MOMENTO DELICATO

Ci sono dettagli che fotografano un momento. Ieri ero a Bergamo, seduto nella tribuna centrale dietro alle panchine. Mandorlini dopo qualche minuto era già accovacciato con lo sguardo a terra, subitaneamente conscio del cattivo approccio alla partita del Verona. Già nel primo tempo, da un lato chiedeva di alzare i ritmi, dall’altro esortava a rallentare le rimesse in gioco, quasi che si rendesse conto che in quelle condizioni anche un rabberciato pareggio sarebbe stato oro. E così è stato. Il gioco latita (palla lunga per il centravanti e morta lì), il centrocampo è contato (ma delle condizioni di Ionita e Romulo si sospettava dall’inizio, vero Bigon e Gardini?) e Toni – da due anni frontman del monotema tattico mandorliniano – si è fatto male. Tutto sembra girare contro e ci aspetta un trittico (Inter, Lazio e Chievo) mica da scherzo. Pure Mandorlini, mai visto così abbattuto e critico in sala stampa, ha rinunciato a rinvangare il suo romantico passato a chi gli chiedeva dell’Inter. E’ un segnale: non è tempo di ricordi, ma di punti che servono come il pane. Perché è vero che siamo solo all’inizio, ma ritrovarsi già a rincorrere renderebbe tutto più complicato.

SI FACCIA CHIAREZZA SU PAZZINI

Dichiarazione ‘pesante’ di Mandorlini a Sky: “Toni e Pazzini per ora non possono giocare insieme, più avanti vedremo”.  Dichiarazione anche curiosa per quell’avverbio “ora”. Dunque è solo questione di tempo? Per quale motivo? Forse la squadra – nonostante la stagione sia iniziata da quasi due mesi – non è ancora in grado di sostenere tatticamente i due attaccanti? Oppure Mandorlini è convinto in assoluto che la convivenza non sia possibile e con quel “per ora” vuole solo guadagnare tempo? Sarebbe bene chiarire la questione, perché Pazzini non è venuto a Verona per stare a guardare e la filastrocca che lui è “il futuro”, nel senso di erede di Toni, è una cazzata per i creduloni. Nel calcio non esiste futuro, per un attaccante men che meno, specie nell’anno dell’Europeo. Lo stesso Pazzini lo ha ribadito senza giri di parole qualche settimana fa: “Io e Toni possiamo giocare assieme, sennò non sarei venuto a Verona”.

Parole che non lasciano adito a interpretazioni, come il passato dell’attaccante di Pescia, che lasciò la Fiorentina per le troppe panchine e l’anno scorso ha avuto vivaci confronti con Inzaghi al Milan per lo stesso motivo. Insomma su Pazzini va fatta chiarezza assoluta per non farlo diventare un ‘caso’. L’esborso economico della società è stato notevole e Setti  ha detto chiaro e tondo che l’ingaggio del giocatore è stato condiviso con l’allenatore (e Mandorlini non ha mai smentito, né dato da intendere il contrario). La mancanza di risultati poi non contribuisce alla serenità delle parti in causa.

Questo non significa ovviamente che il Verona non vince perché non c’è Pazzini. Il problema è di fondo: l’Hellas non sa imporre il suo ritmo (nel primo tempo il Toro camminava, ma il Verona attaccava senza aggressività) e subisce quello altrui (Marassi la partita simbolo, ma anche lo spento Torino è riuscito a infilarci nelle rare accelerazioni). Succede per la poca condizione di uomini cardine come Sala (male), Toni e Viviani (oggi comunque positivi), ma anche per la mancanza a tratti di imprevedibilità. Questo non è un vizio recente: l’anno scorso un Toni straordinario celò molte pecche generali, quello precedente la squadra era individualmente molto forte; ora siamo gli stessi della scorsa stagione ma con un Toni lontano dal formato extraterrestre. Augurandoci che Toni torni al top e ci dimezzi i problemi, credo non sia follia pensare a qualche variante nel tipo di calcio proposto. Non è una questione di moduli, ma di saper sfruttare le caratteristiche dei giocatori più bravi.  E qui torniamo a Pazzini, ma anche a Siligardi, poco adatto ai ripiegamenti del 4-5-1 muscolare di Mandorlini. Forse un po’ di flessibilità tattica non farebbe male.

