L’IDENTITÀ RAFFORZA IL MARKETING, MA GARDINI…

In privato e su facebook mi si chiede perché non scrivo delle maglie. La mia opinione è nota, la espressi su questo blog già due anni fa, poi di nuovo l’anno scorso e ancora in tv, dove mi presi del “professore” da Giovanni Gardini, che nell’occasione mi spiegò che “i colori non sono importanti”. Non ho cambiato idea e, a quanto pare, non l’ha cambiata neppure Gardini, ma siccome c’è caldo e repetita in questo caso non iuvant mi taccio, non infierisco (molti tifosi sui social si sono già espressi negativamente) e mi limito a precisare un paio di cose. Qua non si discute di bellezza, ma di identità, e nessuno è contrario al marketing, anzi. Aggiungo a beneficio di quelli che… “l’importante è la serie A”, che categoria e identità sono due sostantivi diversi e slegati e perciò non è bene sommare le mele con le pere. Premesso questo, domando: la seconda e terza maglia (quindi almeno metà delle partite del Verona nel prossimo campionato) senza più il gialloblu neppure nel simbolo sono identitarie? E l’identità espressa con i colori è importante, o è un valore ormai desueto? Prima rispondiamo a questo e poi decidiamo se discutere la scelta di Gardini & C. è un mero sollazzo estivo, o un fatto preminente. Infine marketing e identità possono coesistere? A Wimbledon usano ancora le tradizionali maglie bianche, ciò dimostra una tesi a me cara: l’identità non solo convive con il marketing, ma lo rafforza. A Gardini lo dissi anche vis-à-vis. Ma niente da fare, da quell’orecchio Richelieu non ci sente.

p.s. Sul mercato di Bigon l’impressione è più che positiva. Bene l’ingaggio di Viviani e i rinnovi di Valoti e Gomez. Pazzini sarebbe il botto. Aspettiamo per un giudizio più compiuto.

BIGON E MANDORLINI: QUALE RAPPORTO?

Potremmo chiosarla così: il cardinal Gardini, Sua Eccellenza Richelieu, ha nominato il suo “parroco”, Riccardo Bigon. Ma poi Maurizio Setti s’incazza e torna a rivendicare l’ovvio: che Bigon è una sua scelta ed è stato ingaggiato perché è bravo e non perché amico di Gardini. Come se qualcuno pensasse stupidamente che Setti subisce le scelte, o che Bigon è scarso.

Chiariamo subito: Setti è scafato, chiede, s’informa e ha l’ultima parola su tutto, ma è altrettanto evidente che Gardini, ora come ora, esercita una forte influenza su di lui. E, intendiamoci, di per sé non c’è nulla di male: Gardini fa il direttore generale, non il pizzaiolo (mestiere peraltro affascinante). Ciò che conta sono i risultati: quindi ripetere, se non migliorare, nei prossimi tre anni (in termini di classifica, costi e plusvalenze) quanto fatto negli ultimi tre da Sogliano e Mandorlini. Solo questo sentenzierà se Gardini come deus ex machina sia stata una scelta giusta o sbagliata.

Peraltro non inganni la faccia pretesca di Bigon, o il suo passato napoletano di ds defilato rispetto a De Laurentis e Benitez, o ancora il suo tono di voce quasi remissivo. Ci riferiscono che il figlio di Albertino sia tutt’altro che uno sprovveduto, nel senso che il suo mestiere (cioè costruire una squadra) lo sa fare egregiamente. L’incognita – se vogliamo – è il rapporto che saprà costruire con l’allenatore. Sebbene infatti i mandorliniani più mandorlinisti dello stesso Mandorlini si ostinino a negarlo, nei momenti di crisi Sogliano è stato un appoggio determinante per l’allenatore.

E’ questa la pesante eredità che lascia l’ex ds,  non tanto il suo calciomercato, comunque in attivo nell’unico parametro oggettivo che esista: il rapporto costi-rendimento-qualità (relativamente agli obiettivi). Il mercato di Bigon sarà diverso nel metodo, credo più regolare (meno intuizioni, ma anche meno scommesse e cambiamenti) e forse più in linea con i dettami di Mandorlini, tuttavia adeguato a una salvezza tranquilla. Il punto, ripeto, sarà la quotidianità della dialettica tra Bigon e Mandorlini. Questo farà la differenza.

