta il fatto innegabile, che grazie a fiuto, istinto, fortuna, lungimiranza, concretezza, il Verona oggi è una società che ha i conti a posto e produce utili. Lo stipendio enorme di Setti altro non è che il risultato di tutto ciò.

Setti ha dimostrato urbi et orbi che il Verona non è un peso ma uno straordinario marchio, che tra l’altro avrà ulteriori sviluppi nei prossimi anni. Nessuno potrà più dire da Setti in poi che il Verona è un buco nero in cui qualche sprovveduto ci mette i capitali di famiglia, rovinandosi. In realtà il Verona è una macchina da soldi e Setti lo ha dimostrato e probabilmente lo dimostrerà ancora quando lo rivenderà a 80, 90 100 milioni di euro a qualche fondo straniero. Quei soldi, insomma, Setti se li merita, alla faccia di chi voleva far sparire il Verona.

DOTTOR JECKYLL E MISTER TUDOR

Qual è quello vero? Quello che ha rivitalizzato il Verona, che gli ha dato idee, gioco, gol, che ha vinto gare con lo spogliatoio contagiato dal Covid, che ha battuto la Juventus, pareggiato a Napoli, fermato la Super Fiorentina di Italiano o quello che sbaglia formazione a Venezia, che fa i cambi in ritardo, che fa giocare Ilic a dispetto dei santi e dell’evidenza, che tiene Tameze, semplicemente il migliore del Verona in panchina e che cicca la gara più semplice con l’ultima in classifica? Qual è il vero Tudor, Jeckyll o il mister andato in panchina con la Salernitana?

Non è un giudizio definitivo e sicuramente il credito dell’allenatore croato che ha preso il posto dello sfortunato e perdente Di Francesco è enormemente più grande rispetto ai suoi (pochi) demeriti. Ma qualche critica va pur mossa dopo una tale scoppola, contro una Salernitana che così conciata avrebbe fatto fatica a salvarsi anche in serie B.

Certo la serata, il contesto, l’assurda decisione di giocare comunque in mezzo alle incertezze della pandemia e l’arbitro Dionisi sono fattori da tenere presente. Ma non possono in ogni caso rappresentare un alibi per giustificare la sconfitta del Bentegodi. Un Verona impacciato, lento e confuso ha perso contro una squadra che era arrivata a Verona con il solo obiettivo di contenere il passivo. Tudor ci ha messo del suo. Quel centrocampo con il baby Ilic e il vecchio Veloso continua a lasciarci terribilmente perplessi. Non abbiamo visto “dominio” del Verona, ma solo sterile possesso palla e buchi enormi ogni volta, per fortuna raramente, in cui la Salernitana ripartiva. Ora, lungi da noi ritenere Tameze un fenomeno, ma di certo è il migliore tra i centrocampisti dell’Hellas. Con lui in campo è più che evidente che abbiamo visto le migliori edizioni del Verona. E con lui vicino sia Veloso, sia l’acerbo Ilic ne beneficiano. Il tentativo di continuare a far giocare il serbo in coppia con Veloso è controproducente anche per lui e sta provocando una pericolosa svalutazione di un talento che va compreso e messo a fuoco.

Anche la gestione di Barak è abbastanza strana. Per quello che abbiamo visto con la Salernitana e nello spezzone di La Spezia, Barak resta uno di quelli che fanno la differenza. Non lo abbiamo visto né con il freno a mano tirato né condizionato dal problema alla schiena. Magari non avrà i novanta minuti, magari bisogna centellinarlo, ma sicuramente andava messo prima se non dall’inizio contro la Salernitana.

Poi ci sono i cambi. Personalmente ritengo che debbano essere sempre fatti con una logica e con tempismo. Esce un trequartista e ne entra un altro, esce un centrocampista e ne entra un altro. Questa idea del poli-giocatore non mi ha mai entusiasmato. Grosso che s’intestardiva con questa cavolate, metteva Dawidowicz a fare il play-maker e Faraoni a centrocampo. E abbiamo detto tutto. Tudor spesso cade in questo difetto che lo avvicina più a Pirlo, Grosso, Montella che a uno come Juric.

Insomma oggi mi chiedo chi sia veramente Tudor: quel meraviglioso allenatore che ha strabiliato per tante gare in questo torneo giocando un calcio cristallino vicino a quello di Juric e Gasperini o quello che ogni tanto si perde e perde gare come quella con la Salernitana?

