MINISTRO GELMINI CE N’EST QU’UN DEBUT

 

"Ce n’est qu’un debut, continuons le combat!" Era lo slogan del maggio parigino nel 1968. Speriamo diventi il motto guida nell’operato del ministro Mariastella Gelmini: che la cacciata di questa Caterina Petruzzi, che non sa distinguere nemmeno il genere maschile da quello femminile e pretende di formulare il tema della maturità su Montale, che la sua cacciata sia solo l’inizio; e che la lotta continui fino a ripulire l’intero vertice del Ministero della Pubblica…Ignoranza da tutti i burocrati della sua risma.

E che la lotta continui a partire dal vertice delle altre istituzioni. Per l’ovvia ragione che l’esempio non può che arrivare dal vertice. Finchè ci sono persone come la Petruzzi, il Ministero non può che essere, appunto, quello della Pubblica Ignoranza e, per caduta, non puoi che avere il 57% degli insegnnati assunti senza concorso e, per ulteriore caduta, non possiamo che avere la quasi totalità degli studenti sempre promossi senza alcuna seria verifica, cioè condannati ad iniziare una vita professionale da asini. Ma, con che coraggio e credibilità, vai a proporre agli studenti degli esami più seri, vai a spiegare loro la necessità della selezione, quando l’apice del ministero non sa nemmeno formulare correttamente le domande d’esame?

E questo vale a 360 gradi. Con che credibilità il ministro Brunetta pensa di combattare la battaglia, in se sacrosanta, contro i fannulloni del pubblico impiego, se non comincia a colpire i fannulloni che in Parlamento non ci vanno nemmeno quei due-tre giorni alla settimana e si fanno sostituire nelle votazioni dai colleghi “pianisti”? Come fai a prendertela con l’impiegato che timbra e se ne esce a far la spesa, quando il presidente della nostra Regione Giancarlo Galan è assente a 91 sedute del consiglio regionale su 126? (la denuncia del Galan “sempre assente” è del capogruppo del Pd in consiglio regionale Gianni Gallo)

Con che credibilità possiamo annunciare l’altra sacrosanta battaglia, contro gli sperperi e gli sprechi della pubblica amministrazione, quando le spese del Quirinale sono il doppio di quelle di Buckingham Palace? Finchè il vertice stesso della nostra repubblica ( a prescindere dall’inquilino che lo occupa) si comporta come un Mugabe è chiaro che manca l’esempio per proporre un qualunque intervento di rigore economico.

Ministro Gelmini, Ce n’est qu’un debut.

 

STRAGI IN MARE E RESPONSABILITA’

 

Il barcone, con 150 immigrati egiziani a bordo, è affondato nelle acque territoriali libiche poco dopo essere partito. Tant’è che il mare ha restituito i corpi sulle coste della Libia. Nessuno ne sapeva nulla. Le autorità di Tripoli hanno dato notizia giorni dopo che la tragedia era avvenuta. Sarebbe una follia anche ipotizzare un mancato soccorso da parte della nostra marina. Eppure i giornali della sinistra comunista (e non solo) non esitano a mettere questi morti in conto al nostro Paese e al nostro governo.

"Di chi è la responsabilità di questa strage continua? – si domanda Valentino Parlato sul Manifesto e si risponde – Nostra, della nostra globalizzazione aperta a tutti i movimenti di capitali, ma chiusa, fino all’omicidio di massa, alle persone”. Quindi per non commettere più omicidi massa dovremmo aprirci, magari costruire un ponte dalla Sicilia alla Libia per garantire che tutti i disperati dell’Africa arrivino incolumi nel nostro Paese…

L’Unità è ancora più diretta nell’accusa. Sopra la foto in prima pagina di un annegato titola: Morti per l’Italia. Ed Enrico Fierro scrive:” Quanti morti dovremo ancora contare nel Canale di Sicilia prima che il governo italiano capisca che la campagna elettorale è finita e che è arrivata l’ora di affrontare seriamente un tema epocale come quello dell’immigrazione?”

