COMPAGNI SPA DA BERLINGUER A CRAXI

 

La nuova tangentopoli rossa, cioè l’intreccio politica-affari denunciato in questi giorni da l’Espresso con la già celebre inchiesta “compagni spa” avrà gli sviluppi che avrà (e magari, come la tangentpoli storica, si concluderà con assoluzioni a valanga) ma intanto ha già ottenuto l’effetto di sgombrare il campo da un autentico pregiudizio razzista. Pregiudizio che immaginava un popolo etnicamente superiore -cioè immune dalla corruzione e dal latrocinio, serio probo ed onesto – il popolo della sinistra, ed un popolo inferiore -cioè corrotto, dedito al latrocinio, e per giunta rozzo ed ignorante – il popolo di destra. Intendendo con popolo: politici, amministratori ed anche elettori.

La tangentopoli storica, con le sue indagini unidirezionali, tendeva ad avallare con le inchieste ciò che Enrico Berlinguer aveva teorizzato: siamo il partito dalle mani pulite (ergo: gli altri ce le hanno sporche). Sporche come i rom? Ma lo domando perchè chi propone di prendere le impronte digitali ai rom viene definito razzista senza problemi. Per chi invece sosteneva di avere le mani pulite fu coniato un parolone “antropologicamente diverso”. Suppongo che anche Hitler avrebbe concordato sul fatto che gli ariani fossero “antropologicamente diversi” dagli ebrei… Oggi Giuliano Ferrara sostiene che Berlinguer: “Era un comunista internazionalista, sapeva benissimo come si finanziava il partito (rubli e tangenti molto ben organizzate e lubrificate e nascoste alla vista), ma usava la questione morale e della diversità antropologica dei comunisti a fini di lotta politica e di potere, agitando quello che l’irriverente Pajetta definì il suo passaggio “dal materialismo al moralismo storico” come bandiera di una visione ideologica, totalitaria, della società e del primato del partito integro e puro”

Insomma era un ipocrita che de “l’oro di Mosca” conosceva ogni dettaglio. Meno ipocrita, relativamente più onesto e coraggioso – ricorda sempre oggi Rino Formica – fu Bettino Craxi quando andò in Parlamento e disse: si alzi e parli chi ha i bilanci in regola, chi non ha mai incassato tangenti. Nessuno si alzò e parlò; salvo mandare poi le truppe cammellate a lanciargli le monetine…Craxi ne faceva una questione di sistema. Tradotto volgarmente: è l’occasione che fa l’uomo ladro. E di occasioni la Prima Repubblica ne offriva fin troppe (quasi quante ne offre oggi la Seconda Repubblica). Questo dobbiamo capire, credo, se non vogliamo fare del moralismo d’accatto o aggrapparci alla “diversità antropologica”: l’accasione può corrempere l’uomo sia che voti o militi a sinistra quanto a destra (pare perfino nell’Udc), sia che sia biondo o moro, ariano o semita. Quindi compito della politica è limitare le occasioni, senza illudere che la corruzione sia estirpabile (l’uomo resta un peccatore) ma impegnandosi perchè non diventi endemica: come in Italia, come in Grecia, come in Somalia.

I moralisti grandi e piccoli, quelli che ci credono sul serio e quelli che la smenano come Berlinguer o Di Pietro, sono i migliori alleati della corruzione. I grandi fanno riferimento ad un mondo che non esiste, fingono di perseguire una purezza irraggiungibile, affermano che la politica deve e può essere completamente separata dall’economia e dagli affari, prospettano una soluzione che commuove ed entusiama i piccoli moralisti: i ceppi per i corrotti, mandarli tutti all’inferno. Ed, esattamente come coloro che propugnano l’abolizione della prostituzione, poi non fanno nulla per governarla in modo meno indecente.

