I MILLE “MERIDIONI” D’ITALIA



 

La raffica di scioperi degli ultimi giorni ci confermano che non c’è solo il Meridione, luogo geografico pervaso dal tumore dell’assistenzialismo che ha ormai distrutto quasi tutte le cellule sane della cultura del lavoro, ma che ci sono anche gli altri mille “meridioni”, nemmeno delimitati geograficamente, che pervadono l’intero Paese: sono i meridioni delle corporazioni, dove domina l’interesse di casta ed è sconosciuto quello collettivo.

I “fannulloni” sono andati in piazza contro Brunetta che ha osato, dopo decenni di latitanza dello Stato, verificare che le assenze nel pubblico impiego siano davvero giustificate; quando le verifiche dovrebbero essere la contropartita logica e doverosa per chi ha il privilegio di lavorare nel pubblico a spese della fiscalità generale. Scioperano le hostess, queste “cameriere dell’aria” che hanno agio di girare il mondo e di essere pagate il triplo pur lavorando un quarto delle “cameriere di terra” di bar e ristoranti. Non parliamo dei piloti che lottano come aquile per star fuori dal mercato, cioè per non avere orari e stipendi equiparati ai loro colleghi stranieri. Scioperano i trasporti con autisti il cui orario di lavoro inizia ad essere conteggiato quando escono di casa. Scioperano docenti universitari che possono trascurare sia la ricerca che la didattica e restare ugualmente di ruolo a vita negli atenei.

E poi ci sono gli altri meridioni corporativi, che in questi giorni non hanno scioperato, ma che condividono l’identica cultura di casta: I magistrati che chiamano i controlli di produttività attentati alla loro autonomia; i giornalisti che pretendono di avere un ordine professionale senza essere liberi professionisti e anzi avendo la garanzia del posto di lavoro dipendente. E poi c’è il Meridione vero e proprio, intossicato da decenni di assistenzialismo, che resta il problema dei problemi. Fini e D’Alema tentano l’ennesimo depistaggio, la smenano con questa commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo. La questione, anzi la domanda, è una sola: ce la facciamo a riconvertire un’economia assistenziale, basata sugli interventi statali a fondo perduto, in un’economia reale reale basata sul lavoro e la produttività? No, non ce la facciamo perchè appena chiudi i rubinetti al Sud scoppia la rivolta. Quindi non puoi che lasciarli aperti, quindi devi rinunciare ad un vero federalismo fiscale.

E poi ci sono gli italiani che lavorano. Qualcuno anche al Sud. E molti di quelli che lavorano- senza privilegi corporativi, senza paracaduti sociali, anche il sabato e quando capita pure la domenica – sono lavoratori stranieri. Hanno la stessa determinazione che avevamo noi negli anni Cinquanta e Sessanta. E adesso, che arriva la crisi, dovremmo rimandare a casa il muratore moldavo se resta senza lavoro? Qui tenderei a diventare un po’ maoista…Prima di rimandare a casa chi lavora, manderei i piloti e i baroni universitari a coltivare patate.

 


OBAMA, SAN ZENO E OTELLO



Con un certo ritardo ma ci sono arrivati anche gli americani. Hanno il loro presidente nero 17 secoli dopo di Verona che, dal 362 al 372, ebbe il suo vescovo nero, per la precisione “moro e pescatore”: Zeno, o Zenone che dir si voglia, il quale arrivò dal Nordafrica (un po’ più su del Kenia) e venne a guidare la diocesi scaligera.

San Zeno era appunto anche lui nero, ma non per questo eretico. Nei dieci anni da vescovo (più di un doppio mandato presidenziale usa) non è che smantellò il ruolo della Chiesa di Verona. Anzi: combatte l’eresia ariana e – così raccontano le cronache – fu decisivo nel “confermare e rafforzare sia il popolo che il clero nella vita delle fede”. E’ bene ricordarlo ai tanti che cadono nell’equivoco di credere (o di sperare…) che Obama, in quanto nero, non abbia una profonda fede a stelle e strisce; ed anzi voglia smantellare il ruolo imperiale dell’America. Non scambiamo i desideri con la realtà: Obama è molto più americano di tanti americani bianchi, tanto più adesso che l’America l’ha fatto arrivare dove si pensava che nessun afroamericano potesse arrivare. Adesso che ha constatato di persona il “yes we can”, sarà più che mai convinto che l’America sia il meglio possibile, e vada perciò difesa e conservata

