ECCO PERCHE’ PENSARE ALL’EUROPA E’ UNA STUPIDAGGINE

Bisogna essere realisti. Stavolta più di sempre. Il Verona è una buona squadra, non direi ottima, forte per lottare per la salvezza, non certo adeguata per altri discorsi. Non adesso almeno. Non senza qualche rinforzo mirato. Genova ci restituisce la dimensione vera dell’Hellas. Lasciamo perdere ogni volo pindarico, le classifiche di un mese fantastico, lo stato di grazia di Simeone e Caprari. I conti si faranno alla fine e, lo ripeto sino alla nausea, solo dopo aver conquistato la salvezza. Semmai ci sarà spazio a qualche sogno, lo potremo fare solo dopo aver conquistato 40 punti. La salvezza e solo la salvezza è l’obiettivo e se riteniamo che battere la Sampdoria sia facile ci sbagliamo di grosso.

La partita di oggi è solo un fisiologico stop. Ci sta. D’Aversa è un allenatore ostico, ha preparato bene la partita, ha lasciato che il Verona facesse il suo gioco, lo ha colpito nei suoi punti deboli. Un paio di critiche per Tudor.

Non capisco questo ruotare continuo dei tre di difesa. Non credo sia salutare per giocatori che hanno già dei limiti tecnici e che devono trovare nell’adattamento e nell’abitudine della posizione la loro certezza. Ci sono distanze, movimenti, il semplice rapporto con il compagno di reparto che non possono continuamente essere messi in discussione. Non mi sono mai piaciuti i giocatori polivalenti. Non ci credo. Quando si ruota troppo una rosa e non ci sono ruoli definiti c’è sempre un po’ di confusione. Poi, ovviamente, ci può essere qualche emergenza e qualche giocatore sacrificato ma deve essere appunto un evento straordinario.

La seconda critica è sulle sostituzioni. Non è facile, me ne rendo conto, per il semplice fatto che noi non siamo a conoscenza di tutte le sfumature, dello stato di salute dei giocatori e di come l’allenatore sta vedendo dal campo la situazione in quel momento. Però c’è anche un’evidenza. Lasagna è stato inutile, Cancellieri forse poteva essere inserito prima, mentre l’uscita dal campo di Tameze ha lasciato praterie a loro.

La sconfitta è stata meritata e da quando è arrivato Tudor è la prima volta che succede. Credo ci faccia anche bene. Sono certo che già martedì sera contro rivedremo il Verona dei pirati dare l’assalto al vascello dei sardi.

A METÀ DELL’OPERA

Con la vittoria di volontà ottenuta contro l’Empoli il Verona sale a quota 19 in classifica , in una posizione esaltante che fa sognare. La squadra di Tudor in questo momento è esattamente a metà dell’opera che sarà compiuta solo ed esclusivamente quando sarà raggiunta la fatidica quota 40. Questo e solo questo è l’obiettivo principale del Verona. Pensare ora ad altre amenità è una follia. Sfugge a qualcuno quanto il traguardo rappresenti in realtà un’autentica impresa. Scrissi qualche anno fa che Setti avrebbe guadagnato il suo posto nella storia non tanto ottenendo promozioni con l’aiuto del paracadute, ma quando avrebbe consolidato la squadra in serie A. Questa salvezza avrebbe proprio questo significato diventando una tappa storica del percorso del Verona. A Setti allora si potrà finalmente dire di essere stato il miglior presidente dopo i leggendari anni ‘80, non scordando ovviamente neppure gli anni del commendator Garonzi. Ma questo non toglie un millimetro ai meriti e alla bellezza di una squadra sempre più consapevole della propria forza (Barak: “Siamo più forti dello scorso anno”) e che, citando Andreazzoli “può pensare in grande”. La voglia e la determinazione con cui il Verona ha cercato e ottenuto la vittoria con l’Empoli, hanno compensato ad una serata non brillantissima dal punto di vista del gioco, in cui gli avversari avrebbero meritato il pareggio. Ma è stata quella voglia a spostare l’ago della bilancia a favore dell’Hellas che ha poi festeggiato sapendo di aver catturato tre punti d’oro. È ancora lunga ma se prima era una faticosissima salita ora la strada è pianeggiante, se non addirittura in leggera discesa.

