LIBERTA’ FEDERALISMO E TRADIMENTI

 Corrado, nel blog precedente, ha fatto un’osservazione che trovo fondamentale e che trasferisco qui per poterla analizzare e discutere. Corrado sostiene che non solo l’aumento spaventoso dei pubblici dipendenti rispetto agli anni Sessanta non ha garantito ai cittadini nuovi servizi reali, ma inoltre – aggiunge – “tutto questo si traduce quasi sistematicamente in una riduzione delle libertà personali”. Concordo in pieno, trovo questa osservazione fondamentale anche per la scelta del modello politico preferibile: il numero eccessivo di statali non solo costa uno spropoposito, non solo non produce servizi aggiuntivi apprezzabili per i cittadini ma – soprattutto – limita sempre più pesatemente la loro libertà. Per il semplice motivo che uno stato sempre più pesante interferisce in maniera sempre più pesante (ed indedita, e del tutto inutile) nella vita del cittadino.

Questo vale anche là dove la pubblica aministrazione ha un’efficienza imparagonabile alla nostra pubblica amministrazione borbonica (anche in Veneto): penso alla Germania o alla Francia. Perchè in ogni caso il modello statalista, o socialista, o socialdemocratico, che chiamar si voglia, è penalizzante e diseducativo per l’individuo. Nel senso che presume un cittadino di serie B, una specie di figlio minorato che non cresce, che non matura, che tale resta per tutta la vita e che quindi – come recita

la formula classica del welfare socialdemocratico – ha bisogno di essere assistito “dalla culla alla tomba”. A questo cittadino, che consideri un minorato irrecuperabile, non puoi dare i soldi in mano perchè li spepererebbe in maniera irresponsabile; e quindi devi essere tu Stato a trattenerteli, con una tassazione pesante, per garantirgli la pensione, la sanità, le assistenze e i servizi vari. Mi sembra chiaro che la più grave di tutte le limitazioni della propria libertà è essere trattato dallo Stato come un minorato.

Senza aggiungere che un modello socialdemocratico degradato in salsa italiana procura anche le risorse che consentono di vivere di politica a quel numero spropositato di persone che, solo nel nostro Paese, vivono appunto di politica. (Cominciamo a tagliare la trippa, cioè le risorse che finiscono nella casse pubbliche, e cominceranno a calare anche i gatti…)

All’opposto il modello liberale si pone l’obiettivo di far crescere l’individuo, di renderlo adulto e responsabile. Gli procuri un’educazione iniziale, ma poi vuoi e credi che sia in grado di autogestirsi; e quindi gli lasci anche in mano i soldi perchè sia lui a scegliersi e pagarsi un fondo pensione piuttosto che un’assicurazione sanitaria. Non solo eviti di costruire baracconi pubblici inutili e dispendiosi come l’Inps, ma soprattutto valorizzi la persona, la fai crescere anche esponendola ai rischi che sempre comporta un’assunzione di responsabilità. Mentre col modello statalista-socialdemocratico magari la tuteli di più ma proprio perchè la condanni ad essere perennemente sotto tutela.

La scelta tra modello liberale o statalista è fondamentale. Tanto che è secondaria perfino la riforma federalista se prima non abbiamo chiarito quale federalismo andiamo a costruire: quello liberale o quello statalista? La mia paura cioè è che gli amministratori locali di regione e comuni, messi dalla riforma federalista nella condizione di trattanere più risorse nel territorio, utilizzino queste risorse per appesantire la loro macchina amministrativa (federalismo statalista) quando invece è necessario alleggerirla (federalismo liberale). Il sindaco di Verona Flavio Tosi denuncia spesso la scandalosa situazione del comune di Napoli che, percentuamente al numero di abitanti, ha dieci volte i dipendenti del comune di Verona. Perfetto. Purchè da un alto e un basso non ne esca quella via di mezzo che trasformerebbe Verona in una mezza Napoli…Per essere chiari fino in fondo: non solo va falcidiato il numero dei comunali di Napoli ma va ridotto anche quello di Verona, che è comunque già inutilmente sovrabbondante; altrimenti andiamo a realizzare il federalismo statalista.