 

 

 

DAL ‘VANGELO’ SECONDO LUCA (TONI)…

Luca Toni, domenica 30 agosto, nella sala stampa di Marassi: “La Roma ci aveva un po’ sottovalutato (…). Prendiamo tanti gol e non sempre se ne possono fare tanti, quindi la cosa principale è cominciare a prenderne meno. E’ una cosa su cui penso voglia lavorare il mister…”.

Riccardo Bigon, ds del Verona, due giorni dopo: “Ci sono squadre che hanno centrali molto meno bravi dei nostri, ma che sono impostate difensivamente molto bene e subiscono pochi gol. Noi siamo impostati per essere propositivi e fare tanti gol, ovvio patire qualcosa”.

Dichiarazioni contrastanti: l’attaccante dice che non sarà sempre possibile segnare tanto, il ds invece risponde che siamo impostati per segnare. Toni ha voluto redistribuire le responsabilità (tradotto “non posso pensarci sempre io”) e lanciato la palla al suo allenatore (come dire “fa in modo di risolvere il problema”), mentre Bigon ha spiegato che il problema è l’atteggiamento tattico e non sono i singoli, difendendo neanche troppo velatamente il suo operato in risposta a chi gli chiedeva conto del mancato acquisto di un difensore. Peraltro l’ex dirigente del Napoli ha pubblicizzato Helander e Bianchetti (“per me sono dei titolari”) ed è un fatto da tener presente riguardo le future scelte di Mandorlini.

Ma al di là delle dichiarazioni divergenti dei due, registro che finalmente l’annoso problema dei gol subiti viene pubblicamente affrontato con sincerità (e anche un filo di tensione) dagli stessi tesserati del Verona, senza le solite frasi di rito. Voglio dire, perlomeno se ne parla davvero. Mi direte: ma in privato ne avranno sempre parlato anche negli anni scorsi. Sì, ma sappiamo che passare dal privato al pubblico cambia la percezione della gravità del problema anche negli stessi tesserati. Proprio per questo il tempismo delle dichiarazioni di Toni (fatte alla 2^ giornata) non è casuale. Il suo non è solo un campanello di allarme, ma una presa di coscienza che il campione del mondo vuole condividere. Da due anni il Verona campa sui suoi gol, eppure Toni è il primo a sapere che alla sua età ogni anno che passa è un nuovo macigno e che dunque non può garantire automaticamente 20 gol a campionato. Lo si dice ogni anno? Sì ed è giusto, perché quello che ha fatto Toni fino oggi non è normale, ma straordinario.

Dobbiamo prenderne atto immediatamente, anziché crogiolarci con rassicuranti chiose (“la squadra è la stessa dell’anno scorso e quindi può solo essere più forte”) e partire da due assunti: la squadra è diversa anche se è la stessa (ogni annata fa storia a sé, altrimenti tutti club che hanno fatto bene l’anno precedente confermerebbero in blocco i propri giocatori, e poi i nostri titolari non sono giovanissimi); e quest’anno non possiamo cullarci sulle prodezze di Toni o Pazzini.

P.S. il “vangelo” del titolo rigorosamente tra virgolette, questo è solo calcio.

 

 

 

 

 

LA ‘ROMETTA’ CI HA ILLUSO…

Luca Toni, ieri sera dopo il KO di Marassi, ha centrato il bersaglio con una dichiarazione dai più sottovalutata, o nel migliore dei casi fraintesa: “Eravamo fisicamente superiori, ma loro avevano più ‘gamba’ di noi”. Credo che con il termine gergale “gamba” Toni non volesse additare tanto la condizione atletica, quanto una caratteristica del Verona, che dispone di giocatori muscolari, ma non velocissimi, specie nelle zone nevralgiche del campo, e che dunque può andare in sofferenza contro avversarie che su dinamismo e aggressività basano il loro calcio.

Scrivevo una settimana fa su questo blog: “Aspetto il Verona contro squadre più dinamiche e organizzate della Roma vista a Verona, forte nei singoli, ma apparsa senza un’idea di gioco e con uno sterile e lento tiki-taka a centrocampo che certamente ha favorito la nostra zona centrale dei non fulmini di guerra Greco, Moras e dello stesso Marquez. A Marassi contro un Genoa gasperiniano meno forte della Roma, ma in casa tradizionalmente “verticale” nel gioco, atletico e dai ritmi alti di manovra, sarà una partita più difficile per le nostre caratteristiche”.

