AVETE GIÀ MOLLATO?

Non gioco più, me ne vado… Celebrata Mina (75 anni compiuti in settimana, auguri!) l’incipit potrebbe essere: batti il Napoli e poi… ti rilassi, cullandoti nell’inopinato appagamento. No, non può essere così. No, non deve essere così. Il finale del film l’abbiamo già visto l’anno scorso e non vorrei si ripetesse. Perché è un finale che irrita e chi vuole bene al Verona non lo può accettare. Caro allenatore, cari giocatori vi abbiamo (giustamente) celebrato dopo la straordinaria (per prestazione e intensità) vittoria con il Napoli, ora che succede? Senza acqua alla gola, a salvezza praticamente raggiunta, cominciate a “regalare” punti in giro? Pensate di aver dato e fatto abbastanza? Passi (ma non troppo) per le “vacanze romane” dell’Olimpico contro la Lazio, attualmente una macchina da guerra (ma con un Verona non pervenuto), ma lo spettacolo offerto ieri contro il mediocrissimo Cesena è a dir poco imbarazzante. Ok, potete giustificarvi con i due eurogol di Carbonero e Brienza (ma sulla punizione Benussi è ancora una volta in clamoroso ritardo), ma attaccarsi agli episodi sa di presa in giro a fronte di quei minuti così remissivi e lascivi. La sensazione è che se non avessimo preso quei gol ne avremmo comunque presi altri.  Quindi risparmiateci i rosari autoassolutori che non è il caso. Che sia stato inconscio rilassamento, o superficialità poco cambia: non sarebbe dovuto accadere.

Quali intenzioni abbiamo caro allenatore e cari giocatori, andiamo avanti al piccolo trotto in attesa della fine, concedendoci ogni tanto qualche pausa? Vi chiedo: non avete voglia di darvi altri obiettivi, che ne so migliorare la classifica, provare a entrare nella sua parte sinistra? Un campionato dura 38 partite, non 27-28, si può vincere o perdere, ma il decoro dei novanta minuti non dovrebbe mai mancare, che l’avversario di turno sia la formidabile Lazio, o il bisognoso Cesena.

C’è un piatto finale che di stimoli ne offre. L’Inter, il derby, la Juve. E  per il resto un calendario abbordabile per rimpinguare il bottino. Avanti fino alla fine, senza pause. E’ il vostro dovere.

P.S. Auguri di una Buona Pasqua a tutti.

HA VINTO IL POPOLO DEL VERONA

L’ispirazione la ebbe Mogol per Celentano: “L’emozione non ha voce”. Certe sensazioni non si possono spiegare, ammesso poi che di fronte a certe emozioni la voce rimanga. Perché (ab)battere il Napoli in questo modo ti ripaga di tutto e con gli interessi. Così è ancora più bello e allora lo urli a perdifiato. Ti riappropri del senso del calcio che non è solo classifica, calcolo, piccolo cabotaggio, 40 punti, salvezza ecc, ma anche e soprattutto lotta identitaria, rivalità faziosa, appartenenza a un simbolo e a una comunità. Chi ieri in campo ha rappresentato il Verona Hellas lo ha capito e lo ha dimostrato con i fatti e non solo con le scialbe (e a volte irritanti) interviste. Ora anche i più scettici e i perenni equilibristi (quelli che…è vietata qualsiasi vera critica o polemica), capiranno quanto sia importante che la squadra si avvicini alla sua gente, respiri la città, i suoi umori, le sue aspettative.

Inutile girarci intorno: dopo il confronto con la tifoseria, il comportamento (e di conseguenza il rendimento, perché la qualità era indiscutibile) della squadra – e se mi permettete anche del tecnico – è cambiato. Meno rilassato e più partecipe, meno vittimistico e più positivo. Gli allenamenti a porte aperte e il bagno di folla di giovedì al Bentegodi hanno fatto il resto. Luca Toni, gigante in campo e saggio capitano fuori, lo ha spiegato in una frase: “Avevamo più fame del Napoli”. Una ‘fame’ nata non tanto per ragioni di classifica (la posizione era già tranquilla), ma dalla consapevolezza di giocare, correre, combattere per migliaia di persone che la partita la sentivano eccome.

