SE TRE INDIZI FANNO UNA PROVA…

Può una squadra buttare via una partita così? Alla terza volta che succede è fin troppo ovvio che qualcosa non va. Il Verona sta lasciando per strada punti preziosi e poco importa se prende applausi e se domina per metà tempo. Perché è necessario capire in fretta cosa succeda nella testa e nelle gambe di una squadra capace di annientare gli avversari e che poi spegne improvvisamente la luce. Prima che sia troppo tardi e che si pianga sul latte versato.

A San Siro è andato in onda lo stesso copione visto a Salerno e rivisto col Genoa. Ma a pensarci bene è anche lo stesso copione visto alla seconda giornata con l’Inter. Il Verona è bellissimo, attacca alto, vince i duelli, segna, diverte e si diverte. Gli avversari sembrano in sua completa balia ma poi ecco che la squadra pian piano si abbassa, i muscoli s’intossicano di fatica, il ritmo cala, il pressing uomo su uomo viene meno e pian piano gli avversari si portano nell’area scaligera dove qualcosa succede sempre e quando non succede la facciamo succedere come nel caso di Gunter, goffo e appannato di fatica, tanto da infilare Montipò clamorosamente.

Il Verona è una squadra fisica, atletica, capace di suonare un solo spartito. E’ stata creata ad immagine e somiglianza di Juric e del suo calcio, tanto da aver rigettato come un organo trapiantato in un corpo non suo, Di Francesco, rimasto a metà tra l’essere se stesso e l’imitazione venuta male del predecessore.

Il calcio di Juric non ammette mezze misure. O si fa ai mille all’ora o non si fa. Devi andare a ritmo altissimo tutta la gara, non puoi mai abbassare quell’intensità. Problemi che esistevano anche con Ivan, basti guardare alla seconda metà della scorsa stagione, quando appena appena si sono abbassate le motivazioni e di conseguenza il furore, il Verona ha perso una sfilza di partite.

Tudor, poveretto, è alle prese con una vera e propria impresa. Da una parte deve ridare intensità alle gambe dei giocatori, dall’altra deve ottenere risultati immediati. Il secondo obiettivo è stato centrato, mentre il primo è difficilissimo ottenerlo, in mezzo a turni infrasettimanali, impegni delle nazionali, infortunati. Di Francesco, se non è ancora chiaro a tutti, è saltato perchè non garantiva questa intensità e la squadra riduceva di gara in gara la propria autonomia.

Per questo non si può tirare la croce addosso all’allenatore attuale, né tantomeno alla squadra che pecca solo di una falsa partenza dovuta al cambio di allenatore e di metodi in cui probabilmente non è stata immagazzinata benzina sufficiente a reggere 90 minuti e oltre.

Finiamo ogni gara pensando a quale bicchiere sia bene guardare. A quello mezzo pieno di un primo tempo devastante o al secondo in cui si è scialacquato tutto? Dopo questa sconfitta con il Milan, scusatemi, ma non riesco proprio a farmi passare l’idea che abbiamo buttato via tre punti. E se qualcuno è contento lo stesso, si faccia vedere da uno bravo.

SETTI NON E’ UN EMIRO MA NON E’ NEANCHE SATANA

Chi è Maurizio Setti? Che giudizio darà la storia sul presidente del Verona? Ci siamo spesso arrovellati su queste considerazioni, molto spesso condizionati dai risultati della squadra scaligera. Non è facile rispondere perché il rischio di fraintendimento è alto e non è nemmeno facile essere compresi. Bisogna anche astrarre il personale giudizio sull’antipatia o la simpatia del personaggio per guardare solo al suo lavoro alla guida del Verona.

I fatti dicono che Setti ha preso il Verona nel 2012, nove anni fa. Sei di questi il Verona li ha passati in serie A, ottenendo tre promozioni dalla serie B. E’ un bilancio notevolmente migliore rispetto a tutte le gestioni precedenti, anni di Chiampan esclusi, ovviamente.

Basterebbe questo per girare in positivo il giudizio. In realtà qualche considerazione va fatta perchè nessun proprietario precedente a Setti ha mai goduto di tanti soldi assicurati dal sistema calcio. E nonostante questi soldi il Verona è retrocesso malamente due volte, una in particolare con una rosa altamente inadeguata. Una retrocessione quasi programmata, tesa ad abbassare i costi e a incassare il paracadute.