Un nero alla Casa Bianca, con molto ritardo rispetto a Verona, con un certo ritardo anche rispetto a Venezia che, nel Cinquecento, aveva il suo Moro di Venezia: Otello, comandante supremo dell’esercito della Serenissima. Se non proprio un Doge, una specie di Colin Powell comandante supremo nella guerra del Golfo. Anche lui, Otello, nordafricano come Zeno o, secondo un altra versione, capitano di ventura dell’Italia Meridionale. Comunque veneziano di adozione, eppure totalmente dedito al servizio della Serenisima; determinato a difenderla dai suoi nemici, non a trasformarsi in una quinta colonna.

Due esempi dalla storia veneta che forse ci aiutano a capire meglio quale potrà essere il ruolo di Obama nella storia americana. Il nero, l’uomo della provincia o delle province imperiali che arriva al vertice è fino in fondo partecipe dei valori che animano quelle istituzioni – la Chiesa, la Serenissima, l’impero romano o quello americano – può essere un innovatore, ma per ridare slancio e futuro a quelle istituzioni; non certo per affossarle.

Aggiungo due brevi considerazioni sulle elezioni usa. La prima: adesso che Obama ha stravinto tutti si spellano le mani ed applaudono la grande democrazia americana. Oso ricordare che è la più antica del mondo, non è diventata tale adesso; era una grande democrazia anche quattro anni fa quando vinse Bush. La seconda è stata evidenziata da Massimo Gramellini su La Stampa: la notte scorsa a Chicago per festeggiare la vittoria del nuovo imperatore del mondo c’erano in piazza un milione di persone, dieci giorni prima a Roma per ridare fiato ad un aspirante presidente del consiglio italiano sconfitto ce ne sarebbero state due milioni e mezzo…Una grande democrazia sa fare bene i conti, sia nelle urne che nelle piazze.


STUDENTI SINDACATO GIALLO DEI BARONI



 

Vedendo gli studenti che sfilano e scioperano fianco a fianco con i professori e, in particolare, con i docenti universitari mi è venuto in mente il sindacato giallo, quello che si inventavano (e che finanziavano) i padroni per far credere che non ci fosse un conflitto, che non esistesse una controparte, che imprenditori e lavoratori avessero gli stessi interessi. Mentre gli interessi che si cercava di tutelare attraverso il sindacato giallo erano solo ed esclusivamente quelli dei padroni. Vuoi vedere che gli studenti dell’autunno caldo del 2008 sono ridotti a fare il sindacato giallo dei baroni universitari? Come fanno a non capire che i docenti sono invece la loro controparte? Che si trovano a frequentare scuole ed università ridotte a bidoni vuoti, cioè inconsistenti per il loro futuro, perchè le risorse e le attenzioni sono state tutte dirottate a soddisfare gli interessi del personale (docente e non) a scapito degli interessi dell’utente.

E’ un discorso che vale per tutto il pubblico impiego: si parli di sanità piuttosto che di giustizia, di enti locali piuttosto che di compagnie aeree, di scuola o di comunità montane, il risultato non cambia. Ed è anche comprensibile. Perchè esistono i sindacati dei dipendenti e fanno il loro mestiere, mentre non esiste il sindacato degli utenti che tuteli i loro interessi. Dovrebbe essere il compito primo ed alto della politica, quello di farsi carico del bene comune, dell’interesse generale. Ma abbiamo una classe politica che ragione per segmenti successivi: oggi teme di perdere il voto dei magistrati, domani quello dei piloti, ieri quello dei ferrovieri, l’altro ieri si chiedeva che fine avrebbero fatto le preferenze degli infermieri…E così le corporazioni, delineate dal fascismo, sono divenute dominanti nell’Italia antifascista…

L’utente, dicevamo, viene sempre dopo il dipendente. Gli studenti e il loro futuro, molto dopo le attese presenti dei 7 mila che ambiscono a stabilizzarsi all’università attraverso concorsi che Francesco Giavazzi, in prima pagina del Corriere, ha definito con un aggettivo chiaro e semplice: “concorsi falsi”. Ma solo nella scuola succede di vedere le vittime che si battono per i loro aguzzini. Non è mai successo che i pazienti, in lista d’attesa costante, scioperino a fianco di medici ed infermieri. Che i cittadini, per i quali la giustizia arriva (quando arriva) dieci o venti anni dopo, sfilino a fianco dei magistrati. Che chi viaggia in treno o in areo sia solidale con le richieste di piloti e ferrovieri. Solo nella scuola, e in questi giorni nelle piazze, gli studenti stanno dalla stessa parte dei docenti. Dei baroni.

