CAMPEDELLI DEVE TORNARE A FARE CALCIO

Il Chievo torna in serie B. E’ la seconda volta che succede negli ultimi diciassette anni e questa è una medaglia che il presidente Luca Campedelli si può appuntare sul petto perchè salvarsi in serie A è un’impresa che non può mai andare sotto la voce normalità quando si tratta di una piccola società come quella clivense. Ma questa retrocessione è diversa. Il Chievo, questo Chievo, è una squadra che costa un’eresia e che vale pochissimo. E’ una squadra arrivata al capolinea che ha fatto persino peggio del pessimo Verona di Pecchia dell’anno scorso. Campedelli ha sbagliato tutte le scelte: prima D’Anna, poi la farsa di Ventura, infine Mimmo Di Carlo, l’unica mossa azzeccata che almeno ha ridipinto la facciata con dignità.

Ma la cosa peggiore è che il presidente del Chievo ha smesso di fare calcio. Si è cullato davanti all’idea che bastasse confermare il vecchio gruppo per mantenere la serie A e alla fine i nodi sono venuti al pettine. E’ assurdo che solo da un paio di stagioni, a buoi ampiamente scappati, Campedelli e il suo staff abbiano deciso di lanciare dei giovani e questo a dispetto di un campionato Primavera vinto e tanti campionati in cui la salvezza era ampiamente conquistata prima delle giornate finali.

I bilanci ne hanno pesantemente risentito. Vecchi arnesi sono stati pagati eccessivamente per il loro valore, e il problema delle plusvalenze è emerso in maniera prepotente, sebbene strumentale, trattandosi di una pratica che tutte le società, nessuna esclusa, applica ai propri bilanci. Ma il Chievo ha evidentemente esagerato. Avesse fatto almeno giocare in serie A qualcuno di quei ragazzi, avrebbe sicuramente giustificato il loro valore eccessivo.

C’è tempo comunque per rimediare, anche se Campedelli non avrà grandissimo spazio di manovra. Il Chievo ha bisogno di una profondissima ristrutturazione. Dopo tanti anni, in cui il solco era chiaro e ben tracciato, ora c’è bisogno di ridarsi un obiettivo. C’è bisogno di tornare a fare calcio, anche in maniera spensierata com’era quel primo Chievo che tanta simpatia aveva attirato. C’è bisogno di bel gioco, di un bravo allenatore con idee moderne, di gente che sappia pescare nelle categorie più basse ancora prima che all’estero, da dove in questi anni sono stati imbarcati giocatori imbarazzanti.

E’ un’occasione per ripartire, Campedelli non può sprecare altro tempo. Da domani deve pensare al futuro, guardando al suo passato. Basta rivolgersi lì e le risposte ci sono già tutte.

VIA SUBITO GROSSO SE NON SI VUOLE AFFONDARE COMPLETAMENTE

Cala la notte sul Verona. Come era evidente da tempo. A Palermo si dice probabilmente addio alla serie A diretta, un fallimento scandaloso per una società che ha goduto della ricchezza di uno spropositato paracadute, arrivato dopo l’indegno campionato scorso in cui il Verona naufragò senza onore, calpestando la storia e infangando la maglia. Ce ne sarebbe a sufficienza per sperare in dimissioni di massa da parte dei responsabili di tutto ciò, ma sappiamo di chiedere troppo. Basterebbe solo che Setti aprisse veramente gli occhi e la finisse con quell’assurda prosopopea che lo sta affossando campionato dopo campionato. Ci fosse solo un barlume di buona fede, Grosso e la sua scarsa combriccola, il ds D’Amico e il direttore operativo Barresi, da domani mattina sarebbero sostituiti. Un atto che riporterebbe un mimino di entusiasmo in una piazza che davvero non ne può più.

