ALIBI E VANAGLORIA

La solita storia. Di un Verona (troppo) spesso indolente, pigro, frivolo, prevedibile e lento. Era successo nel derby, ma lì ci era stato raccontato che era solo colpa dell’arbitro. Era accaduto a Napoli e allo Juventus Stadium, ma ci era stato detto che non sono quelle le partite da vincere (forse sono da perdere con tanto di goleade?). In effetti poi si era vinto con l’Atalanta e i cacciatori di alibi quando di perde e di (propria) vanagloria quando si vince ci avevano insegnato che “le nostre partite sono queste” (le altre non le giochiamo?). Salvo poi perdere con Palermo e Torino e sentirci raccontare che la colpa, è chiaro come l’oro, è di Rafa Marquez e – sì dai diciamocelo che non vedevamo l’ora – di Saviola, così da nascondere abilmente alcune ‘chicche’. A Palermo la rinuncia totale al gioco dopo il pari di Dybala (e se stai rintanato nei tuoi 25 metri le probabilità di errore individuale crescono). Ieri la lentezza del giro palla nella prima mezz’ora e la scelta (con Pisano e Agostini terzini di contenimento) di rinunciare agli sbocchi sulle fasce e di affidarsi al solito lancio per Toni. Un dato poi deve far riflettere: questo Rafa Marquez è inguardabile, ma nell’ultimo anno e mezzo sono stati impiegati sette difensori centrali diversi (Moras, Maietta, Marques, Gonzalez, Marquez, e nella difesa a tre Rodriguez e Sorensen), eppure abbiamo subìto 105 gol Coppa Italia esclusa. Tutti scarsi i nostri? Le concorrenti per caso dispongono di Baresi, Nesta e Thuram? Una critica anche al lavoro sulla fase difensiva è improponibile? Denunciare gli errori individuali è giusto, attaccarsi solo a quelli è una scorciatoia fuorviante.

La solita storia. Di un Verona che le qualità le ha e che però le mostra solo nella disperazione (a Udine, con l’Atalanta e ieri dopo il 2-1 di Toni), il resto del tempo invece lo passa nella stagnazione degli aggettivi di poco fa (indolente, pigro ecc). Non so dirvi se questo mi preoccupa o mi solleva. Mi preoccupa perché la storia è ricca di buone squadre retrocesse per presuntuosa noncuranza (“tanto poi quando serve vinciamo”), ne sappiamo qualcosa anche qui a Verona. E alcune dichiarazioni post partita di ieri mi hanno lasciato perplesso, quasi che il campanello d’allarme nello spogliatoio non sia ancora scattato. Benussi: “Ripartiamo dalla prestazione” (quale, di grazia?). Greco: “Non si è vista tutta questa differenza con il Torino, ci hanno punito gli episodi” (sì e il colpevole è sempre il maggiordomo e le mezze stagioni non esistono più). Mandorlini: “Pensavo di pareggiarla fino alla fine” (ok la reazione, ma prima?). Mi solleva perché con l’acqua alla gola il Verona non ha mai sbagliato e come ha ricordato Vitacchio forse è la paura la vera miccia che accende, aggiungo io, l’arido cuore di questo gruppo e il suo allenatore dal carattere incostante e capace di dare il meglio solo se sotto pressione.

In buona sostanza, se il Verona gioca come è nelle sue possibilità può fare punti a Marassi e a San Siro e sbancare Cagliari, resistendo così con almeno cinque punti al plotone di fuoco delle prossime sei partite. Ma serve un altro atteggiamento, in campo e anche nelle parole, perché sono i pensieri a fare le azioni. E qui torniamo ai cacciatori d’alibi nelle sconfitte e di (propria) vanagloria nelle vittorie. E’ un giochetto che ha stancato e che mette sempre in secondo piano il Verona, che invece è il bene supremo e viene prima di qualsiasi personalismo.

IL VERONA E IL FUTURO

Il calciomercato ai tempi della spending review. Austerità, sobrietà, rigore. Per dirla alla Shakespeare – che pure ha legato il suo nome a Verona – “molto rumore per nulla”all’Hellas. O forse nemmeno quello, perché dall’entourage di Setti era trapelata in tempi non sospetti la linea dell’understatement. Innanzitutto via gli esuberi, solo dopo i nuovi ingaggi.