Ultima considerazione dedicata al tradimento consumato in questi mesi dal duo Berlusconi-Tremonti: più soldi in tasca sono la condizione fondamentale perchè il cittadino possa esercitare la propria libertà. Se non glieli restituisci lo lasci in balia dello statalismo, lo consideri un minorato da tenere sotto tutela. Senza la riduzione delle tasse non c’è né libertà né Popolo della Libertà. Berlusconi la libertà l’aveva fatta intravvedere nel 2001 quando promise (senza mantenere) che avrebbe fatto scendere l’aliquota massima al 33%. Oggi invece col suo ministro Tremonti ha dichiarato che le tasse non scendono e non scenderanno nemmeno nei prossimi anni: questo è il tradimento della libertà. Un governo che mantiene la pressione fiscale allo stesso livello del governo Prodi (43%) non è espressione del Popolo della Libertà ma di un “Popolo dello Statalismo”.

 

IL SINDACATO DEI NON LAVORATORI

 

 

Un sindacato che difende i fannulloni che, di fronte agli otto ferrovieri licenziati a Genova perchè beccati a farsi timbrare il cartellino da un collega, promuove e organizza addirittura il boicotaggio del trasporto ferroviario: questo è ancora il sindacato dei lavoratori o è diventato invece il sindacato dei non lavoratori? Sto parlando della Cgil, non di un Cobas qualsiasi, non di un sindacatino autonomo che per definizione vive difendendo le posizioni più estreme e residuali. Ma, appunto, di un grande sindacato che, essendo tale, dovrebbe farsi carico del comune sentire della maggioranza dei lavoratori stessi; se non vuole diventare sempre più marginale, sempre più sorpassato.

Mi pare che oggi la larga maggioranza dei lavoratori non accetti più certe forme spudorate di assentiesmo. Non è Brunetta, sono loro per primi che vogliono farla finita con i fannulloni. E non parlo solo dei dipendenti del settore privato, sempre più esacerbati dal confronto con i privilegi di cui godono i dipendenti pubblici. Gli stessi statali sentono che certe situazioni sono insostenibili ed indifendibili. E così la Cgil rischia di rappresentare solo i non lavoratori, cioè i fannulloni.

Un sindacato serio – al limite – può fare una trattativa sottobanco con l’azienda ferrovie per tutelare in qualche modo gli otto (magari ottenendo un silenzioso reintegro), ma non può difenderli ufficialmente; una difesa che – a tutti gli effetti – equivale a negare che esistano fannulloni e assenteisti. Cioè a negare la realtà.

Dieci anni fa anche certi sindaci negavano la realtà, cioè sostenevano che il problema sicurezza era una “percezione” o una montatura della destra politica. Adesso anche i sindaci di centrosinistra sono diventati “sceriffi”, nessuno più nega l’esistenza del problema e tutti sono impegnati a rassicurare concretamente i cittadini. Solo qualche esponente di Rifondazione nega ancora la realtà e continua a parlare di “montatura della destra”: questi rifondaroli sono i Cobas della politica. Ma la Cgil è diventata anche lei un Cobas o vuole continuare ad essere un grande sindacato di massa?

 

 

ETICHETTE, ACCATTONI E RAZZISMO

 Dopo qualche giorno di latitanza per ferie, riprendo con una nuova opinione per rispondere e rilanciare ai tanti commenti arrivati sull’ultimo tema dell’accattonaggio.

Cominciamo con le etichette che ad alcuni piace tanto appiccicare. Se dialogando con voi continuassi a bollarvi come “comunisti” o “fascisti” o “leghisti”, cosa pensereste? Magari che ho pochi argomenti e per questo mi rifugio nello stereotipo; o forse che voglio eludere il merito, cioè il confronto con la sostanza delle vostre opinioni; o magari che ho un’ossessione alla Berlusconi il quale – notoriamente – vede comunisti dovunque…Non capisco dunque perchè una persona intelligente e piena di argomenti, come ad esempio Renzo, non sappia rinunciare al gusto dell’etichetta: devo forse pensare che, un po’ alla Berlusconi, anche lui vede, non comunisti, ma leghisti dappertutto?…Scherzi a parte, questo ricorso alle etichette mi sembra elusivo: perchè un’opinione va valutata per la sua sensatezza o meno, perchè ha una logica, perchè sta in piedi oppure no. Ma non perchè è fascista o leghista o comunista o tardodemocristiana. E, in ogni caso, anche quando la hai bollata con lo stereotipo ideologico o partitico, resta tutto da dimostrare se quella opinione sia valida oppure no.