Sottolineo dei baroni. Perchè posso capire i maestri, i professori delle medie che, come tutte le persone normali, ambiscano ad avere il posto di lavoro garantito a vita. Ma questi giganti del sapere, loro che rappresentano le vette della cultura e della ricerca e della docenza, loro almeno vogliono mettersi sul mercato? Accettare cioè di essere confermati nell’incarico in base a ciò che hanno prodotto a beneficio dei loro studenti. O hanno il diritto di restare in cattedra a vita e a prescindere?

Noi vecchi sessantottini avevamo molte idee confuse, ma almeno una chiara: i baroni volevamo mandarli a casa. Quarant’anni dopo gli studenti sono diventati il loro sindacato giallo. Ed è la conferma di quanto bene funzionino queste università: hanno fumato il cervello a chi le frequenta, non capiscono più nemmeno chi è la loro controparte.

 


SCUOLA, TORNELLI E DE GAULLE DA OPERETTA

 

 

Nel post precedente Silvestro mi chiede quale sia la via maestra per la riforma scolastica. Possiamo fare mille considerazioni didattico-pedagogiche e magari perderci nei ragionamenti col risultato di conservare lo statu quo di una scuola ridotta ad un bidone vuoto. Oppure possiamo scegliere un approccio chiaro e semplice. La via maestra è il tornello. Mi spiego: mia figlia Lucia è arrivata quasi alla fine del terzo anno di Economia e non ha mai visto un docente in faccia; ha fatto solo ed esclusivamente esami scritti, test che molto spesso puoi addirittura coreggere al computer in automatico. Quando la base degli studi universitari dovrebbero essere gli esami orali, il colloquio diretto tra studente e docente che solo può permettere a quest’ultimo una valutazione completa che riguardi anche la personalità, il carattere, l’approccio allo studio dell’allievo e non solo l’arido nozionismo. Ma gli esami orali sono stati cancellati in tutte le facoltà. Perchè non ci sono docenti a sufficienza? Non diciamo sciocchezze, sono uno stuolo: quando va male uno ogni dieci studenti. Ma interpretano la tanto decantata autonomia degli studi universitari allo stesso modo identico dei magistrati: autonomia vuol dire libertà di non fare una beata minchia, autonomia vuol dire divieto di controllarmi e verificare se mi guadagno lo stipendio o meno. E allora cominciamo dai tornelli. Tornelli per i docenti. Gli stessi che Brunetta vuole installare anche nei palazzi di giustizia perchè certi magistrati in nome dell’autonomia – come denuncia il ministro – lavorano due giorni alla settimana.

Se siamo fessacchiotti prendiamo per buono il loro blateramento – magistrati che ci assicurano che il buon funzionamento della giustizia è la loro unica preoccupazione, baroni che raccontano di non dormire la notte perchè la ricerca è senza fondi – se siamo appena smagati abbiamo capito che la difesa ad oltranza degli interessi corporativi e la loro unica e vera linea del Piave.

Tornando alla scuola, università e anche cicli inferiori, l’equivoco vero è quello dell’autonomia. Vogliono essere autonomi ma a spese della collettività. Quando è talmente evidente che o sei autonomo anche nel reperire le risorse finanziarie, come avviene per college e scuole anglosassoni che si mettono sul mercato e raccolgono le rette e gli stessi fondi per la ricerca a fronte del prodotto culturale che sanno garantire; o sei capace di fare così e sei giustamente autonomo, oppure dipendi dal finanziamento pubblico ma sei tenuto a seguire alla lettera programmi, orari e selezioni ministeriali. Rettori, presidi e docenti vari interpretano invece l’autonomia in questo modo vergognoso: farsi i…azzi loro a spese nostre, senza garantire nulla agli studenti.