L’esempio di ciò che si può fare arriva da Obama e dagli Usa, dove l’intreccio politica-economia-affari è sempre stato trasparente, alla luce del sole. E non negato ufficalmente quale sterco di Satana e praticato clandestinamente come da noi. L’esempio è Obama che ha ricevuto poderosi contributi elettorali dall’industria automobilistica ed è di conseguenza impegnato a tutelarla, ed evitare che il polo Detroit salti per aria. Quando Craxi fece il discorso-denuncia in Parlamento voleva cambiare il nostro sistema di finanziamento della politicxa e renderlo più “laico”, più americano. Era lui il precursore di Obama, non un Berlinguer che faceva il razzista dalle mani pulite, l’antropologicamente diverso, con i forzieri segreti del Pci ancora rigurgitanti di rubli.

 

TREMONTI BOOMERANG DAI BOT AI BAGIGI

 

 

Giulio Tremonti lo proclama: “l’investimento migliore è in Bot e Cct italiani”. “La situazione del nostro Paese è solida”, escluso un rischio Argentina. Il Giornale (di famiglia) rincara la dose; ci spiega cioè che le cedole rendono di più dei titoli di stato tedeschi, che “conviene puntare sui nostri bond”, che acquistarli adesso è un affare “prima che lo scoprano in troppi”. Avete capito? Meglio non andare nemmeno in montagna, per il ponte dell’Immacolata, e mettersi già in coda davanti alle banche per comprare Bot e Cct martedì mattina “prima che lo scoprano in troppi”, prima che piombino come falchi gli investitori stranieri a soffiarci l’affare del secolo!…

Leggo e mi domando se questi sono dei comunicatori o dei cretini. Possibile che Tremonti e i media non si rendano conto che queste panzane servono solo a diffondere il panico tra i risparmiatori? La situazione è molto seria, drammatica. Proprio per questo Tremonti dovrebbe sapere (specie adesso che si è riavvicinato, se non alla religione, a Papa Ratzinger) che nei momenti drammatici ci si affida a Dio. Si prega, in silenzio, e si spera che i cittadini continuino a sottoscrivere Bot e Cct evitando così il fallimento dello Stato italiano.

Solo il peggiore di tutti i peccati, la presunzione, può far immaginare ai nostri politici di avere il carisma, la credibilità, per lanciare certi appelli. Per lanciarli e pensare che i cittadini ci credano. La cosa dovrebbe funzionare così: ero incerto se mettere i soldi sotto il materasso o comprare bond tedeschi, ma adesso che me l’ha garantito Tremonti corro a comprare quelli italiani…Invece la cosa funziona colà: perchè improvvisamente vengono a spiegarmi ciò che dovrebbe essere scontato, cioè che i titoli di Stato sono sicuri? Vuoi vedere che non lo sono per niente…Se il politico dice bianco noi pensiamo che in realtà vuol fregarci e che è nero.

Lo pensiamo – va aggiunto – perchè li giudichiamo con il nostro stesso metro, cioè perchè pensiamo che siano falsi e bugiardi anche loro come noi. Noi che stiamo a casa in malattia anche quando siamo sani come pesci; noi che, se possibile, tarocchiamo la dichiarazione dei redditi; noi che facciamo il secondo lavoro in nero; noi che mentiamo anche a nostra madre, e non esitiamo a fregare l’amico, il socio, il fratello. C’è una cultura e un’etica di base, da scugnizzi, che accomuna cittadini e politici. Risparmiamoci gli appelli che non ci fanno nemmeno comprare i bagigi, figuriamoci i Bot.

GIORNALISTI CASTA INTOCCABILE



 

La guerra televisiva attorno all’Iva di Sky è diventata anche guerra dei giornali dopo che Berlusconi ha accusato i direttori di Corriere e Stampa, Paolo Mieli e Giulio Anselmi, di essere incapaci di fare il proprio mestiere e perciò degni di andarsene a casa. Apriti cielo: reazione sdegnate non solo dei diretti interessati e delle due testate, ma di tutto il giornalismo italiano con sindacato e ordine dei giornalisti pronti a scendere in campo a difesa della “casta stampata”.

Una nota del direttore Anselmi afferma che La Stampa “ha informato con scrupolo e rigore i lettori”. Magnifico. Ma proviamo a immaginare una nota di Palazzo Chigi che affermi Berlusconi ha “governato con scrupolo e rigore nell’esclusivo interesse dei cittadini”; penderemmo sul serio questa affermazione? Credo piuttosto che ci metteremo a ridere giudicandola una difesa d’ufficio scontata e insignificante.

