NIENTE RAZZISMO SOTTO LA LINEA GOTICA

 

 

Nella disperazione per i mala tempora che currunt possiamo tirare almeno un sospiro di sollievo: c’è un baluardo invalicabile contro il dilagare del razzismo, è il baluardo della Linea gotica. Gli angloamericani la spazzarono via, ma oggi regge benissimo agli assalti (si fa per dire) dei mezzi d’informazione; anzi è come il Vallo Adriano: il razzismo, la barbarie, dilagano solo al Nord, da Milano a Parma passando per le città del nostro Veneto; ma nulla di ciò che accade al di sotto comunque e mai viene classificato allo stesso modo. Il razzismo sotto la Linea gotica non esiste: si possono anche mettere in fuga i rom e bruciare gli accampamenti che i media sono tutti partecipi de “l’esasperazione degli abitanti di Ponticelli”. Punto e a capo.

Non sto nemmeno a ridiscutere su quanto accaduto ieri a Milano e oggi a Parma. Sono comunque episodi controversi, nel senso che a Milano lo stesso pm ha escluso l’aggravante dell’odio razziale e a Parma le autorità comunali forniscono una versione opposta a quella del giovane ghanese Emmanuel. Eppure l’accusa di razzismo è finita diretta su tutte le prime pagine e sui telegiornali nazionali, senza bisogno di alcuna verifica. Non è assolutamente controverso, è inuppugnabile, documentato da foto e filmati con tanto di audio, quanto accaduto lunedì al quartiere Scampia di Napoli: duecento immigrati neri manifestavano per protestare contro gli alloggi e le loro retribuzioni indecenti; sono stati circondati e aggrediti dagli abitanti di Scampia; la polizia è intervenuta in forze non per fare gli occhi neri ai neri, ma per impedire che glieli facessero i napoletani; i quali sono riusciti ugualmente a malmenare alcuni immigrati ed anche un giornalisto reo di aver scritto a loro favore; l’urlo della folla di Scampia era: “Negri, o ve ne andate o vi ammazziamo!”.

Tutto questo è documentato, e fotografato (con rinvio alle immagini del sito Web) dal Corriere della sera. Però finisce a pagina 22, con un titolino e senza nemmeno un richiamo in prima. E il termine razzismo non compare. Immaginiamo adesso per un attimo che gli amici di Abdul Guibre, quando hanno manifestato a Milano, fossero stati circondati ed aggrediti da una moltitudine di milanesi al grido: “Negri, o ve ne andate o vi ammazziamo!”. L’articolo sarebbe finito nelle pagine interne? O i titoli cubitali di tutti i quotidiani ci avrebbero annunciato che Milano è la nuova capitale del vecchio Sudafrica? Cosa sarebbe accaduto se i residenti di Borgo Trento o di Quinzano (Vr) dell’Arcella o della Sacra Famiglia (Pd) si fossero comportati come quelli di Scampia? Altro che Ku-Klux-Klan che l’Unità immagina sia in azione a Treviso: quelli del K-K-K era piccoli gruppi mascherati che agivano di notte; mentre a Scampia abbiamo assistito ad un assalto razzista di massa compiuto in pieno giorno.Ma, essendo successo sotto la Linea gotica, non è accaduto nulla; perchè là il razzismo non può e non deve esistere.

Mi domando se il confine tra razzismo e antirazzismo sia geografico. E se sia politico: Milano, Parma, Verona in mano al centrodestra, Napoli al centrosinistra. Rispondete voi navigatori del blog. Ma non eludete la domanda fondamentale: com’è possibile che Parma finisca in prima pagina e Scampia a pagina 22?

 

NIENTE FURTI ALLA AMATO NEGLI USA

 

Per capire il congresso Usa che, letteralmente a furor di popolo, boccia il piano Bush non ostante la concreta prospettiva di un colossale crac economico-finanziario, per capirlo, bisogna pensare al furto Amato dei primi anni Novanta: l’unica occasione in cui anche noi siamo stati americani, cioè abbiamo capito che lo Stato letteralmente ci ruba i soldi in tasca. Ce li ruba quando non utilizza la fiscalità per dare in cambio servizi (a costi decenti) ma per evitare i fallimenti privati. Ci ruba i soldi quando, esempio recentissimo, scarica sulla collettività i debiti di Alitalia invece che lasciarla fallire. Il nostro esempio storico, clamoroso e insuperato, resta la Fiat: per decine d’anni abbiamo permesso che l’Avvocato facesse il dandy, andando in giro per il mondo come uno scemo con l’orologio sopra il polsino della camicia e la cravatta fuori dal pullover, e intanto ci rubavano i soldi dalle tasche per pagare i debiti della sua azienda che né lui né i suoi manager sapevano tenere sul mercato. Ce li hanno rubati col pieno consenso dei partiti di governo, di quelli di opposizione e dei sindacati, pronti a coprire il latrocinio perchè bisognava salvare la Fiat e i posti di lavoro. Negli Usa la Fiat la lasciavano fallire, i dipendenti dovevano trovarsi un altro lavoro, e uno come l’Avvocato lo avrebbero mandato a Guantanamo.