Quanti decenni dovranno passare – mi domando io – prima che una sinistra accecata dall’ideologia si renda conto che nessun italiano di buon senso può sentirsi in colpa per questi poveri morti e che nessuna responsabilità può essere adossata al nostro governo (benchè lo guidi il Cavaliere Nero)…Anche la nostra emigrazione verso gli Stati Uniti e il Sudamerica fu funestata da tragedie del mare, centinaia di italiani morirono nei naufragi. Ma nessuno fu così sconsiderato e fazioso da sostenere che erano morti per colpa dell’America.

Oggi come allora c’è una responsabilità diretta ed immediata: delle carette dei mari che trasportavano i nostri emigranti, dei mercanti di schiavi che stipano carne umana sui gommoni. Oggi come allora c’è una responsabilità indiretta, strutturale, di governi incapaci di garantire la sopravvivenza delle proprie popolazioni che le costringono a cercarla in Paesi lontani. Una responsabilità che ebbero anche i governi dell’Italia prefascista. E che è evidente oggi se guardiamo ai regimi dittatoriali e razzisti che dominano e affamano gran parte dell’Africa, incamerando ogni aiuto internazionale, incuranti della crescita ecomica dei loro Paesi, attenti solo all’arricchimento personale, famigliare di clan o di tribù.

Non vi pare che la strage nel Mediterraneo vada messa in conto ai regimi africani e agli scafisti che sono i loro carnefici?

SE DUE ITALIANI BRUCIANO UN ROMENO

 

Cosa dobbiamo pensare se due italiani (veronesi d’adozione: lei piacentina, lui di Bitonto) bruciano un rumeno?

Dobbiamo essere e siamo convinti che per questa coppia, che ha massacrato con tanta ferocia il proprio autista al fine di incassare l’assicurazione sulla vita, non possono esserci né clemenza, né attenuanti né giustificazioni: ai carnefici nostrani vanno comminate pene più severe ancora che a quelli stranieri. I quali ultimi una qualche attenuante possono averla, legata al loro stato di sradicati, alla miseria, alla diversa concezione della vita a della civiltà.

Nessuna attenuante invece per i carnefici italiani. Come non ce ne sono per il milanese che ha stuprato la ragazzina marocchina di 13 anni. Mentre per i tanti stupratori stranieri dobbiamo magari considerare che gli immigrati sono in massima parte uomini, in massima parte giovani, in massima parte privi di possibilità di rapporti con l’altro sesso…(e magari dovremmo essere così laici e pragmatici da chiederci se dei “Mc Donald’s del sesso” a prezzi popolari non servirebbero a prevenire un certo numero si stupri).

Chiarito e ribadito che il criminale nostrano merita pene ancor più severe, va data però una riposta anche a chi, quasi compiaciuto di fronte ai due italiani che bruciano il romeno, ritiene di avere ottenuto la dimostrazione di non si sa bene cosa: del fatto che i criminali sono tutti italiani? Del fatto che gli stranieri sono solo vittime e non carnefici? Maso, Abel e Furlan hanno colpito prima che arrivassero gli immigrati; il che non toglie che oggi al Nord il 70% dei delitti, come ricordava Manganelli, vengano compiuti da stranieri.

Sono due fattori giunti a sommarsi producendo un risultato disastroso: uno Stato che nelle sue varie articolazioni – legislatori, magistratura, tutori dell’ordine – era già incapace di fronteggiare la criminalità italiana, quella comune e quella organizzata, cioè le varie mafie che non a caso da noi imperano come in nessun altro Paese del mondo civile (per trovare qualcosa di simile bisogna andare in Colombia o in Messico con i narcos), quello stesso Stato è divenuto terra d’elezione per la criminalità straniera che non l’ha scelto a caso ma, appunto, perché era già il più sbrindellato cioè quello che garantiva i rischi più bassi e l’impunità maggiore.