La domanda sorge spontanea, direbbe Lubrano. E’ in atto un ridimensionamento come scrive Vighini (“il Verona ha invertito la rotta”, “due anni fa faceva tutt’altro mercato mentre oggi sta ridimensionando il suo budget”) che lo definisce ‘Discount Hellas’; oppure Setti, ritenendo la rosa competitiva (“siamo da 8°-12° posto” ribadiva fuori microfono al pranzo natalizio con i giornalisti) e quindi avallando il lavoro estivo di Sogliano, ha posticipato gli investimenti in attesa di definire il nuovo assetto societario, ancora in divenire per i contratti in scadenza di Gardini e dello stesso ds?

In questo contesto e ispirato a Tiziano Terzani (“Ci si parla, ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio”), rifletto sulla decisione di Sogliano di non indire la consueta conferenza stampa post-mercato. L’impressione è che il direttore sportivo – king maker del Verona nelle ultime tre annate (promozione in A, quasi Europa e possibilità di salvezza tranquilla ora) – questa volta non abbia voluto esporsi per altri, sintomo forse di qualche mal di pancia.

La sensazione è che in casa Hellas tiri aria di riassetto nei quadri dirigenziali. Se sarà un Verona ridimensionato oppure solo nuovo lo scopriremo strada facendo. Vighini nel suo bel pezzo conclude scrivendo che il “piccolo cabotaggio non è adeguato alla piazza veronese“. In realtà il tifoso del Verona accetta anche di soffrire, purché gli venga detto.

CI MANCANO I 90 MINUTI

Sono d’accordo con Mandorlini, il pari ci poteva stare e Benussi non ha compiuto grandi parate. Ma è altrettanto vera la versione di Iachini: “Spesso sbattevamo contro un muro, ma sapevo che bisognava avere pazienza”. Morale: se ti chiudi il gol (prima o poi) lo becchi. Quante volte è successo? La chiave della sconfitta di oggi sta tutta lì: l’Hellas non sa esprimersi per 90 minuti. Così dopo un primo tempo combattuto, nella ripresa – pur senza concedere chissà che – ha rinunciato a offendere. Non so se questo dipenda da una filosofia tattica, da paure psicologiche o da una precaria condizione atletica. Forse di tutto un po’, fatto sta che il piccolo salto di qualità per agganciare il treno della metà classifica, che più ci compete, è ancora una volta rinviato.

Certo, una riflessione sul lavoro atletico va fatta, anche alla luce dell’ennesima ricaduta muscolare di Sala (in bocca al lupo ragazzo!), come su certe idiosincrasie psicologiche e tecnico-tattiche. Perché forse, come dichiarato dal nostro allenatore, “parlare di Saviola è riduttivo”, però anche oggi i (pochi) minuti del Conejo sono stati di alta e rara qualità. Eppure all’ex Barcellona e Real è stato preferito prima Lopez (e ci sta col senno di prima, da sempre sostengo la staffetta tra i due in base alla partita di turno), poi addirittura il pur intraprendente Fernandinho, probabilmente in una logica di conservazione, legittima ma significativa: non alterare determinati equilibri e mantenere il pareggio.

Palermo ci consegna queste riflessioni, aspettando il Torino. Dopo i balbettii e l’involuzione della seconda parte del girone d’andata culminata con l’infausta “campagna di Torino”, scioccato com’ero avrei firmato per 4 punti tra Atalanta, Palermo e Torino. Vincere però darebbe una dimensione più consona al nostro campionato e soprattutto ci metterebbe al riparo dai pericoli delle retrovie, in attesa di un mese e mezzo di fuoco (Genoa fuori, Roma in casa, Cagliari e Milan fuori, Napoli in casa, Lazio fuori). La ricetta? Pochi alibi, meno paure, più corsa e resistenza. Possibilmente per novanta minuti.

ORA NON ABBASSIAMO LA GUARDIA

Dopo il 4-0 di Torino non ho voluto scrivere nulla. Emotivamente ero troppo deluso e razionalmente non avevo nulla da aggiungere rispetto all’articolo post Coppa di qualche giorno prima (“Ma sanno per chi giocano?”).