GARDINI, MANDORLINI E QUEL PARADOSSO…

Era il Verona di Sogliano, sarà il Verona di Gardini. “Richelieu”, che sarebbe pronto a firmare un ottimo triennale, si è confermato abile tessitore della sua tela. Ora ha il diesse che desidera (Bigon) e si consacra regista del nuovo corso. Anche nel biennale a Mandorlini c’è molto del dg, che in questi anni con il tecnico di Ravenna ha costruito un feeling particolare, salvo tuttavia tergiversare sul futuro dello stesso allenatore dopo la pesante sconfitta di Genova. Ricordate la famosa conferenza stampa? Vighini chiese conto a Gardini del futuro del tecnico in caso di sconfitta con la Roma e il Cardinale sorvolò, senza esprimersi.

Sogliano non ha mai amato Mandorlini (“non è il mio allenatore ideale in assoluto, ma per me contano i risultati” ti diceva in privato), ma l’ha sempre difeso e protetto nei momenti di crisi. Confido che Gardini, a maggior ragione perché “mandorliniano”, sì comporti nella stessa maniera, senza quei “balbettii” pre-Roma.

Non vorrei mai che il “nuovo” Mandorlini – quello legittimato dal nuovo contratto – si ritrovasse (apparentemente) più potente, ma in realtà più solo. Bordin, il suo vice storico, l’uomo della fase difensiva, è stato “silurato” (dunque il tecnico ci dà ragione e ammette che esisteva un problema tattico sui tanti gol presi). E Sogliano, colui che ci metteva la faccia, non c’è più. Sarebbe un paradosso.

COMINCIA IL ‘SETTI BIS’

“Dove sono in troppi a comandare nasce la confusione” diceva Luigi Einaudi, che pure era un liberale e non un tiranno. Al Verona, dicono i beninformati, da circa un anno tra Gardini e Sogliano non corre buon sangue. Quello che è certo è che Sogliano se ne andrà, “deluso per come sono mutate le cose” spiega chi lo conosce bene; mentre Gardini diventerà il dominus di via Belgio, sempre più cardinale Richelieu, come lo ribattezzai tre anni fa.

La voce che i rapporti fra i due manager non siano idilliaci nell’ambiente circola da tempo. Scrivevo il 4 febbraio nel pezzo ‘Il Verona e il futuro’: “La sensazione è che in casa Hellas tiri aria di riassetto nei quadri dirigenziali”. In quei giorni si era appena concluso il (non) mercato di gennaio e Sogliano aveva deciso di non convocare la tradizionale conferenza stampa post sessione. Quel silenzio assordante mi sembrava foriero di un presagio. Così è stato.

I motivi di un rapporto mai decollato? Caratteri agli antipodi, ma pare ci sia dell’altro. Forse Gardini ha sempre pensato a un assetto societario diverso, con un ds con poteri più circoscritti. Anche le dichiarazioni dei due a Telenuovo, martedì sera in Gran Guardia, non mi sono sembrate casuali.  “Resto solo se c’è chiarezza e sincerità tra tutte le componenti” ha chiosato secco Sogliano. Più felpato e cerimoniale Gardini: “Ci auguriamo che restino tutti coloro che hanno raggiunto risultati importanti. Poi se qualcuno farà scelte diverse ci dispiace, ma i programmi del presidente vanno comunque avanti”.

Setti ha scelto il ‘modello Gardini’, questo spiegherebbe l’amarezza di Sogliano, consapevole di aver ottenuto risultati sportivi e finanziari di rilievo, e memore del corteggiamento che lo stesso Setti gli fece nel 2012 per ingaggiarlo, o solo un anno fa per convincerlo a non cedere alle sirene milaniste. Le plusvalenze nate dalle intuizioni del ds sono incontestabili: quelle note (i 10 mln di Iturbe, i 2,5+1 del 18enne Donsah, la quotazione milionaria di Sala, quella potenziale di Gollini) e meno note (1 mln Martinho, 500 mila euro Albertazzi, 400 mila euro Cacciatore).

Setti dunque si accolla un bella responsabilità. Idem Gardini. Perché il Verona perde un ds di grande caratura (non per niente lo cerca il Napoli) che con maggiore volontà si sarebbe potuto trattenere; e questo ridisegna radicalmente gli equilibri societari, consegnando alla cronaca l’inizio del Setti bis. Perlomeno si è fatta un po’ di chiarezza, dopo mesi di silenzi e temporeggiamenti presidenziali e  settimane di balletti su trattative americane e offerte milionarie, confermate (da Timossi in primis, mica un pinco pallo qualsiasi) e poi smentite (da Setti). E’ già qualcosa.

