CHE SIA LA FESTA (SOLO) DEL VERONA

Verona-Chievo non è un derby tra tifosi, o per la supremazia tra i club. Il Verona è indiscutibilmente LA squadra della città; lo suggerisce il nome stesso e la storia. Il Chievo nasce e (per lunghi anni) cresce come squadra di un quartiere cittadino e solo la sua storia recente (da metà anni 80′ in poi) l’ha proiettata a imporsi come UNA squadra (ma non LA squadra) di Verona. Sul piano della tifoseria poi il paragone nemmeno si pone: i numeri e la storia sono talmente distanti che la rivalità non può nemmeno cominciare. Questo intende, credo, chi sostiene che “il vero derby è con il Vicenza”.

Eppure, a suo modo, Verona-Chievo è un derby tecnico e sportivo, a cui è giusto dare anche una spruzzata di veleno e di senso di rivalsa. Le vicende degli ultimi 10 anni lo certificano: da un lato le difficoltà dell’Hellas nelle dimenticate (dai mass media) serie minori, dall’altro la ribalta nazionale della società della Diga che ogni domenica compariva davanti all’Italia come Chievo Verona; poi la fusione sfiorata nel 2009 (come attestato da più fonti giornalistiche); infine i discutibili comportamenti di Luca Campedelli sulla questione dei simboli e dei colori.

Credo che sia un dovere morale di chi domenica scenderà in campo farsi raccontare questi ultimi dieci anni e tenerli bene a mente. Campedelli, anche se non lo ammetterà mai, tiene troppo a farci un dispetto e, di conseguenza, non mi stupirò nel vedere i giocatori del Chievo particolarmente motivati. I nostri non dovranno essere da meno. Qualcuno ci verrà a raccontare, con la consueta pallosissima retorica, che è la festa della città. Al ché rispondo con un bel chissenefrega. Io voglio che alla fine della partita sia solo la festa del Verona, anche perché c’è un trentennale tricolore da celebrare.

 

COS’HA IN TESTA SETTI?

Il Setti-Ranzani è solo un pallido ricordo. Che tempi quei tempi in cui il Nostro, vestito con sgargianti giacche a quadri, o stilosi maglioni da Cortina, si presentava alla stampa con ostentata sicurezza e, qua e là, esternazioni tra il ganassa e il baudesco (nel senso di Pippo Baudo). “Sogliano, Gardini, Cometti li ho scoperti io, li ho salvati”, oppure “adesso facciamo questo, subito dopo facciamo quello…”. Era ruspante e sbrigativo quel Setti, che si divertiva mediaticamente a giocare sulla sua immagine, rinverdendo il mito un po’ appannato (dal calcio dei capitali globali) del self-made man, padronale, paternalista, vincente, che sì delega, ma da cui tutto passa. Quel Setti, pur negli eccessi appunto un po’ ranzaneschi (dal personaggio radio-televisivo), sui quali perfidamente lo punzecchiavo, lo percepivo entusiasta, partecipe, operativo e decisionista.

Ora il presidente mi dà l’impressione di divertirsi meno. E’ diventato serioso, castigato, formale, sobrio, un po’ come il vestito nero che indossava domenica. Setti non gioca più, Setti non gigioneggia con teatralità. Setti adesso non accelera, anzi frena, aspetta e prende tempo: “Sogliano, Gardini e Mandorlini? Vedremo nelle prossime settimane” ha detto. Siamo ormai a maggio ed è ovvio che quel “nelle prossime settimane”, vago e indefinito, non passa inosservato detto da uno come lui, uomo pratico e consapevole che nel calcio, come nelle aziende, è meglio programmare per tempo.

E così le voci si rincorrono. Il presidente del Verona ha negato una possibile vendita del club. In questi casi le smentite lasciano il tempo che trovano, ma gli crediamo, pur con giudizio. D’altro canto lui stesso, per la prima volta, ha aperto le porte a nuovi azionisti: “Il Verona è appetibile, se qualcuno vuole darmi una mano ben volentieri”.

Ecco il temporeggiamento di Setti potrebbe spiegarsi così: prima di pronunciarsi sul futuro dei suoi dirigenti (e a cascata del suo allenatore), vuole capire bene il suo. Andare avanti da solo con risorse limitate? Far entrare nuovi soci e poter dare inizio a un consolidamento e a una crescita degli investimenti? Dalla risposta a queste domande nascerà il prossimo Verona.