Setti è riuscito nella più grande impresa al contrario che sia mai riuscita ad un presidente del Verona: far perdere la passione ad una città che ha sempre mangiato pane e Hellas. Contornandosi dei peggiori collaboratori che siano mai sbarcati in questa città, tanto da far rimpiangere gente come Pastorello e Cannella, il presidente del Verona ha perseverato nell’errore. Dopo aver affidato la squadra a Grosso, non l’ha cambiato e questo è stato l’atto divisivo che non gli verrà mai perdonato.

Inutile girarci attorno tanto: se si vuole andare veramente in serie A, Setti deve cambiare subito. E’ l’ultimissima possibilità che gli viene offerta da questo mediocre campionato, prima di andare a sbattere in maniera irreversibile. Sempre che a Setti importi qualcosa del Verona. E di questo, visto le ultime vicende, dubitiamo fortemente.

INUTILE PAREGGIO

Serviva vincere. E basta. E non perché il destino ti è avverso o la critica è feroce. Serviva vincere perché prima hai fatto schifo. Serviva solo quello. Del Verona che se la gioca alla pari del Brescia (e ci mancherebbe, la corazzata del campionato dovevamo essere noi…) non ce ne frega niente. La squadra di SETTI-GROSSO-D’AMICO è arrivata a questa gara con un cappio al collo che lei stessa si è costruita durante questo campionato fatto di delusioni e mancate occasioni. Per togliersi quel cappio (che ora si sta stringendo sempre di più) serviva un’impresa. C’è poco da fare. Invece è finita con un’altra delusione, l’ennesima.

Ora resta solo da vedere come andrà con il Palermo ma è meglio mettersi via l’idea di andare direttamente in serie A. Servirà molto probabilmente il supplemento della roulette play-off, ma se così fosse, non si può non notare il fallimento di un progetto che affonda le sue origini nel vergognoso campionato dello scorso anno. Quello è il momento zero, quello è anche l’esatto momento in cui parte questo Verona di Grosso. Setti ha dato continuità al fallimento di Fusco promuovendo il suo braccio destro Tony D’Amico e ingaggiando Fabio Grosso che altro non era che l’alter ego di Pecchia. E’ stata ignorata la piazza, si è voluto andare allo scontro totale. E il risultato è che questa gestione ha creato disaffezione, disillusione, lontananza. Tutti sentimenti che sono persino peggiori della sana rabbia. Serviva qualcuno che voltasse pagina, invece tutto appare come una fotocopia (a volte persino più brutta) della scorsa stagione.

Una squadra che balbetta, che si perde in un bicchiere d’acqua, incapace di avere un sussulto. E’ come se Grosso con i suoi pareggini ci tenesse in un’eterna condizione di mediocrità. Un sussulto per la verità c’è stato in questo campionato, un altro triste deja vu della scorsa stagione: quando è arrivata la vittoria di La Spezia a salvare la panchina di Grosso, forse solo fintamente messa a rischio. Intanto, nella migliore tradizione, ora si rimetterà al domani quello che non è stato oggi e ieri. Tanto mal che vada potranno tutti andare a fare calcio nella vicina Mantova.

LO SFINIMENTO

Hanno vinto loro. Alzo bandiera bianca. Mi rassegno. Ci hanno logorato e alla fine hanno vinto. Ha vinto la noia, il tiki taka, la sensazione che questo non sia più il Verona, la squadra della mia città. Ha vinto Setti, ha vinto Barresi, hanno vinto i leccaculi e i lacchè pronti a leccare i piedi e le mani al prossimo che offrirà loro un piattino di questa merda.

Ha vinto Grosso e il suo sguardo perso nel vuoto, ha vinto l’arroganza di D’Amico, capace di fare il permaloso con chi ha cercato di denunciare lo schifo da lui costruito. Hanno vinto i bilanci e il calcio dei Lotiti, delle doppie squadre, del paracadute milionario.

Hanno vinto i media event ad invito, gli auguri a qualsiasi cretino passi per strada, i coreani che sbandierano felici in Curva con le loro bandierine. Hanno vinto loro. Questo è il calcio che hanno voluto. Finisco dicendo che vedere Pazzini inserito stasera all’83’  è stata la cosa più scandalosa che abbia mai visto su un campo da calcio. Tenetevi questo schifo, noi momentaneamente abbiamo altro da fare.