E’ STATO IL MIGLIOR VERONA DELLA STAGIONE

Seguitemi un secondo. Non ho detto il Verona più spettacolare o il più divertente. Ho detto il miglior Verona della stagione. E vi spiego perché. A Napoli si giocava contro una squadra che fino ad oggi ha dominato il campionato, che ha preso pochissimi gol, che ha trovato una quadratura quasi perfetta e che in casa aveva sempre vinto. Il Verona lo ha affrontato con la mentalità delle grandi e l’umiltà delle piccole. Nessuna “tattica ostruzionistica” come ho sentito blaterare nella sala stampa napoletana, solo una grande personalità e una grande consapevolezza nei propri mezzi. E’ un Verona che non ho mai visto così maturo. Una squadra evoluta, che sa accelerare, che sa leggere i momenti della gara, che sa soffrire e colpire duro quando serve. La vittoria è sfuggita per il paperone di Montipò e la scarsa vena realizzativa di Barak, ma non è il risultato che conta. Oggi più che mai. Anche in difficoltà e senza l’insostituibile Lazovic, l’Hellas ha offerto una prestazione tra le più belle di queste prime dodici. Tudor ha finalmente trovato l’assetto giusto con quella coppia a centrocampo che regala equilibrio e geometrie, con Simeone e Caprari a disegnare pizzi e merletti, con Dawidowicz che meriterebbe un capitolo di Edmondo De Amicis, con Günter che ha ripreso il posto momentaneamente lasciato al fratello, con Barak in versione Premier League, con Casale che rischia di fare la fine di Kumbulla e Faraoni che è sicuro come i Bot delle poste. Il lavoro di Tudor durante la settimana ormai è paragonabile a quello di Michelangelo quando scolpiva la Pietà: un capolavoro. Di cui peraltro intuiamo la bellezza ma che ancora ci sfugge come destino. Ed è possibile che in realtà il meglio debba ancora venire. Ragionateci sopra, direbbe Zaia.

JUVERONA

Forse domani mattina ci svegliamo e scopriamo che abbiamo sognato. Ma intanto ce la godiamo. E’ difficile da spiegare cosa sia battere la Juventus e quale goduria possa provocare in un tifoso del Verona. Non c’è squadra in Italia che dia simile soddisfazione. La Juventus rappresenta il potere, rappresenta la sudditanza psicologica, Agnelli, Moggi e Giraudo, Bettega che segna con la mano, i ricchi contro i poveri, il contadino contro il nobile, il re contro il popolo. Spesso, quasi sempre, vincono loro, perché non è vero che il mondo è giusto.

Qualche volta, raramente, vinciamo noi. E quelle vittorie finiscono diritte nel libro delle leggende, ce le ricordiamo tutte. Ogni volta che la Juve esce bastonata. Ed è sempre bellissimo. Come quando, era il primo anno di Bagnoli segnò addirittura Tricella. O quando Prandelli fece diventare Cammarata il nostro campione. Abbiamo gioito persino quando Gomez pareggiò all’ultimo minuto. L’ultima volta fu Pazzini a farci impazzire.

E ora è la nostra notte, l’ultimo sogno. Popolato dal Cholito Simeone, argentino carogna come il veleno, bravo come un tenore dell’Arena che canta “Nessun dorma”. Accanto a lui ci gioca uno che sembra fatto apposta per il Verona. Si chiama Caprari, deve aver saputo che sotto l’ala dell’Arena siamo specializzati nel dare una seconda chance a giocatori di qualità. La fila è lunghissima, Gianluca è l’ultimo della lista. C’è poi un portiere che per un attimo abbiamo sottovalutato. E lui ha tirato giù la saracinesca persino del Parcheggio Cittadella.

E pareva che il mondo finisse dopo che se n’era andato l’ultimo, bravissimo allenatore. ed invece ne arriva un altro che addirittura riesce a migliorare un capolavoro, rendendolo ancora più bello.

Ed ora dormi Verona, cullandoti tra la collina e il Lago. Buonanotte e chissà mai che i sogni non diventino realtà… Magari per una sera la Juve siamo stati noi.

