RESTAURAZIONE O RIVOLUZIONE?

Leggo e sento di un ritorno di Mandorlini e staff. Leggo e sento di una conferma di Bigon e staff. Leggo e sento che Luca Toni – che nel post Carpi ha parlato da dirigente in pectore – potrebbe entrare nei quadri societari. Leggo e sento del ruolo di Tullio Tinti, procuratore tra i più potenti in circolazione, nella stanza dei bottoni di via Belgio da quando se n’è andato Sogliano (che forse è stato allontanato proprio per questi nuovi equilibri).

Leggo e sento tutto ciò da più parti, anche autorevoli e beninformate, e nessuno smentisce. Ma lo scrivente non vuole scatenare uno sterile e stucchevole dibattito Mandorlini-Bigon-Toni sì o no, perché sarebbe fuorviante, un’arma di distrazione di massa.

Setti decida ciò che vuole, ovviamente, magari gli riuscirà meglio che scrivere lettere fuori tempo e fuori luogo. Il punto è un altro: capire il perché il presidente deciderà in un modo o nell’altro.

L’eventuale ritorno di Mandorlini sarebbe, credo, da imputare più a un risparmio economico che a un vero endorsement settiano (il presidente non ha mai amato il tecnico di Ravenna e a gennaio negò un suo rientro). Si parla di due milioni di euro lordi a carico delle casse del Verona tra il suo ingaggio e quello dello staff. Un suo ritorno, poi, avvalorerebbe il legame tra l’Hellas e Tullio Tinti, vicino alle vicende professionali del Grigio (e anche a quelle di De Zerbi, altro nome accostato al Verona). Idem la promozione di Toni (seguito da Tinti) nei quadri dirigenziali con funzioni, beninteso, operative nel calciomercato e non di mera rappresentanza. Toni che peraltro si è già cimentato la scorsa estate come ds de facto avendo un ascendente nell’ingaggio dell’amico Pazzini (altro uomo della scuderia di Tinti). Lasciando giudicare a voi i risultati, mi chiedo: giusto investire su un Toni dietro a una scrivania, nonostante la sua totale mancanza di esperienza? E’ opportuno avere due caselle fondamentali, quali allenatore e manager, legate alla figura dello stesso agente? E, se questo fosse il quadro, Bigon, accusato indirettamente da Toni (“siamo scarsi”), con quale credibilità rimarrebbe? Viene da pensare che anche la sua sarebbe una riconferma dettata da un contratto in essere (si parla di 1 milione di euro al lordo compreso lo scouting).

Ribadisco, Setti decida ciò che vuole, ogni scelta, anche nel contesto sopra descritto, sarà legittima. Tuttavia – e la mia, attenzione, vuole essere una critica costruttiva a un presidente a cui, dopo tre anni buoni e uno pessimo e nonostante qualche caduta di stile, concedo ancora credibilità –  torno a ripetere quanto ho scritto la settimana scorsa: serve un nuovo assetto dirigenziale, senza ombre, confusioni di ruoli, rapporti troppo stretti con i procuratori e minestre riscaldate. E soprattutto se Setti vuole mantenere la promessa (immediato ritorno in A) occorre investire e non risparmiare riutilizzando professionisti solo perché ancora sotto contratto. Che progetto sarebbe quello che nasce condizionato dagli errori del passato? 

SETTI CHIEDA SCUSA E RIFONDI LA SOCIETÀ

Una lenta e lunga agonia. Il Verona sprofonda e ammaina la bandiera con due mesi di anticipo. Oddio, il fondo si era toccato da un pezzo, ma tra Udinese, Samp e, oggi, Carpi si è pensato bene di scavare. Mai nella sua storia il Verona si era umiliato così, mai si erano toccate queste vette di arroganza, mista a impotenza, assenza e incapacità. Pure il Verona 1978-79 chiuse ultimo, ma quella era una squadra al termine di un grande ciclo decennale, mentre questa avrebbe dovuto essere quella del “consolidamento” (parola di Setti), con l’obiettivo dichiarato – essendo “clamorosamente adeguata alla salvezza” (Bigon dixit) – di “migliorare la classifica della scorsa stagione” (parole ancora di Setti).

