Maurizio Setti si aggrappa a tutto per salvare il salvabile e resistere. Il presidente del Verona non vuole mollare la remunerativa poltrona (se ci pensate, anche la famosa trattativa con il fondo d’investimento era legata a una sua permanenza con un ruolo operativo) e prova a fare l’ennesimo strike della sua personalmente produttiva e fortunata esperienza da patron dell’Hellas: ripianare le perdite e, in qualche modo, seppure ancora con affanno, mantenere la categoria. L’unica via, questa, per continuare ad avere una fonte imprenditoriale di business.
Massimo risultato con il minimo sforzo, no? Più persone, anche il sottoscritto, di recente hanno definito Setti a “fine corsa” per le note vicissitudini finanziare e giudiziarie e per la conclamata incapacità economica di poter fare strutturalmente calcio. Ma attenzione a darlo per finito, l’uomo ha sette vite e probabilmente ancora qualche alleanza che conta.
Fonti istituzionali romane mi dicono di un suo ancora solido rapporto con Lotito, peso politico massimo del sistema calcio; e anche l’affare Ngonge, venduto a 20 milioni più bonus al Napoli di De Laurentis (altro storico “amico” di Setti) – sembrerebbe quindi al doppio dell’offerta della Fiorentina e comunque a una cifra di molto superiore a quella preventivabile – mi dà l’idea di un Setti non isolato politicamente in Lega.
Per capire questo, va analizzato credo ciò che ha rappresentato Setti per il sistema in questi anni. Un presidente capace, in un certo senso, permettetemi l’iperbole retorica, di stare al suo posto e di accontentarsi: rammento le cessioni dei calciatori più forti, in più di una circostanza dati a Lazio e Napoli a condizioni, secondo molti osservatori di mercato e addetti ai lavori, vantaggiose per gli acquirenti (a Verona in tanti hanno definito “svendite” quelle di Jorginho, Simeone, Rhamani, Zaccagni ecc). Insomma, a vederla così potrei ritenere che il Verona di Setti sia stato un (piccolo) pezzo perfettamente funzionale del grande sistema. E che ancora lo possa essere.
Non so cosa succederà da qui a fine gennaio, se la situazione è così drammatica che Baroni dovrà rinunciare anche a Suslov e perfino a uno tra Djuric e Henry, oppure se l’emorragia tecnica causata soprattutto dagli addii di Terracciano e Ngonge si fermerà. In quest’ultimo caso, sul piano calcistico non tutto sarebbe perduto, perdipiù se dovessimo recuperare psicologicamente Bonazzoli. Già, sembra incredibile anche solo poterlo scrivere, a quel punto il Verona potrebbe ancora lottare per restare in serie A. E Setti fare (l’ennesimo) strike.
MA IL PROBLEMA È NASCA O SETTI?
Mi rode Nasca. Ho sempre nutrito dubbi sulle modalità di utilizzo del Var, che è strumento utile, ma va riformato e usato per le situazioni oggettive e geometriche (per esempio il fuorigioco), con slot invece limitati per le situazioni di contatto fisico. E’ acclarato che gli arbitri, da quando c’è la tecnologia, non decidono più: anzi, sembrano la copia sbiadita della giovanissima Ambra degli anni 90 che dall’auricolare veniva “telecomandata” da Boncompagni a Non è la Rai.
Però in tutto il marasma di San Siro fa rumore anche il consueto silenzio del nostro presidente Setti, che quando butta male generalmente non si espone. Al contrario di Sogliano, che è andato a metterci la faccia con dichiarazioni forti che probabilmente non lo aiuteranno a fare carriera e gli sono già valse un procedimento della procura federale.
