FINALE CON PAGLIACCIATA

La pagliacciata è servita. A due giornate dalla fine, a tempo abbondantemente esaurito, il presidente del Verona Maurizio Setti, facendosi beffe della propria coerenza sbandierata solo qualche giorno fa a lettere MAIUSCOLE, ha esonerato Fabio Grosso. Facile dire che è il fallimento di quel progetto societario (sciagurato) intrapreso la scorsa estate contro il buon senso e contro la gente dopo l’indecente campionato che si era appena concluso. Purtroppo Setti ha deciso di andare a sbattere contro il muro e solo dopo che la macchina si è schiantata e ha sentito il rumore delle lamiere contorte accartocciarsi su di sé, ha avvertito di “avere paura”. Benvenuto sulla terra. Purtroppo in questa assurdo braccio di ferro che Setti e il suo staff hanno voluto fin dall’inizio della stagione, non ha vinto nessuno.

Ha solo perso il Verona. Oggi c’era lo stadio vuoto, la gente non crede più a Setti e alle sue fregnacce. Non crede più, e questo è peggio, che questa società sia ancora l’Hellas Verona. Anch’io non lo credo più. Grosso, con la sua supponenza e la sua arroganza, ha allontanato i tifosi, ha segnato un punto di non ritorno che l’avallo di Setti ha sancito con puntuale accanimento. La colpa, ovviamente non è di Grosso, ma di chi lo ha messo a guidare il Verona. Cose che i lettori di tggialloblu.it sanno benissimo visto che le diciamo fin dall’inizio.

Ora si tratta di capire come Setti vorrà andare avanti. L’occasione che la storia gli presenta davanti è enorme. L’allenatore che sceglierà nelle prossime ore potrebbe essere anche quello della prossima stagione. Potrebbe essere un nuovo inizio, ma noi temiamo, che restando quelli i suggeritori e le teste, si sprecherà un’altra occasione, l’ultima. Gli uomini come insegna anche questa vicenda sono importantissimi. Non è vero che tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Dopo questa enorme pagliacciata, attendiamo, senza fiducia purtroppo, le prossime mosse. Ci fosse un po’ di coerenza non dovrebbe pagare solo Grosso.

UN BRODINO CHE NON SERVE A NIENTE

Come volevasi dimostrare. Come sempre succede dopo una sconfitta purulenta, il Verona reagisce nel tentativo di dimostrare che tutta la squadra, la società, persino i massaggiatori sono con l’allenatore. Il punticino di Pescara è il solito brodino (di dado) che in realtà non testimonia niente. Allontana solamente le (finte) voci di un cambio di panchina (che francamente a tre giornate dalla fine sarebbe stata la pagliacciata conclusiva).

Setti procede con coerenza nel suo progetto calcistico teso ad allontanare la gente di Verona dal Bentegodi, mentre Grosso aggiunge perle alla sua collana di errori stagionali. L’incomprensibile formazione di oggi con la bocciatura di Di Carmine e Pazzini (finalmente vicini, ma in panchina come ha scritto un tifoso durante Alè Verona), con Faraoni out (il migliore quando è entrato), lo spaurito Danzi a centrocampo e la solita difesa in cui su quattro giocatori, due sono fuori ruolo, ha permesso al mediocre Pescara di Pillon di uscire imbattuto dall’Adriatico.

E così si va avanti con il ridimensionamento degli obiettivi, riadattati settimana per settimana allo schifo vigente (CONSAPEVOLEZZA DEL MOMENTO). Fino a consunzione totale delle nostre gonadi.