Tornando al merito della questione elemosina, è evidente che vi sono sfruttatori e sfruttati. Ma la questione cruciale è che esiste anche una terza categoria: quella dei “bauchi” i quali, facendo la carità, forniscono il carburante che fa funzionare l’intero meccanismo; cioè consentono agli sfruttatori di fare lauti guadagni sulla pelle degli sfruttati. Provo ad aggiungere un parallelismo: chi fa la carità produce un effetto molto simile a chi va a puttane; anche i clienti delle lucciole forniscono infatti il carburante che garantisce il lauto guadagno dei papponi e lo sfruttamento delle prostitute, di quelle consenzienti e peggio ancora di quelle schiavizzate. Aggiungiamoci anche una differenza: c’è chi paga per ottenere un appagamento sessuale e chi elargisce per ottenerne uno “spirituale”, cioè per sentirsi buono e sensibile di fronte alla miseria altrui.

Qualche considerazione in fine su questa autentica ossessione razzista che riesce ad intruffolarsi anche quando stiamo discutendo di accattonaggio. Trovo vergognoso confondere i peti con le trombe d’aria. C’è stato e c’è un fenomeno spaventoso, di una drammaticità senza pari, che ha portato e porta allo sterminio di milioni di persone in nome della presunta superiorità razziale (o ideologica o religiosa). Questo è il razzismo. Confonderlo con alcune reazioni xenofobe (termine che significa paura dello straniero, non odio per lo straniero e meno che mai volontà di distruggere lo straniero) che si sono manifestate anche nelle nostre città è una autentica vergogna; anzitutto nei confronti delle vittime del razzismo vero. Questa logica porta, appunto, a confondere i peti con le trombe d’aria. E chi argomenta, che si comincia sempre così ma poi si va sempre a finire colà, non sta che spiegandoci che i peti sempre e comunque innescano le trombe d’aria. Ripeto, non nego che alcune reazioni, che alcuni discorsi xenofobi si manifestino anche nelle nostre città. Anche in una città come Verona che pure ha radici secolari di civiltà e di tolleranza, per il semplice motivo che da secoli è terra di relazioni e di incontri tra popoli diversi. Accusare Verona e i veronesi di razzismo è un delirio, significa non conoscere la loro storia; significa non capire che il modo di essere e di agire, il sentire profondo di una comunità, sono il risultato di una stratificazione secolare che può essere modificata solo da un’azione contraria altrettanto lunga: anche ammesso cioé che la Lega predicasse l’intolleranza, sarebbe solo un graffietto superficiale che non intacca l’animo profondo dei veronesi…In ogni caso ci sta che sulla stampa nazionale, che da altre regioni e città arrivi l’accusa di razzismo a Verona e ai veronesi. Ma che questa accusa venga mossa, avallata e rilanciata ad ogni piè sospinto – e con una particolare voluttà – da alcuni veronesi stessi, lo trovo davvero aberrante. Aberrante e molto più inquetante delle manifestazioni xenofobe. Non credo infatti che sia una battaglia in nome dei grandi valori della tolleranza, ma piuttosto un gusto masochistico di sputare dove si mangia, dove si è nati e dove si vive.