La cura Gelmini è un aspirina per una scuola pubblica con la febbre da cavallo. Ed il primario capo è un tentenna: un momento sembra De Gaulle e tuona che darà direttive precise al ministro degli Interni per impedire le occupazioni che sono violenza contro la libertà e la democrzia; il momento dopo diventa la caricatura di De Gaulle, un De Gaulle da operetta, e frigna che lui la polizia nelle scuole non ha mai detto di volerla mandare…

Quando nelle scuole bisognerebbe mandarci, non solo la polizia, ma le forze armate al gran completo per garantire il diritto allo studio di tutti i cittadini, ed in particolare di quelli meno abbienti. Perchè come mi spiegava già quarant’anni fa lo Zwirner, quello vero (cioè il prof. Giuseppe, uomo di sinistra, del Partito d’azione, partigiano della brigata Trentin): una buona scuola pubblica è la garanzia di accesso al sapere per tutti. Se – proseguiva lo Zwirner – distruggiamo questa scuola (eravamo nel ’68) il ricco si salverà sempre andando a studiare all’esterno o nella scuola privata, mentre il poveraccio sarà condannato a restare un ignorante…Così come ha certificato l’Ocse in questi ultimi anni.

 

TOSI “CONDANNATO”…A GUIDARE IL VENETO

 Sulla prima pagina de L’Unità di oggi domina un titolone: “Verona, sindaco condannato. Ha diffuso idee razziste”. Lo leggono i leghisti più smagati ed esultano; lo leggono quelli di sinistra più razionali e si mettono le mani sui capelli. Perchè entrambi giungono, con stati d’animo opposti, all’identica conclusione: avanti di questo passo Flavio Tosi diventerà presidente del Veneto a furor di popolo…

Non c’è infatti solo un precedente illuminante in questa lunga vicenda giudiziaria che vede Tosi accusato di violazione della legge Mancino, per aver organizzato nel 2001 una raccolta di firme contro un campo nomadi abusivo, dichiarando che “gli zingari devono essere mandati via perchè dove arrivano ci sono furti”. Il precedente è questo: il 2 dicembre del 2004 viene condannato a sei mesi di carcere, ed a pagare 10 mila euro di risarcimento all’Opera nazionale nomadi e 5 mila euro ad ogni singolo nomade che si fosse costituito parte civile; pochi mesi dopo, nella primavera del 2005, Tosi viene confermato in consiglio regionale con 28 mila voti di preferenza, il più alto numero di preferenze ottenute da un candidato da Roma in su. Certe sentenze sono un insulto al buon senso, sono la giustizia nel mondo alla rovescia: Tosi condannato a pagare un risarcimento ai nomadi, quando nessun nomade è mai stato condannato a risarcire uno dei tanti cittadini derubati…

Ma non c’è solo questo precedente. C’è anche una notizia, che avevamo anticipato in Palazzi & Potere e che oggi ufficializza un altro quotidiano, Il Gazzettino: la Lega vola nei sondaggi e in Veneto si attesta ormai sopra il 40%. Vogliamo scandalizzarci pensando che tutti i veneti stanno diventando razzisti come Tosi? O vogliamo aprire gli occhi e capire quali sono le cause scatenanti e quali gli effetti?

Lo ha capito benissimo un altro Flavio sindaco, quello di Padova Zanonato, che è letteralmente furibondo nei confronti dell’associazione Razzismo stop (Verificatelo guardando il servizio sul Tg Padova di questa sera). Questa associazione ha preso lo spunto da un episodio banale e insignificante – il fermo di due giovani africani durante un operazione antidroga – ha preso lo spunto da qui per lanciare l’accusa di razzismo contro le forze dell’ordine, le istituzioni e i cittadini padovani, spingendo gli immigrati di colore ad una clamorosa manifestazone di protesta. Zanonato ha accusato quelli di Razzismo stop di essere loro che istigano all’odio razziale. Il sindaco di Padova del Pd è furibondo perchè che sa bene che, quando lanci un accusa inesistente, ti si ritorce contro: i padovani che si sentono accusati di razzismo e di violenze dai neri, reagiscono votando Lega e non certo Pd.

Così i veronesi ieri, e oggi i veneti. Quando vedono che i giudici (e certi mezzi d’informazione) invece che condannare tutti quei nomadi che rubano, che vivono di espedienti, che sfruttano e violentano i bimbi nell’elemosina coatta, quando vedono che i giudici si preoccupano invece di condannare Tosi perchè cerca di difendere i cittadini dai furti dei nomadi, i veronesi e i veneti restano allibiliti. Vi pare possibile che si schierino dalla parte di questi magistrati “democratici e antirazzisti”? Le pare possibile, Concita De Gregorio, che dicano è ora far governare il Veneto dal Pd?… Mi pare molto più probabile che, come ieri hanno portato a furor di popolo Tosi al vertice di Palazzo Barbieri, domani lo portino anche al vertice di Palazzo Balbi.