Negli Usa è impensabile che i soldi di tutti i cittadini, i fondi dello Stato, servano per evitare il fallimento dei privati incapaci. E dire che Alitalia, la Fiat stessa, sono fruncolini in confronto al mega bubbone, al big-ben che oggi potrebbe far esplodere l’intero sistema economico usa (e non solo) mandando sulla strada milioni di persone. Ma per gli americani un principio è e resta un principio, anzi vale più che mai proprio nei casi estremi: il denaro pubblico deve servire per garantire la sicurezza, la lotta al terrorismo, le grandi infrastrutture, la ricerca, tutto ciò che rappresenta la pubblica utilità; mai per soccorrere banchieri, finanzieri e imprenditori farabutti e incompetenti. Devi lasciarli fallire se vuoi restare americano e non diventare un…pollo d’allevamento europeo a denominazione statalista controllata.

Il sentimento dominante del popolo americano lo ha riassunto un congressita repubblicano, il texano Jeb Hensiarling, che ha votato contro il piano del suo presidente definendolo “una china scivolosa verso il socialismo” e spiegando che “se perdiamo la capacità di fallire, presto perderemo quella di aver successo”. Gli Usa cioè diventerebbero vecchi e statalisti proprio come il Vecchio Continente.

Non so come andrà a finire. Può darsi che riescano a spaventare il popolo americano e i suoi rappresentanti al punto da costringerli a snaturarsi approvando il salvataggio statale da 700 miliardi di dollari. Ma per il momento ci arriva una lezione che dovremmo mandare a memoria: per salvare il culo a pochi, o anche a tanti, non si può rubare nelle tasche di tutti.


 

VOGLIO UN SINDACO CHE TAGLI…

 


Voglio un sindaco che tagli, che si impegni a diminuire il biancio del suo comune a ridurre il numero dei dipendenti.

Non mi interessa nessun altro punto del suo programma perchè, con le migliori intenzioni del mondo, sono solo programmi di spese aggiuntive: assumere vigili urbani per rendere la città più sicura (ma non abbiamo già stuoli di poliziotti e carabinieri?), costruire piste ciclabili (dove passano tre ciclisti al giorno), nuove rotonde per fluidificare il traffico (ormai ne abbiamo anche in giardino di rotonde), centri sociali per anziani nei quartieri (mancano forse i bar per chi vuole socializzare?), nuovi asili a go go (affidiamo i bimbi ai nonni, che così “socializzano” con i nipoti). Spese, spese, spese. Ragionano tutti così: amminstratori di sinistra, di destra, delle Lega. Voglio un sindaco che tagli, altrimenti non lo voto.Voglio un presidente di provincia, di regione, del consiglio soprattutto, che tagli. Altrimenti…Col che è chiaro che non andrò più a votare, perchè non ne trovi uno che si impegni a tagliare. Ma tutti noi cittadini dovremmo essere categorici: o tagli o non ti voto più. Perchè di questo passo c’è solo la bancarotta. Come ha scritto Vittorio Feltri, abbiamo tanti problemi tutti seri: l’immigrazione, la crisi economica, il cambio lira-euro, le mafie. Ma il problema più grave di tutti è il dilagare senza argini degli apparati e della spesa pubblica. Senza argini e senza inversioni di tendenza qualunque sia il colore dei governi. Di questo passo si va alla bancarotta: non solo della Sicilia o di Catania, ma anche del Lazio, della regione e dei comuni veneti, dell’intero Paese.

E non è solo una questione di costi e pressione fiscale insostenibili. Insostenibili anche in un Paese dove tutti pagano le tasse, figuriamoci dove le pagano solo la metà dei cittadini come nel nostro. Ma c’è, più grave ancora del dato economico, quello culturale: questa spesa pubblica senza limiti e confini ci corrompe, ci intossica, ci snatura. Se mai andasse in porto il federalismo fiscale, che significa destinare meno risorse al Sud e più risorse al Nord, avrebbe un unico effetto sicuro: i meridionali sarebbero costretti ad essere meno “terroni” e noi settentrionali saremmo indotti a diventare più “terroni”: cioè a far conto sulle risorse, sugli investimenti, sui posti di lavoro pubblici. Snaturati su quella che è (era) la nostra caratteristica migliore.