Ecco io credo che tutto sia partito dalla presunzione estiva. Rottamato frettolosamente, con parole per nulla grate e poco signorili il “vecchio” (Sogliano) in diretta tv, si è pensato forse che tutto fosse dovuto, scontato, facile, persino normale. Anche, per dire, affidare la gestione sportiva a un amministratore di bilanci (in rosso) come Giovanni Gardini. Da lì una sequela di errori (anzi orrori), attacchi sguaiati e financo personali ai (pochi) critici, boriosa stizza, arroganza, cattiva perseveranza (mercato di gennaio) e fragorosi abbandoni (Gardini). Fino alla Caporetto odierna, con Setti inquadrato tutto solo in tribuna con il suo sigaro, unico compagno di viaggio rimasto, immagine che suggella una società che il presidente deve rifondare.

Bigon ha un altro anno di contratto, ma l’umiliante ultimo posto in classifica (in un campionato con Carpi, Frosinone e un Palermo in queste condizioni) e le spietate dichiarazioni di Toni nel post partita (“siamo scarsi”) sono emblematiche del cattivo operato del ds, che non può essere confermato. Lo stesso vale, mi spiace dirlo, per Gigi Delneri, il meno colpevole del disastro, ma che ci ha messo anche del suo, avallando il mercato di gennaio e poi andando via via in confusione.

Da Setti invece credo sia giusto pretendere le scuse pubbliche e ufficiali. La sua storia, di imprenditore della moda e di presidente di calcio, racconta di un uomo che ha sempre delegato. Quasi sempre bene, nelle sue aziende deve molto alle sue stiliste poi diventate socie, nel Verona ha ottenuto risultati grazie a una figura come Sogliano. Quest’anno male.

Setti deve tornare a scegliersi i collaboratori giusti, altrimenti la serie B sarà una montagna da scalare, paracadute o meno. Il presidente ha promesso un pronto ritorno in serie A e la parola data va mantenuta, ma serve un vero uomo di calcio nelle stanze di via Belgio e lo spirito rampante di un allenatore emergente.  

CLASSIFICA E BILANCIO IN ROSSO…E PARACADUTI

Il cerchio che si chiude. Il gol del vituperato Lazaros è il metaforico boomerang che ritorna, l’emblema del disastro compiuto la scorsa estate dal cardinal “Schettino”-Gardini e dal suo fidato “curato” Bigon, con l’avallo di Mandorlini, che per un anno l’aveva menata lamentoso sui “18 giocatori nuovi” di Sogliano. Risultato? Rosa corta, poca qualità in campo, zero tra le riserve, mancanza di carismatici riferimenti in società. L’anno scorso i non titolari Nico Lopez, Lazaros, Saviola, Obbadi e Ionita diedero 20 punti su 45 con i loro gol, ma noi, per dire, abbiamo preferito puntare tutto sui soli Jankovic e Gomez, fidati soldatini senza dribbling e senza fantasia, rinunciando all’eclettismo e alla ricchezza di scelte dei precedenti organici. Abbiamo voluto scommettere sulla precarietà fisica di Viviani in un ruolo determinante come quello di regista, senza cautelarci con un suo doppio (Marrone è arrivato a gennaio). Eccetera eccetera.

Apprezzo Delneri, lo considero un maestro di calcio, ma ieri è stato pessimo nella gestione di Fares, prima mortificato da terzino (ancora!), ruolo in cui c’entra come io a un convegno di fisica quantistica, poi sostituito anzitempo per un Gilberto che conosce la tattica come io le canzoni di Mengoni. Confusione?

Gardini se n’è andato, lui era l’uomo dei conti e il Verona, nell’esercizio 2015, ha il bilancio in rosso per 6,92 milioni. L’esercizio precedente si era chiuso in utile, ma solo grazie alla cessione del marchio, definita da Gianni Dragoni su Il Sole 24 Ore di ieri “un’operazione di cosmesi contabile praticata da molte squadre con i bilanci in profondo rosso, per far emergere una plusvalenza che coprisse i buchi di bilancio”, dunque “un’operazione fittizia”. “Senza plusvalenze fittizie – continua Dragoni – il bilancio è tornato in rosso nel 2015”. Eppure in questi anni non sono mancate le plusvalenze vere (10,2 mln nel 2014, 10,3 nel 2015) e i ricavi dei diritti tv. Evidentemente, assodato il giro di affari diminuito e il costo del personale aumentato, la gestione non è stata ottimale. Ciononostante il congedo tra Richelieu e Setti è stato tutto miele che neanche una canzone di Gigi D’Alessio. C’è una logica? Il mondo al contrario?