LA LEZIONE SENEGALESE

 Purtroppo la lezione senegalese impartita da Souleiman Demba l’hanno sentita in diretta solo i padovani, perchè la nostra trasmissione di giovedì sera è andata in onda nell’area del Veneto orientale e non anche nell’area di Verona e del Veneto occidentale. Ma è stata una lezione memorabile. E vale la pena di riassumerla a beneficio dei frequenatori del blog.

Questo signore senegalese vive a Padova da 27 anni, dove gestisce un’azienda artigiana di tapezzeria. Ci ha raccontato che, quando ventenne si apprestava a lasciare il Senegal, sua padre gli aveva raccomandato anzitutto una cosa: “Dovunque tu vada rispetta le leggi e le regole che troverai. Se andrai in un Paese dove le persone camminano con una gamba sola, non fare storie e cammina su una gamba sola anche tu!”. Più chiaro e piu perentorio di così. “Ed io – ha proseguito Souleiman nel suo racconto – sono arrivato in Italia convinto di ciò che mi aveva insegnato mio padre, pronto a rispettare e far mie tutte le regole del Paese che mi ospitava. Ma…ho trovato un Paese che non aveva regole; anzi che ne aveva fin troppe: decine di migliaia di leggi, metà delle quali contraddicono l’altra metà; leggi inapplicabili, inapplicate e spesso inutili. Un Paese dove ti basta anche un avvocato mediocre per farla sempre franca” (capite: non serve nemmeno un Nicolò Ghedini, ti basta il primo azzeccagarbugli che capita…) “Un Paese – ha sentenziato Souleiman durante una fascia pubblicitaria – dove è più facile entrare che uscire!” (Cioè aperto a tutti e incapace di espellerne uno solo). “E allora che regole dovrei mai rispettare in un Paese come l’Italia? “

Eccola qui la mirabile e concisa lezione senegalese: sono bastate poche frasi di uno straniero per scolpire la verità che noi, affogati in una mare di chiacchiere e di sociologismi, non sappiamo più vedere.

Anzitutto che le persone serie ci sono dovunque, in Africa come nel mondo slavo. Genitori capaci di educare i figli e di indicare loro la retta via. Nelle parole del padre senegalese di Souleiman risentivo le stesse raccomandazioni che mi faceva il mio padre veneto-austriaco: comportati bene, sii educato; se vai a trovare Tizio ricordati che sei in casa d’altri, che non puoi fare i tuoi comodi come se fossi a casa tua.

Le persone serie ci sono dovunque; come i cialtroni. Così come ci sono Paesi seri e Paesi cialtroni. E il nostro ospite (televisivo) del Senegal ci ha ricordato il nocciolo di tutta la questione: non siamo un Paese serio. Il problema non sono gli immigrati, il problema è questo nostro Paese slabbrato che li accoglie mostrandosi loro per quello che è: un’Italia con intere regioni in mano alla criminalità organizzata, dove lo Stato non esiste, dove ( vecchia battuta degli anni Ottanta, più che mai valida) si pensa che il 7.40 sia il calibro di una pistola; un Italia dove gli italiani per primi non rispettano le regole e, se ti beccano, basta l’ultimo azzeccagarbugli per sfangarla; un Paese che affoga nella burocrazia e nei regolamenti più inutili ed assurdi, dove gli immigrati che lavorano devono bivaccare giorni in attesa di rinnovare il soggiorno mentre gli addetti si grattano. Che esempio da loro questo nostro Paese? Come fa a chiedere e pretendere il rispetto di regole che noi per primi violiamo? Detto con altre parole: lo stesso immigrato che va in Germania e diventa tedesco, quando viene in Italia diventa…italiano. Questa è la tragedia che rende ingovernabile l’immigrazione nel nostro Belpaese.