PER UN D’AMICO IN PIÚ

Con Tony D’Amico ci sono state scintille in passato. Non lo reputavo pronto a essere il ds del Verona, erede di Fusco, inadatto al ruolo. Tony s’incazzò con me e con Telenuovo in una conferenza stampa diventata famosa. Pensava fossimo noi a far andar male le cose, se Grosso non ne imbroccava una. Semplicemente facevamo notare quello che era evidente a tutti. Grosso non c’entrava niente col Verona. Ci siamo trovati una volta in un’aula del tribunale per cercare di trovare un’intesa. Non avevo mai parlato con lui, non c’era modo di intenderci, ma quel giorno abbiamo allacciato un minimo di rapporto. Forse lui si accorse che non ero così stronzo come gli raccontavano le anime nere della sede e io mi accorsi che non era così scarso come pensavo. Anzi. Vidi una persona di carattere, risoluta, pronta a lottare per le sue idee e per il Verona.

Poi c’è stato un altro incontro: stavolta più disteso, ma in cui ci siamo detti in faccia tutto. Io quello che pensavo di lui e lui quello che pensavo di me. Da quel giorno con D’Amico non ho più avuto problemi. Come sempre faccio ho cercato di essere libero nel mio giudizio. Ne ho apprezzato la capacità di stare a fianco di Juric. Credo che Tony sia cresciuto moltissimo accanto all’allenatore croato, che lo ha fatto migliorare nella gestione e nella visione del calcio. Ma credo anche che Juric ne abbia assai beneficiato. Tanto da rimpiangerlo oggi.

Dopo l’addio traumatico di Juric c’era il rischio che il castello cadesse. E invece, proprio in quel momento, Tony D’Amico è uscito fuori dimostrando di essere oggi la trave portante del Verona. Ha sbagliato con Di Francesco, ma ha avuto intelligenza, capacità e, permettetemi, le palle, di cambiare assumendosi tutta la responsabilità. Lo ha fatto perché credeva veramente nel suo lavoro e nella squadra che aveva costruito. “E’ forte” mi disse quando esonerò Di Francesco, vincendo a fatica la mia diffidenza. Aveva ragione lui.   Se allenata in  un certo modo questa squadra è forte e Tony sapeva che con Tudor le cose sarebbero tornate al loro posto. Questo Verona è figlio suo, non c’è dubbio, ed è merito suo se l’addio di Juric non ha provocato ribaltoni. Cedendo Zaccagni e prendendo Caprari, penso abbia costruito il suo capolavoro. Non l’unico, peraltro. Oggi è l’uomo più importante del Verona, Setti che lo ha scelto e lo ha difeso, giustamente se lo può coccolare.

CALCIO MODERNO: SIAMO STATI SCONFITTI IN NOME DEL DENARO E DELLA MIOPIA DEI DIRIGENTI

Un giorno scopro che si sono venduti anche le conferenze stampa pre partita. Sì, avete capito bene cari lettori. Quelle interviste del pre-gara in cui sono ammesse “massimo due domande” le gestisce Infront. A Verona e in altri posti. In pratica si sono venduti un prodotto fatto con le domande dei giornalisti. Non so quanti colleghi lo sappiano e se ne sono informati l’Ordine e le associazioni di categoria. Ma è così. E’ una delle tante sconfitte di cui ormai mi sono abituato. Viviamo un tempo in cui scriviamo ogni settimana di una cosa che non vediamo e che non conosciamo. E’ giusto che anche voi lo sappiate.

Le formazioni pre gara sono una cialtronata, una specie di oroscopo senza neanche sapere come sono messi gli astri. Non vediamo gli allenamenti, non siamo informati sugli infortunati, i convocati arrivano a poche ore dalla partita. Scopriamo poco prima dell’inizio della gara se ci sono sorprese, novità. Con la mia redazione stiamo pensando di togliere questo toto-formazione perché francamente ci pare di prendervi in giro. Non è un problema del Verona è un trend generale che dura da tempo e che la pandemia ha solo peggiorato, dando almeno la giustificazione agli assurdi allenamenti a porte chiuse. I giornali si sono piegati a questo assurdo andazzo nel nome della pigrizia, del quieto vivere, del basso profilo.

