E là si fece trovare Mattia Zaccagni. Proprio là nell’area da rigore. Il pallone che gli appoggiò Faraoni da destra non era di facile comprensione. Per domarlo serviva sveltezza di cervello e lucida follia. Fu in quel momento che il Zaccagni romagnolo emerse dalla nebbia dei mortali e si innalzò per un istante tra gli dei dell’Olimpo. Lo stop di petto è un atto fondamentale per il controllo del pallone. Lo ricorda Buffa nelle sue storie, raccontando quello che per Pelè era il primo comandamento del calcio. Glielo inculcò nella testa il padre e Pelè ne fece una sua stimmate. Zaccagni, dunque, pensò allo stesso modo dei grandi del passato e quel suo stop di petto divenne un tocco perfetto verso il cielo. Una pennellata che poteva stare su un quadro di Van Gogh, un sibilo di vento che diventa melodia nelle orecchie di Beethoven. Poi Zaccagni piegò la schiena verso il terreno, le gambe presero a roteare nell’aria come catapulte romane nella Gallia da conquistare. Zaccagni si inerpicò in cima al Monte e decise di non scendere da lì per un istante indefinito di tempo. Non finchè il suo piede destro non avesse raggiunto il pallone, non finchè non avesse sentito lo scarpino incontrare il cuoio, non finchè il mondo capovolto non avesse visto il confine tra il cielo e il paradiso. E lì Zaccagni capì che nulla sarebbe stato come prima. Il pallone prese a correre come un ottovolante che corre giù da una discesa infinita e mentre tutti intorno non riuscivano a capire, lui solo sapeva dove sarebbe andato a finire. La palla sbucava da una selva di gambe, baciava le mani del portiere, s’infilava nella porta. Solo a quel punto Zaccagni decise di tornare sulla terra, toccando con la schiena l’erba bagnata dello stadio di La Spezia. Nella stessa porta dove Cutolo aveva condannato il Verona alla serie C, il romagnolo aveva disegnato la Gioconda dei gol del Verona. Uno dei più belli di sempre. E così sia.
UNA SQUADRA CHE CI RENDE ORGOGLIOSI
Non ho memoria di un Verona che onora la maglia e le partite anche quando perde. Credo che non abbiamo sufficientemente celebrato il Verona di Juric. Ci stiamo godendo da lontano questo meraviglioso Hellas che meriterebbe di ricevere il nostro abbraccio e il nostro applauso ad ogni gara. Sia quando vince, sia quando perde. Questa squadra interpreta perfettamente lo spirito che ha sempre albergato al Bentegodi. E cioè che al tifosi del Verona non importa nulla di vincere, importa molto di più vedere la propria squadra andare oltre i propri limiti, impegnarsi, sputare sangue. Se poi si perde, beh pazienza. Non credo che esista in Italia un pubblico altrettanto maturo e sportivo nel vero senso della parola. Un pubblico che non sopporta le false promesse, i cazzari, i giocatori presuntuosi. Ma che sa amare quelli tutta sostanza, quelli poco ruffiani, quelli che non baciano la maglia ma che la rispettano lottando ogni partita su ogni pallone.
Ecco: tutto questo e forse anche molto di più è il Verona di Juric. Dopo le disgrazie delle stagioni precedenti sembra essere arrivata la manna dal cielo con questo allenatore ruvido come la carta vetrata, un grillo parlante che può apparire fastidioso quando dice le sue verità, eppure così amabile e amato per quello che sa trasmettere ai suoi ragazzi per quelle partite oltre le righe che ti fanno amare oltremisura questa squadra. Certo, il Verona è inferiore all’Inter. E il Verona che è sceso in campo per l’ultima gara di questa stagione lo era molto di più, azzoppato nelle scelte, scarso in qualità, in piena emergenza. Eppure questa squadra infarcita di bambini è rimasta in partita sino all’ultimo minuto, facendo persino tremare i ricchi nerazzurri che non riuscivano a trovare il bandolo della matassa. Dio solo sa che cosa sarebbe potuta diventare questa partita se Juric avesse avuto a disposizione Kalinic e Barak, diciamo due a caso e magari un infortunio in meno in difesa. Questo è il rimpianto che però non toglie assolutamente nulla alla prestazione dei gialloblù, semmai aumenta la comprensione e la stima nei confronti di questi ragazzi e del loro indomabile condottiero.