Oggi invece lo stato d’animo è decisamente migliore e poi giornalisticamente qualcosa di nuovo c’è. Questo pomeriggio si è visto forse il più bel Verona dell’anno. Una squadra intensa, compatta e armoniosa. Le discese di Sala (la prossima plusvalenza?), la tecnica di Lazaros, il solito monumentale Toni. E Saviola, fuoriclasse galantuomo, che si sta riprendendo con gli interessi quello che non ha ricevuto in questi mesi. Un 3-5-2 vero, con un fluidificante puro a sinistra (Brivio) e un ala (Sala) a destra, con Saviola a fare da raccordo tra le linee e – assieme a una mezz’ala classica come Lazaros – a sgravare Tachtsidis dal compito del ‘giro palla’. In tal modo il greco ha potuto concentrarsi su ciò che gli riesce meglio: verticalizzare.

Checché ne dica Colantuono, la vittoria è stata netta, più di quanto suggerisca il risultato, e la prestazione attesta la qualità della rosa, costruita con un budget ridotto, ma con buone intuizioni (budget e valore tecnico nel calcio non sempre vanno a braccetto, per fortuna). Se pensiamo che Obbadi è ancora assente, che Greco oggi era squalificato e che uno come Nico Lopez sedeva in panchina, assieme a più onesti pedatori come Gomez e Ionita che farebbero molto comodo a diverse altre squadre, capiamo bene il valore del Verona.

Lo scrivo con forza perché ora non si deve abbassare la guardia. Se è sbagliato cercarsi alibi quando si perde, tanto più lo è cullarsi sugli allori  quando si vince. Il dovere del Verona è esprimere quelle che sono le sue (più che buone) potenzialità. Con Palermo e Torino passa molto del nostro campionato.

MA SANNO PER CHI GIOCANO?

Gianni Clerici, superbo giornalista del tennis, quand’è costretto a commentare partite senza storia trova spesso geniali escamotage. Ricordo un’intera pagina di Repubblica in cui si soffermava con immensa scrittura sulle gambe di una tennista e sull’armonia del loro movimento sul prato inglese. La cronaca del match? Due-righe-due in fondo.

E che vuoi dire della Caporetto di ieri sera? Nulla nello specifico. Il discorso è più generale: il Verona da qualche anno a questa parte perde male le partite più importanti per i tifosi (eccezioni il Milan alla prima, il derby di ritorno e il pari con la Juve nella scorsa stagione). Attenzione, ho scritto “perde male”, non “perde”. La differenza non sta solo in un avverbio, è – se mi permettete – filosofica (filosofia applicata al calcio, of course). Perché il tifoso del Verona mai ti rimprovererà se perdi, il punto è come perdi. C’è modo e modo e non è un bel modo il 5 a 1 di Napoli del 18 maggio scorso e nemmeno il 6-2 più recente sempre al San Paolo. O, ancora con il Napoli, lo 0-3 di un anno fa in casa. Per non star lì a riaprire la ferita dei due derby: quello del novembre 2013, cartina di tornasole di una settimana di effusioni mediatiche tra i tesserati delle due squadre, e l’ultimo prima di Natale giocato con svagatezza. O l’1-3 con il Milan. E, tornando alla scorsa stagione, potremmo parlare della barbina figura con l’Inter in casa. Ora siamo qui a commentare il cappotto di ieri sera.

Il Verona, per storia e tifoseria, è uno dei club più identitari d’Italia. Ora, io capisco che viviamo in un calcio malato di marketing e cinismo, dove i colori sociali sembrano non contare più, dove i calciatori vanno e vengono peggio che in una stazione, le partite sono tutte uguali e il tifoso è visto solo come consumatore. Capisco pure che chi parla di identità e spirito d’appartenenza oggi viene ormai trattato alla stregua di un matto naif da lasciare nel suo brodo di retroguardia. Capisco, ma non mi adeguo e, lasciando perdere il mondo pallonaro nel suo insieme, vorrei che chi lavora per la squadra per la quale tifo e della quale ho il privilegio di scrivere, sappia che opera innanzitutto per una città e per tante persone che tifano, soffrono, cantano, spendono tempo, sentimenti e soldi. Quindi sotto di nuovo con la Juve e basta figure da cioccolatai.