Peraltro, a proposito di Setti, una riflessione di più ampio respiro ora, a freddo, va fatta. Ha ragione Sogliano, il Verona, anche se è un piccolo club di serie A, merita rispetto. Ma qui siamo nel campo della morale, che sappiamo non essere la virtù preferita del calcio professionistico; o del romanticismo, che nutre l’anima ma non trova riscontro nella cinica realtà. Allora voliamo rasoterra, come le rondini quando annunciano pioggia, e ragioniamo con il dovuto disincanto e con un pizzico di spirito provocatorio: è possibile godere del rispetto del “Palazzo”, dal momento che il primo che sembra non rispettare il Verona e i suoi tifosi è il nostro presidente? Un presidente che dopo anni a spiegarci che lui vendeva i giocatori migliori per salvare il bilancio, nell’esercizio 2022-23 presenta una perdita per oltre 11 milioni (nonostante in quell’esercizio i ricavi siano stati oltre 98 milioni, tra cui 31 per plusvalenze e 34 milioni di diritti tv). Un presidente che nella vicenda giudiziaria versus Volpi e con le azioni del Verona sequestrate paga oggi il suo “peccato originale” mai chiarito del tutto circa i controversi rapporti con il magnate ligure. Un presidente che ha la sua storica azienda tessile in concordato preventivo. Un presidente che, dopo un’estate con un calciomercato senza budget e mentre il Verona (che ha già forti limiti tecnici di suo) è in piena lotta salvezza, anziché rinforzare la squadra è costretto a indebolirla ancor di più cedendo Hien e Terracciano (e chissà chi altro da qui a fine gennaio).
Ecco, non vorrei che le vergogne di Nasca distogliessero l’attenzione dalla sostanza e dal cuore del problema del Verona. Che per chi scrive è un presidente debole e non più all’altezza del suo compito.
SETTI HA ANCORA LA FORZA DI RESTARE?
Ha alzato la testa, Maurizio Setti. Puntualizzando, anche un po’ risentito, nel monologo senza contraddittorio per i 60 anni del Bentegodi, che farà ancora parte della storia del Verona. Cos’è, un rilancio in grande stile? O l’ultimo afflato di chi non si rassegna al mutare delle cose, dei tempi e finanche delle ultime vicende giudiziarie? Si profila un Setti che può tornare a investire con i budget di inizio presidenza, o del secondo anno di Juric e della stagione di Tudor, oppure che rimane sì, ma come semplice socio di minoranza di una nuova proprietà? O invece quelle dichiarazioni sono un tentativo di alzare la posta nella trattativa della cessione del club?
Domande che in una conferenza stampa magari gli sarebbero stare poste, aspetti che certamente il presidente del Verona dovrebbe chiarire. Anche perché le sue parole, di per sé, non smentiscono nulla in merito alle notizie che si rincorrono sul futuro della società. E le ultime vicende legate alla procura di Bologna (leggi il sequestro delle partecipazioni sociali in HV di proprietà di Star Ball s.r.l.) certamente non contribuicono a rafforzarne posizione.
Va detto che fa piacere scoprire improvvisamente che Setti è orgoglioso di appartenere a una storia che di rado ha valorizzato e che talvolta ha dimostrato perfino di non conoscere (leggendaria e indimenticabile la gaffe in tv da Marzullo sull’Hellas Verona fondato dagli studenti greci), tuttavia permettetemi di sottolineare i tempi sospetti (date le notizie e i rumors sulla cessione…) di questa rivendicazione di appartenenza, che sembra più amor proprio che per il Verona. L’impressione è che il Ranzani che fu (che nostalgia per le stravaganti mirabilie del modello Borussia…), oggi, anche dialetticamente, sacrificato a quest’era dimessa, tenti di procrastinare quel che prima o poi appare ineluttabile.
I fatti raccontano di un Verona per il secondo anno consecutivo costruito praticamente a zero budget, con scommesse o incompiute, e campionati da fondo classifica. Nel frattempo, Setti ha visto andare in concordato preventivo la sua azienda, ora il sequestro preventivo. Siamo in serie A dopo uno spareggio e grazie a un livello generale sempre più modesto. Ma non può durare per sempre e la fortuna non ti assiste ogni anno. A suo tempo criticavo il piccolo cabotaggio settiano, adesso siamo oltre, probabilmente alla modesta e affannata sopravvivenza.
Perciò suggerirei un cambio di prospettiva nel ragionare sul futuro del Verona: indipendentemente da ciò che Setti vuole, cosa Setti davvero può? Tradotto: ha ancora la forza (economica e politica) di restare? E’ questa la domanda cruciale.