 

NESSUNA PIETA’ PER GLI ACCATTONI

 Nessuna pietà per gli accattoni. Non la pensano così solo i sindaci che, a prescindere dai colori politici, hanno cominciato a multarli e a sequestrare loro il bottino, adesso lo dicono anche i sacerdoti. Anzi lo dice addirittura un vescovo, quello di Verona mons. Giusepe Zenti che – intervistato dal quotidiano L’Arena – dichiara: “La gente non deve impietosirsi di fronte a chi per strada chiede l’elemosina.Spesso il povero che allunga la mano ha alle spelle dei delinquenti o comunque un mondo adulto che sfrutta le persone più indifese e di fronte alle quali è più facile commuoversi”. “Qui a Verona – prosegue mons. Zenti – non esiste il problema della fame e di un tetto sotto il quale dormire. Le possibilità sono offerte a tutti , se poi per qualcuno è più comodo chiedere l’elemosina è un altro discorso. Ma non è dignitoso farlo né è un gesto di pietà donare qualche soldo”.

Mi sembra che il vescovo di Verona fotografi in modo molto preciso quelle che sono le nuove coordinate dell’accattonaggio. Un fenomeno oggi radicalmente diverso da com’era un tempo, anche nel nostro Veneto fino al boom economico degli anni Sessanta: prima la miseria esisteva davvero, il lavoro mancava sul serio e le persone allungavano la mano per sopravvivere perchè non avevano alternative. Lo Stato sociale o non esisteva o era molto più rudimentale. Mentre nessuno nella Verona, nel Veneto, nell’Italia di oggi viene lasciato morire di fame. Al di là dell’assistenza sociale pubblica o privata (pensiamo alla Caritas), esiste poi comunque un’opportunità di lavoro.Magari in condizioni molto ma molto discutibili, che possiamo definire di autentico sfruttamento, come in talune cooperative dove la retribuzione è vergognosamente bassa. Ma tutti hanno quantomeno l’opportunità di sopravvivere col proprio lavoro.

Quindi oggi non c’è più quello stato di necessità, quella mancanza di alternative, che in passato rendeva inevitabile l’accattonaggio. Oggi chi mendica o lo fa all’interno di un disegno criminale, di cui può essere strumento e vittima (come nel caso dei bimbi nomadi) o lo fa per cialtroneria, trovando più comodo allungare la mano che usarla per fare le pulizie o scaricare cassette al mercato ortofrutticolo.

Capirlo ed esserne convinti può non risultare immediato, specie per quelli della mia generazione che veniva educata a fare la carità e che, fin da bambini, si sentivano buoni quando donavano una moneta al mendicante. Oggi la carità non è un atto di bontà né di generosità, ma solo di complicità con i criminali o con i cialtroni.

 

JUVENTINI, CARI RAGAZZI O RAZZISTI?

 

L’informazione deviata non decide solo quando un medio alzato è un insulto intollerabile ai Sacri Simboli della Patria, stabilisce anche quando e dove si manifesta il razzismo. Quindi, parlando di calcio, il razzismo non lo troviamo mai tra la tifoseria delle grandi squadre di calcio. Non esiste né a Napoli, né a Roma, né a Torino né a Milano. Si manifesta virulento solo in provincia; nella provincia veneta, tra Padova e Treviso, e a Verona (versante Hellas) in particolare.

Leggete cosa hanno gridato – nell’indifferenza generale e senza che nessuno media mostrasse né scandalo né turbamento – i tifosi della Juve, della cosiddetta Vecchia Signora, martedì sera durante il torneo Tim, svoltosi appunto all’Olimpico di Torino. Leggiamo dalla cronaca fatta dalla Gazzetta dello Sport. Hanno cominciato con un coro all’indirizzo dell’allenatore del Milan Carlo Ancelotti:”un maiale non può allenare”. Il Carletto rossonero non l’ha presa bene ed ha reagito alla Bossi alzando il medio; direi però che il coro dei tifosi juventini era più da vecchia baldracca che da Vecchia Signora. Ma il bello è arrivato subito dopo all’indirizzo dei giocatori dell’Inter: per Balotelli (che sta per compiere 18 anni è avrà la cittadinanza italiana) il coro è stato “Non esiste un negro italiano”, mentre Ibrahimovic e Stankovic sono stati bollati come “zingari”.