L’altro giorno, a Radio anch’io, quello sciagurato di sindaco di Castelvolturno sosteneva che i poliziotti e l’esercito non bastano. Ci vogliono – ripeteva – massicci finanziamenti pubblici, dello Stato, perchè non bastano le poche risorse del suo comune per togliere dal degrado il litorale Domizio. Lo ascoltavo e pensavo al Veneto che, quando sono nato negli anni Cinquanta, era tutto un degrado, tutto una miseria capillare. E come ne è uscito quel Veneto? Forse con i massicci investimenti statali o con i bilanci dei suoi comuni (che erano un decimo dei bilanci attuali)? Come sappiamo ne è uscito solo grazie al lavoro dei veneti che si sono rimboccati le maniche ( senza sprecare energie nei lamenti) e hanno costruito un tenore di vita più che decoroso. Il tutto restando liberi, dal servaggio al potere politico e belli cioè in grado di guardarsi allo specchio senza vergognarsi.

Se vogliamo restare così, quelli che ancora (abbastanza) siamo, dobbiamo votare solo amministratori locali e nazionali che taglino. Altrimenti corromperanno anche noi a furia di spesa e posti pubblici.


 

RIVOLTA NERA DA MILANO A CASTELVOLTURNO

 

Da Castelvolturno a Milano è arrivato, sia pure con modalità diverse, lo stesso segnale univoco: dobbiamo prepararci a fare i conti con la protesta, con la rivolta sociale, dei neri e degli immigrati in genere. Un fattore nuovo, ancor più preoccupante del loro coinvolgimento nella criminalità, che prefigura scenari (cito il Corriere della sera) da “sommosse nei ghetti neri di Los Angeles e rivolte nelle banlieue parigine”.

Le violenze, l’autentica rivolta dei nigerani a Castelvolturno, sono di una gravità senza paragoni. Le scene dei neri che giravano sparando in aria, che distruggevano auto, vetrine, mezzi pubblici le abbiamo viste prima – osservava l’inviato de La Stampa – solo nei Paesi africani durante un golpe. Era in atto un golpe anche sulla riviera Domizia? Il golpe degli spacciatori nigeriani che tentavano di soppiantare i casalesi? Di certo la ferocia della camorra, che ha colpito implacabile come sempre, non può giustificare la rivolta dei nigeriani. Un telespettatore ha fatto un parallelo che trovo inoppugnabile: i coniugi Pelliciardi di Gorgo al Monticano l’agosto dell’anno scorso sono stati massacrati e seviziati nel modo più bestiale da due albanesi e un romeno. Ma l’atrocità della mattanza non avrebbe comunque giustificato la rivolta dei loro amici e conoscenti trevigiani; cosa avremmo detto se si fossero messi a scorazzare sparando in aria, distruggendo mezzi pubblici o dando l’assalto ad abitazioni di albanesi, romeni o altri immigrati? Li avremmo giustificati o avremmo detto che aveva ragione l’Unità a parlare di Ku-Klux-Klan in azione a Treviso? E a Castelvolturno cosa abbiamo visto? Una protesta civile di cittadini immigrati esasperati o il Ku-Klux-Klan nigeriano in azione? Hanno lamentato la latitanza dello Stato; ed uno Stato più presente ci vorrebbe di sicuro: tanto per contrastare la camorra, quanto per impedire che accanto a due mila immigrati regolari ce ne siamo venti mila di clandestini.

Per altro quanto accaduto a Castelvolturno è tanto inaudito che stenti perfino a credere (pietosa illusione) che sia accaduto nel nostro Paese. Non riesci ad immaginare una replica in Veneto. E magari senti più incombente ciò che è successo sabato scorso a Milano, pensi che questo possa ripertersi anche nelle nostre città venete: la protesta per l’assassinio di Abdoul Guibre, la manifestazione “antirazzista” degenerata in violenza, danneggiamenti, lanci di bottiglie contro le forze dell’ordine, slogan minacciosi verso la città e i suoi abitanti. Bob, metalmeccanico marocchino di 22 anni, dichiara al Corriere: “ Lanciamo un segnale: ci siamo e possiamo fare male a questa città che ci tratta come bestie”. Capito? A Milano, in una delle grandi capitali dell’Europa civile (non nella Castelvolturno della camorra) si sentono trattati come bestie!…Magari anche a Verona, anche a Padova, anche nei piccoli centri del nostro Veneto si sentono trattati come bestie. E cosa si fa? Non sto nemmeno a vedere se questo giudizio sia fondato o delirante, mi domando solo come fronteggeremo la loro rabbia quando scenderanno in piazza.