Come temevo con avversari di quella pasta soffriamo da matti. Almeno Marassi dice questo. “Ma abbiamo fermato la Roma che ha battuto la Juve”, affermeranno coloro che si aggrappano a sillogismi fuorvianti.  Marco Gaburro ieri sera a Telenuovo ha detto bene:  Genoa-Verona è stata una partita di altro spessore sul piano del ritmo rispetto a Verona-Roma, ma anche rispetto a Roma-Juventus. In buona sostanza, come ho ricordato dagli stessi studi: non si possono confrontare due partite diverse, quella Roma non fa testo proprio perché atleticamente abulica e quindi incapace di mettere in luce i nostri difetti.

Come fare, allora con squadre tipo Genoa? Non lasciare loro il pallino del gioco e imporre la propria fisicità giocando con due punte come Pazzini e Toni. Ripeto, non sempre, ma quando l’avversario ha le caratteristiche di cui sopra. Poi certo possiamo disquisire di tattica, moduli e atteggiamento, o di Sala distratto dal mercato. Ma sono discorsi sterili. Piuttosto ascoltiamo Toni e riflettiamo.

GRANDE VERONA, MA NON ILLUDA LA ‘ROMETTA’

Pressing. Fase difensiva. E un terzino sinistro. Queste le buone nuove di ieri. Aggiungiamoci un Mandorlini rilassato in sala stampa, spogliato da bizzose polemiche e riferimenti più o meno diretti alla rosa e al mercato, e a suo agio nel ruolo che meglio gli riesce: allenare, senza guerre e nemici, senza Montecchi e Capuleti. Ovviamente aspetterei per giudizi definitivi, perché la Roma del Bentegodi è apparsa una squadra in crisi di gioco e identità. Mandorlini invece non ha sbagliato una virgola.

FASE DIFENSIVA. Il Verona non ha rinculato nella propria trequarti e ha tenuto alte e corte le linee di centrocampo e difesa. Cosa rara nelle scorse stagioni. Con questo atteggiamento ne hanno giovato anche Marquez e Moras, mai impegnati in affannosi e pericolosi ‘uno contro uno’, a dimostrazione di una tesi che abbiamo sempre sostenuto: se migliora la tattica migliorano anche i singoli, frettolosamente e superficialmente messi sul banco degli imputati in passato. Permettetemi una parola su Marquez: per i suoi trascorsi di campione e la sua professionalità meritava la conferma; il messicano è una risorsa e non un problema, a patto che la sua classe e le sue caratteristiche vengano salvaguardate e non messe alla berlina con gli atteggiamenti tattici sovente suicidi dell’anno scorso. Precisiamo, sarebbe sbagliato e riduttivo colpevolizzare il solo Bordin, ma i fatti dicono che con il cambio dello staff tecnico (e dunque l’autocritica dello stesso Mandorlini) qualcosa di nuovo e migliore si è visto.

SOUPRAYEN. II francese ha ripetuto la promettente prova con il Foggia. L’impressione? Piede educato, elegante falcata e personalità. Se si conferma abbiamo trovato un fluidificante coi fiocchi che mancava dai tempi di Falsini e Seric e permette una soluzione offensiva in più. Se è questo, un plauso a Gardini e Bigon.

DIECI UNDICESIMI. Mandorlini ha schierato la squadra dello scorso anno, ad eccezione di Souprayen, a dimostrazione del valore della rosa costruita un anno fa, a torto criticata. Tuttavia Gardini e Bigon, al di là della dichiarazioni di facciata sul mercato chiuso in entrata, devono provare a colmare le lacune attuali. In difesa serve un centrale, mentre a centrocampo, oltre all’assenza del regista, c’è un problema numerico, specie dovesse partire Sala.

NO ILLUSIONI. Sì all’entusiasmo, che è linfa vitale, non alle precoci illusioni. Aspetto il Verona contro squadre più dinamiche e organizzate della Roma vista a Verona, forte nei singoli, ma apparsa senza un’idea di gioco e con uno sterile e lento tiki-taka a centrocampo che certamente ha favorito la nostra zona centrale dei non fulmini di guerra Greco, Moras e dello stesso Marquez. A Marassi contro un Genoa gasperiniano meno forte della Roma, ma in casa tradizionalmente “verticale” nel gioco, atletico e dai ritmi alti di manovra, sarà una partita più difficile per le nostre caratteristiche. Ma se il Verona è questo può vincere anche lì.