DATEGLI UN PAIO DI RINFORZI (E VI SOLLEVERA’ lL MONDO)
Il Verona di Juric che ha perso i migliori giocatori dello scorso campionato e che in questo non ha quasi mai potuto schierare i suoi top player ha 20 punti in classifica. Cosa significa questo? Con realismo due cose: la prima. In molte gare ci è andata decisamente bene. Siamo stati bravi e fortunati contro il Benevento, contro la Juventus, contro l’Atalanta e anche contro la Lazio. Ma abbiamo colpito anche una caterva di pali e traverse e alcune gare, come contro il Parma e il Sassuolo, quella stessa fortuna ci ha girato le spalle. Insomma, alla fine abbiamo i punti che ci meritiamo.
La seconda. E’ logico pensare che basterebbe appena appena alzare il livello di questa rosa per permettere a Juric di “sollevare il mondo”. Insomma: arriva il mercato di gennaio e sarebbe cosa molto molto gradita vedere la società finalmente attiva sul mercato. E’ indubbio che il prossimo mercato avrà un valore enorme per l’Hellas e per il suo futuro. Non tanto e non solo per questo campionato ma sarà anche una porta girevole sul domani. A gennaio Setti potrebbe tendere la mano al suo cazzuto allenatore e il suo cazzuto allenatore tenderla al presidente. Insomma sarebbe bello facessero pace (bravo Juric oggi a dire che a Verona si sente coccolato), mentre nel frattempo il livello della squadra potrebbe fare un bel salto di qualità. Sarebbe sbagliato se Setti si sentisse salvo ed evitasse di lavorare a gennaio.
Nella seconda parte di questo pazzesco torneo, tormentato dal Covid può succedere di tutto e non aiuta vedere gli squadroni che stanno sotto di noi, in lotta per la salvezza. Cullarsi sugli allori non fa mai bene e in questo senso sono d’accordissimo con l’iper-realismo di Juric che predica umiltà umiltà e ancora umiltà. Ma quell’impegno e quei rinforzi potrebbero distendere anche gli animi tra i nostri due. Ne ha bisogno Juric che a Verona ha trovato il miglior ambiente per esprimersi. Ne ha bisogno Setti che in Juric ha trovato una formidabile gallina dalle uova d’oro che non può e non deve perdere. Ma soprattutto, ed è francamente l’unica cosa che ci interessa, ne ha bisogno il Verona.
JURIC, SETTI E L’EQUILIBRIO CHE NON SI TROVA
Ci sta di perdere una partita, soprattutto dopo essere andati oltre i propri limiti e dopo aver tirato la carretta come ha fatto il Verona in questi primi mesi di campionato. La gara con la Samp è stata un evidente incidente di percorso che ha ribadito, se mai ce ne fosse bisogno, che Juric ha straragione quando invoca un Verona che vada sempre al massimo dei giri, pena il ritorno alla normalità, se non peggio. E così ribadiamo ancora una volta il concetto se non fosse chiaro a tutti: è grazie allo straordinario lavoro di questo allenatore che ci siamo scordati della pena vissuta prima ed è sempre grazie a lui che la società, prima francamente allo sbando, ha preso una strada nuovamente logica e razionale.
Va detto e ricordato anche che Juric non è arrivato a Verona per caso. Lo ha voluto Setti, imponendolo alla piazza che invocava a gran voce la permanenza di Aglietti che aveva compiuto il miracolo di riportare il Verona in serie A, dopo la disgraziata gestione di Fabio Grosso. Il coraggio del presidente in quel momento va riconosciuto anche da chi non ha mai lesinato critiche come il sottoscritto. E non solo: Setti ha anche evitato di perdere Juric, facendogli un ricco contratto triennale e assecondandolo in molte richieste organizzative, dallo staff allo scouting. Oggi la società è più forte, più organizzata ed è lontana anni luce da quella senza capo nè coda che fino a qualche anno fa faceva ridere i polli parlando di media event e di internazionalizzazione del brand.