A proposito di introiti. Da quanto è stato deciso il mega-paracadute pare scemata la tensione emotiva del Verona. ‘Hellas è già in B, con la consolazione di un paracadute da 25 milioni. Alla società conviene la retrocessione, questo l’epilogo più triste” scrive il collega Alessio Corazza del Corriere di Verona sulla sua pagina fb. Bigon smentisce e dice che con i costi che ci sono nel calcio quei soldi verranno “fumati” (usa questo verbo il ds) e quindi retrocedere “sarebbe drammatico per i nostri conti economici”.

Il futuro? Setti deve ripartire da un nuovo assetto societario, ergo una nuova dirigenza. Sull’allenatore invece sospendo il giudizio, anche se ritengo Delneri adatto più a una provinciale ambiziosa in A che a un campionato nervoso e lungo come quello di B. Campedelli, che è uno che nel calcio qualcosa ha fatto (al di là della rivalità), nel 2007 gli preferì Iachini, considerato più adatto per una B a vincere. Riflettiamoci.

Ma non mi stupirebbe se il presidente confermasse  sia il ds che il tecnico. Gino Bartali chiosò: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Ma lui andava in bicicletta, non con il paracadute. 

SETTI, I TIFOSI NON HANNO L’ANELLO AL NASO

Gardini se ne va. C’è chi gli dedica due pagine e titola “sogni di gloria”. Gloria, presumo, quella che lasciava “le chiavi in cucina, nel cestino accanto alla frutta” (cit “Il Piccolo Diavolo”). O, forse, gloria, cioè l’ultimo posto in classifica, un brand internazionalizzato non si sa dove e come, l’aumento del costo degli abbonamenti – memorabilmente definito, in piena crisi economica, “fisiologico” dalla società.

Gardini se ne va, ma Setti dice che non lo sostituirà perché ha già Bigon, che di Gardini è amico, e Barresi, che di Gardini era assistente. Una (non) scelta, l’inerzia della continuità, mentre sarebbe servita una netta demarcazione dal passato visti i risultati conseguiti.

Setti, che quasi quattro anni fa promise un centro sportivo, l’internazionalizzazione del brand (in coro con Gardini) e una serie A stabile. La realtà parla di ultimo posto in classifica, speranze di salvezza residuali (e solo grazie a Delneri), di centri sportivi per ora mai nati e di un’Europa e di un mondo dove il “brand” Hellas è più o meno quello che era prima: pressoché inesistente. La realtà racconta di un Setti a cena con i vertici di Infront, perché poi quello che conta in questo calcio sono i soldi delle tv per sopravvivere, i milioni in più o in meno di un “paracadute”. Vale per Setti come per molti altri presidenti, e non c’è nulla di cui vergognarsi, dato che il sistema è questo e non è certo un presidente con risorse limitate che ha l’onere e la forza di cambiarlo. Il resto è contorno, il resto, per adesso, sono “parole parole e parole”, perlopiù prive del carisma e della classe di Mina.

Per questo, fossi in Setti, darei un taglio al Ranzani dei mirabolanti annunci e resterei preferibilmente Maurizio, quello che deve pensare a budget e management adeguati per rilanciare le ambizioni del Verona, qualsiasi sia la categoria (e le previsioni finanziarie sono ottimistiche anche in caso di retrocessione se il “paracadute” delle retrocesse sarà, come sembra, più alto rispetto agli anni scorsi). I tifosi cantano, amano, soffrono, pagano di tasca loro per l’Hellas, ma non hanno l’anello al naso.   

CULLIAMO IL SOGNO

“Questa squadra avrà mille difetti, ma ha un grande cuore”. La frase di Delneri dopo il derby è sintomatica: il Verona viaggia oltre i suoi limiti tecnici e di organico, in una disperata e romantica rincorsa ed è questo che entusiasma il popolo gialloblu.

Dieci i punti nelle sette partite del girone di ritorno, da quando cioè l’impronta (tattica e atletica) di Delneri e staff ha cominciato fisiologicamente a mostrarsi. L’allenatore ha lavorato anche sui singoli: ha consacrato quello che da molti mesi ritengo pubblicamente il centrocampista più completo del Verona (Ionita), ridato fiato e fiducia a Pazzini in coppia con Toni, migliorato Helander e Wszolek, oggetti misteriosi nella gestione precedente.

Il mercato di gennaio ha poi consegnato, con “appena” 6 mesi di ritardo e di mezzo l’ingaggio del fragile (fisicamente) Viviani e dell’inutile Matuzalem, al Verona un regista. Marrone è determinante e a Roma Greco ce lo ha ricordato (senza colpe, essendo l’ex romanista diventato un centrocampista centrale per mancanza di alternative e non certo per vocazione).