Prescindiamo dal caso specifico, non entriamo nel merito di questa polemica cioè se Berlusconi abbia ragione o torto, ma restiamo al principio generale. E’ possibile dire qualunque cosa dei politici – che sono incompetenti, che sono ladri, che bisogna mandarli a casa – e nessuno si scandalizza, anzi, tutti o quasi condividono. Non c’è ordine né sindacato che insorga a difenderli. Allo stesso modo possiamo dire che certi chirurghi sono macellai o che certi ingegneri non sanno progettare nemmeno un pollaio; al massimo saremo chiamati a rispondere per diffamazione del singolo, ma non nasce un caso, non ci sono reazioni scandalizzate dei loro ordini professionali. Guai invece a mettere in discussione la professionalità dei giornalisti o quella dei magistrati, scatta qualcosa di molto simile al villipendio della religione. Il che ci dimostra che nel nostro Paese ci sono tante caste, tutte con in loro privilegi, ma solo due hanno la pretesa di essere anche caste intoccabili: i magistrati e i giornalisti appunto.

Un politico che affermi di essere “al servizio dei cittadini” viene sommerso di pernacchie. Mentre l’associazione nazionale magistrati viene tranquillamente a spiegarci che loro sono “al servizio esclusivo della giustizia” e guai a spernacchiarli…I giornalisti ripetono fino alla noia di essere “al servizio esclusivo dei lettori” magari dimenticandosi che il direttore della Nazione di Firenze è stato appena beccato con l’editoriale nel sacco, perchè era al servizio di un lettore molto particolare (cioè uno speculatore con precisi interessi immobiliari). Che sia l’eccezione o qualcosa che assomiglia alla norma?

Dobbiamo domandarcelo perchè credo che un serie di fattori storici e culturali determinino l’etica di base di un Paese, che poi più o meno si riverbera nei comportamenti di tutte le categorie sociali. O siamo convinti che nello stesso Paese possano esserci politici tutti ladroni e giornalisti tutti immacolati, professionisti seri ed impegnati, dediti esclusivamente ad informare in modo britannico? Proprio perchè vogliamo che non ci sia un regime dobbiamo poter criticare tutti: il premier per primo, ma anche Mieli o Anselmi. Sperando che nessuno si consideri intoccabile come…un Mussolini.

 


MA SKY NON E’ IL PANE



 

Non escludo che Berlusconi pensi ai suoi interessi di proprietario Mediaset con la decisione di raddoppiare l’Iva a Sky. La tivvù satellitare di Murdoch è infatti un concorrente molto temibile, tale da far sembrare la sua Premium una specie di Fiat al cospetto di una Bmw. Il Cavaliere ha sempre trovato il tempo per curare il business, tant’è che da presidente del consiglio ricevette anche Moggi (il Moggi allora plenipotenziario del calcio nazionale) a Palazzo Chigi per discutere con lui la divisione dei diritti televisivi tra Milan, Juve ed Inter. Dopo di che non esageriamo con il conflitto di interesse: quello di Berlusconi è infatti l’unico nel mirino e quindi abbastanza sotto controllo; mentre nulla sappiamo e vediamo degli intrecci fittissimi che legano politici, finanziari e imprenditori sia a livello nazionale che periferico…

Ciò premesso è ridicola la battaglia che l’opposizione (in odio al Cavaliere) conduce a favore di Sky, contro l’aumento dell’Iva e la conseguenza minaccia della tivvù di Murdoch di scaricare questo aumento sui propri abbonati. Battaglia ridicola perchè non stiamo parlando di un genere di prima necessità: Sky non è il pane, nemmeno la pasta e nemmeno un’utilitaria che il popolo deve usare ogni giorno per andare al lavoro. Sky è la Porche delle televisioni, è il tipico bene voluttuario, è uno di quei beni di lusso che la sinistra è sempre stata d’accordo di tassare e tartassare.