UNA PARTITA CHE FORSE E’ STATA PIU’ UTILE DI QUANTO CI E’ SEMBRATO (VEDI MERCATO DI GENNAIO)

Moriremo col dubbio se con un’altra formazione (quella del secondo tempo) il Verona avrebbe potuto vincere a Udine. Io credo di sì e credo che Tudor abbia sbagliato. Non tanto a cambiare giocatori, ma a snaturare in quel turn over il senso stesso del Verona.

Non è un problema di cambiare interpreti se mantieni un’idea di squadra. Il problema arriva quando mescoli le carte e provi soluzione astruse tipo Tameze a sinistra, un’evidente forzatura. Tudor ha spiegato le sue mosse con l’impossibilità di giocare tre gare così ravvicinate e il suo discorso fila, ma fino ad un certo punto. Perché si poteva, ad esempio, partire con gli stessi undici, o quasi, che avevano costruito l’impresa con la Lazio e poi semmai cambiare.

C’è poi un evidente limite in quelli che chiamiamo “sostituti”. Non faccio una valutazione assoluta, ma relativa al momento e al contesto. E’ più che evidente che Hongla rimanga un oggetto misterioso e che sia un pesce fuor d’acqua in questa squadra. Lo stesso discorso vale per Sutalo, mentre Ruegg e Frabotta li mettiamo tra gli oggetti misteriosi. La difficoltà di fare turn over sulle fasce è più che evidente, Faraoni e Lazovic sono insostituibili al momento, ma c’è da aprire un serio ragionamento anche sulla retroguardia. I tre della difesa sembrano su una giostrina, uno entra, uno esce, si cambia troppo e questo non sta dando frutti.

Capisco e giustifico invece l’impiego di Lasagna. Quando lo fai giocare se non a Udine, davanti alla squadra che gli ha voluto bene ma che lo ha anche ripudiato? Kevin è un ragazzo d’oro, troppo per i piranha della serie A. Non ha cazzimma, non ha garra, gli scivola tutto addosso, timido e un po’ triste nel suo non essere compreso fino in fondo. La concorrenza non lo stuzzica anzi lo sta ancora di più affossando fino a farlo diventare un inutile investimento. Ed è un peccato perché lui è una scommessa che poteva essere vinta ma che rischia di finire clamorosamente persa. Gennaio è dietro l’angolo e forse la partita di stasera, in questa chiave, è stata più utile di quanto ci è sembrato.

SIMEONE, L’ATTACCANTE CHE L’HELLAS CERCAVA DA ANNI

Fame, grinta, garra. E senso del gol. Ma non solo: si sacrifica, corre, fa assist. E’ come se il puzzle avesse trovato il tassello giusto quello che mancava da tempo. Un tassello che s’incastra alla perfezione: el Cholito Simeone è l’attaccante perfetto per il Verona, non a caso Juric lo ha inseguito per due anni e chissà cosa poteva diventare quella squadra con lui al posto di Stepinski.

E’ arrivato quando Juric se n’è andato, e siccome l’amore (ma non solo) a volte fa dei giri lunghissimi, Simeone è stato consigliato anche da Di Francesco che però non se l’è goduto. E così alla fine è Igor Tudor che ne mangia i frutti prelibati.

In realtà ce lo godiamo tutti noi, perché il Cholito è l’attaccante che abbiamo sempre sognato e poche volte avuto. E’ come tornare ai tempi di Cacia e poi di Luca Toni.

Simeone si è già ritagliato un posto nella storia del Verona con questo poker fantastico, ma a mio avviso siamo solo agli inizi. Perché mi pare più che evidente che Simeone abbia trovato finalmente il suo posto nel mondo. E cioè fare l’attaccante del Verona, magari al fianco di Gianluca Caprari, il miglior compagno che si potesse trovare.

I due messi assieme mi sembrano due “cagacazzo” come Iorio e Galderisi, i puffi al tritolo di Bagnoli. Uno inventa, l’altro conclude e si cercano come due che alla sera vanno a cena assieme, intesa perfetta.

Ridurre il Verona a loro due però sarebbe sbagliato. Questa squadra viene da lontano, dal lavoro eccezionale di Juric che ha scavato solchi profondissimi nello spogliatoio e in campo, viene dalle scelte oculatissime di D’Amico (Caprari rischia di diventare un capolavoro clamoroso, lo dice uno che pensava Zaccagni insostituibile), viene da una società che a piccoli passi continua a migliorare.