Una criminalità straniera che, per certi versi, è meno pericolosa di quella nostrana organizzata (nel senso che non ha ambizioni da anti stato) ma che al Nord ha una diffusione molto più capillare e genera nei cittadini più allarme sociale delle mafie stesse.

Due italiani che massacrano un romeno aggiungono solo terrore e orrore, non spazzano via pregiudizi; perché non ce ne sono da spazzar via

 

PROSTITUTE, CLIENTI E FALSI MORALISTI

In materia di prostituzione da cinquant’anni produciamo solo chiacchiere e nessun fatto, cioè nessuna nuova legge organica.E dire che basta un dato numerico a ricordarci quanto il fenomeno sia mutato: nel 1958 la chiusura delle case produsse 2 mila“disoccupate” che tante erano allora le prostitute in servizio; oggi in strada e non solo in strada si calcola che siano oltre 100 mila. Eppure si blatera a vuoto e periodicamente senza decidere mai nulla. Perché? Credo che ogni intervento concreto sia bloccato da due falsi moralismi complementari.

Il primo riguarda le prostitute che – versione del povero don Benzi – sarebbero tutte schiave costrette a vendersi. Di conseguenza non serve regolamentare il fenomeno, basta sconfiggere il racket per liberare le lucciole e vederle, liete e giulive, mettersi a fare chi la sartina, chi l’operatrice del sociale, chi la badante…

Il falso moralismo impedisce cioè di prendere atto che una quota consistente di prostitute lo fa per scelta libera e consapevole. E con motivazioni non molto dissimili da quelle che spingono ad abbracciare…il giornalismo. Indimenticabile la battuta del mitico Luigi Barzini: il giornalismo? Che professione infame! Non hai orari, in piedi di notte, impegnato anche la festa quando tutti gli altri riposano, ma…piuttosto che lavorare!…Tali è quali le prostitute: anche loro in piedi la notte, senza orari, col rischio di dover accontentare clienti sgradevoli (tipo intervista ad un leghista), ma…piuttosto che lavorare!…

Se accettiamo che per molte prostitute questa professione è una libera scelta, forse riusciamo anche ad abbandonare l’altro moralismo falso e pretesco che demonizza i clienti. Spesso dipinti come esseri subumani, disabili del sesso, che per soddisfare la loro bramosia non esitano a comprare i corpi. Ma a chi li venderebbero i loro corpi le prostitute libere e consenzienti se non ci fossero anche degli acquirenti? Non è semplicemente uno scambio solare e non ipocrita tra adulti liberi e consenzienti in una società non bigotta?

Chi è l’essere depravato e subumano: quello che compra il rapporto sessuale al prezzo pattuito e senza alcuna costrizione da parte di chi lo vende? O quello che per ottenere la stessa cosa(o, peggio ancora, per conquistare il patner) promette affetto, sicurezza, simula interesse, o giunge addirittura a giurare amore eterno salvo cambiare idea di fronte alla nuova opportunità?

Mentre noi continuiamo a stracciarci le vesti per le povere ragazze tutte schiavizzate e quei porci dei clienti tutti depravati, gli altri Paesi più seri e laici procedono: come la Spagna che ha istituito centri del piacere autogestiti e controllati. Perchè è vero che lo Stato non può fare il pappone (e fu sacrosanta la volontà della Merlin di chiudere i casini statali) ma lo Stato non può nemmeno far finta che il fenomeno non esista: deve cioè intervenire, regolare, dare garanzie sia di ordine pubblico che sanitarie. Solo nel (nostro) Paese dei falsi moralisti ci si limita a gridare la denuncia e lo sdegno, certi che tutto resti come prima.

 

NAPOLITANO E IL GIOCO DELLE TRE CARTE

 

Con questa storia dei rifiuti il presidente Napolitano tenta di fare il gioco delle tre carte, nel senso che mescola e confonde due realtà assolutamente indipendenti: i rifiuti urbani e quelli tossici o speciali. Infatti, anche ammesso che gli atti parlamentari dimostrino che la Campania è stata subissata di rifiuti tossici di provenienza nordista, questo nulla toglie né tantomeno giustifica la conclamata incapacità degli amministratori locali campani di farsi carico di una questione del tutto distinta, cioè della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani.