Quella di Milano – hanno osservato i media – è stata la prima manifestazione degli immigrati di seconda generazione, quelli con la pelle nera ma nati qui e con la cittadinanza italiana. L’esperienza europea insegna che la seconda generazione è spesso più pericolosa e meno integrata della prima: loro hanno bruciato in Francia le periferie; erano giovani islamici all’apparenza perfettamente integrati (fotografati a fare rafting sui torrenti, come i fighetti della Padova o della Verona bene) gli autori degli attentati di Londra. Dobbiamo considerarle risposte indotte dal razzismo dei francesi e degli inglesi?

Ultimo pensiero (sconsolato) ai nostri intellettuali da salotto. I Moni Ovadia e le Ottavia Piccolo, gli Agnoletto no global e rifondaroli, che pensavano di cavalcare la protesta antirazzista: avevano organizzato la manifestazione, stabilito slogan e percorsi, e già si vedevano belli a guidarla in prima fila con i neri a reggergli lo strascico. Ma in un battibaleno sono stati soppiantati dagli amici di Abdoul che hanno deciso loro dove si andava e cosa si sfasciava. Della serie: ad aizzare i lupi si rischia di finire tutti sbranati.

 

RAZZISTI SI NASCE, CIVILI (FORSE) SI DIVENTA

 

 

Abdul trucidato in quel modo a Milano, la sua pelle nera, le accuse di razzismo (come sempre) rivolte ai veneti e al Veneto, l’Unità (fondata da Antonio Gramsci, diretta da Concita De Gregorio) arriva ora a raccontarci che a Treviso agisce il Ku-Klus-Klan contro i neri e gli islamici. Sono questioni troppo serie per essere trattate in modo sciocco e superficiale. Vediamo se riusciamo ad essere meno banali partendo da un postulato, guardandoci allo specchio: siamo tutti razzisti; razzisti si nasce, civili (forse) si diventa.

Per natura, se lasciamo prevalere i nostri istinti, siamo tutti aggressivi, violenti, razzisti. L’uomo non è il “buon selvaggio” di cui parlava Rousseau, che viene poi corrotto dalla società e dall’educazione o dalla politica (a seconda se diventi leghista o rifondarolo, che compri Libero o L’Unità). Al contrario, come spiegava Thomas Hobbes, in natura c’è l’”homo homini lupus” e solo le leggi, lo Stato, l’educazione e la cultura riescono a mettergli la museruola; cioè a renderlo civile o meno incivile (anche se la natura barbara e violenta resta sempre latente)

Conta la vicenda, l’educazione, l’esperienza personali; e, quando parliamo di Veneto e di veneti, conta la storia. Se mai si decidessero ad insegnarla a scuola, la storia del Veneto, si saprebbe che La Serenissima è stata per dieci secoli la regina del Mediterraneo perchè commerciava ed aveva relazioni con tutti: mussulmani, ebrei, ortodossi, cattolici, gialli, neri; il Moro di Venezia, l’Otello di Shakespeare, era uno dei suoi comandanti supremi ed era di colore. La Serenissima non poteva permettersi di essere razzista per uno dei motivi più pregnanti: per non compromettere il suo sviluppo economico. Ed i veneti per dieci secoli sono stati educati al vantaggio dei rapporti con il “diverso”. Poi è arrivato l’Impero asburgico, crogiulo di popoli, tutt’ora unico esempio serio di federalismo europeo. E’ vero che nell’ultimo secolo e mezzo i veneti hanno subito il rigurgito della barbarie nazionalista e unitaria, ma oso pensare che siano stati corrotti solo in superfice!…Al di là delle battute: una regione che ha avuto la storia del Veneto è, proprio per motivi storici, più aperta, se volete meno razzista, di una regione come la Basilicata o la Savoia. Una città come Verona, terra di relazioni per collocazione geografica, con una storia di sede papale ed imperiale, ha una frequentazione con i “diversi” che l’ha più immunizzata dalle reazioni xenofobe e razziste. Lo stesso vale per Padova sede di una delle più antiche università d’Europa, che da secoli comporta incontri e conoscenze tra maestri e discepoli di mezzo mondo.

Dopo di che anche la storia, l’educazione, la civilizzazione possono fino ad un certo punto. Perchè l’istinto dell’uomo resta quello del lupo, con la violenza e il razzismo latenti e pronti ad esplodere. L’esempio che faccio spesso è quello di Michele Serra: quando una decina d’anni fa una banda di immigrati fece razzia nella sua casa sulle colline emiliane, scrisse un pezzo su Repubblica che trasudava odio razziale contro i magrebini. Ma il problema non è accusare Serra di essere diventato razzista: il problema è di evitare che vadano a rubargli in casa, aiutandolo così a tenere sotto controllo il lupo che tende a riemergere in lui come in tutti noi.

