Stiamo vivendo anni meravigliosi calcisticamente parlando. Eppure ci manca qualcosa. Terribilmente. A noi che abbiamo vissuto epoche dorate, quando la squadra era dentro la città, quando si potevano toccare con mano i campioni, quando ci facevamo firmare le bandiere e le sciarpe. E’ l’ultimo step, ma il più importante, quello che ancora manca a Setti e forse mancherà per sempre a questa società. Il Verona è una cosa altra, avulsa da noi, non ci appartiene se non alla domenica per poco tempo, troppo poco per farci infiammare l’anima per farlo sentire interamente nostro.
L’Hellas si allena a Peschiera, ormai in un bunker chiuso, fuori dal mondo, fuori da tutto. Allenamenti blindatissimi ora per il Covid, prima per trattenere i segreti di schemi astrusi che alla domenica in campo si rivelavano porcate assolute. La pandemia è un alibi che va bene a tutti, mettiamocela via. Non rivedremo mai più le porte aperte di un allenamento, neanche quando finirà questo tormento.
Le interviste, tranne quelle pre-confezionate per i media che intrattengono rapporti commerciali con la società non esistono più. Esiste una comunicazione social che più volte ho definito fine a se stessa. il Verona si promuove come se fosse un’auto da vendere, come un tortellino, come un vestito. Il tifoso viene tenuto distante, costretto a essere un cliente, un fruitore di un prodotto, costretto persino a digerire in silenzio l’abominio di un’orribile maglietta verde bianca. I giocatori passano da qui e se ne vanno senza lasciare niente. Kalinic, un campione, è andato via dopo uno scarno comunicato alla fine di una partita a mercato chiuso.
Sembra quasi che Setti non voglia portare il Verona dentro la città temendo che faccia la fine di Icaro quando si è avvicinato troppo al sole. Esiste un negozio, a due passi dall’Arena, ma è da tempo immemorabile che non ci va nessuno, sia Tudor o sia Simeone solo a ricordarci che il negozio è ancora aperto.
In sede le facce veronesi le contiamo sulla punta delle dita e nessuno occupa posti di responsabilità. Scrivo ciò proprio stasera dopo un 4-0 in cui fortuna e audacia si sono date una mano, perché sarebbe facilissimo fare come quei lacchè che da tempo credono di essere la voce della società solo perché scodinzolano quando il padrone gli mostra la pallina da riportare e dire sempre che tutto va bene anche quando dal cielo non piove proprio acqua pura. Gli stessi che peraltro affermavano certi qualche settimana fa che Kalinic non se ne sarebbe mai andato da qui.
Ma chi ama il Verona non è chi lascia scie di saliva dove cammina Setti. Ma chi fa notare gli errori e cerca di correggere la visione e la rotta. Che oggi, da questo punto di vista è miope e sbagliata. Il Verona, il nostro bellissimo Hellas, va riportato dentro la città, dentro le nostre mura. Prima che sia troppo tardi.