Finché una norma europea non l’ha vietato, il nostro Paese applicava l’Iva al 36% sulle auto sopra il 2.000 di cilindrata benzina (2.400 per il diesel): erano considerate auto di lusso e quindi tartassate col benestare di tutto lo schieramento politico: la sinistra avrebbe protestato se l’Iva fosse stata equiparata a quella delle utilitarie, non certo perchè era doppia. Guarda caso quelle auto ipertassate, sopra il 2.000 di cilindrata, rappresentavano un segmento praticamente inesistente nella produzione Fiat. E quindi l’Iva doppia serviva anche a proteggere la casa torinese dalla concorrenza delle grandi case tedesche. Allora non si usava parlare di conflitto di interessi, anche perchè l’Avvocato non aveva bisogno di guidare un governo per avare l’intera classe politica inginocchiata al suo cospetto…

Tornando al presente se il governo deve fare un po’ di cassa per finanziare gli interventi anticrisi dove deve andare a pescare i soldi? Aumentando l’Iva su Sky o sul canone della Rai che è l’utilitaria delle televisioni? Non è più equo colpire proprio i beni di lusso? E la tragedia che stanno facendo quelli di Sky non è un po’ esagerata? Davvero tutto l’aumento deve essere scaricato sugli abbonati o ci sono utili a sufficienza per fare un fifty-fifty? E anche arrivasse questo aumento del 10% le conseguenze sarebbero così catastrofiche, ci sarebbe il crollo degli abbonati? Ne dubito perchè penso che chi può permettersi di acquistare una Porche non sta poi a guardare quanto gli costa il pieno…

Ma il problema vero è questa sinistra che, come ha scritto Mario Giordano, è passata “ dalle tute blù alla pay tivvù”: non sta cioè facendo un battaglia popolare, le famiglie alle prese con la terza settimana nemmeno capiscono perchè ci si accapiglia su Sky che è ben lontana dall’essere per loro un bene primario. L’opposizione conduce questa battaglia d’elite, ispirata anzitutto – così mi pare – dall’odio per il Cavaliere.

 


BELEN O LUXURIA AL MIO PANNOLONE?

 

Belen o Luxuria al mio pannolone?

Nel post precedente tanti contributi tutti interessanti – inglese, arcimatto, dubbioso, Silvestro, Corrado, Libero pensatore, etc. – ci hanno portato al dunque, cioè a discutere della cosa che più conta: le tasse, il costo e la qualità dei servizi che lo Stato eroga al cittadino. Questo è il punto vero, il resto (destra/sinistra, comunisti/fascisti, Prodi/Berlusconi, pubblico/privato) sono solo pugnette. Magari interessanti, magari appassionanti, ma pugnette. Come ci insegna l’America la rivoluzione vera (e la secessione…) si fa per le tasse, per controllarle, per liberarci il più possibile dalle tasse; non per costruirci la dacia facendo finta di liberare il proletariato

Chi mi cambia il pannolone, Belen o Luxuria? That’s the question. Questo è il problema vero alla mia età (sono 58 il febbraio prossimo): dopo una vità che lavoro e pago le tasse, non solo la mannaia dell’Irperf, ma ogni volta che faccio il pieno metto (come tutti) più “carburante” nelle casse dello Stato che nel serbatoio della mia auto, ogni volta che compro una qualunque cosa pago in più il 20% di iva, ogni volta che pago le bollette pago anche altre tasse, e poi i consorzi di bonifica, il canone Rai, i banditi da strada che (su mandato dei sindaci) si appostano lungo le vie del Veneto e, se vai a 55 Km l’ora, in nome della sicurezza stradale ti scippano altre centinaia di euro. Pago da una vita. E adesso? Adesso che ho bisogno, adesso che divento vecchio, questo Stato che ho foraggiato alla grande cosa mi da? Se il pannollone me lo cambia Belen posso anche starci, ma se me lo cambia Luxuria (per giunta dimagrito di 14 Kg all’isola) è una fregatura totale. E non è che mi faccio illusioni: bene che vada me lo cambierà Luxuria, ma bene che vada e che non sia invece l’ultima badante rumena che capita…