Per questo ieri ha vinto la gente del Verona, il popolo gialloblu. Chi pensa sia retorica non ha mai messo piede al Bentegodi, o del Bentegodi forse frequenta solo la tribuna vip, o la sala stampa. Chi pensa che sia populismo ha una concezione del calcio asettica e classista, per cui il tifoso va bene solo quando è un cliente da spennare, per il resto deve starsene zitto e buono e non chiedere conto dei passaggi a vuoto. La fortuna del Verona, ancora un volta, è stata la sua tifoseria.  Quei padri che tramandano ai loro bambini, che a loro volta quando saranno padri tramanderanno ai figli (ed è così da cent’anni), il senso e il valore di tifare Verona Hellas, senza cercare facili scorciatoie in una Juventus, in un Inter o in un Milan, come accade nelle città limitrofe. Hanno vinto loro, quelle migliaia di persone che, essendo innanzitutto individui pensanti, possono anche “scannarsi” amabilmente su tizio o su caio, sul mercato o sul modulo, ma che poi sono tutt’uno nel soffrire e godere per gli stessi colori, alla faccia del calcio moderno che le vuole distanti e innocue, posate e imborghesite. Questo conta.  Questo è il Verona.

LA VIRTÙ DELLA SFACCIATAGGINE

Mi è bastato lo ‘scavino’ di Luca Toni a Diego Lopez. Quel gesto sfacciato compiuto nel luogo simbolo del pallone inteso come borioso sfarzo, è goduria calcistica allo stato puro. In quel gesto irridente c’è il riscatto del Verona su San Siro, stadio ancora tabù, ma da ieri un po’ meno. Quel gesto spregiudicato ribalta cent’anni di storia e di certezze: il Milan non è più forte del Verona e l’unico vero campione gioca con noi. Era così l’anno scorso, è così quest’anno. In precedenza fu così solo nella prima metà degli anni ’80 e poco oltre (fino al 1987). Affiora perciò un filo di rimpianto e l’eco di una frase: “Avremmo potuto vincerla”. E a proposito di tabù San Siro, guardando l’Inter e il Milan delle ultime due stagioni la domanda sorge spontanea: se non ora quando? Ma ormai è andata, il Meazza anche, e non serve perdersi in inutili rimpianti.

Piuttosto l’auspicio è che tecnico e giocatori, ieri sera, prima di guadagnare gli spogliatoi, abbiano osservato bene la festa dei propri tifosi sugli spalti. Emozionante. Non è un dettaglio, domenica arriva il Napoli e non è vero che il Verona non ha nulla da perdere, come spesso si suole dire in questi casi per mettere le mani avanti (sarebbe anche ora di piantarla con questa retorica vuota). I 14 gol incassati negli ultimi tre precedenti gridano vendetta e vincere darebbe anche un significato emozionale alla stagione, finora caratterizzata da qualche stento di troppo e priva di grandi acuti. Senza dimenticare che da quando siamo ritornati in A manca il colpaccio autentico.

Ma serve un Verona che, al momento giusto, sappia essere come Toni ieri sul dischetto: sfacciato, irridente e spregiudicato. Con lo ‘scavino’ o senza, poco importa.

LA FORZA DEL VERONA? L’AMBIENTE

Sarà un caso ma… Dico, sarà un caso, ma il confronto post Genova tra tifosi e allenatore e squadra ha rinsavito il Verona. Sarà un caso, ma dopo che abbiamo tirato per la giacchetta “Godot” Setti, la società è intervenuta pubblicamente (Setti attraverso Gardini) non solo per ripetere le solite vuote banalità del “stiamo uniti” e bla bla bla, ma per togliere il fuorviante alibi della presunta inadeguatezza della rosa e mettere in discussione tutto e tutti (anche l’allenatore). Sarà un caso, ma la decisione di Mandorlini di concedere gli allenamenti a porte aperte dopo anni di chiusura (e clausura), ha prodotto un Verona agonisticamente più battagliero. Mandorlini che ha, senza esitazioni, a sua volta legittimato il valore dell’organico, elogiandolo senza mezzi termini e smettendo di parlare di “18 giocatori nuovi” ecc.

Sarà un caso, dicevo, ma intanto io rimango convinto che le pressioni e le critiche siano un toccasana. Specie in un mondo, quello del calcio, che vive di isole mentali (calciatori staccati dalla realtà) ed egoismi. Specie per questo Verona, che dispone di ottimi calciatori, ma tanti sono stranieri e-o giramondo del calcio. Specie per l’incostante Mandorlini, che se ascoltasse i suoi critici, anziché arrabbiarsi, sarebbe ancora più bravo. Specie per Setti, per cui parlano i risultati, ma che esita nel metterci la faccia (spero, entro fine mese, che sveli i piani futuri).