CHI VIVE SPERANDO MUORE…

Il detto lo sapete tutti, non serve che ve lo ricordi. Il problema è che qui è una vita che speriamo.

Grosso spera di migliorare, Setti spera che la scelta di Grosso sia giusta, noi speriamo sempre nella prossima partita.

Il problema è che continuiamo a sperare, senza se e senza ma. C’è chi spera che Danzi sia una futura plusvalenza, che Di Carmine faccia 25 gol anche quest’anno, chi spera che possa tornare Malesani, chi spera che Pazzini non stia più in panchina e che Marrone sia sempre squalificato. E naturalmente c’è chi spera nel ritorno di Matos, che Lee detto Bruce possa essere un crack, chi spera in un domani migliore senza Setti e chi spera in una proprietà veronese.

Siamo l’esercito della speranza, il popolo del “domani sarà meglio di oggi”. E naturalmente la nostra speranza è puntualmente tradita. In mezzo a tanti dubbi ci sono delle certezze. I 25 milioni di paracadute che entrano anche quest’anno, la strafottenza di D’Amico, i prossimi dieci milioni di paracadute. Possiamo pure morire su un wc. Speranzosi, ma felici.

IL SOLITO VERONA

Ma quale crescita, quale scintilla, quale autostima ritrovata… La verità è sempre quella: il Verona non è mai cambiato. Dopo due discrete partite, ecco il solito Verona. Lento, lezioso, prevedibile. Ti aspettavi il salto di qualità, invece è arrivata l’ennesima delusione. L’Ascoli ha fatto un figurone, meglio dirlo subito, il risultato va strettissimo ai marchigiani. L’incapacità di Grosso di creare movimenti che sorprendano gli avversari è ormai nota. Così come l’assurda rotazione degli uomini. Prendete la difesa dove è tornato Marrone, ripiombata come d’incanto nei vecchi difetti, nelle solite incertezze, nelle amnesie che ne hanno caratterizzato il campionato. Cinque tiri in porta dell’Ascoli contro i due del Verona. La fotografia del match sta tutta qui.

Ora sappiamo già gli argomenti che verranno usati per spiegare questa litania: 1) il campionato è ancora lungo. 2) L’avversario era fortissimo. 3) La squadra comunque lavora sempre per migliorare. 4) Ci rifaremo alla prossima. Nel frattempo il campionato sta inesorabilmente scappando di mano. L’unico dato che mantiene l’ago verso l’ottimismo è che stiamo assistendo ad uno dei peggiori tornei di serie B degli ultimi anni, così livellato verso il basso, che persino questo Verona impacciato, noioso e indisponente è ancora lì che può sperare nella promozione diretta. Ma è davvero troppo poco. Basta solo che una delle nostre avversarie si mette un attimo a marciare con regolarità e noi la A la vediamo col binoccolo. Setti che aveva ingaggiato Cosmi, tranne poi riconfermare Grosso, ormai non può più fare niente. E questa francamente è la cosa che più di tutte crea rabbia e disamore nella gente.

QUELLO CHE (NON) SAPPIAMO SUL NUOVO STADIO

Il primo presupposto che un nuovo impianto sportivo deve avere è che ci siano delle squadre che lo facciano vivere e che ci giochino dentro. Banalissimo, ma non scontato. Nell’attuale Bentegodi ci giocano Verona e Chievo che riempiono il gigantesco impianto in minima parte per diversi motivi.

L’amministrazione comunale ha messo le basi per la costruzione di un nuovo impianto. Quello che sappiamo è che sarà costruito da imprese esterne alle due società, che resterà di proprietà comunale, che sorgerà nell’area dell’attuale Bentegodi e che nessuna offerta è stata presentata fino ad oggi. Si sa anche che ci sarebbe un fondo interessato alla costruzione, rappresentato dall’ex del Verona Thomas Berthold.