FATE PRESTO E (POSSIBILMENTE) BENE
Tutto è così surreale. Mentre parliamo di Baroni, del punticino strappato per i capelli a Udine, non sappiamo ancora del domani. Di cui, come diceva il Poeta, non v’è certezza, ancor meno con una trattativa da oltre cento milioni, che viene data a un passo dal closing, per la cessione di Setti della maggioranza del Verona. Setti che dovrebbe restare con una quota di minoranza e un ruolo operativo: la sua smentita non smentita (“continuerò a far parte della storia del Verona”), durante le celebrazioni dei 60 anni del Bentegodi, avvalora questa ipotesi.
Ma è faticoso discorrere e scrivere di ciò che ora ha tutta l’aria di essere provvisorio, precario, liquido. Baroni con due pareggi rocamboleschi ha messo la testa sopra l’acqua (per fortuna non era questione di modulo…), eppure si parla di De Rossi come tecnico già opzionato dalla nuova proprietà anglo-americana che, dai nomi del management che sono usciti, rimanda tanto al vecchio Genoa dell’era Preziosi. Sogliano, al momento, è bloccato e non può programmare il mercato di gennaio: domanda, sarà lui a condurlo con pieni poteri? Il ritorno di Marroccu non è mai stata smentito e, anzi, viene avvalorato da settimane da più organi di stampa nazionali. Tra l’altro, quanto può incidere un diesse dimezzato (dai media) nello spogliatoio?
Quel che è certo è che questo limbo transitorio crea disaffezione nella gente e distrae i calciatori, a cui non si può rimproverare l’impegno, ma che sono pur sempre professionisti. Meglio che si faccia chiarezza in fretta e si delinei a breve il nuovo equilibrio. La preghiera è proprio questa: fate presto e (possibilmente) bene.
VUOTO DI POTERE?
Mentre si rincorrono le voci (mai smentite) su una cessione della società a un passo dall’esser definita, la domanda – avrebbe detto Lubrano – sorge spontanea: chi comanda oggi nel Verona? Setti, o i nuovi investitori? O, in attesa di metter nero su bianco, nessuno?
L’impressione è che questa fase di transizione celi un vuoto di potere che certamente non è un fattore aggregante per allenatore e squadra. Sia chiaro, qui non vogliamo creare alibi a Baroni, che siamo stati i primi a criticare e sul quale non cambiamo giudizio (non ha il temperamento adatto alla piazza, ha perso il contatto con la squadra e paga, in termini di credibilità, il peccato originale estivo di non aver difeso il suo sistema di gioco, quindi le sue idee); piuttosto vogliamo spostare l’obiettivo fotografico più in alto, al centro della cabina di comando, per arrivare alla sostanza. Al riguardo un suggerimento forse ce lo dà la stessa conferma di Baroni, oggettivamente indifendibile dopo l’ottava sconfitta nelle ultime dieci partite (la quinta di fila): tenere Baroni sembra il segno di un non voler (poter?) decidere più che di una reale fiducia per il tecnico toscano.
Poi fa riflettere che il direttore sportivo Sean Sogliano, uomo di temperamento e solito metterci la faccia, una personalità carismatica capace di caricarsi sulle spalle gli oneri e mai rivendicare gli onori, nonostante una crisi così profonda stia mantenendo un atteggiamento low profile, coperto, taciturno (in pubblico, sia chiaro). Nel frattempo non aiutano a rafforzare la sua posizione i rumors, con tanto di articoli di stampa (ancora una volta mai smentiti da Setti), di un Marroccu già direttore ombra. Dal canto suo Setti, mai avvezzo ad apparire in pubblico, questo giro sembra molto sulle sue anche nella quotidianità in sede, quasi che fosse in altre faccende affaccendato.
Sta di fatto che mentre pensiamo a Baroni e parliamo di Baroni, magari ci sfugge qualcosa di più profondo e importante. Vada come vada, meglio fare chiarezza al più presto, l’incertezza societaria si riverbera sulla squadra.
LA MODESTIA DI BARONI SEGNO DELLA POCHEZZA SOCIETARIA
Chi scrive ha sempre nutrito perplessità su Baroni, poco adatto caratterialmente alla piazza di Verona e ancor meno alla (non) programmazione del presidente Setti. Sarebbe servito un allenatore (anche delle categorie inferiori) di forte personalità, capace di ricostruire sulle macerie dello scorso anno e di dare una marcata impronta tattica alla squadra. Il Verona necessitava di ripartire da allenatore anche “creativo”, perché “creativo” è stato il mercato a costo zero del direttore sportivo Sogliano, che anziché puntare su giocatori di esperienza, ma dalle qualità modeste, ha preferito prendere vari giocatori di talento (Bonazzoli, Suslov, Tchatchoua, Serdar, più Duda e Ngonge arrivati a gennaio) , ma inesperti, o giù di condizione (vedi Serdar), o da recuperare caratterialmente (Bonazzoli), o da costruire tatticamente (Ngonge). Una “babele” che andava ordinata disegnando una squadra, puntando innanzitutto su un blocco di giocatori (i più dotati) da accompagnare nella buona come nella cattiva sorte.