Le pressioni di quello che comunemente viene definito “ambiente” sono la fortuna del Verona, non il suo limite. Mettere pressioni significa, se è il caso, anche rompere le palle, essere urticanti, antipatici, l’ortica nel giardino. L’obiettivo è scatenare una reazione. Presidente, società, allenatore e calciatori hanno delle responsabilità, perché lavorano nel Verona. Quella maglia ha un peso. Dunque il no relax rimane: ci mancano almeno tre posizioni di classifica e un’impresa storica a Milano. Forza.

MA ORA NO RELAX

Avviso ai naviganti, fly down. La storia recente ce lo insegna. Il Verona ha dato segnali di risveglio, ma non è ancora abbastanza. E soprattutto non sarà sufficiente a Cagliari per salvare la pellaccia. Ed è saggio rimarcarlo. Lo stesso Mandorlini si è mantenuto prudente. Il pareggio con la Roma “è un punto di partenza, non di arrivo” ha detto.

In effetti, e sembrerà un paradosso, la Roma di questo periodo (pur con tutto il suo innegabile talento) è un avversario poco attendibile. Mi spiego: il grande problema del Verona di quest’anno, più ancora di un gioco monocorde impostato sulla figura gigantesca (in tutti i sensi) di Toni, è la mancanza di intensità e di corsa per gli interi 90 minuti. Una falla esiziale contro squadre che – piccole, medie o grandi che siano – hanno nel dna aggressività e temperamento. La Roma di ieri, compassata e leziosa, era sprovvista di tutto questo, un po’ come ‘leggerine’ si erano rivelate Udinese, Parma e Atalanta, che non riuscendo a metterla sulla bagarre avevano risaltato le qualità del Verona.

Meglio esserne consapevoli, non per sminuire, ma per rigare dritto ed evitare i soliti cali di tensione che seguono ogni risultato positivo. No relax, dunque. A Cagliari sarà una partita diversa: bastarda, cattiva, aggressiva, impostata sulla sopravvivenza. Prepariamoci.

‘VUOTO DI POTERE’

Sentirsi un po’ Samuel Beckett. Il teatro dell’assurdo in scena. Waiting for Godot.

Godot sono i risultati che non arrivano a fronte di prestazioni imbarazzanti.

Godot è il gioco del Verona, non pervenuto, come da mesi a questa parte.

Godot è Mandorlini, assente, che con la Roma si gioca la panchina.

Godot è Maurizio Setti, che osserva e ascolta da lontano, non frequenta la sede e delega. Ai corsi di business la chiamano ‘organizzazione orizzontale’. Tutto perfetto, tutto moderno, tutto così tremendamente cool, se le cose vanno bene, o comunque non troppo male. Ma ora che la nave affonda, tutta questa democratica orizzontalità mostra le sue crepe. C’è un ‘vuoto di potere’ nel Verona e tocca al presidente colmarlo, perché solo lui ne ha le possibilità. Setti sta onorando gli impegni (leggi stipendi), ma a quanto pare questo (che dovrebbe bastare) non basta. Serve la sua presenza quotidiana per ricompattare l’ambiente, viverlo ‘dal di dentro’ e trovare le soluzioni più adatte per uscire dalla crisi. Altrimenti sarà serie B.

ALIBI E VANAGLORIA

La solita storia. Di un Verona (troppo) spesso indolente, pigro, frivolo, prevedibile e lento. Era successo nel derby, ma lì ci era stato raccontato che era solo colpa dell’arbitro. Era accaduto a Napoli e allo Juventus Stadium, ma ci era stato detto che non sono quelle le partite da vincere (forse sono da perdere con tanto di goleade?). In effetti poi si era vinto con l’Atalanta e i cacciatori di alibi quando di perde e di (propria) vanagloria quando si vince ci avevano insegnato che “le nostre partite sono queste” (le altre non le giochiamo?). Salvo poi perdere con Palermo e Torino e sentirci raccontare che la colpa, è chiaro come l’oro, è di Rafa Marquez e – sì dai diciamocelo che non vedevamo l’ora – di Saviola, così da nascondere abilmente alcune ‘chicche’. A Palermo la rinuncia totale al gioco dopo il pari di Dybala (e se stai rintanato nei tuoi 25 metri le probabilità di errore individuale crescono). Ieri la lentezza del giro palla nella prima mezz’ora e la scelta (con Pisano e Agostini terzini di contenimento) di rinunciare agli sbocchi sulle fasce e di affidarsi al solito lancio per Toni. Un dato poi deve far riflettere: questo Rafa Marquez è inguardabile, ma nell’ultimo anno e mezzo sono stati impiegati sette difensori centrali diversi (Moras, Maietta, Marques, Gonzalez, Marquez, e nella difesa a tre Rodriguez e Sorensen), eppure abbiamo subìto 105 gol Coppa Italia esclusa. Tutti scarsi i nostri? Le concorrenti per caso dispongono di Baresi, Nesta e Thuram? Una critica anche al lavoro sulla fase difensiva è improponibile? Denunciare gli errori individuali è giusto, attaccarsi solo a quelli è una scorciatoia fuorviante.