Ora qui non ci interessa tanto animare un dibattito sulla necessità di costruire o meno un impianto del genere. Ci interessa sapere se tutto questo sarà un volano per portare in alto l’Hellas Verona e dare alla società risorse che non siano solo quelle legate ai diritti televisivi, un meccanismo perverso con l’assurdo premio a perdere del paracadute che ha creato in questi anni solo disaffezione e pensieri oscuri nella tifoseria (ipotizzando retrocessioni programmate con squadre costruite con un basso monte ingaggi solo per intascare poi la lauta “ricompensa”). La risposta è semplice: assolutamente no. E vi spieghiamo perché: poiché non pensiamo che eventuali costruttori possano elargire denaro senza avere niente in cambio, è chiarissimo che chi costruirà lo stadio vorrà avere a propria disposizione, come minimo, la gestione dell’impianto e gli spazi commerciali che verranno creati (bar, centri commerciali, cinema) per tutta la lunghissima durata del contratto.

Verona e Chievo, quindi, a fronte di una riduzione ipotizzabile del canone d’affitto, non potranno più ricavare potenziali risorse da quello che per altre società è invece un asset fondamentale: appunto uno stadio di proprietà. Senza contare che l’appeal commerciale di Verona e in misura minore del Chievo, in presenza di un impianto che non è di proprietà delle società, nel momento in cui dovessero essere cedute, sarebbe notevolmente ridotto. Quale investitore sarebbe pronto a investire su società calcistiche che abbiano precluso il progetto di uno stadio di proprietà?

C’è poi la questione iniziale: chi giocherà in questo nuovo impianto? Il Verona che sta toccando il minimo storico di coinvolgimento della propria tifoseria, con un presidente contestato e lontanissimo dalla città, incapace di investire proprie risorse quando la situazione lo richiede? Il Chievo che sta tornando in serie B e deve ripensare completamente il proprio modello calcistico e che ufficiosamente si è già tirato fuori dalla questione nuovo stadio? Il rischio di costruire una cattedrale nel deserto insomma è fortissimo con questi presupposti.

A meno che non ci sia qualcosa che non sappiamo e che il sindaco Sboarina, animatore di questa idea e grande tifoso del Verona, abbia in serbo come asso nella manica. Una mossa che renderebbe tutto logico e comprensibile: ovvero che il fondo d’investimento che vuole costruire il Bentegodi sia anche interessato ad acquisire il Verona da Setti. Un Verona forte e proiettato in Europa, stile Atalanta, darebbe un senso anche al nuovo stadio. Altrimenti, se si continuasse con Setti e questa disaffezione, sarebbe solo un’inutile orpello. Lo capiremo a breve.

MA ERA COSI’ DIFFICILE?

Non c’è dubbio che a Perugia sia andato in scena il miglior Verona della stagione. La qualità della vittoria va oltre il gioco. Sono i punti più importanti dell’anno, una vittoria che fa veramente la differenza. Già con il Venezia avevo notato un Verona diverso, in Umbria abbiamo avuto la sensazione che finalmente l’Hellas sia diventata una squadra.

Niente di trascendentale sia chiaro. La gara è rimasta in equilibrio a lungo, con il Verona che teneva il pallino e il Perugia che volontariamente restava coperto. Il gol di Bianchetti ha spezzato l’equilibrio e a quel punto si è giocata la partita. Il Perugia non cambiava il copione e non solo per demeriti propri ma anche perché il Verona occupava bene tutte le zone del campo e continuava a pressare. E’ in quel momento che la squadra gialloblù ha vinto il match.

Non si è accontentata, capendo che il Perugia andava azzannato fino in fondo e ha segnato il 2-0. La sofferenza finale è arrivata improvvisa, un monito a ricordare di non fare troppo gli altezzosi.