LA QUALITA’ VA MESSA IN CAMPO

Io di Javier Saviola ho sempre, appositamente, parlato poco. Lo scrissi a suo tempo e lo ripeto ora: non volevo e non voglio alimentare un dibattito stucchevole, dal momento – è beninteso – che dibattito non avrebbe dovuto e non dovrebbe nemmeno esserci. Saviola è forte e non è un ex come si sente dire in giro da mesi.  Oggi, come a San Siro e come in Coppa Italia, l’ha dimostrato (poi è comprensibilmente calato). Incredibile come el conejo non abbia mai trovato spazio nel Verona e in questa serie A. Standing ovation per lui al momento del cambio: il tempo è galantuomo.

Si parla tanto di infortunati. Ce la menano da settimane con la storia dell’emergenza. Per carità, l’infermeria piena non è mai una bella cosa. Però oggi in emergenza abbiamo vinto e se non fosse stato per l’emergenza Valoti forse non avrebbe giocato. Poi ci sono assenze e assenze, e a ben vedere gli unici infortunati eccellenti in questi mesi sono stati Sala (e si è visto da quando è rientrato) e  Obbadi (sulla via del recupero). La verità è che la rosa del Verona è ampia e di qualità. Prendete il centrocampo, Greco, i gioielli made in Italy Sala e Valoti, Obbadi e Lazaros quando rientreranno, mettici anche Hallfredsson, più Ionita e Campanharo utili comprimari. Vi sembra da salvezza risicata? Non scherziamo, via… Danzando per altre zone del campo aggiungerei il bistrattato Brivio (avete visto?), i desaparecidos Saviola appunto e per lungo tempo Rodriguez (anche con il Parma tra i più bravi). E Marquez finalmente nella posizione congeniale di centrale “libero” nella difesa a tre. Basta alibi, please, piuttosto la qualità va messa in campo.

Toni è tornato a segnare. Lui è un campione, forse il miglior nove che il Verona abbia mai avuto, ma è altrettanto evidente che un patrimonio come l’ex campione del mondo deve essere assistito da una punta a fianco. Spero che Mandorlini continui senza altre esitazioni sulla strada dei due attaccanti (Toni con Saviola o Lopez in staffetta, chi inizia poco importa). Anche allo Juventus Stadium. Rivedere certi dogmi è segno d’intelligenza, dunque avanti così!

Infine una parola su Sogliano, corteggiato dalla Fiorentina. Setti non se lo faccia scappare, potremmo rimpiangerlo.

SOLITO VERONA

Qua tra un po’ passeremo tutti per delle vecchie zitelle isteriche. Avete presente quelle sempre incazzate che ripetono le stesse cose? Be’ a vedere questo Verona il rischio è grande. I soliti problemi (l’impiego di Tachtsidis, il non impiego di Lopez, lasciando perdere Saviola…), le medesime mancanze (di gioco, di agonismo, di sostegno per Toni, che abbandonato a se stesso non segna), le annose idiosincrasie (di attaccare, pure in superiorità numerica) non fanno più notizia, dunque per evitare di apparire stucchevoli la piantiamo qua. Solo una breve considerazione: Tachtsidis, che a leggere i siti specializzati è sul mercato e pare sia stato rifiutato anche dal Cesena, è il nostro perno del gioco. Fate voi.

Consoliamoci  con quanto c’è di positivo. Non giocando siamo riusciti a pareggiare a casa di un Empoli che invece ha giocato (quindi così scarsi individualmente forse non siamo), la classifica rimane (relativamente) tranquilla, il Cagliari è allo sbando e domenica ospitiamo il Parma, redivivo ma pur sempre penultimo e con chiaroscuri societari. Girare a 21 è un obiettivo alla portata e visti questi chiari di luna non sarebbe male. In attesa di tempi migliori, del ritorno alla migliore condizione di Sala (speriamo nulla di grave, ma è stato un azzardo rimetterlo subito titolare) e del rientro di Obbadi. Mandorlini credo abbia bisogno di loro per riproporre il calcio che gli è più congeniale, l’unico in cui crede. Questo è il suo limite, ma anche il suo alibi.

IL BIVIO

Che vogliamo dire? Attaccarci all’arbitro, o magari al campo e parlare d’altro? Rimestare la solita minestra del destino cinico e baro? Alibi alibi alibi, cantava il Vasco più corrosivo. Scusate, tutto ciò mi sembra quasi surreale e invece è vero. Per carità, Paloschi è in fuorigioco e senza quel gol sarebbe finita 0-0. Non è un dettaglio, certo, ma sarebbe cambiato poco nell’analisi, perché non si può affrontare una stracittadina con un atteggiamento così rinunciatario e indisponente. E non si può, dopo un derby perso, minimizzare come se non fosse successo nulla. Lo stesso atteggiamento di Napoli. Udine appare ora un’effimera illusione; forse – come avevo avuto modo di scrivere in un commento – nata anche per demerito dell’Udinese. Ma lì per lì non avevo sottilizzato troppo, quell’exploit poteva essere la medicina e occorreva distribuire fiducia, specie prima del derby (a proposito finiamola di dire che non lo è!).