Va detto che dopo quella sciagurata stagione con l’aggravante della successiva in cui Setti ha quasi “bissato” il fallimento sportivo rischiando clamorosamente di non andare in serie A fino all’esonero di Grosso, la società ha svoltato, cercando una stabilità che da tempo a Verona non vedevamo.

L’ingaggio di Juric, due stagioni fantastiche e tante plusvalenze hanno prodotto opulenza finanziaria ma anche una rosa che negli anni è sempre migliorata e in cui i giocatori di proprietà sono sempre di più.

Una crescita che probabilmente con un imprenditore più forte di Setti avrebbe potuto essere esponenziale ed è proprio su questo punto che bisogna riflettere. Possiamo fare una colpa a Setti di non essere un emiro saudita? Evidentemente no. Anche perché lo stesso Setti non ha mai barato su questo punto. Setti è un piccolissimo imprenditore che da solo sta gestendo il Verona. Credo che fino ad oggi, date le possibilità, abbia comunque fatto il massimo possibile. Credo anche che questo massimo sia stato raggiunto. Più di così, Setti difficilmente potrà fare alla guida del Verona. Juric lo sapeva benissimo quando ha firmato il suo contratto triennale e tirare Setti per la giacchetta da questo punto di vista non è stato giusto.

Il più grande merito di Setti, credo, sia aver fatto capire alla città e agli imprenditori veronesi che il Verona è un buon affare quando gestito con criterio. Il fatto che il presidente si paghi un lauto stipendio per il suo lavoro non rappresenta di per sè un problema. A patto che il lavoro sia buono. E poichè negli ultimi due anni la gestione del Verona e i risultati sportivi sono stati eccellenti, ritengo personalmente adeguato lo stipendio di Setti. Non è quello il problema. Lo sarà nel momento in cui il Verona dovesse retrocedere e Setti continuasse a pagarsi quell’emolumento.

Tornando al giudizio: quest’anno sarà una stagione fondamentale per il Verona e per lo stesso presidente. Il Verona non si salva per tre anni di fila in serie A dagli anni di Bagnoli, riuscirci sarebbe una piccola, grande impresa che assicurerebbe al presidente un importante posto nella storia del Verona. Che è molto meglio di essere simpatico. 

IL NERVO SCOPERTO DELLA CASA DELL’HELLAS

L’ultimo in ordine di tempo è stato il Vicenza. Anche i biancorossi, che l’anno scorso erano in serie C e ora sono in B, si sono dotati di un nuovo centro sportivo.

Sono sempre di più le piccole squadre virtuose che hanno un centro in cui allenarsi. Il SudTirol per fare un esempio, ma anche l’Albinoleffe.

Senza scomodare la Fiorentina dove Commisso ha iniziato da qualche mese i lavori del Viola Park.

A Verona se ne parla da molti anni ormai, praticamente dall’avvento di Setti, ma ancora non si vede traccia di un progetto del genere.

Ci sono molte responsabilità in questo stallo. La prima è ovviamente della società. Per un motivo o per l’altro, Setti che pure aveva saggiamente indicato nella costruzione di un centro sportivo una delle sue priorità, non ha concretizzato. Ipotesi ce ne sono state molte. Durante l’amministrazione Tosi era stata individuata un’area ma poi, con la serie B, Setti tergiversò e non se ne fece nulla con ira dell’ex sindaco. Poi si parlò di Vigasio, ma anche qui zero. Poi del Payanini: altro buco nell’acqua. C’è stata anche una mezza idea di prendere l’attuale centro sportivo di Peschiera, ma ancora non si sa nulla.

La verità, per come la vediamo noi, è che il Verona non debba peregrinare in giro per la provincia. Il Verona deve trovare una casa in città. Così come Setti, in brevissimo tempo, è riuscito a mettere in piedi una sede bella e funzionale, bisogna riuscire a trovare un’area in città che possa dar vita ad un progetto sostenibile per le casse societarie. Cosa non facile, ma non impossibile come dimostrato ampiamente proprio dal Payanini.