Ecco, credo che l’allontanamento tardivo di un allenatore e il mercato estivo deficitario siano due peccati mortali per qualsiasi dirigente di calcio. Ne ho già parlato, ma lo ribadisco, perché il tema è di stretta attualità se è vero che per il post Gardini (dirigente che non rimpiangeremo) si parla di conferma e ampliamento di poteri per Bigon. Che sia il caso Setti?

Nel frattempo culliamo il sogno che Delneri ci ha regalato. L’impresa resta improba: 12 partite, 3 proibitive (Napoli, Fiorentina, Juventus) e 1 difficile (Milan), le altre 8 invece alla portata. Tra queste tre scontri diretti in casa (Sampdoria, Carpi e Frosinone), ma prima va sbancato il Friuli e risucchiata nella lotta l’Udinese. Non vedo alternative.    

IL SOGNO DI DELNERI E LA DEBOLEZZA POLITICA DI SETTI

Un telespettatore oggi ha telefonato a 91° minuto chiedendo: “Ma voi ci credete alla salvezza?”. “Io non ci credo, ma ci spero” è stata la mia risposta. La classifica continua a piangere e 9 punti dalla quart’ultima (la Samp stasera in posticipo) rimangono un Everest da scalare a 14 partite dalla fine. Però il Verona di Gigi Delneri convince e ci regala un sogno, perché gioca, corre e lotta. Malediremo per l’eternità il tardivo esonero di Mandorlini, la scellerata gestione degli infortunati e gli errori-orrori di mercato della società in estate, ma perlomeno adesso abbiamo riacceso gli entusiasmi e, per come si era messa, non è poco.

Delneri mi è piaciuto anche nelle dichiarazioni della vigilia: “Inutile guardare la classifica, – aveva detto – i punti sono pochi, dobbiamo pensare da grande squadra, cioè vincere spesso, raggiungere Carpi e Frosinone e giocarcela negli scontri diretti”.

Una mentalità che si è concretizzata oggi con l’Inter, con il Verona che per lunghi tratti ha frastornato un avversario forse confuso nel gioco, ma di grande qualità tecnica. Da tanto, troppo tempo l’Hellas non emozionava così; da tanto, troppo tempo non giocava alla pari con big rodate e in piena corsa per l’obiettivo. Ovvio ora nutrire qualche aspettativa anche in vista dell’Olimpico laziale, dove non disdegnerei un punto, a patto di vincere poi il derby.

Sulla mia pagina pubblica facebook in settimana facevo due calcoli sulle 15 partite che rimanevano: mettendo Inter, Fiorentina (fuori), Juve (in casa) e Napoli (fuori) tra le impossibili; Lazio (fuori) e Milan (in casa) tra quelle molto difficili, ma in cui cercare l’impresa; e le restanti 9 come quelle alla portata da non sbagliare. In quest’ottica il punto con l’Inter, in prospettiva, può essere considerato guadagnato, a patto di rispettare una certa regolarità nei 14 incontri in calendario, specie con avversari inferiori. Poi forse non ci salveremo comunque, forse ci mancherà qualche punto, ma in quel caso e a freddo non sarebbe certo questa la domenica in cui cercare rimpianti.

Nonostante, e sia messo in chiaro quest’aspetto, un arbitraggio davvero irritante. Passi (ma anche no) il 3-3 di Icardi in fuorigioco, ma la mancata espulsione di un Felipe Melo per l’ennesima volta in versione Tuco di Breaking Bad (di cui è il sosia) grida vendetta. Senza contare la gestione discutibile della gara. Stefano Rasulo sempre a 91° minuto, ha esortato Setti a farsi sentire, in sede pubblica o privata a sua discrezione. La mia sensazione, però, è che il club in questo momento sia politicamente debole, con Setti che sta giocando la sua partita finanziaria in ottica B (a quanto ammonterà il paracadute e quindi il budget?) e Gardini, l’uomo delegato ai rapporti in Lega Calcio, dato per certo all’Inter (notizia confermata, fatalità, proprio nella settimana della partita con i nerazzurri, le ambiguità di questo calcio!). Meglio dunque non inseguire pie illusioni con il Palazzo. Meglio, decisamente, confidare in Delneri e nel redivivo Hellas. Aggrappandosi a un sogno. 