E viene anche dal buon senso di Tudor che pare un po’ come Capello dopo Sacchi. L’uomo che vive sull’onda creata dal predecessore ma che la mantiene in vita e persino la migliora.

SE TRE INDIZI FANNO UNA PROVA…

Può una squadra buttare via una partita così? Alla terza volta che succede è fin troppo ovvio che qualcosa non va. Il Verona sta lasciando per strada punti preziosi e poco importa se prende applausi e se domina per metà tempo. Perché è necessario capire in fretta cosa succeda nella testa e nelle gambe di una squadra capace di annientare gli avversari e che poi spegne improvvisamente la luce. Prima che sia troppo tardi e che si pianga sul latte versato.

A San Siro è andato in onda lo stesso copione visto a Salerno e rivisto col Genoa. Ma a pensarci bene è anche lo stesso copione visto alla seconda giornata con l’Inter. Il Verona è bellissimo, attacca alto, vince i duelli, segna, diverte e si diverte. Gli avversari sembrano in sua completa balia ma poi ecco che la squadra pian piano si abbassa, i muscoli s’intossicano di fatica, il ritmo cala, il pressing uomo su uomo viene meno e pian piano gli avversari si portano nell’area scaligera dove qualcosa succede sempre e quando non succede la facciamo succedere come nel caso di Gunter, goffo e appannato di fatica, tanto da infilare Montipò clamorosamente.

Il Verona è una squadra fisica, atletica, capace di suonare un solo spartito. E’ stata creata ad immagine e somiglianza di Juric e del suo calcio, tanto da aver rigettato come un organo trapiantato in un corpo non suo, Di Francesco, rimasto a metà tra l’essere se stesso e l’imitazione venuta male del predecessore.

Il calcio di Juric non ammette mezze misure. O si fa ai mille all’ora o non si fa. Devi andare a ritmo altissimo tutta la gara, non puoi mai abbassare quell’intensità. Problemi che esistevano anche con Ivan, basti guardare alla seconda metà della scorsa stagione, quando appena appena si sono abbassate le motivazioni e di conseguenza il furore, il Verona ha perso una sfilza di partite.

Tudor, poveretto, è alle prese con una vera e propria impresa. Da una parte deve ridare intensità alle gambe dei giocatori, dall’altra deve ottenere risultati immediati. Il secondo obiettivo è stato centrato, mentre il primo è difficilissimo ottenerlo, in mezzo a turni infrasettimanali, impegni delle nazionali, infortunati. Di Francesco, se non è ancora chiaro a tutti, è saltato perchè non garantiva questa intensità e la squadra riduceva di gara in gara la propria autonomia.

Per questo non si può tirare la croce addosso all’allenatore attuale, né tantomeno alla squadra che pecca solo di una falsa partenza dovuta al cambio di allenatore e di metodi in cui probabilmente non è stata immagazzinata benzina sufficiente a reggere 90 minuti e oltre.

Finiamo ogni gara pensando a quale bicchiere sia bene guardare. A quello mezzo pieno di un primo tempo devastante o al secondo in cui si è scialacquato tutto? Dopo questa sconfitta con il Milan, scusatemi, ma non riesco proprio a farmi passare l’idea che abbiamo buttato via tre punti. E se qualcuno è contento lo stesso, si faccia vedere da uno bravo.

SETTI NON E’ UN EMIRO MA NON E’ NEANCHE SATANA

Chi è Maurizio Setti? Che giudizio darà la storia sul presidente del Verona? Ci siamo spesso arrovellati su queste considerazioni, molto spesso condizionati dai risultati della squadra scaligera. Non è facile rispondere perché il rischio di fraintendimento è alto e non è nemmeno facile essere compresi. Bisogna anche astrarre il personale giudizio sull’antipatia o la simpatia del personaggio per guardare solo al suo lavoro alla guida del Verona.

I fatti dicono che Setti ha preso il Verona nel 2012, nove anni fa. Sei di questi il Verona li ha passati in serie A, ottenendo tre promozioni dalla serie B. E’ un bilancio notevolmente migliore rispetto a tutte le gestioni precedenti, anni di Chiampan esclusi, ovviamente.