Cosa che invece hanno fatto tutti gli altri comuni e le altre regioni, non solo del Nord. Compresa la Puglia di cui si è parlato in questi giorni per la scoperta di una mega discarica abusiva di rifiuti tossici e speciali: ma questo, appunto, non ha impedito agli amministratori pugliesi di procedere allo smaltimento dei rifiuti urbani.

Solo col gioco delle tre carte si può utilizzare uno scandalo aggiuntivo, quello dello smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, per inventarsi responsabilità di terzi sullo scandalo del mancato smaltimento dei rifiuti urbani. Responsabilità che sono invece tutte degli amministratori campani, ai quali gli amministratori del resto d’Italia non debbono alcun risarcimento. Né alcuna accoglienza di monnezza (ammesso che fosse questo il secondo fine del presidente Napolitano)

Quanto ai rifiuti tossici, non c’è dubbio che ci sono imprenditori privi di scrupoli (se vogliamo l’imprenditore con scrupoli è quasi un ossimoro, un po’ come le cosiddette banche etiche…) Ma proprio per questo esistono i pubblici poteri chiamati a controllarli, a impedire loro di comportarsi da capitalisti selvaggi. Pubblici poteri che spesso intervengono sollecitati dai cittadini: nel nostro Veneto non dico le discariche abusive, ma perfino quattro sacchetti di rifiuti abbandonati, vengono segnalati dai cittadini al loro sindaco, si invoca l’intervento dell’Arpav, si scatenano le varie Legambiente.

E come mai invece in Campania tutto taceva e tutto ha taciuto per decenni? Come mai imprenditori senza scrupoli che producono o che fanno finta di trattare i rifiuti tossici hanno potuto andare ad imboscarli proprio in Campania? Non è dovuto al fatto che i pubblici poteri e la stessa società civile in Campania sono conniventi con la criminalità organizzata che lucra su questi traffici illegali?

Mi sembra che come minimo vadano divise le responsabilità tra chi ha portato i rifiuti tossici e chi ha permesso che venissero accolti e coperti dall’omerta. Nemmeno in questo caso è accettabile il gioco delle tre carte di una responsabilità tutta nordista.

 

RAZZISTI MA NON A BOLZANO

 

 

 

Saremo anche xenofobi e razzisti, come afferma la giurista canadese Luise Arbour, ma è difficile sostenere che lo siamo a Bolzano cioè nei confronti della minoranza etnica tedesca dell’Alto Adige.

E’ singolare che, nello stesso giorno in cui i giornali riportavano l’accusa dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, la Repubblica raccontasse dell’ultima pretesa, questa sì razzista, degli amministratori altoatesini della Sudtiroler Volkspartei: la pretesa cioè che i bambini italiani prima di iscriversi agli asili di Bolzano sostengano un esame di tedesco. A chi non parla la lingua di Goethe è vietato l’ingresso in quelle scuole, in quegli asili, che pure lo Stato italiano finanzia profumatamente, arrivando a pagare gli insegnanti (tedeschi) “il doppio – scrive sempre Repubblica – di un altro collega italiano”.

Con le scuole, nella distribuzione dei posti del pubblico impiego, con l’intero impianto della “proporzionale etnica”, continuiamo a subire il razzismo imposto dalla Svp: ossia un insieme di norme che favoriscono l’etnia tedesca dell’Alto Adige e penalizzano quella italiana. E questi sarebbero gli italiani violenti, aggressivi, xenofobi? Direi che siamo piuttosto “democristiani nell’animo” cioè portati per quieto vivere ad accettare compromessi, a subire: ieri a calare le braghe di fronte al terrorismo altoatesino, oggi ad…aprire le frontiere a chiunque.

