Dopo alcuni mesi di gestazione, dopo un lungo travaglio, stasera possiamo annunciarlo ufficialmente: Il Verona di Paolo Zanetti è nato!
Sono stati mesi duri e complicati, in cui il Verona ha cambiato ancora, tanto. In panchina, in campo. Ha perso giocatori importanti, ne ha presi altri. Non è facile trovare subito alchimia, equilibri, semplicemente lo stare insieme in uno spogliatoio, il parlare una lingua comune, le abitudini di vita e alimentari. una squadra di calcio è sempre un grande laboratorio sociale. ci sono sensibilità diverse, incastri generazionali, compagni con cui passerai i prossimi mesi, ogni giorno assieme. Ci sono tensioni, pressioni, c’è stanchezza mentale, fisica. Insomma è una grande casino e ogni volta la variabile dell’imprevedibilità gioca una parte da protagonista,
Neppure chi ha costruito questa squadra sa come andrà finire, chi renderà di più, le sorprese in bene e in male. Nello specifico nemmeno il ds Sogliano sa chi dei ragazzi che ha portato si adatterà, chi avrà difficoltà, chi semplicemente getterà la spugna. La sfida logora ed è logorante. Il Verona riparte quasi da zero ogni anno, deve raschiare continuamente il barile delle motivazioni, qualcuno non ne può più di essere sotto pressione ed allora è quando si sente dire: “Chi non non ne ha più deve andarsene”.
Ecco il perché dare giudizi affrettati su una squadra non ha senso. C’è un tempo ragionevole in cui la squadra si deve formare, in cui si scontano errori e battute d’arresto, in cui magari non tutto procede come si vorrebbe, in cui serve pazienza. Sette, otto gare di campionato sono questo tempo ragionevole e stasera, dopo aver giocato con il Venezia, il primo vero e importante scontro diretto del nostro campionato, possiamo dirlo: il Verona è nato.
Che non significa che è già grande, maturo e vaccinato, ma oggi abbiamo un bambino nella culla e a vederlo lì non pare neanche male. Zanetti ha fatto delle scelte precise e ora che la strada è presa bisogna continuare a perseguirla. Al nostro allenatore (che sente Verona come se fosse il suo Real Madrid), piace una squadra aggressiva, poco meditativa, alta, un poco matta. Che è esattamente quello che piace a noi veronesi. Cioè gioco verticale, all’inglese, pochi fronzoli, tanta forza, tanta corsa, tanta generosità. Gente che corre sulle fasce, come Bradaric, come Tchatchoua, gente che non molla niente come Belahyane e Duda, gente attaccata alla maglia non a parole ma a fatti come Lazovic, gente che non ha paura del Bentegodi come Ghilardi, gente generosa come il duo “sesso e samba” Mosquera e Livramento e gente che ha classe da vendere come il danese Tengstedt (più Laudrup e Bergkamp che Elkjaer in verità).
Ora tutto questo ci ha portato nove punti che, butei, sono una roba pazzesca, viste le premesse. E’ bene dirlo, perché sennò sembra tutto facile, banale, scontato. Invece è frutto di lavoro, incazzature, richiami, di gente che lavora con passione che ci crede veramente. Frutto di una società povera ma che sa benissimo che questo enorme gap finanziario va colmato col lavoro, ogni giorno, senza mai mollare un centimetro. Un miracolo meraviglioso. Il piccolo Golia che sfida i Giganti che spendono ventimila euro per far suonare un rapper prima di una partita. Qui con 20 mila euro arriva Lambourde, il prossimo baby fenomeno. Il Verona è nato. Ed anche quest’anno lotterà per la salvezza. Sappiatelo.