Quando il Partito radicale era una cosa seria, capace cioè di fare battaglie popolari e non solo di nicchia, aveva lanciato un referendum fondamentale per l’abolizione del sostituto d’imposta. Riuscissimo ad abolirlo innescheremo le masse rivoluzionarie, cioè le decine di milioni di lavoratori dipendenti i quali oggi nemmeno si rendono conto di quanto gli porta via lo Stato in cambio del poco nulla che da in cambio. Diventerebbero anche loro, i dipendenti, delle belve come gli autonomi. L’operaio oggi ragiona e si dimensiona sui 1.200 euro che gli arrivano in tasca. Ne avesse duemila e più al mese e dovesse versarne mille per avere in cambio solo il pannollone modello Luxuria, farebbe la rivoluzione in Ottobre e in tutti gli altri mesi dell’anno: andrebbe nel suo Comune a controllare quanti sono, cosa fanno e se servono tutti quei dipendenti; chiuderebbe gli atenei che negli ultimi venti anni hanno triplicato il numero dei docenti universitari per sfornare lauree sempre più squalificate; pretenderebbe giustizia immediata dal numero spropositato di magistrati strapagati che mantiene mese dopo mese; esigerebbe che l’assistenza negli ospeali la faccia il personale sanitario e non il parente del ricoverato.

Le tasse, il costo e la qualità dei servizi che ottengo in cambio. Questo conta, il resto sono pugnette. Se devo cambiare gli infissi di casa mi interessa forse il colore politico del falegname? Se è un camerata piuttosto che un compagno accetto di pagare 100 euro in più al mq o me ne frego e guardo solo il preventivo più conveniente? Domanda retorica. Dovremmo scegliere con la stessa attenzione anche i governanti: cioè quelli capaci di darci scuola, sanità, giustizia decenti a prezzi accettabili; capaci di far pagare finalmente il pannolone Luxuria anche agli evasori incontinenti del Mezzogiorno e del resto d’Italia…



 

 

IL CAVALIERE DELLA MANCIA E L’IMPERO BRITANNICO

 

 

Complimenti al Manifesto che titola oggi in prima pagina “Il Cavaliere della mancia”. Uno dei titoli più azzeccati, quasi al livello del mitico “Pastore tedesco” con cui il quotidiano comunista uscì all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI°. Ammettiamo che è così: il bonus natalizio del governo Berlusconi alle famiglie meno abbienti è solo una mancetta. Rendiamoci però conto che è l’unica misura che un qualunque governo italiano possa varare.

Nel nostro Paese infatti non ci sono risorse per pensare a manovre da New Deal, ma solo per elargire qualche mancetta, qualche sussidio ai più poveri. Il nostro Paese ha il fiato corto. Il fiato corto come certi malati di cuore che trattengono troppi liquidi: sono sempre più deboli, si stancano al minimo sforzo, gli manca letteralmente il fiato. L’unico intervento efficace per questi malati è somministrare loro un diuretico che, liberandoli dei liquidi in eccesso, da loro sollievo e riporta la respirazione a livelli più accettabili.

I liquidi in eccesso che stanno soffocando il nostro Paese sono la spesa corrente, che rappresenta una percentuale spropositata nel bilancio sia dello Stato che degli enti locali. L’unico diuretico in grado di ridare fiato e liberare risorse sarebbe quello che espellesse qualche centinaio di migliaia di pubblici dipendenti. Ma è impossibile somministrarlo. Quando Berlusconi dice che vedrà se è possibile detassare le Tredicesime, e mette le mani avanti aggiungendo che farlo sarebbe “molto oneroso”, ci fa capire che basta questo modesto gettito mancante a mandare in crisi i conti dello Stato. Deve rinunciare ad ogni seria riduzione fiscale, che è la base di qualunque rilancio economico, perchè con la nostra spesa corrente non possiamo permettercelo.