Il presidente francese Sarkozy può dichiarare (sempre a Repubblica di oggi) che l’obiettivo della Francia è quello di espellere 28 mila clandestini e stabilire “quote di immigrati per zone geografiche”. Può cioè riproporre la formula tanto contestata del cardinal Biffi e nessuno si sogna – né l’Onu né il Vaticano – di accusarlo di razzismo. Perché? Perché è il capo di un Paese con un orgoglio nazionale ed una tradizione all’opposto della nostra: Sarkozy e la Francia non sono mai stati “democristiani nell’animo”…

Mentre l’Italietta se appena osa rialzare la testa, cioè tentare di opporsi al “diritto di invasione”, subito viene coperta di contumelie da una qualunque Luise Arbour.

 

ALLA SAPIENZA E’ SEMPRE ’68

 

 

All’università romana della Sapienza è sempre ’68. Non è mai finito. Cinquant’anni dopo è tutto uguale. Ed anzi gli studenti “democratici” del collettivo della facoltà di Lettere hanno festeggiato il cinquantenario nel migliore dei modi: cioè con l’assalto squadristico al preside della loro facoltà, Guido Pescosolido. Davvero un gesto simbolico, emblematico, perfetto per ricordarci com’è nato il ’68, cos’è stato e in che modo ha distrutto la scuola italiana.

Questo povero professore assediato nel suo ufficio, col terrore che la teppa riesca a buttar giù la porta, salvato in extremis dalla polizia, abbandonato da uno Stato incapace di arrestare subito i colpevoli e sbatterli in galera, cosa può fare mai? Deve frequentare un corso di difesa personale? Lui è un docente non è mica un Rambo. E quindi non può che calare le braghe annunciando le dimissioni, come ha fatto; anche perché – spiega – teme per l’incolumità dei suoi stessi famigliari.

Ma ci rendiamo conto? Un professore universitario ridotto come un pentito di mafia, che dovrebbe essere messo sotto protezione assieme a tutta la sua famiglia…Qui il problema non sono le sprangate che i collettivi “democratici” si sono scambiate con quelli di Forza Nuova. Il problema sono le sprangate che – agli uni e agli altri – dovevano dargli fin da piccoli i loro genitori per insegnare il rispetto della legge e dell’autorità.

Tornando a Pescosolido, è la perfetta reincarnazione di tutti quei docenti universitari e delle superiori che, cinquanta anni fa, erano la struttura portante della nostra eccellente scuola pubblica: autorevoli, anche autoritari, di certo mediamente molto preparati. Ma anche loro furono lasciati soli dallo Stato. E anche loro non poterono che calare le braghe di fronte alla violenza squadristica di quei sessantottini che volevano il voto politico, il voto collettivo, la promozione garantita. Che pretendevano di stabilire loro programmi e piani di studio; faccio un esempio con la mia vecchia facoltà di Lettere e Filosofia: basta Dante, basta Pascal, vogliamo studiare il Mistero Buffo di Dario Fo’ e l’Uomo a Una Dimensione di Marcuse.

Arrivarono così le promozioni di massa, saltarono i programmi ministeriali, ebbero via libera i mille corsi sperimentali grazie ai quali oggi ognuno può insegnare ( o fingere di insegnare), studiare (o fingere di studiare) ciò che preferisce. Ma con i risultati che tutti vediamo: la nullificazione della scuola italiana. E tutto iniziò con l’intimidazione squadristica di un corpo docenti abbandonato dal suo Stato, come ci hanno tanto efficacemente ricordato e riproposto nel cinquantesimo del ’68 gli studenti “democratici” della Sapienza.

 

AGITATORI DI PROFESSIONE, SINDACI DA DISCARICA

 Ci sono ribelli di professione e sindaci degni di finire in discarica. Delle due categorie quella più pericolosa e molto più vergognosa è la seconda.