ADESSO DIPENDE TUTTO DA SETTI

Una società, il Verona, e un uomo, Maurizio Setti, in mezzo al guado. Questo emerge dal calciomercato appena concluso. Il limbo dantesco si pone tra la strada delle buone intenzioni, quelle di poche settimane fa (“in caso di retrocessione tenteremo l’immediata risalita”, l’ipse dixit settiano nella conferenza stampa del 13 gennaio), e lo stretto sentiero della dura realtà di una sessione caratterizzata da cessioni milionarie (Sala e Hallfredsson) e ingaggi di calciatori perlopiù in prestito secco.

Qui non si contestano le operazioni in uscita, che anzi il bilancio in rosso, la serie B alle porte e la fine di un ciclo suggerivano; la grande perplessità sta nell’incapacità momentanea del club di guardare al futuro e gettare le basi tecniche per la prossima serie B. Mi sembra che in via Belgio, ora come ora, non abbiano la forza per programmare un nuovo ciclo vincente e che a Setti serva ancora qualche mese per capire con quale budget andare avanti.

Solo una volta misurata la capienza del salvadanaio seguirà a cascata tutto il resto, dalla scelta del management, a quella dell’allenatore e del nucleo di giocatori, penso a Ionita, Gollini, Helander, e Viviani, da cui ripartire se hai ambizioni, o piazzare sul mercato in caso di ridimensionamento e di un torneo di transizione. 

Adesso davvero dipende tutto da Setti. La palla a lui.

LA PROMESSA E LE SCELTE FUTURE DI SETTI

C’è il decadentismo, c’è Nietzsche: “La speranza è il peggiore dei mali, perché prolunga il tormento degli uomini”. Calza a pennello con lo stato d’animo di chi vive quest’anno le vicende sportive del Verona. Volgiamo settimanalmente lo sguardo avanti con vana attesa: di un futuro più salubre, di un domani più fresco, per non sprofondare nel vuoto del presente, nella viziosità dell’oggi. Ci confortiamo a vicenda che il giorno dopo sarà meglio e la prossima partita quella vincente, scioriniamo i nostri migliori auspici, mostriamo le nostre promettenti intenzioni. E’ un atteggiamento umano e comprensibile, eppure la realtà è impietosa e forse, ancor più dopo il pareggio odierno, sarebbe ora di meditare davvero su una classifica che solo a vederla spazza via il nostro illuso vagheggiare. Una classifica, si badi bene, che è solo la spia sul cruscotto. Al netto della gestione Mandorlini (Setti ha onestamente ammesso l’errore di un esonero tardivo), sono stati compiuti sbagli determinanti nella costruzione della squadra (rosa corta e valutazioni errate in ruoli chiave), che alla prova dei fatti si è indebolita senza il fattore Toni e un parco riserve di minor qualità (la stagione scorsa 20 dei 45 punti finali vennero dalla panchina). L’avvento (tardivo) dell’ottimo Delneri, che ha dato una logica e un gioco, oggi paradossalmente avvalora questa tesi.

Setti nella conferenza stampa del 13 gennaio ha promesso che, in caso di retrocessione, l’obiettivo è risalire immediatamente. Nella stessa circostanza ha ammesso anche di non essere arabo e di non avere gli occhi a mandorla. Pochi giorni dopo il portale Calcio e Finanza ha riportato i dati dell’incidenza negativa della retrocessione (19,4 mln), una perdita coperta in parte da un paracadute di 15 mln (se retrocediamo con Carpi e Frosinone). Senza sceicchi e mecenati, dove non possono i soldi però possono le idee, l’intuito e suole delle scarpe resistenti. Credo che in questo quadro il presidente debba riflettere bene, ancor prima che sull’allenatore, su chi gli costruirà la prossima squadra in sede di calciomercato. Servirà raffinato talento e visionaria creatività soprattutto lì. Suggeriva il grande pubblicitario Bill Bernbach: “Le regole sono ciò che gli artisti rompono; ciò che è memorabile non è mai nato da una formula”. 

LA RETROCESSIONE PIÙ MASOCHISTICA DELLA STORIA

Maggio 2013, Maurizio Setti venne ospite a Telenuovo dopo la promozione in serie A. Pur elogiandolo, specificai che l’avrei valutato solo dopo la quarta annata della sua gestione, ricordando che anche Pastorello fu promosso in A al primo tentativo (con Prandelli), categoria che mantenne poi per tre stagioni. In cuor mio speravo fosse un personale eccesso di prudenza, alla prova dei fatti postumi il mio tiepido entusiasmo di allora era giustificato.