CHI SOFFIA SULLA RABBIA NERA

 

Padova, dopo Milano, ha conosciuto lunedì sera la rabbia nera, cioè la prima manifestazione di immigrati di colore contro il razzismo. L’analoga precedente manifestazione di Milano era stata innescata dall’omicidio di Abdul Giubre; lo stesso magistrato aveva escluso l’aggravante dell’odio razziale, ma pur sempre omicidio era stato. A Padova nulla di così drammatico: solo due giovani africani fermati dai carabinieri per alcune ore nel corso di un’operazione antidroga e, a loro dire, malmenati ed insultati dai militi. Tant’è bastato perchè Razzismo stop, associazione dell’estrema sinistra emanazione del centro sociale Pedro, prima organizzasse una conferenza stampa di denuncia e poi la manifestazione di protesta di ieri. Manifestazione che, nell’intenzione dei promotori, doveva essere un sit in davanti alla stazione di Padova. Ma che, esattamente come a Milano (promotori Mino Ovadia, Ottavia Piccolo, Agnoletto e soci) è sfuggita di mano agli organizzatri ed è stata gestita direttamente dai neri: che in cinquecento, senza alcuna autorizzazione, hanno marciato sul centro storico di Padova fino al Comune e al Palazzo della Prefettura dando sfoga a tutta la loro rabbia e lanciando accuse pesantissime.

A questo punto fate clic sul nostro Tg Padova e guardatevi il servizio di Riccardo Bastianello. E’ indispensabile perchè le immagini e le voci in presa diretta valgono più di qualunque resoconto scritto e sono incontestabili.

Avete ascoltato il mondo alla rovescia? Gli africani che dicono di aver loro paura degli italiani.Che dicono basta alla violenza, al razzismo dei padovani, alla caccia all’uomo che starebbe scatenando il nuovo questore di Padova Luigi Savina. Sono queste le parole d’ordine, la lettura degli avvenimenti, che propone Razzismo stop e che trasferisce agli immigrati alimentando così la loro protesta, soffiando sulla rabbia nera. Senza rendersi conto delle devastanti conseguenze sociali. Perchè la fantomatica “caccia all’uomo” (amesso che il questore, auspicabilmente, l’abbia scatenata) è chiaro che non riguarda l’uomo nero in quanto tale ma lo spacciatore nordafricano piuttosto che il pappone nigeriano. Ma cosa pensano i padovani sentendo i bravi immigrati di colore, che lavorano e rispettano le regole, gridare che non vogliono la “caccia all’uomo”? Pensano che vogliono proteggere i delinquenti, pensano che salta la tanto decantata distinzione tra regolari e clandestini. E le conseguenze sociali sono devastanti. Grazie a chi soffia sulla rabbia nera.

Così come sono devastanti e grottesche le conseguenze politiche. Dopo la manifestazione dei neri di lunedì sera, il segretario provinciale della Lega Maurizio Conte ha dichiarato che i padovani non hanno bisogno di manifestare in piazza, che loro manifestaranno nelle urne…E quindi più scateni la rabbia nera, più porti fieno alla cascina delle Lega. (Una cascina che già straripa con i sondaggi che danno la Lega in Veneto al 40%). Davvero un risultato politico lusingiero per un’associaione di sinistra come Razzismo stop. Mario Borghezio sentitamente ringrazia.

SE LA CRISI FACESSE IL MIRACOLO…

 

 

E se la crisi economica alla fine facesse il miracolo? Se questa catastrofe, che di ora in ora si fa più minacciosa ed incombente, avesse in seno anche un risvolto positivo? Se il patarac delle finanze pubbliche e private servisse a farci ritornare un Paese serio? Il Paese che eravamo nel dopo guerra e per tutti gli anni Cinquanta: gente che lavorava e il lavoro andava a cercarselo in giro per il mondo, un Paese dove il pubblico latrocinio era davvero l’eccezzione, un Paese capace di ricostruirsi (alla friulana, non all’irpina…), un Paese senza assistenzialismo per il semplice motivo che non ce n’era per nessuno. E per lo stesso motivo i pubblici dipendenti erano un decimo degli attuali.

Di fronte al tran tran, all’inerzia, all’accidia di un Paese incapace di riformarsi, che ha trovato perfino il compromesso geografico Calderoli-Fitto sul federalismo fiscale del nulla, di fronte a tutto questo vien da pensare che solo un evento esplosivo, altamente traumatico, riesca a risvegliare un popolo; a fargli ritrovare la dignità e la serietà perdute. Così come fu terribile la seconda guerra mondiale con la miseria, la paura, la preoccupazione quotidiana per la sopravvivenza: non c’era spazio per le pugnette, per gli aiuti statali, ognuno doveva darsi da fare e sfangarsela. E questo spirito abbiamo conservato per almeno quindici anni finchè lo statalismo e l’assistenzialismo catto-comunista congiunti non hanno cominciato a corromperci.