Immaginatevi cosa sarebbe successo se la tesi che “non esiste un negro italiano” fosse stata sostenuta e gridata dai tifosi dell’ Hellas invece che della Juve: sarebbe venuto giù il mondo, la grande stampa e la grande televisone li avrebbe bollati come “sporchi razzisti” e avrebbe spiegato che la feccia del Ku-Klus-Klan non deve più poter entrare negli stadi di un Paese civile.

E invece – cosa ancor più vergognosa degli insulti razzisti a Balotelli– sapete la Gazzetta dello Sport come si è rivolta ai tifosi della Juve? Con questo parole e con questo tono affettuoso e pedagogico:” Cari ragazzi, anche se magari quello che cantate non riflette i vostri pensieri ed è quindi un inutile tentativo di intimidire gli avversari, provate a ricordare che la vostra curva è intitolata a Gaetano Scirea….”

I buuuh dei tifosi dell’Hellas riflettono o non riflettono i loro pensieri? Come mai la Gazzerta non li ha mai chiamati “cari ragazzi”? Vi convince o no come esempio di informazione (sportiva) deviata?

 

FANNULLONI E PRECARI CHE BATTAGLIA!

 

 

Fannulloni e precari, due temi di discussione. Due battaglie di destra o di sinistra?

Il direttore del Riformista, Antonio Polito, sostiene che la battaglia di Brunetta contro i fannulloni è una battaglia che la sinistra moderna dovrebbe fare propria, perchè è una battaglia di equità: far sì che i pubblici dipendenti lavorino come i dipendenti privati, e non di meno.

Tanto vergognoso il fenomeno dell’assenteisno nel pubblico che è bastato l’annuncio dei fieri propositi del piccolo grande ministro per farlo diminuire del 18% nel mese di giugno. Ma subito partono anche i siluri: il sindaco di Roma Alemanno dice che no, che è sbagliato affermare “morte ai fannulloni” che bisogna sostituirlo con “viva i meritevoli”. E così il povero Brunetta comincia ad essere colpito dal “fuoco amico”, e già si capisce come andrà a finire: di provvedimenti concreti nemmeno l’ombra, l’effetto annuncio si dissolverà nel giro di qualche mese e la riforma del pubblico impiego andrà in archivio.

Quanto ai precari, nemmeno nella repubblica degli Ayatollah è pensabile che sia il giudice islamico a decidere ed imporre le assunzioni a vita. Succede invece nella Repubblica (laica?) italiana dove le Poste si sono dissanguate invano pagando stuoli di avvocati: ma il giudice ha imposto di assumere in pianta stabile ventimila precari anche se avevano solo contratti a tempo per qualche mese. Il mercato del lavoro lo decidono i magistrati, i costi li paga la fiscalità generale cioè noi.

I sindacati fanno le dame della San Vincenzo: poveri precari come fanno ad avere un progetto di vita,non possono nemmeno accendere un mutuo, bisogna assumerli. Neanche nel Paese di Alice si ragiona così. In ogni Paese serio prima si guarda se servono nuovi postini, nuovi professori, nuovi statali; e, solo se servono sul serio, vengono assunti. Non perchè sono precari. Chi è più precario degli abitanti dell’Africa? Li assumiamo tutti alle Poste o nelle scuole?

BOSSI, L’INNO E L’INFORMAZIONE DEVIATA

 


Accanto ai servizi segreti deviati, che preparavano loro le bombe salvo poi attribuirne la responsabilità ad altri con tutta una serie di depistaggi, accanto ai servizi deviati abbiamo anche l’informazione deviata: quella che prepara ad arte la “bomba” del villipendio di Bossi all’Inno di Mameli per depistare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle questioni pregnanti che solleva il leader della Lega. E’ una tesi che ho sostenuto nella mia rubrica televisiva, che ha già suscitato la protesta di Cristiano e Renzo sul blog, e che mi pare interessante ribadire anche in questa sede.