I ribelli, i fomentatori di professione sono patetici. Per loro ogni occasione è buona. Rifiuti, alta velocità o basi americane pari sono: basta che non manchi l’occasione per protestare e fomentare la ribellione popolare. Prova ne sia che a partecipare ai blocchi stradali di Chiaiano c’erano anche quelli del comitato “No Dal Molin”, e ditemi voi che c’azzecca il raddoppio della base Usa di Vicenza con l’apertura di una discarica a Napoli. C’azzecca nel senso che, appunto, tutte le occasioni sono buone per gli agitatori di professione.

Nessuno più li prenderebbe sul serio se al loro fianco, a cavalcare e fomentare la protesta dei cittadini, non trovassimo anche i sindaci. Sindaci di ogni colore politico come accaduto oggi nel napoletano, ieri in Val di Susa a bloccare i cantieri della Tav. A riprova che questi sindaci degni di finire nelle discariche della democrazia e della civiltà non li troviamo solo in Campania, ma anche in Piemonte, anche nel nostro Veneto a Vicenza dove il neo sindaco Achille Variati si sente in dovere di promettere ai suoi elettori del comitato “No Dal Molin” almeno il contentino di un referendum, fingendo di ignorare che il raddoppio della base americana è già sancito dagli accordi e dalle alleanze internazionali del nostro Paese e dalle decisioni dei nostri governi (sia Prodi che Berlusconi).

Non stiamo parlando dei Caruso, degli Agnoletto di capi e capetti dei vari comitati di protesta (i cui componenti ricordano i famosi aerei del Duce: trasmigrano da un comitato all’altro e sono sostanzialmente sempre gli stessi). Parliamo di Primi Cittadini, che sono certamente legati ai loro amministrati dal rapporto “intenso” dell’elezione diretta, ma che restano e sono anche rappresentati istituzionali di uno Stato, di un Paese della nostra Nazione. E quindi devono rappresentare anche gli interessi generale di questa nostra Nazione, non limitarsi a cavalcare il mal di pancia dei loro elettori (Anzi: parte più agitata dei loro elettori)

I sindaci dovrebbero educare al senso civico, cioè spiegare ai loro cittadini che è nel superiore interesse del nostro Paese trattare i rifiuti, realizzare l’alta velocità, rispettare gli impegni internazionali, individuare domani anche i siti per le centrali nucleari. Se non lo fanno e invece indossano i panni di Masaniello, meritano per primi di finire in discarica.

LA RIVOLTA DEI SINDACI VENETI

 La rivolta dei sindaci veneti muove all’insegna del federalismo fiscale: trattenersi alla fonte (o comunque vedersi riconsegnato dallo Stato) il 20% del gettito Irpef raccolto nel proprio territorio.

Richiesta legittima perchè rapportata alla ricchezza che i cittadini di ciascun territorio producono col loro lavoro; mentre gli attuali trasferimento dallo Stato ai comuni prescindono da questo criterio e generano palesi ingiustizie: comuni come Napoli ottengono procapite, cioè per ciascun cittadino amministrato, trasferimenti doppi rispetto a Padova e a Verona. E ci sono differenze anche tra città della stessa regione.

C’è però un nodo di fondo da sciogliere sia che si parli di questa che di una qualunque altra forma di federalismo fiscale. Il nodo si chiama conto della serva: se do più soldi a uno bisogna necessariamente che ne dia meno a un altro. Se ne do di più a Verona e Padova, devo toglierli a Napoli e a Palermo. Il governo Berlusconi-Maroni è pronto a farlo e a fronteggiare la rivolta del Mezzogiorno e delle stesse Regioni a statuto speciale del Nord?