La solita storia. Di un Verona che le qualità le ha e che però le mostra solo nella disperazione (a Udine, con l’Atalanta e ieri dopo il 2-1 di Toni), il resto del tempo invece lo passa nella stagnazione degli aggettivi di poco fa (indolente, pigro ecc). Non so dirvi se questo mi preoccupa o mi solleva. Mi preoccupa perché la storia è ricca di buone squadre retrocesse per presuntuosa noncuranza (“tanto poi quando serve vinciamo”), ne sappiamo qualcosa anche qui a Verona. E alcune dichiarazioni post partita di ieri mi hanno lasciato perplesso, quasi che il campanello d’allarme nello spogliatoio non sia ancora scattato. Benussi: “Ripartiamo dalla prestazione” (quale, di grazia?). Greco: “Non si è vista tutta questa differenza con il Torino, ci hanno punito gli episodi” (sì e il colpevole è sempre il maggiordomo e le mezze stagioni non esistono più). Mandorlini: “Pensavo di pareggiarla fino alla fine” (ok la reazione, ma prima?). Mi solleva perché con l’acqua alla gola il Verona non ha mai sbagliato e come ha ricordato Vitacchio forse è la paura la vera miccia che accende, aggiungo io, l’arido cuore di questo gruppo e il suo allenatore dal carattere incostante e capace di dare il meglio solo se sotto pressione.

In buona sostanza, se il Verona gioca come è nelle sue possibilità può fare punti a Marassi e a San Siro e sbancare Cagliari, resistendo così con almeno cinque punti al plotone di fuoco delle prossime sei partite. Ma serve un altro atteggiamento, in campo e anche nelle parole, perché sono i pensieri a fare le azioni. E qui torniamo ai cacciatori d’alibi nelle sconfitte e di (propria) vanagloria nelle vittorie. E’ un giochetto che ha stancato e che mette sempre in secondo piano il Verona, che invece è il bene supremo e viene prima di qualsiasi personalismo.

IL VERONA E IL FUTURO

Il calciomercato ai tempi della spending review. Austerità, sobrietà, rigore. Per dirla alla Shakespeare – che pure ha legato il suo nome a Verona – “molto rumore per nulla”all’Hellas. O forse nemmeno quello, perché dall’entourage di Setti era trapelata in tempi non sospetti la linea dell’understatement. Innanzitutto via gli esuberi, solo dopo i nuovi ingaggi.

La domanda sorge spontanea, direbbe Lubrano. E’ in atto un ridimensionamento come scrive Vighini (“il Verona ha invertito la rotta”, “due anni fa faceva tutt’altro mercato mentre oggi sta ridimensionando il suo budget”) che lo definisce ‘Discount Hellas’; oppure Setti, ritenendo la rosa competitiva (“siamo da 8°-12° posto” ribadiva fuori microfono al pranzo natalizio con i giornalisti) e quindi avallando il lavoro estivo di Sogliano, ha posticipato gli investimenti in attesa di definire il nuovo assetto societario, ancora in divenire per i contratti in scadenza di Gardini e dello stesso ds?

In questo contesto e ispirato a Tiziano Terzani (“Ci si parla, ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio”), rifletto sulla decisione di Sogliano di non indire la consueta conferenza stampa post-mercato. L’impressione è che il direttore sportivo – king maker del Verona nelle ultime tre annate (promozione in A, quasi Europa e possibilità di salvezza tranquilla ora) – questa volta non abbia voluto esporsi per altri, sintomo forse di qualche mal di pancia.

La sensazione è che in casa Hellas tiri aria di riassetto nei quadri dirigenziali. Se sarà un Verona ridimensionato oppure solo nuovo lo scopriremo strada facendo. Vighini nel suo bel pezzo conclude scrivendo che il “piccolo cabotaggio non è adeguato alla piazza veronese“. In realtà il tifoso del Verona accetta anche di soffrire, purché gli venga detto.