E, se qualche volta il lupo scappa di mano perfino a Michele Serra, figuriamoci cosa succede a due farabutti come quelli del furgone-bar di Milano che si sentono irrisi da un gruppo di ragazzotti – per giunta di colore – che credono di poter prendere i dolcetti senza pagarglieli. Scrivo per giunta perchè sono convinto, come Santo (ex Ultimo), che il colore della pelle abbia pesato: che sia stata benzina sul fuoco della violenza che esplodeva. Però non facciamo confusione tra la bestia del razzismo che prende il sopravvento in un individuo e le “campagne razziste orchestrate”: solo il delirio, solo un desiderio inconfessato, può spingerci a vedere il Ku-Klus-Klan in azione a Treviso e in Veneto.

Le campagne razziste le ha orchestrare il nazismo contro gli ebrei (e non solo), le ha orchestrate il comunismo stalinista contro i cosacchi (e non solo); le ha delineate ed attuate con pesantissime discriminazioni (non con stermini) il fascismo delle leggi razziali. Siamo seri: vi pare che Gentilini, vi pare che Maroni orchestrino?…

Se siamo convinti, se condividete il postulato da cui sono partito (il razzismo c’è e resta latente in ciascuno di noi) allora cambia completamente tutta la prospettiva. La prima preoccupazione, la più seria, diventa evitare le cause che possono scatenarlo, farlo riemergere. Quando in poco tempo arrivano milioni di stranieri, e per giunta in maniera “disordinata” (non come in Svizzera, non come in Germania); quando le cifre dimostrano l’incidenza di questi stranieri sulla criminalità; quando i più bassi livelli retributivi del mercato del lavoro crollano ulteriormente, perchè i datori di lavoro ci sguazzano in questa super offerta di manodopera; quando succede tutto quello che è successo nel nostro Paese è molto più probabile che esplodano le reazioni razziste. Ma allora chi sono i fomentatori (consapevoli o meno) di questi rigurgiti razzisti: quelli che invocano legge ed ordine e chiedono un giro di vite, o quelli che vogliono lasciare le porte spalancate per continuare ad accogliere tutti? Chi ci aiuta a tenere il lupo a museruola e chi lo aizza a scatenarsi?




OGGI ABDUL, IERI TOMMASOLI

 Abdul Salama Guibre, cittadinanza italiana nato nel Burkina Faso, aveva la pelle nera ed è stato massacrato per aver rubato un paio di biscotti. Il veronese Nicola Tommasoli aveva la pelle bianca ed è stato massacrato per non aver offerto una sigaretta. Vale la perna di ricordarlo a quanti, come iene, hanno subito azzannato la tragedia di Milano per lanciare l’accusa di razzismo: si muore per il più futile dei motivi (il parcheggio, un litigio in discoteca, lo scippo di 100 euro) che innesca aggressività e violenza bestiali, a prescindere dal colore della pelle.

I carnefici di Tommasoli erano vicini all’estrema destra e non mancò il tentativo di trovare una matrice politica al massacro. Movente che però i magistrati hanno escluso; così come il pm di milano oggi ha contestato l’omicidio volontario di Abdul ma senza l’aggravante dell’odio razziale. Già ieri però, senza nemmeno aspettare i primi riscontri, il leader di Rifondazione Paolo Ferrero aveva sentenziato definendolo “un intollerabile atto di razzismo” collegato alle “campagne xenofobe e razziste” della Lega. Ed anche l’ex segretario Ds Piero Fassino non aveva esisitato a parlare di “un clima di intolleranza e di odio in cui ogni orrore può accadere”.

Non voglio nemmeno escludere che padre e figlio titolari del furgone bar, entrambi pregiudicati, una volta arrivati allo scontro e alle sprangate possano aver gridato “sporchi negri” in faccia ad Abdul e ai suoi amici (come riferirebbero alcuni testimoni). Ma non è stato il colore della pelle il fattore scatenante della rissa, bensì l’idea di aver subito il furto di qualche dolcetto. Così come si arriva alla follia di uccidere perchè qualcuno ha osato parcheggiare al mio posto o rivolgere un complimento alla mia ragazza o negarmi una sigaretta. Il “clima di intolleranza e di odio”, le “campagne xenofobe e razziste” – quando sono sul serio la causa scatenante – generano fenomeni ben diversi: squadre e squadracce che a freddo partono e vanno a pestare a morte il primo negro che capita o il primo ebreo o il primo avversario politico.