Basterebbe questo per girare in positivo il giudizio. In realtà qualche considerazione va fatta perchè nessun proprietario precedente a Setti ha mai goduto di tanti soldi assicurati dal sistema calcio. E nonostante questi soldi il Verona è retrocesso malamente due volte, una in particolare con una rosa altamente inadeguata. Una retrocessione quasi programmata, tesa ad abbassare i costi e a incassare il paracadute.

Va detto che dopo quella sciagurata stagione con l’aggravante della successiva in cui Setti ha quasi “bissato” il fallimento sportivo rischiando clamorosamente di non andare in serie A fino all’esonero di Grosso, la società ha svoltato, cercando una stabilità che da tempo a Verona non vedevamo.

L’ingaggio di Juric, due stagioni fantastiche e tante plusvalenze hanno prodotto opulenza finanziaria ma anche una rosa che negli anni è sempre migliorata e in cui i giocatori di proprietà sono sempre di più.

Una crescita che probabilmente con un imprenditore più forte di Setti avrebbe potuto essere esponenziale ed è proprio su questo punto che bisogna riflettere. Possiamo fare una colpa a Setti di non essere un emiro saudita? Evidentemente no. Anche perché lo stesso Setti non ha mai barato su questo punto. Setti è un piccolissimo imprenditore che da solo sta gestendo il Verona. Credo che fino ad oggi, date le possibilità, abbia comunque fatto il massimo possibile. Credo anche che questo massimo sia stato raggiunto. Più di così, Setti difficilmente potrà fare alla guida del Verona. Juric lo sapeva benissimo quando ha firmato il suo contratto triennale e tirare Setti per la giacchetta da questo punto di vista non è stato giusto.

Il più grande merito di Setti, credo, sia aver fatto capire alla città e agli imprenditori veronesi che il Verona è un buon affare quando gestito con criterio. Il fatto che il presidente si paghi un lauto stipendio per il suo lavoro non rappresenta di per sè un problema. A patto che il lavoro sia buono. E poichè negli ultimi due anni la gestione del Verona e i risultati sportivi sono stati eccellenti, ritengo personalmente adeguato lo stipendio di Setti. Non è quello il problema. Lo sarà nel momento in cui il Verona dovesse retrocedere e Setti continuasse a pagarsi quell’emolumento.

Tornando al giudizio: quest’anno sarà una stagione fondamentale per il Verona e per lo stesso presidente. Il Verona non si salva per tre anni di fila in serie A dagli anni di Bagnoli, riuscirci sarebbe una piccola, grande impresa che assicurerebbe al presidente un importante posto nella storia del Verona. Che è molto meglio di essere simpatico. 

IL NERVO SCOPERTO DELLA CASA DELL’HELLAS

L’ultimo in ordine di tempo è stato il Vicenza. Anche i biancorossi, che l’anno scorso erano in serie C e ora sono in B, si sono dotati di un nuovo centro sportivo.

Sono sempre di più le piccole squadre virtuose che hanno un centro in cui allenarsi. Il SudTirol per fare un esempio, ma anche l’Albinoleffe.

Senza scomodare la Fiorentina dove Commisso ha iniziato da qualche mese i lavori del Viola Park.

A Verona se ne parla da molti anni ormai, praticamente dall’avvento di Setti, ma ancora non si vede traccia di un progetto del genere.

Ci sono molte responsabilità in questo stallo. La prima è ovviamente della società. Per un motivo o per l’altro, Setti che pure aveva saggiamente indicato nella costruzione di un centro sportivo una delle sue priorità, non ha concretizzato. Ipotesi ce ne sono state molte. Durante l’amministrazione Tosi era stata individuata un’area ma poi, con la serie B, Setti tergiversò e non se ne fece nulla con ira dell’ex sindaco. Poi si parlò di Vigasio, ma anche qui zero. Poi del Payanini: altro buco nell’acqua. C’è stata anche una mezza idea di prendere l’attuale centro sportivo di Peschiera, ma ancora non si sa nulla.