CI MANCANO I 90 MINUTI

Sono d’accordo con Mandorlini, il pari ci poteva stare e Benussi non ha compiuto grandi parate. Ma è altrettanto vera la versione di Iachini: “Spesso sbattevamo contro un muro, ma sapevo che bisognava avere pazienza”. Morale: se ti chiudi il gol (prima o poi) lo becchi. Quante volte è successo? La chiave della sconfitta di oggi sta tutta lì: l’Hellas non sa esprimersi per 90 minuti. Così dopo un primo tempo combattuto, nella ripresa – pur senza concedere chissà che – ha rinunciato a offendere. Non so se questo dipenda da una filosofia tattica, da paure psicologiche o da una precaria condizione atletica. Forse di tutto un po’, fatto sta che il piccolo salto di qualità per agganciare il treno della metà classifica, che più ci compete, è ancora una volta rinviato.

Certo, una riflessione sul lavoro atletico va fatta, anche alla luce dell’ennesima ricaduta muscolare di Sala (in bocca al lupo ragazzo!), come su certe idiosincrasie psicologiche e tecnico-tattiche. Perché forse, come dichiarato dal nostro allenatore, “parlare di Saviola è riduttivo”, però anche oggi i (pochi) minuti del Conejo sono stati di alta e rara qualità. Eppure all’ex Barcellona e Real è stato preferito prima Lopez (e ci sta col senno di prima, da sempre sostengo la staffetta tra i due in base alla partita di turno), poi addirittura il pur intraprendente Fernandinho, probabilmente in una logica di conservazione, legittima ma significativa: non alterare determinati equilibri e mantenere il pareggio.

Palermo ci consegna queste riflessioni, aspettando il Torino. Dopo i balbettii e l’involuzione della seconda parte del girone d’andata culminata con l’infausta “campagna di Torino”, scioccato com’ero avrei firmato per 4 punti tra Atalanta, Palermo e Torino. Vincere però darebbe una dimensione più consona al nostro campionato e soprattutto ci metterebbe al riparo dai pericoli delle retrovie, in attesa di un mese e mezzo di fuoco (Genoa fuori, Roma in casa, Cagliari e Milan fuori, Napoli in casa, Lazio fuori). La ricetta? Pochi alibi, meno paure, più corsa e resistenza. Possibilmente per novanta minuti.

ORA NON ABBASSIAMO LA GUARDIA

Dopo il 4-0 di Torino non ho voluto scrivere nulla. Emotivamente ero troppo deluso e razionalmente non avevo nulla da aggiungere rispetto all’articolo post Coppa di qualche giorno prima (“Ma sanno per chi giocano?”).

Oggi invece lo stato d’animo è decisamente migliore e poi giornalisticamente qualcosa di nuovo c’è. Questo pomeriggio si è visto forse il più bel Verona dell’anno. Una squadra intensa, compatta e armoniosa. Le discese di Sala (la prossima plusvalenza?), la tecnica di Lazaros, il solito monumentale Toni. E Saviola, fuoriclasse galantuomo, che si sta riprendendo con gli interessi quello che non ha ricevuto in questi mesi. Un 3-5-2 vero, con un fluidificante puro a sinistra (Brivio) e un ala (Sala) a destra, con Saviola a fare da raccordo tra le linee e – assieme a una mezz’ala classica come Lazaros – a sgravare Tachtsidis dal compito del ‘giro palla’. In tal modo il greco ha potuto concentrarsi su ciò che gli riesce meglio: verticalizzare.

Checché ne dica Colantuono, la vittoria è stata netta, più di quanto suggerisca il risultato, e la prestazione attesta la qualità della rosa, costruita con un budget ridotto, ma con buone intuizioni (budget e valore tecnico nel calcio non sempre vanno a braccetto, per fortuna). Se pensiamo che Obbadi è ancora assente, che Greco oggi era squalificato e che uno come Nico Lopez sedeva in panchina, assieme a più onesti pedatori come Gomez e Ionita che farebbero molto comodo a diverse altre squadre, capiamo bene il valore del Verona.

Lo scrivo con forza perché ora non si deve abbassare la guardia. Se è sbagliato cercarsi alibi quando si perde, tanto più lo è cullarsi sugli allori  quando si vince. Il dovere del Verona è esprimere quelle che sono le sue (più che buone) potenzialità. Con Palermo e Torino passa molto del nostro campionato.