Stabilire poi una correlazione, come ha fatto Paolo Ferrero, tra l’aggressione di Milano e le parole pronunciate a Venezia dal ministro Maroni è semplicemente vergognoso. Maroni ha infatti solo ribadito l’esigenza di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina. Esigenza condivisa da tutte le persone di buon senso a destra come a sinistra: perchè mettere un limite agli ingressi incontrollati è, al contrario, il primo rimedio contro le reazioni xenofobe e razziste che innevitabilmente si scateneranno se le porte del nostro Paese continuano a rimanere aperte a tutti. Questo governo vende fumo (federalismo) e lancia grida manzoniane (prostituzione) ma non orchestra campagne razziste.

I due che hanno massacrato Abdul per qualche biscotto rubato sono due animali. E tanto basta. Chi vuole presentarli anche come protagonisti di un’aggressione razzista rischia di diventare lui pure un animale, che sfrutta le tragedie per cercare di dimostrare i propri teoremi politici.

 

 

LA BARZELLETTA DEL “FEDERALISMO SOLIDALE”

 

Dopo decenni di annunci scocca l’ora del federalismo fiscale. Speriamo che non sia solo una barzelletta, ma c’è da temere il peggio. Per decenni il federalismo è stato la bandiera, la battaglia politica per il Nord che – si diceva – non può continuare ad essere “penalizzato” destinando troppe delle risorse che produce a finanziare l’assistenzialismo al Sud. Adesso che scocca l’ora il Nord viene quasi dimenticato, si rovesca il discorso: tutti si preoccupano, tutti rassicurano che il Sud non sarà “penalizzato”. Quindi continuerà ad avere le stesse risorse, magari qualcosa in più come garantisce il ministro La Russa nella lettera inviata al Corriere delle sera. E prendendole dove? Forse che il Sud ha cominciato a produrre risorse in più? Non risulta. Quindi continueranno ad essere prelevate al Nord: in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia. E destinate al Sud. Ma allora, scusate, cos’è cambiato?

Secondo un tipico costume italiano è cambiato solo il nome: per quello che fin qui abbiamo chiamato “assistenzialismo” è stata trovata una denominazione più nobile: d’ora in avanti lo chiameremo “federalismo solidale”. E questa del federalismo solidale è la barzelletta più tragica. Perchè il Nord continuerà a pagare e, molto verosimilmente, si ritroverà con una pressione fiscale aggiuntiva sul groppone.

Sarei molto curioso che qualcuno dei frequentatori del blog mi spiegasse la differenza sostanziale tra federalismo solidale e assistenzialismo. Federalismo fiscale doveva significare e dovunque significa una sola cosa: il territorio che produce le risorse, grazie alla ricchezza creata dal lavoro dei suoi abitanti, ha diritto a tenersele in massima parte per avere infrastrutture più moderne, scuole migliori, una sanità d’eccellenza e via dicendo. Il territorio che produce meno risorse deve imparare a rimboccarsi le maniche e produrne di più, se non vuol scivolare nel quarto mondo. Continuare con l’assistenzialismo o col federalismo solidale serve tanto quanto serve elargire a vita al figlio una paghetta da 700 euro: gli basta per sopravvivere e non si metterà mai a lavorare.

Che andasse a finire in barzelletta lo aveva vaticinato, col suo solito tono caustico, Massimo D’Alema osservando che, se si vuole dare maggiori risorse al Nord senza penalizzare il Sud, “o arrivano nuove tasse o arriva il mago Zurlì…”. Logica difficile da contestare. Mi rendo conto che l’accostamento è pesante, ma stiamo riesumando Aldo Moro con le sue famigerate “convergenze parallele”.

Ai dubbiosi ricordo le parole di Silvio Berlusconi riportate dal Corriere della sera. Il premier ha dato un preciso mandato al ministro per gli affari regionali, il forzista Fitto, affinchè concludesse la trattativa con la Lega con il seguente risultato: “Ti do carta bianca per trattare, ma tu devi portarmi un testo che sia equilibrato, che preveda un federalismo solidale per il Sud…Perchè io non ci sto a perdere un solo voto al Sud”. Also sprach Berlusconi. Ma, senza perdere voti al Sud, temo si facciano solo barzelette, non federalismo fiscale. Nello stesso tempo si intravvade una soluzione: forse bisogna che Berlusconi perda più voti al Nord…Forse quelli già persi l’aprile scorso in Veneto non bastano…

In conclusione: arriva il federalismo o arrivano nuove tasse? E, se arrivano anzitutto barzellete, chi paga lo scotto: più la Lega o più il Pdl?

MORTI DI SALO’ E MALE ASSOLUTO

 

 

I morti di Salò sono morti 60 e più anni fa. Adesso c’è La Russa che vorrebbe restituire loro l’onore, e c’è Napolitano che replica diicendo che gli eroi veri furono quelli che andarono in montagna e non a Salò. Tanto interessante quanto appassionante. Di certo non meritano alcun onore coloro che riesumano a sessant’anni di distanza lo scontro ideologico a scopi puramente strumentali. Un discorso serio andava fatto decenni fa e doveva, appunto, essere serio: perchè la vera secessione in atto dal dopoguerra nel nostro Paese è la mancanza di una memoria e di un giudizio condiviso su quegli avveimenti che nel modo più tragico spaccarono in due gli italiani.