La verità, per come la vediamo noi, è che il Verona non debba peregrinare in giro per la provincia. Il Verona deve trovare una casa in città. Così come Setti, in brevissimo tempo, è riuscito a mettere in piedi una sede bella e funzionale, bisogna riuscire a trovare un’area in città che possa dar vita ad un progetto sostenibile per le casse societarie. Cosa non facile, ma non impossibile come dimostrato ampiamente proprio dal Payanini.

E qui entra in campo il secondo soggetto che ha responsabilità in questa storia: la politica veronese ovvero gli amministratori della città.

Molto sensibili, diciamo così, quando si ipotizza uno stadio nuovo, costruito tra l’altro non dalla società (restiamo dell’idea che solo uno stadio di proprietà dia prospettive di crescita all’Hellas e che regalare questo business a “terzi” sia una follia che impedirà ogni possibile approccio di gruppi finanziari interessati alla società in futuro) ma non altrettanto solerte nell’accompagnare il Verona in un percorso che dovrebbe portare ad avere finalmente la casa dell’Hellas.

Non è una questione di regalare terreni a Setti o al Verona. Si tratta solamente di “agevolare” una soluzione che poi avrà inevitabilmente una forte ricaduta sociale ed economica sulla città. Ci sono tanti modi di farlo e dare un’occhiata, per esempio, a Firenze, non farebbe male. Basta avere veramente la volontà di farlo.

“IL VERONA MENO BELLO DA QUANDO SONO QUA”. BEN DETTO COLONNELLO TUDOR!

Lo ha detto lui e non noi che temevano di sfiorare il ridicolo dopo un 4-0. Ci ha pensato Tudor a toglierci dall’impiccio: “Oggi il Verona mi è piaciuto meno che nelle altre tre partite”.

Paradossale ma vero. Al di là del roboante risultato il Verona non è stato brillantissimo e il povero Spezia è uscito dal Bentegodi massacrato oltremisura.

Tudor ha approfittato del poker per sollevare le sue critiche. I gialloblù sono stati precisissimi nel tirare in porta, praticamente dei cecchini ma in quanto a gioco, fase difensiva, coperture, reattività sulle seconde palle, non sono stati certamente inappuntabili. Il messaggio che manda Tudor è molto importante. L’allenatore guarda oltre il risultato, non si accontenta, sa che serve lavorare tanto per colmare il gap iniziale e per tornare a creare solchi profondi di gioco. Altri tecnici avrebbero pubblicamente incensato il loro lavoro dopo un risultato del genere, invece Tudor ha cercato il pelo nell’uovo (che pelo non è) per ricordarci che la realtà parla di un campionato che resta e resterà durissimo fino alla fine.

Ovviamente il risultato è una straordinaria panacea. Aiuta a essere sereni all’allenamemento, a guardare con ottimismo alla profondità della rosa, al talento dei singoli.

Il Verona ha senza dubbio il miglior attacco degli ultimi tre anni e finalmente ne usufruisce. Se ai tempi di Juric le classifiche brillavano per la difesa, ora il Verona risulta al terzo posto come attacco. Da stropicciarsi gli occhi anche perché il dato è rafforzato dalla classifica dei tiri in cui il Verona è paradossalmente all’ultimo posto. Ma questo significa che i gol sono frutto della bravura degli attaccanti che a questo punto possiamo tranquillamente definire implacabili.

Simeone, Kalinic e Caprari sono quanto di meglio si potesse sperare di avere per una squadra che si deve salvare. E proprio Caprari, dovesse confermarsi a questi livelli a lungo, rischia di diventare il più grande colpo di Tony D’Amico, che lo ha scelto per sostituire un top player come Zaccagni. Partenza, che oggi, francamente, nessuno rimpiange più. All’appello manca solo Lasagna. Kevin ha tre mesi di tempo per ritagliarsi uno spazio e per dimostrare che ciò che Juric pensava di lui lo scorso gennaio non era sbagliato. Viceversa sarà uno degli uomini da mettere sul mercato per ritoccare una squadra che ha bisogno solo di qualche pennellata qui e là.

E già che ci siamo: visto che avevamo espresso delle perplessità su Montipò in termini di sicurezza data alla squadra, oggi queste perplessità sono state spazzate via da una prestazione monstre. Anche Silvestri, adesso, è un ricordo più lontano.