Ed allora perché le dichiarazioni di Juric appaiono come continue bordate che alterano l’equilibrio della società e perché l’allenatore ribadisce ad ogni occasione di non essere d’accordo con l’operato del presidente? Lascerei da parte complottismi e dietrologie. Juric non mi pare il tipo da farne. Per esser chiari: non credo che Juric stia coscientemente minando il rapporto con Setti per liberarsi dal suo contratto, o per cercare di rompere in caso, molto probabile, in cui ricevesse offerte da qualche grande squadra. Credo piuttosto che Juric sia risentito perchè Setti non ha mantenuto i patti nel momento in cui ha prolungato il contratto. Juric, a quel tempo, ribadiva un concetto: sull’offerta economica, diceva, c’è l’accordo, ma sul resto, sulla gestione e sul mercato, l’accordo ancora ancora non c’è. Poi arrivò la firma e di conseguenza logica, tutti noi abbiamo pensato che i due si fossero chiariti e che Setti avesse garantito a Juric un impegno cospicuo sul mercato. Che non c’è stato. O meglio: non è stato secondo quanto Juric si aspettava. A questo si aggiunga l’irrefrenabile voglia di fare lo sborone che ogni tanto Setti manifesta. E in quel contesto vanno ascritte le dichiarazioni di fine mercato sulle follie, sui milioni spesi, eccetera eccetera, che devono aver fatto girare le balle non poco al tecnico croato che da lì in poi non ne ha perdonata più una al presidente. Il quale, cosa mai successa, ha persino chiesto scusa successivamente al suo allenatore, ammettendo che avrebbe dovuto investire di più, ma spiegando anche che il momento imponeva una prudenza gestionale.
Le ultime parole di Juric sono state molto forti. Parlando delle future plusvalenze e forse anche con l’intenzione di tenere basso il profilo dei suoi giovani ragazzi, il tecnico ha detto che per quanto lo riguarda non ci saranno altre plusvalenze, altrimenti lui lascerà il Verona. Durissimo. Un avviso chiaro a Setti, soprattutto in vista di gennaio con il timore che qualcuno dei pezzi pregiati possa partire ora o a giugno. Credo che stavolta Juric abbia sbagliato però l’obiettivo, spingendosi in un campo non suo. Francamente non è ipotizzabile in nessuna società che l’allenatore impedisca di fare plusvalenze al suo presidente. Semplicemente non è di sua competenza, non è il suo ambito. La giusta rivendicazione, invece è un’altra: si fanno le plusvalenze ma con equilibrio non smembrando ogni anno la squadra e soprattutto reinvestendo una buona parte di quei soldi. Quello è il discorso giusto da fare ed è quello che Setti, per ora, non ha ancora fatto completamente, tradendo le aspettative di Juric. Ed è questo l’equilibrio che manca all’Hellas. Trovarlo è il compito di Setti, ma anche di Juric. Sempre ricordando che il Verona non è loro ma della gente che ci mette fede e passione.
RAGAZZI CHE FANNO LA STORIA
In questo anno così duro c’è una stella che brilla: è il meraviglioso Verona di Ivan Juric. Non ci ricordiamo una squadra che giocasse con così tanto cuore e che rendesse così orgogliosi noi tifosi di tifarla. E’ una sofferenza pazzesca non poter abbracciare questo gruppo eccezionale di ragazzi, poterli applaudire dal vivo, poter cantare i nostri cori per sospingerli ancora di più durante queste partite epiche che stanno facendo la storia del Verona. Lo meriterebbero loro e ce lo meriteremmo anche noi, dopo la serie C, dopo le retrocessioni programmate e il calcio più brutto della terra che per molti mesi ha dimorato al Bentegodi.
In questo mondo tartassato dal Covid, il Verona è come la mamma che ti dà una carezza alla sera quando hai la febbre e non hai voglia di mangiare. E’ un pigiama caldo, è il lesso con la pearà della domenica, è il Pandoro del Natale. E’ il pensiero felice che permette a Peter Pan di volare. Ivan Juric è il nostro uomo dei sogni, il generale senza fronzoli che parla al cuore della gente, che dice quello che pensa, che lavora per farci venire il sorriso.
Il suo Verona è una scultura che di gara in gara prende forma. Sempre roccioso, ma con le forme che diventano man mano più sinuose, a ritagliarne l’anima da battaglia e i connotati che ancora non hanno una precisa identità. Più che altro non si sa ancora quali siano i margini e cosa potrà fare se anche il suo condottiero non ne ha ancora esplorato i limiti. Intanto gioca umile, sapendo che durante una partita si può, anzi si deve soffrire, ma poi si può, anzi si deve provare a vincere. E’ tale la disponibilità che questi ragazzi stanno dando al loro bravissimo allenatore che ora a Juric riesce tutto, anche le mosse più azzardate. Ma non è frutto del caso o della fortuna. E’ che il lavoro e il metodo sono stati così ben impiantati che ora è possibile variare sul tema, come un grande pianista jazz quando pare improvvisare su uno spartito che in realtà conosce perfettamente.