P.S. Gardini dice che ha sbagliato ad aumentare i prezzi degli abbonamenti. Mandorlini ammette che Saviola avrebbe dovuto giocare di più perché è un grande campione e grande uomo. Manca all’appello la ragazza che ti molla perché ti vuole bene e non ti merita.

SERVE CHIAREZZA

L’ipotesi nell’ambiente circolava da tempo. Sussurrata, tra il detto e il non detto: Setti vende? Chi mi segue ricorda il mio articolo del 28 aprile: “Cos’ha in testa Setti?”. Lo scrissi – non casualmente – dopo la smentita del presidente su una possibile cessione. Qualche dubbio mi accompagnava da tempo e in quella circostanza Setti non mi aveva convinto. Scrivevo in un passaggio: “Setti prima di pronunciarsi sul futuro dei suoi dirigenti, vuole capire bene il suo”. Troppe cose non quadravano. La questione dei contratti in scadenza di Sogliano &C., continuamente rimandata; il repentino cambio di atteggiamento del presidente negli ultimi mesi – dalla guasconeria “ranzanesca” al low profile – e l’impressione di un possibile ridimensionamento economico dopo il (non) mercato di gennaio.

Ora a chiudere il cerchio emerge la notizia di un’offerta di un gruppo americano. Attenzione, ciò non significa automaticamente che il Verona verrà venduto. Un conto è una trattativa, o la volontà di cedere (e di comprare), un conto è che l’affare vada in porto. Tra il dire e il fare in questi casi c’è di mezzo… un oceano. E non mi stupisce neppure la smentita a stretto giro di posta di Setti, che rientra nel gioco delle parti. Sappiamo infatti come funziona in questi casi: è chi vuole comprare che ha interesse a smuovere le acque per fare pressioni, dunque a mettere in giro la notizia. Il (potenziale) venditore invece minimizza, smentisce per rafforzare il proprio potere contrattuale.

Intanto stiamo alle certezze. Giampiero Timossi, uno degli autori dello scoop, è un giornalista serio e, particolare non marginale, ha lavorato per anni a Genova al Secolo XIX, e sappiamo come il carpigiano Setti sia legato da strette amicizie calcistiche nell’ambiente ligure (Volpi e Marotta, quest’ultimo a lungo dg della Sampdoria). Non per ultimo, chi vuole vendere o comprare un qualsiasi club calcistico sa che questo è il periodo più adatto.

Staremo a vedere, qualsiasi cosa accada però urge chiarezza e tempismo per il rilancio di un nuovo progetto societario e tecnico. Con Setti o senza.

CAMPIONI D’ITALIA (SENZA RETORICA)

Senza retorica è più bello. Senza retorica, come la Curva Sud e la sua spettacolare sciarpata di domenica scorsa. Senza retorica, come Preben Larsen Elkjaer, che in un intervista a Repubblica di ieri ha fermato il tempo a suo modo: “E’ stata una bella avventura. Qualche volta la sera, quando chiudo gli occhi, vedo Verona”. Senza retorica, come Osvaldo Bagnoli – “un duro gentiluomo, un uomo onesto” (cit. Elkjaer), “Schopenhauer” (cit. Gianni Brera) – che ogni volta che riannoda i fili con quel passato sembra avere i lucciconi agli occhi (“mi commuovo e piango anch’io”, disse in una memorabile intervista proprio a Brera). Osvaldo, poi, che a volte finge di dimenticare i particolari, talmente è intimo e pudico nelle sue emozioni. Senza retorica perché siamo veronesi e il “cinema” e le cafonaggini le lasciamo ad altri. Senza retorica per rifuggire alla banalità, perché guai a essere banali nel celebrare il trentennale di uno scudetto che fu unico e straordinario (aggettivo quest’ultimo spesso abusato, ma che nella fattispecie calza a pennello).

Il 12 maggio 1985 il Verona era campione d’Italia e lo ricordiamo anche noi senza retorica, inutili orpelli lessicali e vane ridondanze. Basta l’essenza. Grazie Campioni, la Storia vi è grata.