Per poter parlare di “villipendio all’Inno” di “insulti alla Nazione” di “veneti offesi” come hanno fatto in molti dal presidente della Camera Fini fino al presidente del Veneto Galan, avrebbe dovuto esserci un fatto chiaro e inequivocabile: mentre stavano andando parole e note dell’Inno di Mameli un Bossi che alza il medio e lo manda pubblicamente affà’…. Ma nulla è accaduto di così clamoroso. E’ succeso invece che, nel corso dei suoi soliti discorsi vibranti e arruffati, mentre se la prendeva col centralismo e con i prefetti, Bossi abbia detto: l’Inno di Mameli parla di schiavi di Roma, ma noi col cavole che accettiamo di essere ancora schiavi di Roma!…e via col medio alzato. Chiunque sia un minimo in buona fede si rende conto che Bossi non ce l’aveva con l’Inno di Mameli (che nemmeno lui conosce, come il 99% degli italiani che la 2^, la 3^, la 4^ e l 5^ strofa l’hanno letta pre la prima volta solo grazie alle polemiche di questi giorni…) ma ce l’aveva Bossi con l’idea di restare schiavi o servi o vassalli di Roma, cioè con l’idea che continui lo stato centralista e non si attui la riforma federalista.

Tant’è che nessuno dei giornalisti presenti sul momento ha fatto una piega, nessuno ha ritenuto di aver sentito un concetto né nuovo né dissacrante. Come mi racconta Luigi Primon, presente per Telenuovo allo Sheraton di Padova. Solo alcune ore dopo una qualche centrale occulta dell’informazione deviata ha colto l’occasione ed elaborato il piano: e così è uscita una prima nota di agenzia che parlava di insulti all’Inno di Mameli. E solo allora molti degli inviati dei più autorevoli mezzi d’informazione, come tanti bravi soldatini che abbiano ricevuto la velina dal Minculpop, si sono adeguati a questa lettura dei fatti e l’hanno riproposta nei telegiornali della sera e nei quotidiani del giorno dopo.

Una lettura deviata e ridicola. Faccio un esempio che mi pare illuminante. Nella sintesi di storia patria contenuta nell’Inno di Mameli ad un certo punto, nella 4^ strofa, si dice:” I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”. Ora immaginatevi, non un federista doc come Bossi, ma un antifascista doc come Ferruccio Parri, che durante un comizio affermi sdegnato: l’Inno di Mameli sostiene che i bimbi d’Italia sono tutti Balilla, ma noi col cavolo che lo accettiamo, vadano al diavolo tutti Balilla, il fascismo non c’è e non ci sarà mai più!…Secondo voi questo Parri immaginario avrebbe voluto insultare l’Inno nazionale o mettere una pietra tombale sulla nazional-fascista Opera Balilla?…

Trovo inoltre vergognoso, degno di sepolcri imbiancati, che questi alfieri così fervidi del Tricolore e dell’Inno di Mameli, pronti oggi a vibrare di sdegno all’idea che Bossi manchi di rispetto ai “sacri simboli”, siano gli stessi che per decenni gli stessi sacri simboli li avevano completamente trascurati, dandoli in appalto gratuito ed esclusivo al Msi di Almirante.

Concludo con il depistaggio. Bossi domenica a Padova aveva sollevato la questione della presenza preponderante (63%) di insegnanti meridionali nella scuola. Percentuali sbilanciate che si ripropongono anche in settori statali ben più prestigiosi e assai meglio remunerati: dai primari ospedalieri, ai magistrati, ai dirigenti della pubblica amministrazione. E qui delle due l’una: o ha ragione lady Ciampi quando affermava che i meridionali sono più intelligenti dei settentrionali (ma la tesi ha un vago sapore razzista) oppure c’è qualcosa che non funziona.

Vogliamo affrontare questa questione, capire perchè è accaduta, impegnarci a riequilibrare le presenza territoriali nel pubblico impiego? O non possiamo farlo perchè siamo troppo sdegnati per gli insulti di Bossi all’Inno di Mameli?

 

IL FEDERALISMO DELLE MAZZETTE

Gli entusiasmi per la riforma federalista, che Bossi e la Lega continuano a mettere in vetta alle loro priorità, credo debbano fare i conti con il “federalismo delle mazzette” che arriva dalla regione Abruzzo e con una più seria verifica sull’esistenza o meno dei presupposti di base della riforma stessa.