E qui entra in campo il secondo soggetto che ha responsabilità in questa storia: la politica veronese ovvero gli amministratori della città.

Molto sensibili, diciamo così, quando si ipotizza uno stadio nuovo, costruito tra l’altro non dalla società (restiamo dell’idea che solo uno stadio di proprietà dia prospettive di crescita all’Hellas e che regalare questo business a “terzi” sia una follia che impedirà ogni possibile approccio di gruppi finanziari interessati alla società in futuro) ma non altrettanto solerte nell’accompagnare il Verona in un percorso che dovrebbe portare ad avere finalmente la casa dell’Hellas.

Non è una questione di regalare terreni a Setti o al Verona. Si tratta solamente di “agevolare” una soluzione che poi avrà inevitabilmente una forte ricaduta sociale ed economica sulla città. Ci sono tanti modi di farlo e dare un’occhiata, per esempio, a Firenze, non farebbe male. Basta avere veramente la volontà di farlo.

“IL VERONA MENO BELLO DA QUANDO SONO QUA”. BEN DETTO COLONNELLO TUDOR!

Lo ha detto lui e non noi che temevano di sfiorare il ridicolo dopo un 4-0. Ci ha pensato Tudor a toglierci dall’impiccio: “Oggi il Verona mi è piaciuto meno che nelle altre tre partite”.

Paradossale ma vero. Al di là del roboante risultato il Verona non è stato brillantissimo e il povero Spezia è uscito dal Bentegodi massacrato oltremisura.

Tudor ha approfittato del poker per sollevare le sue critiche. I gialloblù sono stati precisissimi nel tirare in porta, praticamente dei cecchini ma in quanto a gioco, fase difensiva, coperture, reattività sulle seconde palle, non sono stati certamente inappuntabili. Il messaggio che manda Tudor è molto importante. L’allenatore guarda oltre il risultato, non si accontenta, sa che serve lavorare tanto per colmare il gap iniziale e per tornare a creare solchi profondi di gioco. Altri tecnici avrebbero pubblicamente incensato il loro lavoro dopo un risultato del genere, invece Tudor ha cercato il pelo nell’uovo (che pelo non è) per ricordarci che la realtà parla di un campionato che resta e resterà durissimo fino alla fine.

Ovviamente il risultato è una straordinaria panacea. Aiuta a essere sereni all’allenamemento, a guardare con ottimismo alla profondità della rosa, al talento dei singoli.

Il Verona ha senza dubbio il miglior attacco degli ultimi tre anni e finalmente ne usufruisce. Se ai tempi di Juric le classifiche brillavano per la difesa, ora il Verona risulta al terzo posto come attacco. Da stropicciarsi gli occhi anche perché il dato è rafforzato dalla classifica dei tiri in cui il Verona è paradossalmente all’ultimo posto. Ma questo significa che i gol sono frutto della bravura degli attaccanti che a questo punto possiamo tranquillamente definire implacabili.

Simeone, Kalinic e Caprari sono quanto di meglio si potesse sperare di avere per una squadra che si deve salvare. E proprio Caprari, dovesse confermarsi a questi livelli a lungo, rischia di diventare il più grande colpo di Tony D’Amico, che lo ha scelto per sostituire un top player come Zaccagni. Partenza, che oggi, francamente, nessuno rimpiange più. All’appello manca solo Lasagna. Kevin ha tre mesi di tempo per ritagliarsi uno spazio e per dimostrare che ciò che Juric pensava di lui lo scorso gennaio non era sbagliato. Viceversa sarà uno degli uomini da mettere sul mercato per ritoccare una squadra che ha bisogno solo di qualche pennellata qui e là.

E già che ci siamo: visto che avevamo espresso delle perplessità su Montipò in termini di sicurezza data alla squadra, oggi queste perplessità sono state spazzate via da una prestazione monstre. Anche Silvestri, adesso, è un ricordo più lontano.

