Come ho sottolineato la settimana scorsa il caso Toni (che nasce da lontano) è la cartina di tornasole di una società per molti aspetti debole, condizionata nel bene e nel male dai personalismi.
Lo insegna la vicenda Mandorlini, allenatore che – sebbene qualcuno finga di dimenticare – prima ha voluto una squadra a sua immagine e somiglianza (rosa corta, rinnovi di Jankovic e Gomez e mancanza di un fantasista perché non funzionale al suo 4-5-1) e infine è stato esonerato a campionato già ampiamente compromesso (6 punti in 14 partite, un po’ come dare 20 metri di vantaggio nei 100), lasciando una squadra atleticamente in affanno e uno spogliatoio ultimo in classifica ma dalle gerarchie inviolabili, ergo un campo minato. Lo insegna, appunto, la vicenda Toni, sino a qualche mese fa talmente potente e rappresentativo da condizionare financo il calciomercato e designare il suo vice (Pazzini, di cui condivide il procuratore), ora invece paragonato irrispettosamente da Delneri a un Furman qualsiasi.
E’ la storia degli estremi che arrivano a toccarsi, è la parabola del caudillo descritta anche da Garcia Marquez ne L’Autunno del Patriarca, è la vecchia ed eterna morale delle grandi vittorie a cui seguiranno inesorabilmente grandi sconfitte. Il problema è che a farne le spese poi è il Verona. E il Verona sta ancora pagando proprio certi personalismi, gli eccessi di potere di qualcuno che poi sono diventati eccessi di debolezza. Ma sempre di eccessi, prima e dopo, si è trattato, con due assenti eccellenti: l’equilibrio e una solida organizzazione societaria.
In un club organizzato, il Toni in ascesa sarebbe dovuto rimanere solo un giocatore (e Mandorlini solo un allenatore) e, allo stesso modo, il Toni in discesa non sarebbe mai dovuto diventare un caso di Stato. Perché non gestire con più efficacia le voci che già a gennaio davano il capitano futuro dirigente, domandandosi quale effetto potessero avere sul gruppo? In una società organizzata, e qui ritorniamo all’incipit, il caso Toni non sarebbe mai nato, perché Toni non si sarebbe mai permesso di delegittimare la squadra di cui è capitano e Delneri, di conseguenza, non sarebbe stato costretto a escluderlo per salvaguardare lo spogliatoio. E’ evidente infatti a chiunque abbia giocato a calcio, ma anche a qualsiasi persona padrona della logica che Delneri non aveva altra scelta, e questo al di là delle simpatia di ognuno per Tizio o per Caio. Altra cosa è il comportamento, a mio giudizio esecrabile e anche in un certo senso triste, del Delneri mediatico, che per giustificarsi si è umiliato a raccontare “supercazzole” che nemmeno il conte Mascetti di Amici Miei. I tifosi, di fronte al coinvolgimento di un giocatore così importante, avrebbero meritato più rispetto, ma il paradosso, se vogliamo, è che Delneri forse ha mancato di rispetto anche e soprattutto a se stesso.
In un club organizzato la riserva di un bomber di 38 anni – che proprio per l’anagrafica a ogni nuova stagione è di per sé un’incognita – non la propone il bomber medesimo; senza scomodare più o meno reali conflitti d’interesse (leggi il procuratore in comune), o motivi di opportunità calcistica (che coinvolgono le scelte tecniche dell’allenatore, gli stimoli a diventare titolare di chi è stato scelto dal titolare stesso, e la vita dello spogliatoio), un tassello così determinante per l’economia di una squadra che per due anni ha vissuto sui gol della punta lo deve scegliere il direttore sportivo (come fece Sogliano con Toni due anni prima), che è pagato per quello ed è per ruolo al di sopra delle parti. Incomprensibile anche che un ds che si avvale di “uno dei migliori scouting d’Italia” (Setti dixit), scouting tra l’altro ben remunerato, ingaggi Souprayen, il cavallo di ritorno Albertazzi e giocatori imbolsiti (Matuzalem e Emanuelson) proposti dai procuratori, anziché volti nuovi e talenti in erba. A che diavolo serve allora lo scouting?
In una società organizzata l’allenatore della prossima serie B (nonostante il ciapa no delle concorrenti ci lasci ancora un lumicino di possibilità, incredibile ma vero!) dovrebbe essere già stato individuato e la scelta non dovrebbe essere influenzata da questo finale di torneo, come ho letto sui giornali, cioè da una valutazione contingente ed effimera, ma dal progetto, dal mercato e dalle ambizioni che si hanno in testa, dunque da una visione complessiva.
Una società organizzata, e questo è un augurio perché a Setti voglio concedere ancora un bonus, ripartirebbe da un nuovo management (via Bigon e gli uomini scelti da Gardini ancora operativi) e, lo dico e scrivo da tempo, da un nuovo allenatore. Delneri in assoluto non ha fatto male (è partito in forte svantaggio e la classifica del girone di ritorno, cioè da quando si può giudicare il suo lavoro, ci darebbe salvi), ma, rispetto alle aspettative, nemmeno bene (le partite con Udinese, Samp e Carpi gridano vendetta). E in B serve un altro tipo di allenatore.