Oggi è troppo tardi, oggi è tutto solo strumentale: La Russa e Alemanno che riscoprono un pezzetto di radici fasciste un po’ perchè temono di finire inglobati senz’anima nel Pdb (Partito di Berlusconi) un po’ perchè si sentono scavalcati a destra da Storace; dall’altro lato un centrosinistra in confusione, incapace di fare opposizione, si aggrappa al frustro simulacro dell’antifascismo sperando di aver trovato almeno un collante contro il Cavaliere Nero. E’ patetico un Veltroni che abbandona il museo della shoah come protesta perchè Alemanno ha negato che il fascismo sia “male assoluto” riservando questa definizione solo alle leggi razziali.

Più patetico ancora Gianfranco Fini che, qualche anno fa in Israele alla ricerca di non si sa quale verginità, definì lui per primo così il fascismo. Definizione ridicola perchè un Paese da operetta come il nostro non poteva che dar vita (per fortuna, in questo caso) ad una dittatura da operetta, nemmeno lontana parente del nazismo o del comunismo quanto a sistematica e spietata pianificazione dello sterminio. Anche le dittature da operetta contemplano violenze, omicidi di Stato, negazione della libertà. Ma solo un “mona assoluto” può ignorare la differenza tra una dittatura da operetta che mandava gli oppositori al confino a Ponza e una dittatura “seria” che ne ha sterminati a milioni nei lager o nei gulag. (senza aggiungere che le definizioni apocalittiche sono sbagliate anche nei confronti di nazismo e comunismo che comunque andrebbero analizzati in chiaroscuro)

Con l’aggravante, tornando a Fini, di sputare sulle proprie radici. Da questo punto di vista i post comunisti hanno più dignità di lui. Perchè hanno preso le distanze dal comunismo, conoscono tutto il fallimento della loro vecchia ideologia di appartenenza, hanno voltato pagina, ma hanno conservato anche quel minimo di rispetto per la propria storia che impedisce loro di definire il comunismo “male assoluto”. (Che poi cosa ha ottenuto Fini mostrandosi così zelante? A cosa gli è servito rompere col passato e rifarsi una verginità antifascista: a farsi inglobare meglio nel Pdl?…)

Per concludere guardate come vanno via leggeri i leghisti: non devono portarsi sulle spalle il fardello di alcun passato, non hanno bisogno di dichiararsi né antifascisti né anticomunisti, non tediano i cittadini con gli ideologismi strumentali e, forse anche per questo, volano nell’urna elettorale.

DOVE IL FEDERALISMO? NEL “BOFICE”!

 

La bozza del federalismo fiscale che sta elaborando il ministro Calderoli è quantomeno inquietante, nel senso che è un elenco di nuove tasse, che si aggiungono a quelle vecchie col restyling del nome: appena abolita l’Ici torna la tassa sugli immobili per i comuni che avranno anche la l’imposta di scopo (della serie: c’è da fare un parcheggio in centro? Prendo i soldi dalle tasche dei cittadini allo scopo di costruirlo), nuova tassa unica per le Province che riunisce e arrotonda quelle precedenti, le Regioni oltre all’irap avranno anche l’iva sui consumi. Un federalismo che inneggia alla “nuova autonomia impositiva” degli enti locali (della serie: che bello! Oltre a Roma adesso “ne ciucia el sangue” anche Venezia, Padova, Verona, Isola Rizza…)

La attendevamo da anni questa benedetta riforma e ora il federalismo fiscale ci arriva…nel “bofice”: nel senso che saremo noi cittadini del Nord a pagarlo. Più tasse per tutti. Federalismo doveva significare trattenere più risorse nel territorio che più ne produce, con queste risorse garantire servizi migliori ai cittadini con meno sprechi e quindi ridurre ai cittadini stessi la pressione fiscale, non certo aumentarla. Invece, non ce lo dicono esplicitamente, ma è ormai chiaro cosa accadrà: le risorse dei veneti continuaranno come sempre a finanziare l’assistenzialismo al Sud e, se i veneti vorranno qualcosa in più, i loro amministratori saranno liberi di dargliela prelevando soldi aggiuntivi dalle tasche dei veneti stessi.