Avessimo almeno un gioco, invece alla mancanza di furore si aggiunge una confusione di idee. Perché Nenè per Lopez? Perché soprattutto proporre ancora, sempre e comunque Tachtsidis, che aveva sfigurato pure al Friuli ed è tutto dire? Mandorlini sulla sua scommessa greca sta andando a sbattere con una testardaggine stucchevole e trovo strano che un allenatore bravo ed esperto come lui e così attento alle dinamiche dello spogliatoio s’incarti su un singolo, specie in un ruolo così determinante. Pare essere tornati ai tempi di Bjelanovic, ricordate? Il tutto corroborato dai soliti alibi nelle dichiarazioni. E hai voglia di raccontarla che “semo scarsi”, refrain padre di tutte le scuse. Come se il Chievo fosse più forte. Non lo è, anzi. Come se l’Empoli che rischia di espugnare Firenze fosse più forte. Non lo è, anzi.

Ma quelle squadre sono scarse e “ignoranti” e sanno fieramente di esserlo e questa è la loro forza; noi invece ci ritroviamo a lottare per la salvezza e non lo immaginavamo. La squadra è stata costruita per un campionato da metà classifica e adesso si ritrova inopinatamente nelle retrovie. Non è una sottigliezza, l’abitudine a lottare, a compattarti con l’acqua alla gola, non la impari da un giorno all’altro. I giocatori del Verona hanno un pedigree più importante e sono professionisti disciplinati e inappuntabili, ma forse c’è troppo freddezza in quello spogliatoio e mani troppo pulite. E lo stesso mister è poco abituato a lottare per certi traguardi. Per questo hanno ragione Gianluca Vighini e Matteo Fontana quando scrivono che bisogna riaprire le porte degli allenamenti alla città e alla tifoseria. I giocatori hanno bisogno di capire  per chi giocano e quale maglia indossano.

La situazione non è (ancora) drammatica, ma questa sosta giunge a proposito. Società e allenatore in questi giorni devono fare una riflessione e confrontarsi con schiettezza. Entrambi sono a un bivio ed entrambi devono fare un passo indietro se vogliono poi farne due avanti. In attesa di Sala e Obbadi la società deve dare un’aggiustatina alla fasce laterali e alla cabina di regia. Credo lo farà, perché ad agosto non si potevano prevedere i malanni di Sala e il cattivo ambientamento di Brivio. E Tachtsidis sappiamo chi l’ha voluto. D’altro canto l’allenatore deve smetterla con i figli e figliastri e cominci a considerare Tachtsidis non più un intoccabile. Con il rientro di Obbadi e l’ingaggio di un altro centrocampista centrale le alternative non mancheranno. Se c’è collaborazione la nave arriverà al porto senza problemi ed è la strada più auspicabile. Altrimenti è chiaro che si aprono altri scenari. Forza Verona e buon Natale a tutti.

POCO ORGOGLIO, MOLTO BUON SENSO

L’orgoglio, o il buon senso? Era questo il bivio di Mandorlini. Il mister ha avuto l’intelligenza di seguire il secondo e di continuare sulla strada del rinnovamento tattico, nonostante la sconfitta di lunedì. Ho sempre pensato che il 5-3-2 sia il modulo migliore per le caratteristiche dei giocatori più forti del Verona (quelli su cui costruire l’undici), ma il mio dubbio era: Mandorlini ne è davvero convinto? Scrivevo che se non lo fosse stato era inutile proporlo. Il mister invece ha saputo vincere le sue vecchie certezze, il suo proverbiale orgoglio e ha avuto l’umiltà di ascoltare con i fatti le voci più critiche, sia interne che esterne alla società. Bravo. Ma non diciamolo (per ora) troppo forte, perché c’è un derby da affrontare e la tensione deve rimanere alta. Un consiglio al tecnico: rimanga umile (che non significa buono o simpatico) e capisca finalmente che le critiche sono a fin di bene e le muove chi lo ritiene preparato, ma con un grande limite in questi tempi di calcio ‘liquido’ e non ideologico: la cocciutaggine. Da oggi forse cocciuto, Mandorlini, lo è un po’ meno.  E i giocatori? Non si esaltino troppo, hanno fatto semplicemente il loro dovere, che non è vincere sempre, ma dare tutto quello che hanno.