Baroni invece ha fatto l’esatto opposto: si è subito adeguato all’ancien regime (vedi modulo e conservazione dei desiderata dei senatori) e ha palesato confusione, con continui rimescolamenti di carte, cambi di giocatori e di posizione degli stessi. Morale? La squadra è smarrita, senza identità, debole tatticamente nelle due fasi e adesso i giocatori sembrano perfino demotivati.
Cinque sconfitte di fila e due punti nelle ultime partite non sono frutto del caso e sarebbero motivo di esonero dovunque, mentre Baroni avrà un altro bonus a Genova. Non so però quanto Marassi, al di là del risultato di una partita, che può anche essere casuale, potrà improvvisamente smentire i problemi strutturali dell’Hellas. L’impressione, al di là dell’allenatore, è che non si vede la capacità del club di sovvertire l’andazzo, quasi che Setti abbia la testa affaccendata altrove (cessione della società?) e che Sogliano lavori con le mani legate. La certezza invece è che il Verona, con Setti, può vivere solo di salvezze risicate e fortunose nel migliore dei casi. La modestia di Baroni, in fin dei conti, è la spia della pochezza societaria.
UN VERONA ANCORA IN CERCA DI IDENTITÀ (LA SQUADRA HA QUALITÀ PER NON SOFFRIRE)
Sosta propizia. Al Verona serve ancora tempo per trovare amalgama e identità. Baroni, per il momento, non ha trovato né l’uno né l’altra. Troppi cambi di formazione, un turn-over da mal di testa in attacco, un equivoco di fondo sul modulo (equivoco che ci trasciniamo da più di un anno).
Ha senso, per le caratteristiche della rosa a disposizione, continuare a schierarsi con i 3 dietro e i cinque (4+1) in mezzo? Non abbiamo laterali adeguati (Doig è infortunato , Faraoni e Lazovic non hanno più la gamba per quel ruolo, Terracciano non è un esterno puro), al contrario, abbondiamo di centrocampisti centrali e mezz’ali; pertanto si potrebbe (dovrebbe?) pensare di giocare con il 4-3-1-2, quindi i tre in mediana più un trequartista, a supporto di due punte. Un modulo che permetterebbe di coprire le spalle a Suslov e recuperare anche Serdar (schierato tra Duda e Folorunsho), uno che a 26 anni ha già debuttato nella nazionale tedesca e disputato 180 partite in Bundesliga.
Riguardo all’attacco, chiariamoci subito: il Verona, è vero, non ha il bomber da 15 gol (ma chi ce l’ha nella media-bassa classifica?), tuttavia ha tanti giocatori che vedono la porta, anche a centrocampo. Bonazzoli, Ngonge, Folorunsho, Duda, Suslov possono realizzare 7-8 gol ciascuno, lo stesso Serdar 4-5 gol li ha spesso messi a referto. Pertanto aver segnato cinque gol in otto partite significa che problema tattico c’è. Usciamo anche da un misunderstanding: Bonazzoli e Ngonge sono due punte di movimento, di profondità, non due falsi nueve da far manovrare e schierare spalle alla porta. Così non servono a nulla e, anzi, li perdi mentalmente. Possono giocare assieme, perché Ngonge può incidere più centralmente e Bonazzoli più sull’esterno a convergere, ma è possibile anche alternarli con Djiuric come riferimento boa (lui sì attaccante di manovra). Lazovic, a 33 anni, con la tecnica che ha, lo puoi recuperare come vice Suslov (è nato trequartista nella Stella Rossa). Le soluzioni, insomma, ci sono.