Amara verità. Ma non poteva che finire così. Perchè puoi sollevare quanti polveroni vuoi, discutendo di millanta modelli diversi di federalismo, ma alla fine non puoi eludere il conto della serva sul quale si fonda qualunque federalismo vero: se destino più risorse da una parte, devo lasciarne meno dall’altra. Se sostengo, come fa la Lega, che il Veneto, la Lombardia, la Padania in genere hanno diritto a trattenere più risorse, devo però aggungere che, di conseguenza, la Campania, la Calabria, la Sicilia, il Sud in genere ne avranno di meno (oppure dovrei essere Cristo capace di moltiplicare pani e pesci). Ma è questa dichiarazione esplicita che Calderoli e la Lega non hanno coraggio di fare. E’ questo conto della serva chiaro e semplice che non osano quantificare.

Vanno anche capiti nella loro reticenza. Sanno infatti benissimo, come lo sappiamo tutti noi, che nel momento stesso in cui annunci e attui tagli all’assistenzialismo in quel momento al Sud scoppia la rivolta. La guerra civile non la vuole nessuno e quindi nessuno intende seriamente attuare una vera riforma federalista nel nostro Paese. Scelta perfetta e responsabile. Bisognerebbe però, quantomeno, avere l’onestà di spiegarlo ai cittadini del Veneto e della Lombardia; invece che continuare a prenderli in giro con l’annuncio di un federalismo prossimo venturo che, se arriverà, ci arriverà solo nel “bofice”; cioè con tasse in più da pagare.

 



E DAGLI CON L’ALIBI DELLA CAMORRA

 Il capo della polizia Antonio Manganelli, deve ritenere che noi cittadini siamo tutti affetti da alzheimer: nel giro di pochi mesi e nello stesso luogo ci ripropone infatti l’identica menata, l’identico alibi della camorra; puntando sul fatto che abbiamo già completamente dimenticato la vicenda rifiuti; e che quindi lo stesso alibi valga a oggi a giustificare l’incapacità di fronteggiare i tifosi guappi, così come ieri era servito a giustificare l’incapacità di togliere la ‘monnezza dalle strade.

Un governo determinato a ripulire Napoli e la Campania ci ha dimostrato che, se anche la camorra esiste (fatto questo incontestabile) è ugualmente possibile eliminare i rifiuti. Aggiungo che, prima ancora del governo di centrodestra, anche un sindaco serio di centrosinistra come quello di Salerno, Vincenzo De Luca, lo aveva già fatto nel suo comune e detto: denunciando cioè il ricorso all’alibi della camorra per mascherare l’incapacità o la mancanza di volontà di intervenire.

Di fronte alla vergognosa dichiarazione del capo della polizia anche il ministro della difesa La Russa – a botta calda – aveva sostenuto che tirar fuori la camorra è solo un alibi, ma poi ha fatto retromarcia e si è riallineato; secondo la miglior tradizione dei ministri democristiani di un tempo…Quanto a Manganelli, se solo facesse onore al suo cognome, saprebbe che il maganello è utile ed efficace tanto se sei noto camorrista quanto se sei incensurato. Bisogna però avere il coraggio di usarlo, questo è il punto vero. Come mai manca il coraggio di usarlo? Come mai i poliziotti sono ridotti ad indossare la cuffietta delle crocerossine? Perchè i loro dirigenti, da bravi burocrati, sono attenti anzitutto a fiutare da che parte tira il vento e non vogliono ritrovarsi a comandare i vigli urbani di Oristano. Per decenni i capi della nostra polizia hanno temuto un solo insulto: fascista! Essere bollati cosi, vanire accusati di aver diretto una “polizia fascista”, significava fine certa della carriera. E così hanno messo dei fiori al posto dei manganelli, hanno mandato i loro agenti a prenderle invece che a darle. Ignorando sistematicamente che, di fronte alla violazione dell’ordine pubblico da parte dei facinorosi tanto del calcio quanto della politica, questo è il compito primario ed istituzionale della polizia: darle.

Quindi, tornando alla turba di facinorosi che domenica ha dato l’assalto a treno, poco importa che tra di loro ci fosse uno, cento o nessun camorrista: andavano dispersi a colpi di sfollagente. Ma prefetto e questore di Napoli (sentiti i suoperiori, cioè Manganelli) non hanno osato farlo. Anche perchè, comprensibilmente dal loro punto di vista, hanno un’immagine indelebile davanti agli occhi: la brutta fine fatta dai propri colleghi che al G8 di Genova diedero l’ordine di pestare i guappi della politica…E qui capiamo anche qual’è la priorità per il governo e il ministro Maroni: rassicurare i vari Manganelli che non rischiano più di finire ad Oristano. In certe circostanze, come in risposta alla turba di guappi che da l’assalto al treno, se ti danno della “polizia fascista” significa solo che…hai fatto il tuo dovere.