La vera fortuna è del presidente Setti che ora si trova a gestire un capitale che di gara in gara prende più valore e il cui progetto sportivo deve andare di pari passo con il progetto finanziario. Ci stanno le plusvalenze, ci sta vendere, ci sta anche guadagnare. Ma il presidente deve saper trovare un equilibrio tra la crescita gestionale e sportiva del club e quella finanziaria. Se ci pensate bene la vera sfida, la più difficile tocca proprio a lui. Intanto i suoi ragazzi stanno scrivendo la storia.
NON E’ SOLO UN PROBLEMA DI ATTACCANTI
Se il Verona avesse segnato la metà delle palle gol create con il Cagliari avrebbe sicuramente vinto la gara contro i sardi. Partiamo da questa semplice premessa per spiegare quello che è successo al Bentegodi. Facile dunque spostare l’attenzione sugli attaccanti del Verona che, Kalinic a parte, qualitativamente non sono di grande livello. Il problema è strutturale e di mercato come da tempo si dice e si scrive.
Ma credo che dopo due anni di Juric sia anche riduttivo parlare solo della qualità degli attaccanti. La versione migliore di questa storia credo l’abbia data oggi Marco Gaburro in trasmissione. Quando ci ha richiamato ad una riflessione che non sia solo di “pancia” riguardo l’attacco, la qualità degli attaccanti e gli errori. Dice Gaburro e concordo pienamente con lui, che questo sarà sempre un problema delle squadre di Juric visto il grandissimo lavoro che l’allenatore richiede alla punta centrale. Tanto è vero che lo stesso Juric, da me più volte chiamato a rispondere sul tema (quanti gol ti aspetti da Kalinic?) ha sempre cercato di alleviare la pressione, spiegando che a lui interessa più un tipo di lavoro che non i gol. E del resto: cosa avrebbe dovuto dire allora Gasperini (definito da tutti il maestro di Juric) dopo Atalanta-Verona? Certo, noi abbiamo raccontato l’epopea gialloblù di quella partita, spostando l’attenzione sui meriti del Verona, ma se fossimo stati un tifoso dell’Atalanta non avremmo dovuto non parlare degli errori sotto porta degli attaccanti. E di certo a Bergamo non ha sbagliato il povero Di Carmine, spesso ingiustamente (anche dal sottoscritto…) messo sul banco degli imputati, ma un certo Ilicic e un certo Zapata. Insomma dice Gaburro: errori così saranno sempre congeniti nel Verona perchè è durissima per un attaccante arrivare lucido dotto porta dopo aver pressato ogni avversario e dopo aver partecipato in modo così intenso alla manovra offensiva. E’ pur vero che, grazie a quel lavoro, il Verona crea, come l’Atalanta, decine di occasioni da gol e che quando ci sarà la giornata giusta sicuramente il risultato potrà avere anche una dimensione molto importante.
Intanto però godiamoci i progressi di una difesa dove ormai Juric sa di poter contare ad occhi chiusi. Il Verona ha la miglior retroguardia del campionato e questo aiuta moltissimo il fatto di aver segnato sul campo solo 10 gol (togliendo quindi il 3-0 a tavolino con la Roma). Infine: non sputiamo su questo pareggio con il Cagliari. A guardare i massicci investimenti che il presidente Giulini ha fatto anche in questa stagione rispetto a quelli di Setti non ci doveva nemmeno essere partita. Invece con questo punto l’Hellas sale a 16 a meno 24 dalla salvezza. Ed è ciò che è più importante, credetemi.
MI SONO COMMOSSO
Il capolavoro costruito da Ivan Juric a Bergamo andrà analizzato per molti anni a venire. Raramente si era visto un allenatore così lucido, così intelligente, così capace di leggere nelle pieghe di una partita e superare, invertendo a proprio vantaggio, gli ostacoli che gli si sono messi davanti. Con una squadra largamente rimaneggiata, l’allenatore del Verona ha saputo conquistare una vittoria leggendaria, contro una delle squadre più forti d’Europa in questo momento. Il Verona dapprima ha saputo soffrire restando aggrappato al match anche con l’aiuto della fortuna.