 

NEBBIE DI PRIMAVERA (SETTI, SOGLIANO, TONI…)

Mandorlini che saluta la curva interista e guadagna il tunnel degli spogliatoi dopo il deludente 3-0. Sogliano e Toni, le persone più importanti per i risultati del Verona, costretti a non poter promettere la loro permanenza in gialloblu. “Vedremo – dirà il bomber a Giovanni Vitacchio a fine partita – dipende da chi va e chi resta” (confermando le mie preoccupazioni di giovedì al ‘Vighini Show’, quando avevo smentito la vulgata secondo la quale “o smette, o resta al Verona” che esclude a priori altre possibilità). “Vedremo”, dirà il ds ad Andrea Spiazzi, nel parcheggio fuori la sala stampa, dove il collega lo ha raggiunto ormai a tarda sera.

Entrambi, nonostante le sirene altrui, vorrebbero rimanere al Verona, ma ancora non conoscono i programmi societari e attendono segnali da Setti. Segnali che per ora non arrivano, con il presidente anzi che prende tempo parlando poco e parlando d’altro (“internazionalizziamo il brand”). Per il resto silenzio, un silenzio enigmatico, che alimenta dubbi anziché dissiparli. L’impressione è che sia un silenzio di “distacco”, di “disamore” (ammesso che Setti sia mai stato “innamorato” del Verona), segno di un filo di stanchezza e di “disimpegno” (non operativo, ma programmatico). Setti vende? Setti ridimensiona e va avanti al piccolo trotto (contratti annuali) e chi ci sta ci sta? Setti, smentendoci, invece riazzera tutto e riparte con altri collaboratori e nuovi più ambiziosi programmi?

Alla salvezza sicura mancano due-tre punti e l’indolente, pigra e incostante squadra di Mandorlini (scrive bene Luca Fioravanti, “montagne russe”) saprà farli, perché ha un calendario abbordabile (Sassuolo e Udinese in casa, Parma alla penultima) e perché quando ha il pepe al sedere si trasforma, capace anche dell’impresa (derby e Juve sono tappe da segnare). Quindi ribadisco quanto già scritto venerdì: Setti sciolga i dubbi e cominci a pensare al futuro, altrimenti il rischio è di perdere uomini di valore, dirigenti e-o attaccanti che siano. Lo diciamo senza allarmismi, ma le cose del calcio corrono veloci. Ripartiamo da Sogliano e Toni. Che aspettiamo?

IL BRAND? CARO SETTI LE PRIORITÀ SONO ALTRE

Cavalli di battaglia. “Internazionalizziamo il brand” ha detto l’altro giorno Maurizio Setti, che parla poco e solo con i suoi house organ, con buona pace di chi vorrebbe risposte e meno silenzi in certi frangenti. “Internazionalizziamo il brand” è un mantra che Setti (con Gardini) ripete da anni. Vuol dire tutto e vuol dire niente, ma fa sempre il suo effetto. Noi invece che siamo terribili provinciali registriamo, più concretamente, che ad aprile inoltrato ancora non si conosce l’organigramma dirigenziale della prossima stagione. In una società come il Verona, presieduta da un presidente per sua stessa ammissione delegante (quindi non un Lotito, un De Laurentis o un Campedelli per intenderci, presidenti ‘totalizzanti’), questo non è un dettaglio.

Intanto le voci corrono: Setti sta pensando di vendere? Setti sta pensando, al contrario, di ripartire da zero? Setti ha già il suo quadro chiaro in testa, ma non lo comunica nemmeno ai suoi collaboratori? E Sogliano, la cui priorità è rimanere e che con poco ha portato plusvalenze e salvezze tranquille ed è stato un riferimento anche nello spogliatoio, è proprio il caso di lasciarlo andare a cuor leggero? E l’eventuale sostituto sarà un nome dello stesso spessore (esperto o emergente che sia non importa), o un ds di più basso profilo? Parliamo del direttore sportivo non a caso: è la base per la conferma o meno dell’allenatore (in qualsiasi club i risultati dipendono dal rapporto tra le due figure) e la costruzione della squadra. Già la squadra: Toni e Sala saranno confermati? I migliori resteranno in nome del promesso consolidamento tecnico, o ceduti come l’anno scorso?  Ci piacerebbe che l’industriale carpigiano desse al più presto una risposta a queste domande. Soprattutto con i fatti. Bisogna già cominciare a lavorare operativamente alla prossima stagione. Va bene il brand, ma ora le priorità sono altre.