NONOSTANTE I PUNTI BUTTATI IL BICCHIERE E’ MEZZO PIENO

Dopo la partita di Bologna nessuno di noi non avrebbe firmato per fare cinque punti tra Roma, Salernitana e Genoa. Quel Verona stava diventando un malato grave, il timore diffuso era di prendere un’imbarcata devastante da cui sarebbe stato difficile riprendersi. Tre gare dopo, siamo qui a rimpiangere i punti buttati. Per due volte il Verona ci ha illuso di poterla vincere e per due volte è finita in pareggio.

A Genova il livello di masochismo è stato portato alla massima potenza. Il Verona ha giocato la sua miglior partita di questo campionato, liberandosi finalmente del fantasma di Juric, equilibrato, coperto, cinico, bravo a verticalizzare e a richiudersi a testuggine. Tudor in due giorni ha costruito il miglior Verona possibile in questo momento: finalmente con due punte, un centrocampo a quattro che diventava a cinque con l’abbassamento di Barak, una difesa che per 70 minuti non ha fatto vedere biglia agli avversari, una gara che pareva avere solo un binario.

Purtroppo però è bastato un banale episodio per rimettere il Genoa in pista e la partita in discussione. Il rigore ha dato la stura alla rimonta genoana, mentre il Verona, complici i cambi, ha perso per strada qualche certezza, mentre la stanchezza affiorava. Pensare di perdere una partita così, aveva il sapore delle peggiori beffe. Meno male che ci ha pensato Kalinic, tre gol in due giorni, a pareggiare, facendo perdere l’aplomb di Setti in tribuna.

Si poteva vincere, certamente, sia a Salerno, sia a Genova. Ma si poteva perderle anche tutte e tre ed essere ancora a zero, in fondo alla classifica, aspettando la sfida salvezza contro lo Spezia con l’animo terrorizzato.

Invece abbiamo capito che il Verona, opportunamente guidato e ricompattato dopo il cambio in panchina, in questo campionato ci sta alla grande e se dopo una settimana Tudor ha riportato la barca in linea di galleggiamento le cose da ora in poi non possono che migliorare.

In questo momento, dunque, bisogna accantonare la rabbia, seppure giusta, e le recriminazioni e dare a Tudor il tempo di lavorare sul campo per migliorare tutte quei difetti che ancora limitano il nostro decollo. Guarderei il bicchiere mezzo pieno, senza dubbio.

QUANTO LAVORO C’E’ ANCORA DA FARE PER IL DOTTOR TUDOR

Se sei più forte partite così le devi vincere. E non credo ci siano dubbi che il Verona sia più forte della Salernitana. E allora perchè si è pareggiato? Evidentemente qualcosa non ha funzionato, qualcosa si è sbagliato e la vittoria con la Roma ci ha illuso che tutti i problemi fossero spariti d’incanto con il cambio in panchina.

Purtroppo non è così e il Verona è ancora un convalescente alla ricerca di se stesso, impegnato a ricostruirsi un morale ma anche un tono atletico, oggi come oggi il problema numero uno.

Siamo ancora a metà del guado, un po’ col timbro di Juric, un po’ con i ghirigori di Di Francesco, non ancora la squadra di Tudor. Ci sono problemi strutturali e vanno affrontati. In mezzo al campo siamo leggeri, vacui, pressapochisti. Ilic è sballotato, non ha ancora la personalità per affrontare da solo battaglie simili e Hongla in questo momento è improponibile. Non stiamo discutendo sulle sue qualità ma sul suo rendimento. Non si capisce cos’abbia Tameze, diventato un gregario dopo aver tirato la carretta per tutta la scorsa stagione.

Ma è sulla fase difensiva che Tudor avrà da lavorare di più. Il Verona è un disastro dietro, prendiamo gol da categoria pulcini, siamo distratti, poco reattivi. Magnani non può giocare come terzo a sinistra, Günter ha sempre pericolosi cali di attenzione.  Meno male che almeno Dawidowicz sta giocando benissimo, chiudendo quasi sempre la porta dalla sua parte. Montipò non commette errori gravissimi ma non regala quella sicurezza che dava Silvestri. E’ una questione di carisma, di presenza. Ogni palla che arriva in area sembra una roulette russa, hai sempre paura che ci sia il proiettile in canna. Pandur mi pareva più in forma e andrebbe preso di nuovo in considerazione.