MODELLO ATALANTA

A tutti quelli che: “Guardatevi intorno: Vicenza, Treviso, Venezia, Padova, Chievo… Solo fallimenti e risultati penosi”. A tutti quelli che: “Meglio tenersi Setti…”. Ecco: a tutti quelli che dicono questo, rispondo semplicemente: “Invece di guardare sempre a chi sta peggio in un terribile gioco al ribasso che denota tra l’altro una scarsa considerazione per il Verona e la sua storia, io guardo semplicemente a chi sa fare calcio, con passione, onestà e competenza”. Non serve andare in Germania per trovare un modello. Basta fare 100 chilometri e trasferirsi nella città di Bergamo. Una città simile a Verona, per bacino d’utenza. Forse anche più piccola. Una città che ama, vive, soffre la propria squadra come facciamo a Verona. Ma che a differenza di Verona non permetterà mai che il nome e la tradizione della propria squadra vengano “profanati” e/o “calpestati” da gestori che dimostrano di non amare quella maglia in modo profondo. L’Atalanta è un punto di riferimento sociale, prima ancora che sportivo. E l’Atalanta è preziosa. A Bergamo, giusto per essere chiari, non permetterebbero mai comunicati come quello dell’altro giorno di Setti. Ci sarebbe una sollevazione popolare della città, del sindaco, dei media, oltre che dei tifosi ovviamente. A Verona il “partito del ribasso”, invece di alzare l’asticella del giudizio, continua a dare credito a chi ha dimostrato di non meritarlo.

A Bergamo si fa calcio e si fa calcio con competenza, trasparenza e onestà. I dirigenti sono gente capace, brava e non inadeguata come a Verona. In cabina di regia c’è Giovanni Sartori, un nome e una garanzia. La squadra è allenata da Gasperini, l’Osvaldo Bagnoli moderno. Il settore giovanile è stato ispirato per decenni da Mino Favini, recentemente scomparso, che aveva l’Atalanta nel sangue. Ora c’è Costanzi che aveva vinto uno scudetto Primavera col Chievo. Si fanno plusvalenze a raffica, giustamente, ma mai per speculare, sempre con un senso alto del progetto sportivo. Si rifà lo stadio, senza messicani, senza piscine, e soprattutto con una squadra fortissima. Non è difficile. Bastano le persone giuste.

L’ASSURDO DIBATTITO SUL BENTEGODI MENTRE IL VERONA AFFONDA

Abbiamo passato un’intera settimana impegnati in un dibattito surreale: il nuovo stadio Bentegodi. Amo Verona, ma a volte, veramente non capisco. Siamo una città meravigliosa ma davvero strana. Non voglio fare polemica con il sindaco Sboarina, non è quella la mia intenzione nè il mio ruolo. Ricordo solo che Sboarina qualche anno fa mi aveva invitato nel suo ufficio e mi aveva illustrato con grande passione l’idea di rifare l’attuale Bentegodi con poca spesa e con molta lungimiranza. Lui era il fiero oppositore della costruzione di un nuovo stadio che in quel momento la sua giunta aveva preso in esame. Ora lo trovo su altre posizioni, ma nemmeno quello mi scandalizza. Si può cambiare idea, per carità, ma bisogna farlo solo se vale veramente la pena.

Quello che non capisco è perché Sboarina in questo percorso legittimi Setti e la sua combriccola. Questa società, purtroppo, non merita credito. E tradisce la fiducia di tutti coloro che in buona fede si avvicinano. Il deserto in cui versava oggi il Bentegodi sancisce il fallimento di Setti e come conseguenza di ogni possibile progetto legato ad un nuovo stadio. Il Verona sta sprofondando in classifica, ma quello che è peggio è che l’arroganza della società sta disamorando i veronesi. Come si può pensare di costruire un nuovo Bentegodi in questa condizione, per di più tagliando fuori un’altra società che a Verona ci ha sempre giocato? Chi andrà a vedere questo Verona nel nuovo Bentegodi?