CHE SIA LA FESTA (SOLO) DEL VERONA

Verona-Chievo non è un derby tra tifosi, o per la supremazia tra i club. Il Verona è indiscutibilmente LA squadra della città; lo suggerisce il nome stesso e la storia. Il Chievo nasce e (per lunghi anni) cresce come squadra di un quartiere cittadino e solo la sua storia recente (da metà anni 80′ in poi) l’ha proiettata a imporsi come UNA squadra (ma non LA squadra) di Verona. Sul piano della tifoseria poi il paragone nemmeno si pone: i numeri e la storia sono talmente distanti che la rivalità non può nemmeno cominciare. Questo intende, credo, chi sostiene che “il vero derby è con il Vicenza”.

Eppure, a suo modo, Verona-Chievo è un derby tecnico e sportivo, a cui è giusto dare anche una spruzzata di veleno e di senso di rivalsa. Le vicende degli ultimi 10 anni lo certificano: da un lato le difficoltà dell’Hellas nelle dimenticate (dai mass media) serie minori, dall’altro la ribalta nazionale della società della Diga che ogni domenica compariva davanti all’Italia come Chievo Verona; poi la fusione sfiorata nel 2009 (come attestato da più fonti giornalistiche); infine i discutibili comportamenti di Luca Campedelli sulla questione dei simboli e dei colori.

Credo che sia un dovere morale di chi domenica scenderà in campo farsi raccontare questi ultimi dieci anni e tenerli bene a mente. Campedelli, anche se non lo ammetterà mai, tiene troppo a farci un dispetto e, di conseguenza, non mi stupirò nel vedere i giocatori del Chievo particolarmente motivati. I nostri non dovranno essere da meno. Qualcuno ci verrà a raccontare, con la consueta pallosissima retorica, che è la festa della città. Al ché rispondo con un bel chissenefrega. Io voglio che alla fine della partita sia solo la festa del Verona, anche perché c’è un trentennale tricolore da celebrare.

 

COS’HA IN TESTA SETTI?

Il Setti-Ranzani è solo un pallido ricordo. Che tempi quei tempi in cui il Nostro, vestito con sgargianti giacche a quadri, o stilosi maglioni da Cortina, si presentava alla stampa con ostentata sicurezza e, qua e là, esternazioni tra il ganassa e il baudesco (nel senso di Pippo Baudo). “Sogliano, Gardini, Cometti li ho scoperti io, li ho salvati”, oppure “adesso facciamo questo, subito dopo facciamo quello…”. Era ruspante e sbrigativo quel Setti, che si divertiva mediaticamente a giocare sulla sua immagine, rinverdendo il mito un po’ appannato (dal calcio dei capitali globali) del self-made man, padronale, paternalista, vincente, che sì delega, ma da cui tutto passa. Quel Setti, pur negli eccessi appunto un po’ ranzaneschi (dal personaggio radio-televisivo), sui quali perfidamente lo punzecchiavo, lo percepivo entusiasta, partecipe, operativo e decisionista.

Ora il presidente mi dà l’impressione di divertirsi meno. E’ diventato serioso, castigato, formale, sobrio, un po’ come il vestito nero che indossava domenica. Setti non gioca più, Setti non gigioneggia con teatralità. Setti adesso non accelera, anzi frena, aspetta e prende tempo: “Sogliano, Gardini e Mandorlini? Vedremo nelle prossime settimane” ha detto. Siamo ormai a maggio ed è ovvio che quel “nelle prossime settimane”, vago e indefinito, non passa inosservato detto da uno come lui, uomo pratico e consapevole che nel calcio, come nelle aziende, è meglio programmare per tempo.

E così le voci si rincorrono. Il presidente del Verona ha negato una possibile vendita del club. In questi casi le smentite lasciano il tempo che trovano, ma gli crediamo, pur con giudizio. D’altro canto lui stesso, per la prima volta, ha aperto le porte a nuovi azionisti: “Il Verona è appetibile, se qualcuno vuole darmi una mano ben volentieri”.

Ecco il temporeggiamento di Setti potrebbe spiegarsi così: prima di pronunciarsi sul futuro dei suoi dirigenti (e a cascata del suo allenatore), vuole capire bene il suo. Andare avanti da solo con risorse limitate? Far entrare nuovi soci e poter dare inizio a un consolidamento e a una crescita degli investimenti? Dalla risposta a queste domande nascerà il prossimo Verona.