Meno male che davanti le cose tutto sommato funzionano. Caprari ha fatto già dimenticare Zaccagni con giocate di alto livello, Kalinic si è rimesso a fare… il Kalinic, mentre Barak, Faraoni e Lazovic sono giocatori da squadra di medio alta classifica.

Ci avessero detto dopo il secondo tempo di Bologna che in due gare Tudor avrebbe fatto quattro punti c’era da firmare subito.

Ora dopo averle giocate resta molta rabbia e molto rammarico. La Salernitana aveva la testa sott’acqua, vincendo avremmo potuto scavare un solco e dare un bello spintone ai campani che invece restano tutto sommato in corsa.

Tudor deve sfruttare meglio la panchina. Con cinque cambi, ogni mossa diventa importante per portare la gara dalla propria parte. Lasagna, per come si era sviluppato il match dell’Arechi, doveva giocare. Poi, ovviamente, se palo e incrocio, fossero stati gol, non c’era nulla da criticare e avremmo applaudito l’impresa. Ma questo è il calcio, bellezza…

DAL GENERALE IVAN AL COLONELLO… IGOR: IL VERONA E’ TORNATO

Il generale Ivan se n’è andato. E per un po’ pensavamo di esserci smarriti dietro la collina. Il Verona, il suo bellissimo Verona, pareva perduto con la sua dipartita piemontese. E chissà, dicevamo, se mai lo avremmo rivisto.

Di Francesco è un ragazzo profondamente sfigato, una scelta sbagliata che per fortuna stavolta la società non ci ha propinato a lungo.

Al suo posto è arrivato un fido colonnello del generale Ivan, che deve averne agevolato l’assunzione all’orecchio di Tony D’Amico, un ds che impara alla svelta e che non commette due volte gli stessi sbagli.

D’Amico ha visto gli allenamenti, ha annusato l’aria, ha parlato con qualche senatore e in una notte insonne ha deciso. Via Difra e dentro il colonello Igor.

Il Verona è magicamente tornato. Lo ha fatto in una serata che bisognerà segnare sul calendario tanto è stata bella, intensa, commovente persino.

Lo sballottato Verona, al cospetto dell’ammiraglio di lungo corso Josè Mourinho e la sua lanciatissima Roma: non c’era nemmeno il tifoso più ottimista che avrebbe previsto una vittoria dei gialloblù in una gara del genere.

Ecco invece rispuntare il Verona. Quello feroce, quello mai domo, quello migliore, quello che per due anni ci ha stupito e fatto spellare le mani. Risollevato nell’animo e nello spirito dai quattro giorni del colonnello Tudor che nel segreto di Peschiera, alzava i giri del motore, sistemava le teste, resettava il morale, riportava le cose alla normalità.

Prima missione: restituire alla causa tutti i soldati, anche quelli che parevano persi in via definitiva. E così dentro Bessa, come segnale per tutti gli altri. Ripagato da una prestazione sopra le righe, oserei dire la migliore di sempre dell’italo-brasiliano.

Piazzato a centrocampo Barak, con la sua forza e i suoi centimetri, in avanti il Cholito versione rompighiaccio e vicino quell’oggetto misterioso del Caprari, giocatore da corrente alternata uno che, parole sue “fino ad oggi ha fatto la metà di quello che potevo fare”.

La sorpresa del Verona non è stato il primo tempo, giocato con un ritmo e un’intensità che pure quello di Di Francesco ha sempre messo in campo nei primi 45’. Ma il secondo, quando, sotto di un gol, invece di sprofondare come nelle prime tre gare c’è stata una reazione d’orgoglio. Il Verona si è rialzato, ha pareggiato, è andato in vantaggio. è stato raggiunto, non si è accontentato e alla fine ha vinto con un gol straordinario di Faraoni, un gol che qualcuno ha paragonato a quello di Gigi Sacchetti al Maracanà di Belgrado contro la Stella Rossa.

Poi il colonnello ha guardato alla panchina pescando il pescabile, persino il povero Hongla, l’emblema delle sconfitte precedenti, messo a fare il disturbatore come seconda punta.

Ne è uscito un capolavoro di rara bellezza, una di quelle imprese che solo a Verona, nella magica atmoosfera di un Bentegodi sferzato dal temporale e dalla grandine e quindi ancora più epico, si possono centrare.