Il problema non siamo noi giornalisti. Siete voi tifosi. Ormai relegati solo alla voce clienti, senza più un minimo di rapporto con la squadra, legati solo ai social dove abbondano cuoricini e frasi di circostanza, spesso banali citazioni da film tipo il Gladiatore. Oppure offese da ultras da tastiera, schermaglie tra bambinetti infoiati.

Le società sembrano ormai imprese editoriali con fotografi, giornalisti, media manager e paccottiglia del genere. Producono un’informazione aziendale, priva di massa critica, di obiettività. Che il pubblico ormai percepisce, tanto da snobbare le interviste plastificate e pilotate, le non domande, le frasi fatte avvertendo anche inconsapevolmente, il baco della disinformazione. Una banale domanda onesta in una conferenza stampa ormai fa lo stesso boato dell’esplosione avvenuta a Beirut.

Abbiamo perso, siamo stati sconfitti, su questo non c’è dubbio, perché nessuno ha più voglia di lottare. Ma anche loro, questi miopi dirigenti del calcio italiano, senza una strategia a lungo termine, senza visione, stanno perdendo. Non si tratta di tornare agli anni ’80 (quando al Bentegodi esaurito voleva dire avere 50 mila spettatori) ma avere un’idea di dove si vuole andare.

Il calcio italiano sta perdendo appeal, sta perdendo interesse, sta perdendo pubblico. E loro suonano l’orchestrina, felici di aver ceduto i diritti ad una piattaforma che prende in giro i propri clienti con servizi scadenti e complicazioni indecenti. Chiedono soldi allo stato per girarli a esosi procuratori che ormai comandano le società spesso da paradisi off-shore dove non pagano le tasse. Non si accorgono che l’iceberg si avvicina e li farà affondare.

UNA SQUADRA CHE RENDE ORGOGLIOSI

Si chiude il 2021, il Verona è stata una delle cose migliori che ci sia capitata. Da tre anni, ormai, questa squadra è un orgoglio. Lontanissimi i tempi in cui transitavano da queste parti giocatori mediocri che non onoravano la maglia. La bravura della società, che ha imboccato la strada giusta ingaggiando contro il comune sentire Ivan Juric, ha continuato a regalarci soddisfazioni anche quando l’allenatore croato se n’è andato. Un passaggio delicatissimo che non è stato indolore e che è transitato dall’errore di aver scelto Di Francesco, un bravo allenatore e un ragazzo d’oro, arrivato a Verona nel momento sbagliato.

Tony D’Amico, ormai lontano parente di quello che sceglieva Grosso, ha preso il coraggio a quattro mani, rendendosi conto dello sbaglio con grande anticipo e con la forza dell’umiltà si è addossato la pesante responsabilità di quella mossa. Poi è arrivato Tudor, un gigante burbero che ha in quattro e quattr’otto rimesso le cose apposto, Seguendo le preziosi indicazioni del ds, il nuovo allenatore ha raccolto risultati entusiasmanti che hanno infiammato i tifosi. Ad un certo momento il Verona sembrava potesse diventare una grande rivelazione del campionato, ma il calcio e il campionato di serie A, sono una livella e gli ultimi risultati hanno riportato tutti sulla terra.

L’obiettivo primario è raggiungere una salvezza tranquilla che possa regalare finalmente una stabilità in serie A. Non finiremo mai di ricordare quanto questa stabilità sia importante per il Verona. Non è un caso che una salvezza al terzo anno di fila non accada dagli anni di Bagnoli ed è questa salvezza che metterà, senza più ombra di dubbio, Maurizio Setti tra i migliori presidenti della storia del Verona.

Lo andiamo dicendo da tempo e lo dice uno che non ha mai lesinato critiche a Setti. Il presidente ha scontato scelte discutibili nel management che lo avevano fatto precipitare in un baratro. Abbiamo vissuto un paio di anni veramente brutti, i peggiori come disaffezione dell’era post scudetto. Ma una cosa Setti ha dimostrato in questa sua presidenza. Sa imparare dagli errori e si sa correggere. Con indiscutibile fiuto imprenditoriale, ha cacciato tutti gli incapaci, ha tenuto quelli bravi, ne ha chiamati altri di livello finalmente superiore. Tra queste sue ottime scelte ci sono in primis proprio Tony D’Amico, poi   Simona Gioè, la donna dei conti, Pantaleo Longo, esperto in Palazzi e regolamenti e il capo della comunicazione Andrea Anselmi.