Ricordiamoci intanto che quella sanitaria è già una spesa federalista, in quanto già trasferita dallo Stato centrale alle varie regioni. E tuttavia non solo questa spesa sanitara è infarcita di mazzette (l’ Abruzzo non è certo l’eccezione…) ma è troppo spesso fuori controllo, con deficit sempre più pesanti. Per questo è giusto domandarsi se del federalismo (in salsa italiana, non dimentichiamolo…) non vengano a mancare i presupposti stessi. I fautori della riforma ci spiegano che, avvicinando ai cittadini la centrale della spesa, aumentano i controlli da parte dei cittadini stessi: si evitano così gli sprechi, si rispamia, si attuano politiche più efficaci e virtuose.

Passando però dalla teoria alla prassi, e restando in ambito sanitario, vi pare che i cittadini dell’Abruzzo, della Campania o anche del nostro Veneto siano impegnati a tirare la giacca ai politici regionali perchè tengano la spesa sotto controllo? Chiedono loro anzitutto di eliminare sprechi e sperperi? Non mi pare proprio. I cittadini domandano più medicine, meno liste d’attesa, più prestazioni; e tutto assolutamente gratis. La cosa che li fa infuriare è il ticket, cioè la misura più concreta per cercare di contenere la spesa sanitaria.

Oggi Formigoni può cavarsela dando la colpa a Tremonti, dicendo che è il ministro dell’economia che diminuisce i trasferimenti alla sua regione. E in questo modo evita che gli elettori lombardi lo massacrino. Tutti i tagli che lo stesso Tremonti sta annunciando, (forse) sarà possibile attuarli perchè partono dalla Stato centrale, cioè ben lontano dal territorio e dalle proteste localistiche; ma serebbero impensabili se, attuato il federalismo fiscale, dipendessero da venti assessori regionali alle finanze i quali verrebbero travolti dalla protesta dei propri elettori.

Non dimentichiamo poi che gli stessi rifiuti campani per decenni sono stati gestiti in salsa federalista: cioè dalla regione Campania e dal comune di Napoli che continuavano ad assumere netturbini, a sprecare risorse, a non concludere nulla. E oggi (forse) ne veniamo fuori perchè è intervenuto lo Stato centrale ad esautorare il federalismo campano…

C’è insomma il pericolo concreto che il federalismo diventi un moltiplicatore di spese e sprechi, perchè il fiato sul collo degli elettori (italiani) spinge il politico ad aprire i cordoni della borsa non certo a chiuderli. Quanto alla Lega, era partita da un progetto forte e chiaro ma blasfemo: la secessione. Di fronte alla scomunica generale è poi ripiegata sul federalismo. Auguriamoci che il federalismo in salsa italiana non sia solo quello delle mazzette e degli sperperi ulteriori.

 

LA MARTINI TUTELA O DISCRIMINA?

 

 

Proviamo a decidere quale è lo sfregio, quale la violenza nei confronti dei bambini rom: prendere loro le impronte o lasciarli in balia di genitori (veri o presunti) che li inducono a rubare con le minacce o che li utilizzano nell’accattonaggio? La domanda si riprone dopo il “blitz” del sottosegretario Francesca Martini che ha individuato e denunciato (chiedendo l’intervento delle forze dell’ordine) una donna rom che teneva con se una bimbetta nuda nel chiedere la carità. Un intervento che la sinistra engagée ha accolto con sovrano disprezzo, ironizzando (vedi Liberazione) su “l’impegno diretto” dell’esponente leghista “nella lotta all’illegalità”

Ben altra sarebbe l’illegalità a giudizio del quotidiano comunista. Ma dovremmo forse plaudire a “l’impegno diretto” nella “lotta contro la discriminazione” di quegli esponenti di Rifondazione che hanno esibito in pubblico le proprie impronte digitali? Hanno fatto più loro a tutela dei bimbi rom o ha fatto di più Francesca Martini?