AVETE GIÀ MOLLATO?

Non gioco più, me ne vado… Celebrata Mina (75 anni compiuti in settimana, auguri!) l’incipit potrebbe essere: batti il Napoli e poi… ti rilassi, cullandoti nell’inopinato appagamento. No, non può essere così. No, non deve essere così. Il finale del film l’abbiamo già visto l’anno scorso e non vorrei si ripetesse. Perché è un finale che irrita e chi vuole bene al Verona non lo può accettare. Caro allenatore, cari giocatori vi abbiamo (giustamente) celebrato dopo la straordinaria (per prestazione e intensità) vittoria con il Napoli, ora che succede? Senza acqua alla gola, a salvezza praticamente raggiunta, cominciate a “regalare” punti in giro? Pensate di aver dato e fatto abbastanza? Passi (ma non troppo) per le “vacanze romane” dell’Olimpico contro la Lazio, attualmente una macchina da guerra (ma con un Verona non pervenuto), ma lo spettacolo offerto ieri contro il mediocrissimo Cesena è a dir poco imbarazzante. Ok, potete giustificarvi con i due eurogol di Carbonero e Brienza (ma sulla punizione Benussi è ancora una volta in clamoroso ritardo), ma attaccarsi agli episodi sa di presa in giro a fronte di quei minuti così remissivi e lascivi. La sensazione è che se non avessimo preso quei gol ne avremmo comunque presi altri.  Quindi risparmiateci i rosari autoassolutori che non è il caso. Che sia stato inconscio rilassamento, o superficialità poco cambia: non sarebbe dovuto accadere.

Quali intenzioni abbiamo caro allenatore e cari giocatori, andiamo avanti al piccolo trotto in attesa della fine, concedendoci ogni tanto qualche pausa? Vi chiedo: non avete voglia di darvi altri obiettivi, che ne so migliorare la classifica, provare a entrare nella sua parte sinistra? Un campionato dura 38 partite, non 27-28, si può vincere o perdere, ma il decoro dei novanta minuti non dovrebbe mai mancare, che l’avversario di turno sia la formidabile Lazio, o il bisognoso Cesena.

C’è un piatto finale che di stimoli ne offre. L’Inter, il derby, la Juve. E  per il resto un calendario abbordabile per rimpinguare il bottino. Avanti fino alla fine, senza pause. E’ il vostro dovere.

P.S. Auguri di una Buona Pasqua a tutti.

HA VINTO IL POPOLO DEL VERONA

L’ispirazione la ebbe Mogol per Celentano: “L’emozione non ha voce”. Certe sensazioni non si possono spiegare, ammesso poi che di fronte a certe emozioni la voce rimanga. Perché (ab)battere il Napoli in questo modo ti ripaga di tutto e con gli interessi. Così è ancora più bello e allora lo urli a perdifiato. Ti riappropri del senso del calcio che non è solo classifica, calcolo, piccolo cabotaggio, 40 punti, salvezza ecc, ma anche e soprattutto lotta identitaria, rivalità faziosa, appartenenza a un simbolo e a una comunità. Chi ieri in campo ha rappresentato il Verona Hellas lo ha capito e lo ha dimostrato con i fatti e non solo con le scialbe (e a volte irritanti) interviste. Ora anche i più scettici e i perenni equilibristi (quelli che…è vietata qualsiasi vera critica o polemica), capiranno quanto sia importante che la squadra si avvicini alla sua gente, respiri la città, i suoi umori, le sue aspettative.