Oggi come ne esci dall’apatia, dall’accidia, dal latrocinio diffuso di chi ruba direttamente il denaro pubblico e di chi lo ruba indirettamente intascando lo stipendio senza lavorare? Bisogna che nuovamente non ce ne sia per nessuno. Bisogna che la crisi economica mondiale metta in ginocchio le finanze pubbliche e anche quelle private.

Perchè il Nord accetta da decenni di finanziare il Sud con il frutto del proprio lavoro, e lo accetta sostanzialmente senza battare ciglio (salvo qualche fremito elettorale leghista)? Perchè produce ricchezza in eccesso. Perchè il tenore di vita medio resta molto elevato, resta svizzero, non ostante il continuo salasso di risorse a favore del Sud. Bisogna che l’acqua salga fino al sedere e poi fino alla gola, e allora anche il Nord sarà costretto a svegliarsi per non affogare… Uno Stato alla bancarotta non potrà più pagare milioni di pubblici dipendenti senza mai una verifica di produttività e di competenza. Non ce ne sarà nemmeno per i nostri amministratori locali del Veneto che oggi si permettono di finanziare tutte le sagre, di dare una sede a tutte le associazioni, di mantenere protezioni civili incapaci di proteggerci anche dalle zanzare.

Tutti torneranno a svolgere qualsiasi lavoro, senza più lasciare quelli sgraditi ai “negri” cioè agli immigrati (questo, se mai, è il vero razzismo…). I meridionali, senza più risorse pubbliche per assisterli, torneranno a fare quel che facevano fino agli anni Sessanta: andranno a cercare il lavoro dove c’è, o impareranno a crearselo sotto casa come hanno fatto i veneti. Ma vi pare possibile un Paese che ha il 30% di disoccupazione al Sud e la piena occupazione al Nord, non grazie alla migrazione interna, ma grazie a lavoratori stranieri che arrivano dall’Africa o dall’Europa centrale, mentre i “lavoratori” meridionali sono fermi al paesello ad inveire contro uno Stato che non fa abbastanza per aiutarli?….

Che arrivi la crisi economica e che faccia tabula rasa. Forse è l’ultima speranza di rifondare una Nazione.

NONNO COFFERATI DA LIBRO CUORE

 

 

Da Libro Cuore questo “Cinese” che rinuncia a rifare il sindaco di Bologna per crescere il pupo. Peccato che il Libro Cuore sia fantasia e non realtà. Peccato che all’età di Cofferati (e alla mia) si crescano ormai nipoti e non più figli. Perchè ti manca la grinta e l’entusiasmo della gioventù. Non ha più voglia di importi, cosa essenziale con i figli: per loro la più importante. Cosa che oggi non fanno nemmeno i padri giovani, figurarsi quelli sessantenni: al massimo fanno i nonni, pronti cioè a viziare a tutto spiano le piccole canaglie per sentirsi gratificati dal loro affetto effimero…Speriamo, per il pupo, che la giovane seconda moglie abbia un fratello e che faccia lui le veci del padre al posto di nonno Sergio.

Il quale è molto preoccupato: “Seicento chilometri in due giorni! Non si può pensare che un bambino cresca passando gran parte del suo tempo in autostrada!”. E la mamma? Non può proprio trasferirsi a Bologna? Che sia presidente della repubbica marinara di Genova? O che non regga il “Cinese” più a lungo di un fine settimana?

Tanto per passare il tempo in questo nostro fine settimana vi prospetto due ipotesi e vi invito a scegliere: che Cofferati, come diciamo in Veneto, si sia “infigato” al punto da rinunciare a rifare il sindaco per stare accanto alla giovane mogliettina? (Non è escluso, capita specie alle soglie della terza età). O che si sia inventato il pretesto del pupo perchè stima assai ardua la riconferma in una Bologna che vira a destra di suo (come un po’ tutto il Paese) e dove lui per giunta ha anche rotto con la sinistra radicale?

Dite la vostra liberi, ovviamente, di aggiungere anche altre ipotesi che spieghino il Cofferati da Libro Cuore.