Ora, chissà se questa vittoria è il segnale che il Verona si potrà salvare anche quest’anno. Ma di sicuro è la prova che con il colonnello Igor, adesso ci si può almeno provare.

SQUADRA SENZA INTENSITA’ E IN CADUTA LIBERA: ECCO PERCHE’ DI FRANCESCO E’ STATO ESONERATO

Un fulmine a ciel sereno. Ma neanche troppo. Perché erano molte le facce preoccupate in casa del Verona la settimana scorsa. L’esonero di Di Francesco alla terza giornata è nettamente in controtendenza rispetto al recente passato della gestione Setti. Basti pensare a Pecchia e Grosso, tenuti sulla panchina a dispetto dei santi e contro la piazza. Stavolta non c’è stato nemmeno bisogno della spinta “popolare” per arrivare alla decisione. Troppe cose ormai non funzionavano e il Verona stava letteralmente affondando.

Allenamenti blandi, superficiali, intensità zero, una condizione fisica precaria. E molti giocatori della vecchia guardia sempre più scettici. Al di là dei risultati negativi è stato questo trend a portare all’esonero dell’allenatore abruzzese.

Il Verona di Juric che mangiava l’erba è diventato una squadra sempre più normale. “Giochiamo bene ma…” lo slogan che giustificava l’andazzo. L’errore più grande di Di Francesco è stato probabilmente l’illusione di poter proseguire con il lavoro di Juric, senza incidere fino in fondo con le proprie idee. L’errore della società, evidente oggi dopo l’esonero, aver scelto un allenatore che anche nel temperamento, nulla aveva a che vedere con Juric.

Queste valutazioni devono servire a capire anche la scelta di Tudor. Non ci sarebbe da stupirsi se dietro Tudor ci fosse un “consiglio” proprio di Ivan, da sempre grande amico ed estimatore di Tudor. Pur non facendo lo stesso calcio di Juric, Tudor gli è molto simile nel carattere. Un combattente, un guerriero, che dovrebbe risollevare il Verona prima di tutto da questo punto di vista.

FESTA FINITA: DI FRANCESCO DEVE USCIRE DALL’EQUIVOCO

La festa è finita. Più il Verona si allontana dai fasti dell’era Juric più assume i connotati di una squadra apocrifa, senza una direzione, senza un’identità.

Il trapianto dal tecnico croato a Di Francesco non è riuscito. Mentre emerge l’equivoco di fondo: Di Francesco non è Juric e non potrà mai esserlo.

Così il Verona non è più il Verona di Juric ma non è ancora diventato quello di Di Francesco. E non lo diventerà mai. Prima si prende atto di questo meglio è.

Purtroppo l’illusione di poter ricalcare il lavoro del tecnico croato si è infranta contro la realtà. E spiace ora vedere Di Francesco annaspare dentro questa confusione. Non è colpa sua, non è solo colpa sua.

Gli errori sono molteplici: non si è tenuto conto di quanto il gioco del tecnico croato abbia creato una sovrastima del parco giocatori. Il Verona, ed era vero quello che diceva Juric, era una squadra dai mezzi limitati ma che rendeva al 120 per cento delle sue possibilità. Non appena quella soglia si è abbassava, il Verona evidenziava i suoi limiti. Avvisaglie ne abbiamo avute anche sotto la gestione precedente, basti pensare al girone di ritorno dove, sebbene non sbracando, la soglia dell’attenzione è calata e il Verona ha avuto una marcia da retrocessione.

C’è poi un problema legato al mercato e agli investimenti. Fino a quando una squadra può sopportare la sistematica cessione di tutti i suoi uomini migliori? Dal primo Verona di Juric se ne sono andati tra gli altri Pessina, Borini, Amrabat, Rrahmani, Kumbulla, Verre, Silvestri, Lovato, Zaccagni. E’ vero che altri sono arrivati ma se già dal primo al secondo Verona c’era stata una pesante emorragia, un altro impoverimento c’è stato tra il Verona della passata stagione a questo. E non sempre si riescono a fare le nozze con i fichi secchi. Poi c’è Di Francesco. Un tecnico titolato e con il curriculum importante ma che è arrivato a Verona perchè esonerato tre volte nelle ultime tre stagioni. Credo siamo tutti d’accordo nel dire che sia stata questa condizione a far accettare a Di Francesco un progetto al risparmio come l’Hellas, dove la possibilità di incidere sul mercato è pari a zero e dove la conditio sine qua non è di non stravolgere la squadra e quindi continuare sul solco tracciato in precedenza.