Va combattuta oppure no questa battaglia di legalità per impedire che i nomadi utilizzino anche i neonati portandoseli dietro e piazzadoli nella strade sotto la calura estiva o d’inverno col gelo? Se siamo contro la discriminazione etnica ci voltiamo dall’altra parte di fronte alla scena che ha visto Francesca Martini, e stigmatizziamo il ricorso alle impronte? Se invece siamo razzisti (e/o leghisti) chiamiamo la polizia e speriamo che a questi genitori venga tolta la patria potestà?

C’è qualcosa che non funzione in questi schematismi o va bene così?

Possiamo anche cancellarla la proposta Maroni; e mi sembra poco verisimile che si riesca ad attuare anche un semplice censimento dei e nei campi nomadi. Ma, risparmiata loro la “tortura” delle impronte, cosa intendiamo fare concretamente per impedire le altre torture, quelle vere, che troppi adulti infliggono quotidianamente, liberamente, nell’indifferenza dei censori della Martini, a tanti bimbi rom?

 

LA MAMMA METTE IL FIGLIO AI DOMICILIARI

 

 

Il buonsenso e la serietà della nostra gente emerge anche dall’ultima vicenda veronese. Parlo del gruppo di ragazzini che – sull’onda del caso Tommasoli – si sono inventati un’aggressione per una sigaretta negata, quando invece erano stati loro ad ustionarsi durante un gioco maldestro. Il buon senso emerge dalla dichiarazione della madre, di uno di questi adolescenti scapestrati, agli agenti che avevano passato la notte ad indagare sulla falsa aggressione: “Voi non li potete arrestare, ma ai domiciliari mio figlio lo terro io! E per parecchio tempo!”.

La mamma che si fa carceriera del proprio figlio perchè è consapevole che, o ci prova lei a raddrizzargli la schiena, o non lo fa nessuno. Da sempre sono i genitori il fulcro dell’educazioni dei figli, ma una volta lo Stato almeno ti dava una mano. Adesso invece sono abandonati a loro stessi.

Non li aiuta una classe politica che non da certo grandi esempi, non quando è al vertice di Palazzo Chigi e ancor meno quando è sul palco di Piazza Navona. Non li aiuta una magistratura che, al di là del fatto che i minori siano o no perseguibili, dovrebbe dare loro il senso che la legge esiste e va applicata con serietà; invece una volta é “da ovo” e un’altra “da latte” a seconda di chi è l’imputato, e adesso è arrivata anche a sentenziare che, se sei un rasta, puoi fumare quanta erba vuoi perchè fa parte del tuo itineriario religioso-spirituale…Non li aiutano insegnanti che non riescono nemmeno a fare gli insegnanti, che hanno portato un Di Pietro fino alla laurea senza nemmeno insegnargli i congiuntivi, e che certo non possono fare gli educatori.

Uno Stato che si muove come i gamberi. Una volta ragazzi e ragazze erano mediamente più maturi, perchè iniziavano a lavorare prima, perchè dovevano imparare prima a fare i conti con la vita, e diventavano maggiorenni a 21 anni; cioè restavano fino a quell’età sotto tutela dei genitori. Adesso languono nel limbo degli studi, cazzeggiano a tempo indeterminato al liceo e all’università, ma lo Stato ha deciso che sono pienamente responsabili di loro stessi fin dai 18 anni. E c’è chi vorrebbe addirittura abbassare la maggiore età a 16 anni.

Nemmeno la Chiesa contribuisce più ad educare i nostri ragazzi. Gli oratori appartengono all’archeologia della memoria. I pochi preti rimasti hanno troppo da fare con gli immigrati, con il sociale, con le prostitute, per dedicarsi ai giovani. Mi ricordano quel medico di base che non si prendeva mai la briga di andare a visitare a casa una sua anziana paziente invalida, in compenso era sempre pronto a partire volontario per l’Africa…

Insomma se non ci pensa la famiglia a dare un esempio, ad educare i figli, non ci pensa nessuno. E per raddrizzargli la schiena, ovviamente, non servono a nulla (anzi sortiscono l’effetto opposto) la permessività e il buonismo. Bisogna metterli ai domicialiari e usare il bastone. Ce lo ha ricordato questa mamma veronese. Confermandoci inoltre che la nostra gente col suo buon senso è molto più seria del nostro Stato con i suoi apparati.