Mentre l’Atalanta sciupava occasioni su occasioni, il Verona pensava solo a reggere l’urto. Ma poi Juric è salito in cattedra e nel secondo tempo ha piazzato tre mosse che hanno cambiato la faccia al Verona e alla partita.
Prima di tutto il generale Ivan è tornato sui propri passi, togliendo Danzi, entrato addirittura a fare il difensore dalle parti di Gomez nel primo tempo al posto dello sfortunato Lovato, inserendo Veloso, ridisegnando la difesa, ora a 4 e attaccando come un francobollo Tameze all’argentino dell’Atalanta.
Poi intuendo con una rara lucidità le difficoltà atalantine, togliendo Di Carmine, inserendo Salcedo e poi Colley, ridisegnando ancora la squadra.
Infine, quando Ceccherini è stato costretto ad uscire, mettendo un attaccante, Favilli, arretrando Zaccagni a fare l’esterno a sinistra conferendo il colpo del ko alla stramata squadra del maestro Gasperini. Insomma una goduria per ogni appassionato di calcio e una gioia infinita per chi è tifoso del Verona.
Ne è uscita una partita epica, in cui la tattica e l’abilità dell’allenatore è andata a braccetto con il temperamento di un gruppo che conosce i propri limiti ma anche la propria anima, la stessa che Juric gli ha dato in questi due anni di lavoro.
C’è stato un momento e scusate se per un attimo parlo dei miei sentimenti, in cui stasera mi sono commosso. Davvero: questo piccolo ma indomito Verona riesce a muovermi dei sentimenti che da tempo non provavo e credo non provavate. Sembra un calcio antico rimpastato in chiave moderna e quell’omino lì assomiglia in maniera pazzesca a quell’altro omino milanese che attaccò alle caviglie del grande Diego Armando Maradona, Hans Peter Briegel. E improvvisamente mi pare di avere ancora vent’anni. Anche questa potenza del mago Juric.
COME SE AVESSIMO VINTO
Raccontare di come si è perso col Sassuolo mi viene difficile, anzi impossibile. Non ci riesco. Dico la verità. Come fai a raccontare di una partita che hai stradominato, dove hai comandato in lungo e in largo, dove hai colpito tre pali e una traversa e che alla fine ti vede uscire dal campo con zero punti? Beh, sarebbe facile farlo: basta dire che il Sassuolo ha tirato e segnato e il Verona no. Vero: ma non è sufficiente. Perché in molti anni che seguo l’Hellas questa è una della partite che più gridano vendetta. Cerco di spiegarmelo con il fatto che Juric ha mandato in campo giocatori adattati, seconde e terze linee, bambini e ragazzini della Primavera mentre De Zerbi guida una corazzata che nulla ha a che vedere con la dimensione del Verona. Eppure in campo non si è visto. A parte tre minuti (tre proprio) iniziali, il Verona ha preso in mano il filo del gioco, ha creato occasioni da gol, ha cercato di vincerla, ha impedito al Sassuolo di giocare e ha giocato la migliore partita della stagione. Senza dubbio. Anche migliore di quella con la Juventus e quella con il Milan prima della sosta. Stavolta però non riuscendo a prendere neanche un punticino che già sarebbe stato stretto. Ora inizio con i rimpianti: il primo è non avere avuto a disposizione uno a caso tra Faraoni, Lazovic, Lovato e/o Gunter. Poi per aver perso Kalinic per l’ennesimo infortunio muscolare. Poi Ceccherini, anche qui con problemi. La coperta è corta già di suo, questo maledetto campionato così compresso e così strano ci sta martirizzando. Juric non riesce a fare una settimana normale che sia una, condannato com’è a non gestire dal punto di vista fisico un gruppo che per essere competitivo ha necessità di viaggiare sempre a ritmi altissimi. Sarà questo il nostro nemico più grande da qui alla fine della stagione. Ma resta l’orgoglio di tifare per una squadra che si merita di essere applaudita anche quando perde.
AD UN PASSO DALLA STORIA
Ci è mancato tanto così, cioè pochissimo. Il Verona di Ivan Juric, il Verona dei bambini, è andato ad un passo dalla storia: vincere a Milano, cioè un successo nel campo “maledetto” dove l’Hellas non ha mai vinto nè con il Milan, nè con l’Inter. Nemmeno il fantastico Verona di Bagnoli, capace di imprese ovunque è mai riuscito a spezzare questo tabù.