Un New Deal sarà possibile negli Usa di Obama. Il quale ha già annunciato che ridurrà le tasse al 95% degli americani, e senza nemmeno abrogare i tagli delle tasse voluti da Bush per i super ricchi. E contemporaneamente da seguito ad investimenti pubblici megagalattici: centinaia di miliardi di dollari per salvare Wall Street, per rilanciare l’economia, per ampliare il welfare, per potenziare l’istruzione. Come è possibile da un lato incassare di meno con il fisco e dall’altro aumentare gli investimenti? E’ possibile perchè gli Usa non sono soffocati dalla spesa corrente, perchè hanno un apparato pubblico infinitamente più snello del nostro; perchè possono anche affrontare spese spaventose, come per la guerra in Iraq, ma sono spese straordinarie che oggi ci sono e domani cancelli e indirizzi in tutt’altri settori. Negli Usa il diuretico è all’ordine del giorno, e un New Deal è sempre possibile.

Un ultimo dato per comprendere l’abisso nella concezione dello Stato che storicamente ci separa dal mondo anglosassone. Un dato che ho trovato nel volume di Niall Fergusson, “Impero”, che racconta la storia di quell’impero britannico che arrivò ad estendersi su un quarto della superficie terrestre. Il più grande impero della storia. E sapete quanti erano i funzionari inglesi incaricati di amministrarlo? Un migliaio circa! Metà dei pubblici dipendenti del Comune di Padova o di quello di Verona. Tanti quanti ne assumiamo noi per gestire una comunità montana.

Quindi in questa nostra situazione ce già da meravigliarsi che rimangano risorse per una mancia, per un po’ di carità ai poveri sotto Natale.


COSA INNESCA LA STRAGE DI VERONA?

 

 

Stavo preparando la puntata di Rosso & Nero sulla crisi economica che entra in famiglia quando è arrivata la notizia della strage di famiglia, della strage di Verona dove il padre commercialista uccide la moglie avvocato, i tre figlioletti bambini, e si toglie la vita. Il primo pensiero è che qui le difficoltà economiche proprio non c’entrano, dato che era una famiglia benestante. Subito dopo pensi che magari ci fossero state: perchè spesso è proprio una difficoltà materiale, una sfida da affrontare, che ti tiene legato alla vita che ti impedisce di partire per la tangente…

I vicini parlano di una coppia affiatata, di tre figli splendidi. Tutti abbiamo conosciuto coppie piene di problemi, magari anche con figli handicappati che diventano la prima ragione di vita. Genitori terrorizzati dal pensiero “cosa faranno quando non ci saremo più noi”, ma che mai pensano di abbreviare le loro sofferenze togliendogli la vita. Si può capire il suicidio. Più difficile capire la strage dei propri cari: è un supremo atto di egoismo? O comunque un atto d’amore distorto?

E’ sufficiente dire “è impazzito, non c’è nulla di razionale nel suo gesto”? O c’è una logica anche nella follia che qualcosa spiega e qualcosa ci fa intuire? Magari ci è più facile, più immediato, comprendere la violenza della belva estranea che irrompe, violenta e ammazza. Ci turba, ci spaventa assai più, questa violenza che cova nella serenità apparente della vita quotidiana; e poi divampa improvvisa e incontrollabile. Perchè? Cos’è successo a questo avvocato di 43 anni? Può accadere anche a ciascuno di noi?

SI BALLA SUL TITANIC SPERANDO NEL MIRACOLO

Come mai una società secolarizzata come la nostra crede ancora nei miracoli? Semplice: perchè solo così si può continuare a ballare sul Titanic illudendosi che la crisi economica non ci mandi tutti a fondo. Il miracolo, statalista o liberale che sia, dovrebbe comunque compierlo il governo; e noi lì ad applaudire la moltiplicazione dei pani e dei pesci continuando a ballare, cioè senza modificare né tenore né stile di vita.
L’attesa e la convinzione generale è che ci pensi il governo – quello nazionale o quello mondiale, il G8 o il G20 o l’Onu – che ci pensi comunque lui a rilanciare l’economia con la ricetta keynesiana, un mega programma di opere pubbliche, oppure con la ricetta liberista, meno tasse per tutti a cominciare dalla prossima tredicesima. Aiuti per le banche sull’orlo del fallimento, per le aziende in crisi, aiuti per le famiglie in difficoltà; aiuti a raffica, e tutti noi “miracolati” appunto da un intervento governativo che farà passare la crisi senza dover spargere né lacrime né sangue.