Certamente Baroni ha bisogno di tempo, avendo avuto a dispozione la squadra a fine mercato (ma questo è un problema di tutti gli allenatori). Però deve avere la personalità di credere in una costruzione tattica che sia la migliore per la squadra, non per i soliti senatori. Squadra che sul piano qualitativo non è certamente da parte sinistra della classifica, ma che può ambire a non soffrire più del dovuto (13-15 posto).
SETTI LASCIA? QUALCHE INDIZIO LO FA PENSARE…
Più che le voci, che si continuano a rincorrere, c’è un fatto che alimenta le possibilità che Setti possa passare la mano: il mutamento di strategia e il rafforzamento di potere contrattuale che si è registrato nell’ultima settimana di calciomercato.
Il Verona era destinato a cedere i suoi due calciatori più quotati, Hien e Ngonge, o almeno uno dei due. Invece, nonostante il rilancio delle offerenti, sono rimasti entrambi. Un cambio di passo inusuale rispetto a come ci ha abituati negli anni Setti, tradizionalmente pronto a vendere un calciatore alla prima occasione (a parere di molti anche sotto-prezzo, vedi i casi di Jorginho o più recentemente di Simeone).
Delle due l’una: o Setti, senza più i debiti da ripianare di Manila Grace (ceduta al gruppo Casillo), è più sereno sul piano contabile-economico e non ha l’urgenza di fare plusvalenze a qualsiasi condizione; oppure c’è già un accordo di massima con il fondo d’investimento che – a detta delle indiscrezioni giornalistiche (questa volta non smentite) – gli dovrebbe subentrare nel Verona entro fine anno e che potrebbe avergli dato l’input di non vendere i pezzi pregiati (retroscena: l’allenatore Baroni dopo Ferragosto, in sede, ottenne rassicurazioni che nessun calciatore importante sarebbe stato venduto) .
Altri indizi suggeriscono la possibile vendita del club: detto di Manila Grace, non più sotto il controllo del suo fondatore, Setti ha ceduto anche le quote del Mantova. Se da un lato questo potrebbe indurre a pensare che l’imprenditore di Carpi si concentrerà sul Verona, dall’altro è assodato che si è spezzata la catena di interessi interdipendenti che aveva costruito. Aggiungo che Setti, al di là della facciata ranzanesca da ganassa che talvolta mi sono divertito ironicamente a canzonare, è uomo della Bassa modenese, un tipo pragmatico che sa far di conto. Tradotto: al di là degli alti e bassi e dei chiari di luna finanziari che hanno caratterizzato le sue gestioni (a mio avviso non sempre trasparenti), ho sempre considerato Setti uno di quelli che cade in piedi e che non si fa fagocitiare dall’ego (nonostante ne abbia in abbondanza). Ergo, appena si accorge che non è più aria (per mutate condizioni economiche, interessi, rapporti), il minuto dopo lascia e saluta. Che sia arrivato il momento?
LA VERA IMPRESA È RETROCEDERE. PER QUESTO SETTI, ADESSO PIÙ FORTE, CONTINUERÀ A SPENDERE POCO
Peggio del fantacalcio, c’è il calciomercato estivo, che è il passatempo degli onanisti. I quali trascorrono l’estate tra voci, ipotesi, nomi buttati a casaccio e illusioni. Inutilmente. Infatti, si sa, che tutto si decide nell’ultima settimana di agosto, quando si arriva al vedo e non si dissimula più. Al fotofinish si abbassano i prezzi e si concretizzano le operazioni vere. Pertanto non serve a nulla, ora, star qui a commentare le amichevoli estive, poco attendibili, o dare giudizi sul Verona. Aspettiamo settembre. Quello che si può già dire è che Saponara è una buona operazione; Lazovic, con il modulo di Baroni, che predilige squadre corte, offensive e con esterni-trequartisti tecnici, può essere ancora determinante; spero rimanga Ngonge e va indovinato il centravanti.