IL CALCIO E’ SOFFERENZA (E CI MANCAVA FOTTUTAMENTE)

“Ho cominciato a provare gusto nella sofferenza che il calcio procura”. Lo so, citare l’inflazionato (ma sempre eterno) “Febbre a 90’” non è il massimo dell’originalità, ma domani riparte quell’antico rito che è il campionato e solo chi vive il calcio (non chi lo segue) può capire la frase di Nick Hornby. Perché, cari sportivi, inculcatevelo in testa, il calcio non è spettacolo, divertissement, ma sofferenza. Sofferenza pure masochistica, perché in fondo ci piace, tanto da sentirci smarriti e orfani poi nel piattume estivo, così crudo, povero e impalpabile nella sua inerzia da rispolverare – per descriverne il vuoto – il “sono andato a letto presto” di Robert De Niro-“Noodles” di ‘C’era una volta in America’.

Sia benedetto dunque il campionato. Sia benedetto questo stato d’irrequietudine che ci accompagnerà come un’ombra nelle nostre 38 settimane di vita parallela. Sia benedetta questa voglia di tornare a tifare, condividere una gradinata, “sacramentare”, godere, o piangere, o tutte e due le cose insieme. Domani all’entrata dello stadio l’emozione sarà nuova e antica allo stesso tempo, perché come scrive Hornby “la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione”.

Con le sue liturgie laiche, con i suoi riti pagani che ci mancavano fottutamente. Bambini o adulti non importa, perché in fondo poi è lo stesso,  perché del resto ci vuole “del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti” (“La canzone dei vecchi amanti” versione Battiato) e il Verona in questo un po’ ci aiuta. Buon campionato vecchio Hellas!

UN MERCATO RICCO E (FINORA) INCOMPLETO

Premessa, il mercato è (ancora) lungo e molto si delineerà negli ultimi giorni. Ma un fatto balza all’occhio ed è un paradosso: si sono spesi tanti soldi (e ne abbiamo dato atto a Setti nello scorso topic), ma la squadra appare ancora incompleta e soprattutto sguarnita in alcuni ruoli chiave. L’avvio promettente (e costoso) della campagna acquisti ha creato (legittimamente) delle aspettative che tutt’ora permangono (con Toni e Pazzini non puoi parlare di salvezza), ma gli infortuni, le prime amichevoli vere e le successive operazioni di mercato qualche piccola riflessione la inducono. Lo stesso Pazzini, allo stato attuale, mi sembra la ciliegina di una torta ancora da sfornare. Setti ha dichiarato: “L’obiettivo è fare più punti della scorsa stagione”, per riuscirci la rosa va puntellata con almeno tre tasselli importanti.

C’è la questione del terzino sinistro che auspico che non si risolva con la scelta tra Albertazzi e Souprayen; c’è un “buco” nel reparto dei centrali dove Bianchetti rimane un’incompiuta (felice di essere smentito, ma non ne capisco il riscatto), Helander ha talento ma è da valutare in Italia, mentre i titolari Marquez e Moras in coppia hanno già palesato evidenti difficoltà. Anche a centrocampo, nel ruolo chiave di metodista, siamo scoperti finché Viviani non recupera (e i suoi tempi di guarigione sono ancora tutti da valutare) e per come va il calcio, sino al 31 agosto non darei per scontata la permanenza di Sala (e le parole di Mandorlini a Sky non sono né casuali né banali e forse tradiscono una lieve irrequietezza). Su Toni e Pazzini concordo con Vighini e non aggiungo nulla a quanto già scritto da Gianluca nel suo blog.

In sintesi le incognite non mancano, per questo mi attendo qualche altro squillo di tromba dalla dirigenza. Quanto fatto sinora non basta ed è meglio dirlo ora, senza troppi giri di parole.

IL SETTI CHE PREDICA MALE E RAZZOLA BENE

Storia recente. Il 26 maggio Setti a Telenuovo parlò di numeri, bilanci, plusvalenze ridimensionate e a rate, di spese per i procuratori (che però non vivono d’aria) e ammise di aver coperto di persona ammanchi di cassa (5 milioni). A sentirlo sembrava che la gestione del suo management fosse stata scellerata. A distanza di poco più di un mese però sono arrivati Pazzini e Viviani, investimenti milionari, senza contare l’acquisto di Helander, il riscatto di Bianchetti, le conferme (al momento) di Sala e Romulo, e una campagna acquisti che un paio di colpi, credo, li riserverà ancora.