Sembra incredibile ma non ci si domanda nemmeno da dove dovrebbero uscire tutte queste risorse finanziarie aggiuntive che consentano di aiutare e banche e imprese, per giunta tagliando le tasse, perchè ci sono anche le famiglie da aiutare e i consumi da rilanciare. Rifiutiamo anche di dare uno sguardo all’ovvio: con l’economia globale anche la crisi sarà globale ed arriverà la vera uguaglianza comunista. O pensiamo di poter restare in tre maestre per una classe di quindici bambini mentre ogni cinese produce cento camice al giorno vendute a due euro l’una? Lo capiamo o no che minimo dovremo diventare tutti agenti di commercio, cioè guadagnare in base al fatturato? O ci illudiamo di poter ancora imboscarci in uffici dove i controlli di produttività vengono lasciati fuori dalla porta?

La crisi si annuncia ormai violenta e devastante come uno tsunami. Non ci sarà nemmeno il tempo di filosofeggiare domandandosi se i fannulloni stiano più a sinistra o a destra o nell’Udc. Semplicemente non potranno più esserci da nessuna parte, perchè non ci saranno più risorse per mantenere chi non lavoro e non produce. Come ha scritto Luigi Primon la crisi economica ci porterà al capolinea di “Sprechitalia” , agirà da grande livellatrice, sarà il trionfo dell’uguaglianza comunista: tutte eguali, regioni del Nord e del Sud, a statuto ordinario o speciale; tutti eguali lavoratori autonomi o dipendenti pubblici o privati. Tutti a stringere la cinghia e a rimboccarsi le maniche per tirare avanti. Tutti pagati a cottimo, che indubbiamente suona male ma quantomeno è un criterio oggettivo. Una prospettiva molto impegnativa, ma per certi versi con risvolti di autentica giustizia sociale.
Vogliamo guardare in faccia la realtà, capire che crisi significa anzitutto metterci a lavorare sul serio? O preferiamo chiudere gli occhi e continuare a ballare sul Titanic convinti che Berlusconi o Obama compiano il miracolo di non farci andare a fondo?

MA ELUANA NON E’ WELBY

 

Arrivo ad Eluana partendo da una premessa: rivendico il diritto di poter decidere come vivere, come e fino a che punto farmi curare, come e quando morire. Trovo assurdo considerare il suicidio un reato perché non appartengo allo Stato; la mia individualità viene prima del contratto sociale. (Mi domando se, anche chi sente di appartenere a Dio, debba preoccuparsi di rispondere a Lui della sua vita, di ciò che ha fatto e di come ha vissuto, o di come e quando è morto). Per quanto mi riguarda sono favorevole all’eutanasia appunto perchè rivendico – anche senza particolare sofferenza fisica o psichica – il diritto di essere io a decidere della mia morte. Io. Non mio padre né mio figlio, né il mio medico di fiducia, né il mio amico o la mia amica del cuore. Io e solo io.

Ed è proprio questo il punto che non mi convince nel caso di Eluana Englaro e nella sentenza finale dei giudici della Cassazione i quali – al di là di cavilli ed iter giuridici – di fatto hanno accolto la richiesta del papà di poter staccare il sondino alla figlia. Quindi ha deciso Peppino, non Eluana. Si è sancito l’esatto contrario della libertà di scelta: cioè la facoltà che decida un altro al posto del diretto interessato. Quindi l’eutanasia non c’entra in nessun modo. E’ sorprendente che non solo molti mezzi d’informazione, ma la stessa Chiesa, non si rendano conto di usare il termine eutanasia del tutto a sproposito. E’ sorprendete che i radicali evochino il precedente di Piergiorgio Welby che è, questo sì, un caso da manuale di eutanasia: perchè lui mille volte e fino alla fine ha espresso la volontà di farla finita; non è stata sua moglie a raccontarci che Piergiorgio vent’anni prima avrebbe detto…