Inutile girarci intorno: dopo il confronto con la tifoseria, il comportamento (e di conseguenza il rendimento, perché la qualità era indiscutibile) della squadra – e se mi permettete anche del tecnico – è cambiato. Meno rilassato e più partecipe, meno vittimistico e più positivo. Gli allenamenti a porte aperte e il bagno di folla di giovedì al Bentegodi hanno fatto il resto. Luca Toni, gigante in campo e saggio capitano fuori, lo ha spiegato in una frase: “Avevamo più fame del Napoli”. Una ‘fame’ nata non tanto per ragioni di classifica (la posizione era già tranquilla), ma dalla consapevolezza di giocare, correre, combattere per migliaia di persone che la partita la sentivano eccome.

Per questo ieri ha vinto la gente del Verona, il popolo gialloblu. Chi pensa sia retorica non ha mai messo piede al Bentegodi, o del Bentegodi forse frequenta solo la tribuna vip, o la sala stampa. Chi pensa che sia populismo ha una concezione del calcio asettica e classista, per cui il tifoso va bene solo quando è un cliente da spennare, per il resto deve starsene zitto e buono e non chiedere conto dei passaggi a vuoto. La fortuna del Verona, ancora un volta, è stata la sua tifoseria.  Quei padri che tramandano ai loro bambini, che a loro volta quando saranno padri tramanderanno ai figli (ed è così da cent’anni), il senso e il valore di tifare Verona Hellas, senza cercare facili scorciatoie in una Juventus, in un Inter o in un Milan, come accade nelle città limitrofe. Hanno vinto loro, quelle migliaia di persone che, essendo innanzitutto individui pensanti, possono anche “scannarsi” amabilmente su tizio o su caio, sul mercato o sul modulo, ma che poi sono tutt’uno nel soffrire e godere per gli stessi colori, alla faccia del calcio moderno che le vuole distanti e innocue, posate e imborghesite. Questo conta.  Questo è il Verona.

LA VIRTÙ DELLA SFACCIATAGGINE

Mi è bastato lo ‘scavino’ di Luca Toni a Diego Lopez. Quel gesto sfacciato compiuto nel luogo simbolo del pallone inteso come borioso sfarzo, è goduria calcistica allo stato puro. In quel gesto irridente c’è il riscatto del Verona su San Siro, stadio ancora tabù, ma da ieri un po’ meno. Quel gesto spregiudicato ribalta cent’anni di storia e di certezze: il Milan non è più forte del Verona e l’unico vero campione gioca con noi. Era così l’anno scorso, è così quest’anno. In precedenza fu così solo nella prima metà degli anni ’80 e poco oltre (fino al 1987). Affiora perciò un filo di rimpianto e l’eco di una frase: “Avremmo potuto vincerla”. E a proposito di tabù San Siro, guardando l’Inter e il Milan delle ultime due stagioni la domanda sorge spontanea: se non ora quando? Ma ormai è andata, il Meazza anche, e non serve perdersi in inutili rimpianti.

Piuttosto l’auspicio è che tecnico e giocatori, ieri sera, prima di guadagnare gli spogliatoi, abbiano osservato bene la festa dei propri tifosi sugli spalti. Emozionante. Non è un dettaglio, domenica arriva il Napoli e non è vero che il Verona non ha nulla da perdere, come spesso si suole dire in questi casi per mettere le mani avanti (sarebbe anche ora di piantarla con questa retorica vuota). I 14 gol incassati negli ultimi tre precedenti gridano vendetta e vincere darebbe anche un significato emozionale alla stagione, finora caratterizzata da qualche stento di troppo e priva di grandi acuti. Senza dimenticare che da quando siamo ritornati in A manca il colpaccio autentico.

Ma serve un Verona che, al momento giusto, sappia essere come Toni ieri sul dischetto: sfacciato, irridente e spregiudicato. Con lo ‘scavino’ o senza, poco importa.

LA FORZA DEL VERONA? L’AMBIENTE

Sarà un caso ma… Dico, sarà un caso, ma il confronto post Genova tra tifosi e allenatore e squadra ha rinsavito il Verona. Sarà un caso, ma dopo che abbiamo tirato per la giacchetta “Godot” Setti, la società è intervenuta pubblicamente (Setti attraverso Gardini) non solo per ripetere le solite vuote banalità del “stiamo uniti” e bla bla bla, ma per togliere il fuorviante alibi della presunta inadeguatezza della rosa e mettere in discussione tutto e tutti (anche l’allenatore). Sarà un caso, ma la decisione di Mandorlini di concedere gli allenamenti a porte aperte dopo anni di chiusura (e clausura), ha prodotto un Verona agonisticamente più battagliero. Mandorlini che ha, senza esitazioni, a sua volta legittimato il valore dell’organico, elogiandolo senza mezzi termini e smettendo di parlare di “18 giocatori nuovi” ecc.