Da decenni il Verona non investiva questi denari. Gardini assicura che i conti tornano e non ho motivo per non credergli. Ciò significa che in questi anni si è lavorato egregiamente. Dunque non capisco il Setti del ‘Vighini Show’: perché ha predicato male (sminuendo involontariamente anche il suo lavoro) per (poi) razzolare bene? A sentirlo parlare per tre ore di numeri, bilanci e commissioni ai procuratori, quella sera qualche domanda sulle possibilità economiche del Verona me l’ero fatta. Ecco perché anche le parole sono importanti: se Setti avesse pure predicato bene ci saremmo risparmiati un po’ di preoccupazioni. In ‘sti tempi di crisi – anche nel calcio, con società storiche che saltano – non è poco.

Quindi presidente le domando: visto che finanziariamente può e lo ha dimostrato, la prossima sera che viene in tv parliamo solo di calcio?

‘SUD’ AGLI OSPITI: UN PROBLEMA IN PIÙ

Le cose stanno così. Per anni la North Side chiede (comprensibilmente) di avere la curva nord. Volontà anche legittima: due tifoserie nella stessa curva sono un’anomalia tutta veronese, c’è la voglia dei clivensi di distinguersi e, soprattutto, la Sud è da sempre il tempio laico della tifoseria dell’Hellas. Così Campedelli (altrettanto comprensibilmente) accontenta i suoi sostenitori, ma cosa fa? Sposta (meno comprensibilmente) i tifosi ospiti in sud superiore. Dico, era proprio necessario? No. Non si potevano mettere altrove? Sì. Sarebbe stato burocraticamente più complesso, ma non nascondo che avrei apprezzato questo sforzo di volontà. Così non è stato.

Dall’altra parte c’è il Verona, ci sono Setti e Gardini, senza il potere di incidere nella fattispecie (lo stadio è del Comune), ciò non toglie che avrei desiderato da parte loro un maggiore pressing per evitare che tutto questo accadesse, anche perché presumo non abbiano vissuto con giubilo la faccenda, anzi.

Il punto è che i tifosi del Verona lamentano pericoli per l’area esterna (il monumento) ed interna alla curva sud; il Chievo però assicura che non ci saranno problemi e che tutto è stato studiato nei particolari. In realtà, penso io, un tifoso ospite potrebbe tranquillamente saltare dalla sud superiore all’inferiore: al Chievo non lo escludono, tuttavia mi spiegano che le eventuali ‘teste calde’ saranno segnalate e punite. Anche il Verona, assicura la dirigenza, è pronto a tutelare in qualsiasi modo la sua tifoseria. Eppure la mia sensazione è che ora ci sia un problema in più, non in meno.

CON PAZZINI MENO SCUSE E PIÙ CORAGGIO

Non ho ricordi, nel Verona, per esborso economico e valore tecnico del giocatore, di un acquisto dell’importanza di Giampaolo Pazzini. Premendo il tasto review e senza scomodare la prima metà degli anni ’80 (epoca a parte per l’Hellas), mi viene in mente Stojkovic, fuoriclasse di altra levatura certo, ma paragonabile per investimento e aspettative al Pazzo. Il decennio successivo ha visto altri grandi vestire il gialloblu, come Mutu, Camoranesi e Morfeo, ma il primo era ancora una promessa, l’indio uno sconosciuto, mentre il genio pupillo di Prandelli un prestito. Nemmeno le recenti intuizioni di Sogliano, Toni e Iturbe, reggono il paragone, perché Toni due estati fa era annoverato già tra i pensionabili, mentre Iturbe solo un giovane in rampa di lancio. Lo stesso vale per due fuoriclasse come Saviola e Marquez, ingaggiati dal Verona al tramonto della carriera (ma a mio avviso ancora in forze per questa serie A; spero che almeno Marquez lo possa dimostrare). Pazzini invece, che è tra i due-tre migliori attaccanti italiani (Toni è fuori classifica), giunge nel pieno della maturità (31 anni nel calcio moderno non sono poi così tanti): l’ingaggio quinquennale di circa 1,2 milioni annui attesta le speranze che Setti e il club ripongono su di lui, bomber prolifico in rapporto alle presenze (101 gol in A in 11 campionati, solo cinque di questi da titolare fisso) e dall’ottimo curriculum anche nei grandi club.

L’ex rossonero e lo stesso Viviani (altro investimento di rilievo per cartellino e contratto) credo siano le cartine di tornasole del nuovo corso del Verona. Un Verona che anche senza Sala (come sarà probabile) guarda più alla parte sinistra della classifica che alla zona retrocessione. Ma per riuscirci, oltre alle tante cose buone fatte, mi aspetto da Mandorlini e squadra qualche alibi in meno e un pizzico di coraggio in più.