Anche quando si parla di “testamento biologico”, altra iniziativa che condivido in pieno, si intende che sia il diretto interessato a mettere per iscritto la propria volontà in caso di malattia invalidante. Lui, con firma autenticata. Non un qualsiasi congiunto per procura e per sentito dire. Non mi sogno di discutere la completa buonafede di Peppino Englaro; ma sul piano delle regole è una follia delegare ad un’altra persona la decisione sulla propria vita e la propria morte. Si profilano infatti scenari più che inquietanti: dalle autorità sanitarie che, per questioni di bilancio, “tagliano” i pazienti più costosi spiegandoci che lo fanno per “lenire le loro sofferenze”, fino ai parenti a vario titolo interessati ad “accelerare” il decorso dei loro congiunti…Immaginatevi, tanto per dire, i genitori di un Pietro Maso in coma a causa di un incidente auto: c’è un dubbio che il figliol prodigo, in spasmodica attesa di eredità, avrebbe spergiurato sulla loro “volontà di non tirare avanti da vegetali”?…

Solo lo Stato può decretare la morte di una persona, e solo in quei Paesi dove esiste la pena capitale. Se la morte viene decretata da un qualunque altro soggetto si chiama omicidio. Se passa attraverso organi dello Stato, come la magistratura, dove non esiste la pena capitale è un omicidio di Stato. In ogni caso non ci si può nascondere dietro l’alibi della battaglia per introdurre l’eutanasia che è e resta indissolubilmente legata alla volontà espressa dall’unico vero soggetto interessato: il morituro.

SE BERLUSCONI S’AFFLOSCIA



 

Se Berlusconi s’affloscia, non è perché in Usa ha vinto Obama, ne perché il Trentino è l’Ohio di Veltroni: si affloscia perchè gli elettori di centrodestra cominciano a scoprire che il suo è solo…l’ennesimo governo democristiano, e non quel autentico e serio governo di destra che loro si aspettavano. Non un governo capace di sfidare gli scioperi, la protesta e la tensione sociale, anche l’impopolarità, pur di andare avanti nei programmi e nelle riforma annunciate.

E’ significativo che un termometro molto sensibile agli umori dell’elettorato nordista di centrodestra, qual è Libero di Vittorio Feltri, abbia espresso tutta la delusione titolando in prima pagina: Il governo ha paura. Ha paura dello scontro, della tensione sociale, dei sondaggi che potrebbero calare, e per questo cala le braghe di fronte agli scioperi e alle manifestazioni. Giustamente Feltri non si sofferma più che tanto sulle “aquile selvagge”, su quei piloti che oggi tutti sono pronti a crocifiggere, ma parla anzitutto della scuola, dell’università, del contrordine compagni impartito ad una Gelmini che adesso deve scendere a patti con sindacati, baroni e rettori per evitare nuove agitazioni.

Cioè deve fare anche lei quello che hanno sempre fatto i governi democristiani memori del “verbo” andreottiano (l’importante è durare, il potere logora solo chi non ce l’ha): cedere alle richieste corporative, garantire che piccoli e grandi privilegi non saranno toccati ma, eventualmente, solo ampliati. E’ molto semplice evitare qualunque tensione sia con i docenti che con i magistrati che con gli autoferrotramvieri che con gli infermieri che con i tassisti: basta cedere alle loro richieste, basta calare sempre le braghe. Peccato che così non si governi il Paese e non si attui alcuna riforma. Riforme, tutte, che partono da un unico presupposto comune: tagliare gli interessi corporativi degli addetti e fare finalmente quelli degli utenti. Detto in altri termini: se concerti hai già rinunciato a riformare e a governare; continui solo a fare il democristiano.

Così facendo anche il Berlusconi ter comincia ad afflosciarsi, la lune di miele inizia a declinare. Dovesse dimostrarsi una “democristianeria” la stessa riforma federalista, come molti segnali indicano, cominceranno ad afflosciarsi anche le vele della Lega.