 

NEBBIE DI PRIMAVERA (SETTI, SOGLIANO, TONI…)

Mandorlini che saluta la curva interista e guadagna il tunnel degli spogliatoi dopo il deludente 3-0. Sogliano e Toni, le persone più importanti per i risultati del Verona, costretti a non poter promettere la loro permanenza in gialloblu. “Vedremo – dirà il bomber a Giovanni Vitacchio a fine partita – dipende da chi va e chi resta” (confermando le mie preoccupazioni di giovedì al ‘Vighini Show’, quando avevo smentito la vulgata secondo la quale “o smette, o resta al Verona” che esclude a priori altre possibilità). “Vedremo”, dirà il ds ad Andrea Spiazzi, nel parcheggio fuori la sala stampa, dove il collega lo ha raggiunto ormai a tarda sera.

Entrambi, nonostante le sirene altrui, vorrebbero rimanere al Verona, ma ancora non conoscono i programmi societari e attendono segnali da Setti. Segnali che per ora non arrivano, con il presidente anzi che prende tempo parlando poco e parlando d’altro (“internazionalizziamo il brand”). Per il resto silenzio, un silenzio enigmatico, che alimenta dubbi anziché dissiparli. L’impressione è che sia un silenzio di “distacco”, di “disamore” (ammesso che Setti sia mai stato “innamorato” del Verona), segno di un filo di stanchezza e di “disimpegno” (non operativo, ma programmatico). Setti vende? Setti ridimensiona e va avanti al piccolo trotto (contratti annuali) e chi ci sta ci sta? Setti, smentendoci, invece riazzera tutto e riparte con altri collaboratori e nuovi più ambiziosi programmi?

Alla salvezza sicura mancano due-tre punti e l’indolente, pigra e incostante squadra di Mandorlini (scrive bene Luca Fioravanti, “montagne russe”) saprà farli, perché ha un calendario abbordabile (Sassuolo e Udinese in casa, Parma alla penultima) e perché quando ha il pepe al sedere si trasforma, capace anche dell’impresa (derby e Juve sono tappe da segnare). Quindi ribadisco quanto già scritto venerdì: Setti sciolga i dubbi e cominci a pensare al futuro, altrimenti il rischio è di perdere uomini di valore, dirigenti e-o attaccanti che siano. Lo diciamo senza allarmismi, ma le cose del calcio corrono veloci. Ripartiamo da Sogliano e Toni. Che aspettiamo?

IL BRAND? CARO SETTI LE PRIORITÀ SONO ALTRE

Cavalli di battaglia. “Internazionalizziamo il brand” ha detto l’altro giorno Maurizio Setti, che parla poco e solo con i suoi house organ, con buona pace di chi vorrebbe risposte e meno silenzi in certi frangenti. “Internazionalizziamo il brand” è un mantra che Setti (con Gardini) ripete da anni. Vuol dire tutto e vuol dire niente, ma fa sempre il suo effetto. Noi invece che siamo terribili provinciali registriamo, più concretamente, che ad aprile inoltrato ancora non si conosce l’organigramma dirigenziale della prossima stagione. In una società come il Verona, presieduta da un presidente per sua stessa ammissione delegante (quindi non un Lotito, un De Laurentis o un Campedelli per intenderci, presidenti ‘totalizzanti’), questo non è un dettaglio.

Intanto le voci corrono: Setti sta pensando di vendere? Setti sta pensando, al contrario, di ripartire da zero? Setti ha già il suo quadro chiaro in testa, ma non lo comunica nemmeno ai suoi collaboratori? E Sogliano, la cui priorità è rimanere e che con poco ha portato plusvalenze e salvezze tranquille ed è stato un riferimento anche nello spogliatoio, è proprio il caso di lasciarlo andare a cuor leggero? E l’eventuale sostituto sarà un nome dello stesso spessore (esperto o emergente che sia non importa), o un ds di più basso profilo? Parliamo del direttore sportivo non a caso: è la base per la conferma o meno dell’allenatore (in qualsiasi club i risultati dipendono dal rapporto tra le due figure) e la costruzione della squadra. Già la squadra: Toni e Sala saranno confermati? I migliori resteranno in nome del promesso consolidamento tecnico, o ceduti come l’anno scorso?  Ci piacerebbe che l’industriale carpigiano desse al più presto una risposta a queste domande. Soprattutto con i fatti. Bisogna già cominciare a lavorare operativamente alla prossima stagione. Va bene il brand, ma ora le priorità sono altre.