Anche Setti ha dalla sua una promozione e tre campionati di A, ma nel fatidico quarto anno si avvia a far peggio del manager vicentino, dal momento che è riuscito a retrocedere virtualmente già a gennaio in un torneo con Frosinone e Carpi. Nella storia del Verona non era mai successo. Come non era mai accaduto che concludessimo un girone di andata senza vittorie e a soli 8 punti. Siamo quasi al livello del leggendario (si fa per dire) Ancona 2003-04, probabilmente la squadra più scarsa della storia, che concluse il girone di andata a 5 punti, ma in 17 partite (la A era a 18 squadre).

Numeri che si commentano da soli. Numeri figli di una gestione sportiva scellerata, con Giovanni Gardini silente regista di un mercato dai colpi costosi e sbagliati, e poco equilibrato anche nella tempistica – a luglio erroneamente bulimico (Viviani e Pazzini) e ad agosto-settembre già anoressico (Matuzalem). Un mercato, ricordo, condiviso e approvato da Mandorlini, per sua stessa pubblica e spontanea ammissione.

Setti in estate ha rotto gli equilibri consolidati negli anni precedenti; Gardini si è rivelato non all’altezza del ruolo, il resto ce lo ha messo Mandorlini, che aveva dato avvisaglie di stanchezza già l’anno scorso. Sembrava impossibile poter distruggere in pochi mesi un patrimonio di 100 punti in due anni. I nostri tre eroi ci sono riusciti. Se a Piacenza fu la retrocessione più rocambolesca e assurda della nostra storia, questa è la più masochistica. A Piacenza ero triste e incredulo, oggi sono incazzato e consapevole. Non so cos’è peggio.

IL 2015 SIA DA ESEMPIO

Liberate Godot-Ranzani dal “tafazzismo”. E’ questo il mio auspicio per il 2016 che va iniziando. Godot-Ranzani è Maurizio Setti, per la sua inclinazione ad alternare mediaticamente fasi di esuberanza stil-ganassa acuta (Ranzani) – l’ultima è la dichiarazione del 16 novembre “questo è l’anno più bello a livello societario, abbiamo fatto il miglior mercato possibile” -,  ad altre di silenzi e sparizioni (Godot). Liberate il presidente da quel “demone” masochistico che nel 2015, a differenza del passato, gliene ha fatte indovinare poche. Peggio del proverbiale orologio rotto che almeno due volte al giorno segna l’ora giusta, c’è la sequela di errori commessi dalla società di via Belgio da gennaio in poi, cioè dalla detronizzazione nei fatti di Sean Sogliano.

L’ex ds venne messo alla porta in via ufficiosa già un anno fa, con la conseguente promozione di Giovanni Gardini, un uomo dei conti posto, in sostanza, a capo dell’area tecnica. Qui non si tratta di questioni personali e-o estetiche, e non è un’elegia a Sogliano, che peraltro non ne ha bisogno per i risultati conseguiti e la stima che gode nel mondo del calcio. L’analisi è strutturale e complessiva: se Sogliano, a detta di Setti, aveva fatto il suo tempo, andava sostituito con una figura simile per ruolo, potere e carisma. A ognuno il suo, dice un vecchio adagio, ma al Verona così non è stato e l’assetto orizzontale (area amministrativa e tecnica gestite da due manager diversi), che era stato la cifra vincente della prima presidenza Setti, è diventato assetto monocratico, con Gardini uomo forte al ponte di comando e Mandorlini promosso con un biennale (lui che, per sua stessa ammissione, il meglio lo dà sotto pressione) e qualche accredito sul mercato (nonostante i precedenti fallimentari di Tachtsidis e Bielanovic). I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Va ripristinata la versione originale e Bigon deve pretendere, già da questo mercato, di far da sé (assieme a Delneri). Assodato questo e a prescindere dalla categoria, con l’estate Setti dovrà ovviamente provvedere a una seria valutazione del lavoro degli stessi Gardini e Bigon. Perché sbagliare è concesso a tutti e a Verona non se n’è mai fatta una questione di categoria, ma perseverare sarebbe imperdonabile. Tradotto: se sarà serie B ce ne faremo una ragione (ma con dignità e lottando, of course, per questo sono sgangherate le recenti dichiarazioni di Mandorlini sul “retrocedere tutti assieme”, quasi che il Verona fosse lui); in caso di miracolosa salvezza avranno diritto di far festa solo i tifosi. Per Setti, in ogni caso, l’occasione sarà propizia per meditare sui propri gravi sbagli, in modo da non replicarli. Che il 2015 sia da esempio.