P.S Lazaros da mezz’ala è un signor giocatore e lì può fare la differenza. Con il ritorno di Obbadi a gennaio avremo trovato la quadratura del cerchio. Aspettando il mercato…

P.P.S. Mandorlini è MacGyver, ormai è assodato 🙂

 

 

MISTER RICORDI MACGYVER E COLIANDRO?

Gli alibi non portano da nessuna parte, sono il lavacro dei deboli. Le frasi fatte non risolvono i problemi, semmai li alimentano. E di alibi e frasi fatte ne ho sentite abbastanza ieri in sala stampa. Gli infortuni stanno incidendo, è vero. Obbadi, per esempio, è un giocatore determinante per il Verona. Tuttavia se raccogli tre punti in otto partite non ti puoi aggrappare agli episodi avversi. Piuttosto vanno discussi alcuni aspetti.

Rodriguez. Ora viene accolto come una sorpresa, ma sorpresa non è. L’ex nazionale uruguayano due stagioni fa a Torino dimostrò di essere da serie A. Il suo mancato impiego sinora induce a qualche riflessione.

Tachtsidis. Ad agosto, mentre tutti lo strombazzavano, scrivevo che mi sembrava azzardato consegnare le chiavi del centrocampo a un giocatore che in serie A poco o nulla aveva combinato, e che il vero errore di mercato di Sogliano era stato quello di non pensare a un’alternativa, mentre quello di Mandorlini di puntarci incondizionatamente. La mia idea è questa: il greco può essere importante, ma da interno, come nei suoi migliori spezzoni (primo tempo di Roma e gli otto minuti con la Fiorentina). L’infortunio di Obbadi ha complicato i piani, ma davanti alla difesa va trovata al più presto un’altra soluzione. Campanharo? Valoti? Marquez?

Rafa Marquez. Il suo rendimento è inferiore alle attese, è fuori discussione. Tuttavia vista la qualità (e il contratto) del messicano bisogna cercare di capirne le cause e non sparare nel mucchio con sentenze facili e premature. Per me l’attuale Marquez rende da centrale in una difesa a tre (ieri era sul centrodestra dei tre), con due ‘marcatori’ a fianco (Marques o Moras, con Rodriguez): staccato due metri indietro in fase difensiva, spostato due metri avanti in ripartenza per dettare il primo passaggio. Se si gioca a quattro fa più fatica, a quel punto meglio la coppia Moras e Rodriguez.

Il modulo. Se Mandorlini decide per il 5-3-2 lo deve fare con convinzione e non a furor di popolo. E’ stretta psicologia commerciale: se tu vendi un prodotto che non ti convince, non convincerai mai nessuno, nel tal caso i giocatori. Ritorno al 4-3-3? No, perché Lopez e Toni devono giocare vicini per rendere al meglio. A me è piaciuta molto la formazione di partenza con la Fiorentina: Tachtsidis interno, Hallfredsson più alto, Obbadi centrocampista centrale e Ionita mediano destro. A Udine si potrebbe riproporre con il rientro dell’islandese e gli innesti di Lazaros (a destra) e Campanharo (cc).

Mandorlini. Sta commettendo errori (proporre un 5-3-2 con Agostini e Gonzales significa rinunciare in partenza ai cross dal fondo), ma merita ancora fiducia, perché qualche attenuante ce l’ha (leggi infortuni), il rimedio lo può trovare (sullo stile della formazione con la Fiorentina) e la classifica non è compromessa. Certo, da Udine e dal derby passa il suo futuro a Verona, questo l’hanno capito anche i sassi. Ricordo un mio vecchio pezzo, scherzando lo paragonavo a MacGyver e Coliandro: il primo salvava la pelle all’ultimo istante quando ormai sembrava spacciato; mentre l’ispettore di Carlo Lucarelli, pur goffamente, risolveva i casi grazie a un mix di fortuna, sfacciataggine e intuito. Speriamo che il mister ricordi come si fa.