In qualità di sindaco e “regista” delle vicende veronesi, Sboarina dovrebbe invece aiutare a costruire una seria alternativa a Setti. Smettiamola di dire che a Verona nessuno si fa avanti. Bisogna che ci siano le condizioni giuste e il prezzo giusto e la gente c’è. Ed anche qualificata. E’ arrivato il momento di porre la questione, perché di gare come quella contro il Benevento ne vedremo molte nei prossimi anni se restiamo con questa supponente proprietà. Solo un Verona “forte”, sul modello Atalanta, può giustificare uno stadio nuovo. Le foto di una piscina posizionata sugli spalti di un impianto che dovrebbe essere pubblico e non settario, acuiscono solo il disagio e la lontananza di questo progetto dall’amara e triste realtà di oggi. Lo dico a Sboarina-sindaco, ma anche al Federico-tifoso senza acredine e senza polemica politica che lascio volentieri ad altri. E’ una riflessione profonda, prima che sia troppo tardi.

L’UOMO CHE NON SBAGLIAVA MAI

Fateci caso: più o meno ogni anno di questo periodo, quando hai la sensazione che la stagione sia ormai compromessa, arriva un’esternazione di Setti. Per dire che? Solitamente e in ordine sparso questi concetti. 1) Stiamo uniti. 2) Tutti insieme ce la possiamo fare. 3) I conti sono a posto. 4) Volpi mi ha prestato dei soldi ma non per il Verona (questa svolta in varie forme, mai una uguale alla versione precedente). 5) La squadra è fortissima. 6) L’allenatore è bravo. Tra una riga e l’altra leggi anche: anch’io faccio degli errori. Olà… Allora tu lettore spossato e ormai disincantato dici: dai che ci siamo. Forse stavolta ammette di aver sbagliato. E invece niente. Perché in realtà Setti si assolve sempre. Cosa può aver sbagliato l’infallibile uomo di Carpi? L’allenatore? No perché Grosso, come Pecchia è bravissimo. La squadra? No perché è stata costruita con grande dispendio di mezzi. E poi, come al solito, come quando sei assediato in area di rigore, eccolo rifugiarsi in calcio d’angolo con il più classico degli argomenti: se qualcuno vuole il Verona si faccia avanti. Una specie di ricatto che già l’abile Pastorello usava a ogni piè sospinto e per la verità con tutta altra classe (che a distanza di anni gli va riconosciuta). Cosa vuol dire “chi vuole il Verona si faccia avanti”? Che Setti vende? E chi acquista cosa acquista? Delle fiduciarie sparse per il globo in paradisi fiscali di cui non si conosce la composizione? E a quanto? E l’eventuale acquirente  deve riacquistare anche il marchio che il Verona si è venduto ad un’altra società collegata? E soprattutto: a quanto? Settanta milioni di euro, la quotazione data dallo stesso Setti, è sufficiente ad allontanare anche il più appassionato imprenditore. Ecco magari queste domande andrebbero fatte all’uomo che non sbaglia mai.

CAMPEDELLI DEVE TORNARE A FARE CALCIO

Il Chievo torna in serie B. E’ la seconda volta che succede negli ultimi diciassette anni e questa è una medaglia che il presidente Luca Campedelli si può appuntare sul petto perchè salvarsi in serie A è un’impresa che non può mai andare sotto la voce normalità quando si tratta di una piccola società come quella clivense. Ma questa retrocessione è diversa. Il Chievo, questo Chievo, è una squadra che costa un’eresia e che vale pochissimo. E’ una squadra arrivata al capolinea che ha fatto persino peggio del pessimo Verona di Pecchia dell’anno scorso. Campedelli ha sbagliato tutte le scelte: prima D’Anna, poi la farsa di Ventura, infine Mimmo Di Carlo, l’unica mossa azzeccata che almeno ha ridipinto la facciata con dignità.

Ma la cosa peggiore è che il presidente del Chievo ha smesso di fare calcio. Si è cullato davanti all’idea che bastasse confermare il vecchio gruppo per mantenere la serie A e alla fine i nodi sono venuti al pettine. E’ assurdo che solo da un paio di stagioni, a buoi ampiamente scappati, Campedelli e il suo staff abbiano deciso di lanciare dei giovani e questo a dispetto di un campionato Primavera vinto e tanti campionati in cui la salvezza era ampiamente conquistata prima delle giornate finali.