Non è comunque finita e la salvezza va conquistata. Non la darei per scontata anche se molto probabile. La serie A, ce lo dimostra la nostra storia, può anche contenere delle brutte sorprese. Incappare in un filotto di gare negative e di sconfitte può accadere, bisogna sempre tenere le antenne diritte. Il ritorno sarà molto più duro dell’andata, si raccoglieranno fisiologicamente meno punti e pensare di avercela fatta può tramutarsi una trappola.

Il Verona va rafforzato e migliorato. Ci sono giocatori che non servono, altri che sono delle inutili suppellettili, altri che vanno valorizzati in maniera diversa. Non sarà solo un mercato su cui ricamare, ma un un mercato in cui sarà necessario fare due, tre mosse di sostanza per mettere in sicurezza la nave.

Il resto lo farà un gruppo meraviglioso che continua a regalarci soddisfazioni, anche quando perde, perché sempre dà in campo tutto.

Infine voglio augurare a tutti voi che continuate ormai da decenni ad animare questo blog e queste pagine con la vostra presenza, Buon Natale. Gialloblù, ovviamente.

GRAZIE IVAN: ADESSO ABBIAMO CAPITO CHE SEI UN UOMO VERO (E UN GRANDE ALLENATORE)

Ce l’abbiamo fatta. Dopo mesi di bordate, di incomprensioni, di litigi, di tensioni, Juric ci ha spiegato tutto. Ci ha spiazzato. Ha detto quello che forse sapevamo già ma che nessuno avrebbe mai ammesso con quella sincerità. Juric ha detto: è stata colpa mia. Ho esagerato. Mi sono comportato da stronzo. Quello che non ha detto, ma era ampiamente sotto inteso, era: mi sono pentito di essere andato via.

Juric sbaglia, è umano, così umano che poi ammette gli sbagli. Ha un caratteraccio terribile, ma è un romantico, un passionale, un uomo vero. Pensavamo fosse il solito mercenario passato di qua, lo abbiamo chiamato “traditore” perché ci siamo sentiti traditi e perché gli abbiamo voluto bene sinceramente. Ci ha lasciati troppo presto, prima di scrivere la storia del Verona. Una pagina che avrebbe potuto essere la più bella dopo Bagnoli. E non l’abbiamo perdonato quando se n’è andato in quel modo. Non capivamo. Io e tanti di voi. Sono felice di aver ritrovato il Generale che mi aveva affascinato, che mi aveva fatto tornare l’amore per il Verona, con cui era un piacere parlare di calcio nelle conferenze stampa, mai banale, mai scontato, sempre pronto a dare una risposta anche scomoda. Diverso dagli altri, così come lo avevo battezzato all’inizio.

E’ successa una cosa incredibile nello studio di Alè Verona ieri. Quando Juric diceva quelle cose, quando ammetteva di aver sbagliato con Setti e quando ha dolcemente detto “mi avete tanto”, ci siamo ritrovati tutti in un silenzio commosso. Le parole ci hanno toccato, siamo tornati bambini, quelli che credono alle favole e credono nei loro eroi. E’ stato bello, come riabbracciare un vecchio amico con cui avevi litigato e per un po’ non ti sei sentito. Ora le strade sono diverse, ma quel testone irascibile e spigoloso sarà sempre nel nostro cuore. Anche di chi non lo vorrà mai ammettere.

UNA SOLA DOMANDA PER JURIC: MA ALLORA PERCHE’ SE N’E’ ANDATO?

Verona è l’eden, il paradiso terrestre, il Nirvana. Noi in 20 mila suglia spalti, nella fredda Torino sono sei settemila. Setti? Un presidente “illuminato” di più, eccezionale. E D’Amico? Un fratello. Le dichiarazioni di Juric alla vigilia della gara con il Verona contengono una verità diversa, dunque, rispetto a quella che lo stesso tecnico ci ha raccontato per tanti mesi. O forse, è stata solamente un’altra “genialata” dell’intelligentissimo allenatore croato. Esaltare Verona, per sferzare Torino, Cairo, Vagnati, i granata. Altrimenti, la domanda sorge spontanea. Scusi mister, ma perchè allora se n’è andato? Provate voi a dare una risposta.