Sarà un caso, dicevo, ma intanto io rimango convinto che le pressioni e le critiche siano un toccasana. Specie in un mondo, quello del calcio, che vive di isole mentali (calciatori staccati dalla realtà) ed egoismi. Specie per questo Verona, che dispone di ottimi calciatori, ma tanti sono stranieri e-o giramondo del calcio. Specie per l’incostante Mandorlini, che se ascoltasse i suoi critici, anziché arrabbiarsi, sarebbe ancora più bravo. Specie per Setti, per cui parlano i risultati, ma che esita nel metterci la faccia (spero, entro fine mese, che sveli i piani futuri).

Le pressioni di quello che comunemente viene definito “ambiente” sono la fortuna del Verona, non il suo limite. Mettere pressioni significa, se è il caso, anche rompere le palle, essere urticanti, antipatici, l’ortica nel giardino. L’obiettivo è scatenare una reazione. Presidente, società, allenatore e calciatori hanno delle responsabilità, perché lavorano nel Verona. Quella maglia ha un peso. Dunque il no relax rimane: ci mancano almeno tre posizioni di classifica e un’impresa storica a Milano. Forza.

MA ORA NO RELAX

Avviso ai naviganti, fly down. La storia recente ce lo insegna. Il Verona ha dato segnali di risveglio, ma non è ancora abbastanza. E soprattutto non sarà sufficiente a Cagliari per salvare la pellaccia. Ed è saggio rimarcarlo. Lo stesso Mandorlini si è mantenuto prudente. Il pareggio con la Roma “è un punto di partenza, non di arrivo” ha detto.

In effetti, e sembrerà un paradosso, la Roma di questo periodo (pur con tutto il suo innegabile talento) è un avversario poco attendibile. Mi spiego: il grande problema del Verona di quest’anno, più ancora di un gioco monocorde impostato sulla figura gigantesca (in tutti i sensi) di Toni, è la mancanza di intensità e di corsa per gli interi 90 minuti. Una falla esiziale contro squadre che – piccole, medie o grandi che siano – hanno nel dna aggressività e temperamento. La Roma di ieri, compassata e leziosa, era sprovvista di tutto questo, un po’ come ‘leggerine’ si erano rivelate Udinese, Parma e Atalanta, che non riuscendo a metterla sulla bagarre avevano risaltato le qualità del Verona.

Meglio esserne consapevoli, non per sminuire, ma per rigare dritto ed evitare i soliti cali di tensione che seguono ogni risultato positivo. No relax, dunque. A Cagliari sarà una partita diversa: bastarda, cattiva, aggressiva, impostata sulla sopravvivenza. Prepariamoci.

‘VUOTO DI POTERE’

Sentirsi un po’ Samuel Beckett. Il teatro dell’assurdo in scena. Waiting for Godot.

Godot sono i risultati che non arrivano a fronte di prestazioni imbarazzanti.

Godot è il gioco del Verona, non pervenuto, come da mesi a questa parte.

Godot è Mandorlini, assente, che con la Roma si gioca la panchina.

Godot è Maurizio Setti, che osserva e ascolta da lontano, non frequenta la sede e delega. Ai corsi di business la chiamano ‘organizzazione orizzontale’. Tutto perfetto, tutto moderno, tutto così tremendamente cool, se le cose vanno bene, o comunque non troppo male. Ma ora che la nave affonda, tutta questa democratica orizzontalità mostra le sue crepe. C’è un ‘vuoto di potere’ nel Verona e tocca al presidente colmarlo, perché solo lui ne ha le possibilità. Setti sta onorando gli impegni (leggi stipendi), ma a quanto pare questo (che dovrebbe bastare) non basta. Serve la sua presenza quotidiana per ricompattare l’ambiente, viverlo ‘dal di dentro’ e trovare le soluzioni più adatte per uscire dalla crisi. Altrimenti sarà serie B.