I bilanci ne hanno pesantemente risentito. Vecchi arnesi sono stati pagati eccessivamente per il loro valore, e il problema delle plusvalenze è emerso in maniera prepotente, sebbene strumentale, trattandosi di una pratica che tutte le società, nessuna esclusa, applica ai propri bilanci. Ma il Chievo ha evidentemente esagerato. Avesse fatto almeno giocare in serie A qualcuno di quei ragazzi, avrebbe sicuramente giustificato il loro valore eccessivo.

C’è tempo comunque per rimediare, anche se Campedelli non avrà grandissimo spazio di manovra. Il Chievo ha bisogno di una profondissima ristrutturazione. Dopo tanti anni, in cui il solco era chiaro e ben tracciato, ora c’è bisogno di ridarsi un obiettivo. C’è bisogno di tornare a fare calcio, anche in maniera spensierata com’era quel primo Chievo che tanta simpatia aveva attirato. C’è bisogno di bel gioco, di un bravo allenatore con idee moderne, di gente che sappia pescare nelle categorie più basse ancora prima che all’estero, da dove in questi anni sono stati imbarcati giocatori imbarazzanti.

E’ un’occasione per ripartire, Campedelli non può sprecare altro tempo. Da domani deve pensare al futuro, guardando al suo passato. Basta rivolgersi lì e le risposte ci sono già tutte.

VIA SUBITO GROSSO SE NON SI VUOLE AFFONDARE COMPLETAMENTE

Cala la notte sul Verona. Come era evidente da tempo. A Palermo si dice probabilmente addio alla serie A diretta, un fallimento scandaloso per una società che ha goduto della ricchezza di uno spropositato paracadute, arrivato dopo l’indegno campionato scorso in cui il Verona naufragò senza onore, calpestando la storia e infangando la maglia. Ce ne sarebbe a sufficienza per sperare in dimissioni di massa da parte dei responsabili di tutto ciò, ma sappiamo di chiedere troppo. Basterebbe solo che Setti aprisse veramente gli occhi e la finisse con quell’assurda prosopopea che lo sta affossando campionato dopo campionato. Ci fosse solo un barlume di buona fede, Grosso e la sua scarsa combriccola, il ds D’Amico e il direttore operativo Barresi, da domani mattina sarebbero sostituiti. Un atto che riporterebbe un mimino di entusiasmo in una piazza che davvero non ne può più.

Setti è riuscito nella più grande impresa al contrario che sia mai riuscita ad un presidente del Verona: far perdere la passione ad una città che ha sempre mangiato pane e Hellas. Contornandosi dei peggiori collaboratori che siano mai sbarcati in questa città, tanto da far rimpiangere gente come Pastorello e Cannella, il presidente del Verona ha perseverato nell’errore. Dopo aver affidato la squadra a Grosso, non l’ha cambiato e questo è stato l’atto divisivo che non gli verrà mai perdonato.

Inutile girarci attorno tanto: se si vuole andare veramente in serie A, Setti deve cambiare subito. E’ l’ultimissima possibilità che gli viene offerta da questo mediocre campionato, prima di andare a sbattere in maniera irreversibile. Sempre che a Setti importi qualcosa del Verona. E di questo, visto le ultime vicende, dubitiamo fortemente.

INUTILE PAREGGIO

Serviva vincere. E basta. E non perché il destino ti è avverso o la critica è feroce. Serviva vincere perché prima hai fatto schifo. Serviva solo quello. Del Verona che se la gioca alla pari del Brescia (e ci mancherebbe, la corazzata del campionato dovevamo essere noi…) non ce ne frega niente. La squadra di SETTI-GROSSO-D’AMICO è arrivata a questa gara con un cappio al collo che lei stessa si è costruita durante questo campionato fatto di delusioni e mancate occasioni. Per togliersi quel cappio (che ora si sta stringendo sempre di più) serviva un’impresa. C’è poco da fare. Invece è finita con un’altra delusione, l’ennesima.