 

BERLUSCONI CI TUTELA ?! E L’EUROPA FA CRACK

 


Sono molto preoccupato per i miei risparmi e il conto corrente. Lo sono da quando Berlusconi ha detto che me li tutela lui. Ma allora sono da tutelare? Sono a rischio anche loro? Perchè io, da sventato, pensavo che fossero a rischio solo le azioni e i fondi. Mentre Berlusconi mi ha convinto che tutto è a rischio, anche quattro soldi tenuti in banca (Che sia più sicuro trasferirli sotto il materasso?). E così si scatena il panico: ecco a cosa serve l’intervento dei politici in economia, a trasformare l’allarme in panico. A cosa servano le iniezioni di denaro pubblico lo abbiamo constatato negli ultimi giorni: Wall Street aveva retto benino alla bocciatura del piano Paulson, non ha retto invece alla sua successiva approvazione e, come è arrivata la montagna di denaro pubblico, è crollata la fiducia assieme a Wall Street. Stessa cosa in Europa. Lo scorso fine settimana i grandi Paesi europei, ognuno rigorosamente per conto proprio, hanno varato le statalizzazioni bancarie e i loro bravi interventi pubblici. Risultato: lunedì sono conseguentemente crollate le borse di Parigi, di Londra, di Francoforte. E da lunedì non la smettono di andare a picco. Altro che delirare sulla fine del mercato e sugli Stati Uniti che avrebbero scoperto i vantaggi del socialismo statalista. Bisogna lasciare il mercato libero di spurgare fuori gli escrementi (cioè le banche bancarottiere); quando invece ricorri al tappo dell’intervento statale il marcio resta dentro e tutto si trasforma in una vescica purulenta e maleodorante fino all’esplosione finale.

Può darsi che quelle fin qui svolte siano solo considerazioni o illusioni da vecchio liberale. Ma una cosa è certa, un crack è già avvenuto: quello dell’Europa Unita. Alla prima crisi seria, al primo provvedimento che non riguardasse il calibro del cetriolo ma un piano di salvezza per l’economia continentale, l’Ue si è sfaldata e ognuno ha scelto di procedere per conto proprio: la Merkel e Brown in modo esplicito, Sarkozy salvando la facciata perchè, da presidente di turno, non poteva dare all’Europa lo stesso calcione esplicito sferrato dai primi due. Non meravigliamoci, non poteva che essere così: non c’è storia comune, non ci sono radici, nulla che cementi l’utopia degli Stati Uniti d’Europa. Gli Usa americani sono nati e si sono cementati nella comune guerra di indipendenza dalla madrepatria britannica. L’Europa invece ha conosciuto solo guerre e divisoni intestine e tutt’ora le conosce: i cechi si sono separati dagli slovacchi, i valloni dai fiamminghi; dalla Spagna alla Gran Bretagna fino alla Georgia e all’Ucraina fiorisce l’autonomismo spinto fino all’indipendentismo, e qualcuno ancora delira di mettere assieme l’Europa? I tedeschi con gli italiani? Dei conti correnti dei tedeschi ce ne frega esattamente quello che a loro frega dei nostri depositi bancaria: una minchia.

L’unione monetaria è stata una brillante idea degli stati europei forti a spese di quelli deboli. Se vogliamo vederla la realtà l’abbiamo sotto gli occhi: grazie alla vecchia liretta, svalutabile a piacimento, compivamo incursioni corsare nel mercato tedesco piazzandoci il nostro export. Il folle cambio lira-euro, l’introduzione della moneta unica, ha falcidiato il potere d’acquisto dei nostri stipendi e affondato la goletta corsara impedendo ulteriori incursioni sul mercato tedesco a colpi di svalutazione. Ci ha garantito lo stesso calibro di cetriolo, ma nessuno scudo comune che ci ripari da una crisi finanziaria ed economica seria.

E oggi cosa vorremmo? Che gli Stati forti si facessero carico di quelli deboli? Lo vedete Berlusconi andare dalla Merkel e da Brown a dire loro: siete i Paesi fortunati dovete destinare parte della vostra richezza ad aiutare i Paesi meno fortunati come il mio…Lo immaginate Berlusconi? E la sentite la pernacchia che sommergerebbe questa sua richiesta? Certe menate sul federalismo solidale funzionano solo sul fronte interno. Diciamo che sono…molto provinciali e poco europee. Gia prima che l’Europa facesse crack, figuriamoci ora.