Fingiamo che il nodo gordiano sia già sciolto e poniamoci l’interrogativo successivo: queste risorse in più che abbiamo garantito al territorio a chi le facciamo gestire, ai singoli comuni come vorrebbero i sindaci o alla Regione? L’Italia è l’Italia dei Comuni e quindi viene quasi naturale immaginare un federalismo fiscale su base municipale (la Regione è quasi un’astrazione disegnata a tavolino: quando andiamo in vacanza e conosciamo altre persone viene più immediato presentarci a loro dicendo “sono veronese, sono padovano, sono trevigiano” che non dicendo “sono veneto”…)

Un conto però è lasciare il 20% dell’Irpef ai comuni grossi, che si troverebbero con una massa finanziaria in grado di attivare diversi investimenti e servizi, mentre se la lasciamo ai tanti comunelli veneti da qualche migliaio di abitanti cosa faranno mai con quel 20% di irpef? Forse una rotonda in più (anche dove non serve)?… Penso cioè che se vogliamo programmare interventi economici di un certo respiro per il territorio, dobbiamo lasciare l’Irpef dove genera massa critica e non disperderla in mille rivoli. Dobbiamo lasciarla alla Regione o, come minimo, a quelle Provincie che oggi molti dichiarano di voler abolire e che potrebbero invece assumere un ruolo simile alle contee statunitensi.

Proviamo a ragionarci. Ed ecco anche il senso del sondaggio che proponiamo nella pagina Web. La scelta immediata sarebbe quella di lasciare i soldi del federalismo fiscale ai comuni ma se pensiamo ai compiti fondanti del sistema federalista – deve essere il territorio a gestire come minimo scuola, sanità e sicurezza – diventa arduo pensare di espletare questi compiti disperdendo le risorse tra i 581 municipi della nostra Regione.


ZAPATERO CI CONSIDERA LA SUA DISCARICA

C’è voluto qualche giorno, ma alla fine il bluff di Zapatero e dei suoi ministri è stato scoperto. Il bluff, cioè il finto sdegno progressista contro un governo italiano, xenofobo e razzista, che si appresterebbe ad organizzare espulsioni di massa di clandestini e rom. In particolare la ministra spagnola Bibiana Aido sembrava sul palco assieme a Beppe Grillo quando diceva che a Berlusconi serve uno psichiatra e che lei è pronta a pagargli le visite (a dire il vero di pagare Grillo non si sarebbe mai offerto…)

Il primo a scoprire il bluff è stato Javier Moreno direttore de El Paìs (l’equivalente spagnolo di Repubblia) che proprio intervistato da Repubblica ha spiegato come Zapatero, avendo adottato lui negli ultimi mesi misure molto più restrittive (cioè di destra) contro gli immigrati, abbia voluto rifarsi un’immagine con la sua sinistra interna sparando contro il nostro governo, contro Berlusconi e Maroni.

L’altra osservazione fondamentale per scoprire il bluff zapateriano l’ha fatta Massimo Franco sul Corriere scrivendo. “Madrid ha paura che un indurimento delle leggi da parte del governo di Roma faccia rifluire le rotte dei clandestini nel Mediterraneo di nuovo verso le coste spagnole”.

Questo è il nocciolo di tutta la faccenda. Finché la linea era quella irresponsabile-buonista-accogliente dell’ex ministro Paolo Ferrero, gran parte dei disperati dell’Africa si riversavano verso le nostre coste. Ed alla Spagna andava benissimo. Se oggi il tam tam diffonde la notizia di un giro di vite italiano c’è, dal punto di vista spagnolo, il pericolo che le rotte dei clandestini rifluiscano verso la penisola iberica; e che Zapatero sia nuovamente costretto ad ordinare di sparare come a Ceuta e Melillia o ad organizzare blocchi navali attorno alle Canarie. Sarebbe la fine dello scaricabarile verso l’Italia. Non saremmo più la sua discarica. (Avviso per i frequentatori trinaricciuti del blog: non considero i clandestini rifiuti da mandare in discarica, sottolineo come Zapatero consideri il nostro Paese discarica per i problemi spagnoli)

E noi questo, realisticamente, possiamo aspettarci dal decreto Maroni: il segnale di un giro di vite che arrivi al tam tam dell’immigrazione clandestina informandola che non accettiamo più passivamente di essere il ricettacolo dei disperati.