Rispetto a un anno fa però abbiamo un direttore sportivo vero e un allenatore che forse non entusiasma le folle ma è calcisticamente normo-dotato. Non è poco dopo i casini della stagione scorsa. Per la mia generazione, poi, Baroni è anche un sentimento: stopperone-goleador del Verona di Perotti 1995-96, squadra dei miei 15 anni che ci riportò in serie A dopo tre stagioni di anonima cadetteria con Reja e Mutti. Ma soprattutto c’è un fatto nuovo in casa Setti, il quale ridimensionandosi (ha ceduto il Mantova e non ha più in mano la sua azienda tessile), paradossalmente potrebbe trarre nuove energie da mettere nel suo vero core-business, il Verona. Non ho mai creduto alle voci di cessione della società, semmai quella sarebbe stata un’eventualità più probabile con la retrocessione. Setti, anzi, è più dentro che mai al Verona. La sua sarà ancora una gestione minimalista (il famoso piccolo cabotaggio di cui parlavo anni fa) in un campionato che effettivamente richiede il minimo sindacale per salvarsi, nel quale la vera impresa è retrocedere. Quindi, dal suo punto di vista, perché cambiare?
Ecco, non parlatemi più di quota salvezza a 40 punti. Forse a qualcuno basta un selfie in ritiro per cambiare idea, ma temo che le sofferenze dell’ultima stagione non abbiano insegnato nulla al presidente, anzi, semmai hanno avvalorato il suo metodo: spendendo quasi zero e incassando, si è comunque salvato, per giunta sbagliando il ds (Marroccu) e ingaggiando tre allenatori inadeguati e con zero esperienza di serie A (salvo solo Zaffaroni, che con il suo buon senso ha limitato gli errori di Bocchetti, non a caso la migliore partita è stato lo spareggio con lui solo in panchina). Tradotto: con Sogliano e Baroni, che sanno lavorare, si può continuare placidamente nell’eterna spending review.
UNA SALVEZZA FIRMATA SOGLIANO. MA ORA BISOGNA DARLE UN SENSO (E UN FUTURO)
Si festeggia. Il calcio è sentimento di popolo, non importa per cosa si lotta. Può essere una finale di Champions, o un lugubre spareggio nel “non luogo” del Mapei Stadium (curve piene e il resto dello stadio vuoto, i tentennamenti della Lega Calcio hanno creato uno scenario non degno della serie A). Di partite da dentro e fuori, poi, la storia del Verona è ricca. Sappiamo cosa vuol dire soffrire, piangere o gioire. Da Reggio (Calabria) a Reggio (Emilia), solo per restare ai tempi moderni.
Ora è gioia. All’ultimo respiro, dopo mesi stonati, scelte disgraziate, partite orribili. Ma i sentimenti non sono razionali, per fortuna: puoi star lì a incazzarti per Setti, l’allenatore, il mercato, ma poi c’è il Verona, l’icona, la Grande Istituzione, che prescinde dagli uomini e dalle piccolezze del tempo corrente.
Dopo la festa, ci saranno i bilanci, i ragionamenti, il futuro. E la madre di tutte le domande: cosa significa aver mantenuto la serie A? Questa salvezza è il cavallo di troia per un rilancio, o l’anticamera di una nuova agonia? Setti resta, rafforzato dalla nuova barcata di soldi dei diritti tv; oppure i guai finanziari della sua azienda aprono le porte per una cessione anche del Verona?
Nel 2007 lo spareggio perso con lo Spezia fece sprofondare il Verona in C, ma soprattutto in una palude societaria da cui ci ha risollevato Martinelli (la promozione di Salerno segna la rinascita, consolidata dai play off in B l’anno seguente). 16 anni fa fu il punto più basso della nostra storia. Sarebbe bello che, ora, lo Spezia rappresentasse invece l’anno zero di un futuro più roseo per il Verona. Cioè di una stabilità economica e di un progetto sportivo e infrastrutturale degno della serie A. Tutte cose che Setti, simpatico o antipatico, non può garantire.
L’auspicio, insomma, è che le prodezze di Ngonge e di Montipò e la grinta di Sogliano (l’avete visto come si agitava in panchina nel finale di partita?) non siano effimere. Finita la festa, va trovato un senso a questa miracolosa salvezza.
P.s. La prima firma di questa salvezza è di Sean Sogliano. Perso e ritrovato, è una sorta di figliol prodigo del Verona dell’epoca moderna. Trovatosi blindato Bocchetti dalla precedente (fallimentare) gestione, ha scelto la miglior soluzione possibile in quel momento, ergo Zaffaroni, per aiutare il giovane allenatore. Ha preso Ngonge e ceduto qualche piantagrane a gennaio. Ma soprattutto ha rimotivato una squadra che era appassita e imbolsita. Ripartiamo da lui.