A compiere questa impresa che si è dissolta al 92’, ci stava riuscendo un manipolo di ragazzini terribili, guidati da un grande maestro di calcio. Come con la Juventus è mancata la fortuna e non il coraggio. Cioè sarebbe bastato che Magnani non si facesse male e continuasse la sua serata fantastica in marcatura su Ibrahimovic, e sarebbe bastato che Dawidowicz (era lui? Siete sicuri?) avesse continuato a giocare la sua strepitosa gara per permettere al Verona di uscire con i tre punti da Milano.
Il pareggio non toglie nulla a questo meraviglioso gruppo che Juric sta plasmando come una squadra vera. Grinta e coraggio e almeno due individualità sopra le righe: Silvestri e Zaccagni che non a caso sono stati convocati e giustamente in nazionale. Accanto a loro stanno crescendo dei baby terribili: Lovato che il Milan vorrebbe a gennaio. Ilic che cresce di gara in gara. Colley che quando parte non lo ferma nessuno. Udogie che ha debuttato a Milano come se fosse andato a bere uno spritz sui Navigli. Con questa ragazzini, il maestro Juric ha rischiato di vincere contro la capolista. Pensate un po’ se avesse avuto qualcuno di quelli fuori. Magari Faraoni, o Gunter, o Benassi o anche semplicemente Favilli. Questo campionato sarà durissimo, non c’è dubbio, perchè purtroppo si giocherà anche contro gli imprevisti e la valanga d’infortuni che inevitabilmente toglieranno all’allenatore le poche risorse a disposizione. Ma quello che abbiamo visto fino ad oggi è da stropicciarsi gli occhi e da spellarsi le mani.
IL GENERALE URAGANO
Ivan Juric passerà alla storia per non aver mai perso una battaglia. Come Georgij Konstantinovič Žukov, detto Uragano, il leggendario generale russo della seconda Guerra Mondiale, l’uomo che ribaltò le sorti del conflitto sconfiggendo la Wehrmacht tedesca, la più grande macchina da guerra che l’uomo abbia mai costruito. Geniale stratega, Žukov ribaltò una guerra che pareva ormai segnata. Ed è lo stesso destino di Ivan Juric: qui per fortuna parliamo di calcio, ma Juric è l’uomo capace di ribaltare i pronostici, di cambiare il corso della storia, di regalare insperate vittorie al popolo dell’Hellas.
Sembrava una partita segnata anche quella con il Benevento. Mai visto un Verona così stanco, lento e falcidiato dagli infortuni. Sull’1-1 la squadra di Inzaghi aveva preso d’assedio l’area da rigore, sembrava ad un passo da una facile vittoria. Dall’altra parte però gli uomini del generale Ivan costruivano una tenace resistenza. La capacità di soffrire, di restare aggrappati alla partita, di comprendere quando si deve essere brutti sporchi e cattivi è sempre stato il timbro impresso da Juric alla sua squadra.
Così è bastato un suo segnale per scatenare l’inferno. Un guizzo da giocatore di grande qualità di Barak ha dato l’avvio al ribaltamento della partita. Il povero Benevento, quasi senza accorgersene e senza colpe specifiche si è ritrovato sul 3-1 mentre la meravigliosa armata di Juric mollava sganassoni terribili sotto forma di gol.
Alla sesta giornata della scorsa stagione il Verona pareggiava 1-1 a Cagliari e conquistava il suo sesto punto in classifica. Era un Verona che ci stava sorprendendo e che già meritava i nostri applausi se non altro perché stava già sovvertendo i pronostici che lo davano ultimo degli ultimi. Oggi dopo la sesta giornata, questo Verona, di punti ne ha undici, gli stessi di Inter, Roma e Napoli, uno solo in meno della Juventus. E il bello è che tutti, da Juric in giù, abbiamo la sensazione che sia ancora un Verona al sessanta, settanta per cento delle sue potenzialità. Chissà dunque quando sarà al cento per cento cosa potrà fare.
Intanto il generale Uragano se la gode nella sua trincea di Peschiera. Se la gode ma non troppo perché le partite come le battaglie hanno bisogno di uomini senza pace, indomiti, ruvidi, veri, carismatici che siano venerati dalle loro truppe e temuti dagli avversari. Juric non ha pace e come Žukov sta già preparando il prossimo piano di guerra. Il Milan è avvisato.