Credo che lo stesso Di Francesco si sia illuso di poterlo fare ma che ora si stia pentendo amaramente di aver accettato questa condizione.

Ma attenzione perchè siamo solo alla terza giornata e nulla è perduto nè compromesso. C’è spazio e tempo per rimediare, l’importante è non perseverare nell’errore.

L’unica via che ha il tecnico abruzzese per evitare dolorose scelte tra qualche giornata è di tornare ad essere… Eusebio Di Francesco. Scandagliando all’interno della rosa c’è la possibilità di cambiare faccia a questo Verona, imprimendo una svolta tecnico tattica decisiva che allontani in maniera totale il fantasma del predecessore.

Se proprio dovesse finire male, almeno Di Francesco potrà dire di averci provato fino in fondo. Ma così è come se non si fosse mai seduto sulla panchina del Verona.

DI FRANCESCO SI MERITA LA STESSA CHANCE DI JURIC

Le perplessità ci sono. Inutile nasconderlo. I tre fallimenti consecutivi con tre squadre diverse (e che squadre), l’eredità pesantissima di Juric, una formazione che sicuramente (come tasso tecnico) sarà lontana anni luce da quelle che ha allenato in precedenza.

Ma sarebbe sbagliato giudicare adesso Di Francesco. Il nuovo allenatore del Verona merita la stessa chance che era stata data a Juric quando arrivò in gialloblù prendendo il posto dell’eroe Aglietti, che tutti avremmo voluto riconfermatissimo sulla panchina del Verona. Giravano allora degli odiosi meme contro il tecnico croato che poi ha fatto vedere il più bel calcio dai tempi di Bagnoli.

Credo che il principale problema di Di Francesco a Verona sia trovare una sintonia con la piazza. Sul suo valore calcistico non si discute, ma mi chiedo piuttosto se sia lui l’uomo giusto per far scoccare la “scintilla” con i veronesi. Sappiamo quanto questa “scintilla” sia importante a Verona e quanto faccia la differenza.

Di Francesco ha un’aria da professorino, risponde sempre come se avesse un ufficio stampa al seguito, sempre giusto, diritto, perfettino, un po’ pretesco. E’ un politically correct, se mi concedete la definizione. Mentre a Verona piacciono quelli scorretti, Mandorlini che cantava “ti amo terrone” e Juric che manda a c… lo zelante cronista sky napoletano.

In quelle “scorrettezze” i veronesi si ritrovano e fanno tutt’uno con il condottiero, fedeli al “Soli contro Tutti” il motto che fece vincere lo scudetto al Verona contro le grandissime del campionato.

Sarà capace Di Francesco di creare questa empatia? Sì, se sarà il più “naturale” possibile, se risponderà con sincerità, se sarà “umano”. Non è che per forza devi mandare a quel paese la gente per essere simpatico, ma lasciare trasparire quella sana e genuina spontaneità che qui da noi fa la differenza. Insomma, dovessi trovare un modello, lontano da Juric e Mandorlini, direi uno come Cesare Prandelli. Umile, gentile, onesto ed educato.

Poi, ovviamente, saranno i risultati il giudice supremo. Di Francesco lasci stare il bel gioco e prometta solo sudore, fatica, sofferenza, impegno. British style, come piace al Bentegodi, no lustrini, no champagne. Non ci parli di crescita ma di calcio. Le supercazzole per spiegare una sconfitta non hanno mai attecchito, invece si apprezza lo sforzo totale fino al novantesimo. Tutto sommato, la missione di Di Francesco è chiarissima. Arrivare alla salvezza, al quart’ultimo posto. Ora come ora questa è l’impresa più grande. Se salvasse il Verona per il terzo anno di fila, sarebbe già nei cuori dei veronesi. Buon lavoro mister.