Questa vittoria ha un’altra qualità rispetto ad altre. Questo per dire a Grosso che non siamo deficienti e per spiegargli che quando vediamo il Verona giocare bene lo diciamo e basta. Ci sentiamo più deficienti quando vogliono raccontarci quella dell’orso e farci credere che Gesù è morto per il freddo.

Ora il Verona c’è e toccherà alle altre rispondere a questo rientro scaligero ma nell’aria resta la domanda della stagione: ma era davvero così difficile?

UNA SCINTILLA

Chi mi legge sa benissimo che non sono mai stato tenero con questa squadra. Il Verona di Grosso non mi ha mai convinto. Non mi piace il gioco proposto da questo allenatore, non mi piace il possesso palla fine a se stesso, il gioco orizzontale ai due allora, non mi piace il turnover esagerato. Non ho mai capito alcuni commenti entusiasti dopo vittorie arrivate per caso e per fortuna.

Per la prima volta in questo campionato, credo, stasera ho visto qualcosa di diverso. Una piccola scintilla, piccolissima, in una partita contro un avversario modesto e rabberciato. Niente che mi faccia esaltare, ci mancherebbe, ma sicuramente qualcosa che va annotato tra le cose positive. Il Verona mi è sembrato più squadra, più gruppo, con più voglia di vincere e di uscire dalle difficoltà.

Il risultato sta stretto, strettissimo e pareggiare, stavolta avrebbe veramente avuto il sapore della beffa. Dopo il rigore sbagliato da Pazzini non c’è stato il solito titic titoc ma un Verona che voleva comunque chiuderla. Con confusione, ma anche con voglia e determinazione. Forse è stata solo una sensazione, magari sarà colpa della primavera alle porte e di qualche rondine, ma si spera che ora questa scintilla porti ad accendere qualcosa.

E’ più che evidente che ora tocca a Grosso cercare di alimentare questo piccolo fuocherello. A suon di risultati e di vittorie. Ad iniziare da venerdì sera a Perugia.

MA QUANTO VALE IL VERONA SE SI PERDE L’ASSET PRINCIPALE?

Qual è l’asset principale del Verona? Il patrimonio giocatori, azzerato in questi ultimi anni? Il settore giovanile che naviga anonimo? Il centro sportivo che è una chimera da anni? Lo stadio che, semmai venisse costruito, non sarà di proprietà della società?

Non c’è dubbio che la principale ricchezza del Verona, l’unica che ha un peso, e che conta è ancora la passione dei propri tifosi. Se il Verona ha una valenza “politica”, se viene considerata dalle televisioni a pagamento, se conta ancora qualcosa, è perchè gli spalti del Bentegodi non si sono mai svuotati. Sono stati i tifosi a salvare il Verona. Senza quell’eccezionale trasporto, l’Hellas sarebbe già scomparso. Le trasferte oceaniche della serie C, la trasferta di Busto Arsizio per non crollare in C2, gli abbonamenti di massa dopo la retrocessione. Non ci sarebbe marchio senza quella gente. Il marchio del Verona non l’hanno certamente “costruito” i vari gestori della società (compresi alcuni mascalzoni…)  ma solo ed esclusivamente la gente di Verona.

Per questo la china che ha preso il Verona di Setti, la freddezza fino alla disaffezione di queste giornate sta creando un danno irreparabile. Il Verona sta perdendo la passione della sua gente, sta perdendo il suo principale asset. Setti ha spento l’entusiasmo, la scelta di collaboratori inadeguati ha allontanato la città, gli abbonati sono crollati in questi anni, il Bentegodi è sempre più vuoto. “Prima il bilancio” è stato il motto che ha tolto i sogni ai tifosi, il resto lo sta facendo Grosso con una squadra che non riesce a emozionare.

Senza gente, senza passione, allora quanto vale il Verona? Settanta milioni di euro come dice Setti? Cosa acquisterebbe un eventuale acquirente se non il valore di quel marchio che, come è dimostrato, ha valore solo perché ha avuto un incredibile seguito? Il Verona senza tifosi vale zero.