Ora resta solo da vedere come andrà con il Palermo ma è meglio mettersi via l’idea di andare direttamente in serie A. Servirà molto probabilmente il supplemento della roulette play-off, ma se così fosse, non si può non notare il fallimento di un progetto che affonda le sue origini nel vergognoso campionato dello scorso anno. Quello è il momento zero, quello è anche l’esatto momento in cui parte questo Verona di Grosso. Setti ha dato continuità al fallimento di Fusco promuovendo il suo braccio destro Tony D’Amico e ingaggiando Fabio Grosso che altro non era che l’alter ego di Pecchia. E’ stata ignorata la piazza, si è voluto andare allo scontro totale. E il risultato è che questa gestione ha creato disaffezione, disillusione, lontananza. Tutti sentimenti che sono persino peggiori della sana rabbia. Serviva qualcuno che voltasse pagina, invece tutto appare come una fotocopia (a volte persino più brutta) della scorsa stagione.

Una squadra che balbetta, che si perde in un bicchiere d’acqua, incapace di avere un sussulto. E’ come se Grosso con i suoi pareggini ci tenesse in un’eterna condizione di mediocrità. Un sussulto per la verità c’è stato in questo campionato, un altro triste deja vu della scorsa stagione: quando è arrivata la vittoria di La Spezia a salvare la panchina di Grosso, forse solo fintamente messa a rischio. Intanto, nella migliore tradizione, ora si rimetterà al domani quello che non è stato oggi e ieri. Tanto mal che vada potranno tutti andare a fare calcio nella vicina Mantova.

LO SFINIMENTO

Hanno vinto loro. Alzo bandiera bianca. Mi rassegno. Ci hanno logorato e alla fine hanno vinto. Ha vinto la noia, il tiki taka, la sensazione che questo non sia più il Verona, la squadra della mia città. Ha vinto Setti, ha vinto Barresi, hanno vinto i leccaculi e i lacchè pronti a leccare i piedi e le mani al prossimo che offrirà loro un piattino di questa merda.

Ha vinto Grosso e il suo sguardo perso nel vuoto, ha vinto l’arroganza di D’Amico, capace di fare il permaloso con chi ha cercato di denunciare lo schifo da lui costruito. Hanno vinto i bilanci e il calcio dei Lotiti, delle doppie squadre, del paracadute milionario.

Hanno vinto i media event ad invito, gli auguri a qualsiasi cretino passi per strada, i coreani che sbandierano felici in Curva con le loro bandierine. Hanno vinto loro. Questo è il calcio che hanno voluto. Finisco dicendo che vedere Pazzini inserito stasera all’83’  è stata la cosa più scandalosa che abbia mai visto su un campo da calcio. Tenetevi questo schifo, noi momentaneamente abbiamo altro da fare.

CHI VIVE SPERANDO MUORE…

Il detto lo sapete tutti, non serve che ve lo ricordi. Il problema è che qui è una vita che speriamo.

Grosso spera di migliorare, Setti spera che la scelta di Grosso sia giusta, noi speriamo sempre nella prossima partita.

Il problema è che continuiamo a sperare, senza se e senza ma. C’è chi spera che Danzi sia una futura plusvalenza, che Di Carmine faccia 25 gol anche quest’anno, chi spera che possa tornare Malesani, chi spera che Pazzini non stia più in panchina e che Marrone sia sempre squalificato. E naturalmente c’è chi spera nel ritorno di Matos, che Lee detto Bruce possa essere un crack, chi spera in un domani migliore senza Setti e chi spera in una proprietà veronese.

Siamo l’esercito della speranza, il popolo del “domani sarà meglio di oggi”. E naturalmente la nostra speranza è puntualmente tradita. In mezzo a tanti dubbi ci sono delle certezze. I 25 milioni di paracadute che entrano anche quest’anno, la strafottenza di D’Amico, i prossimi dieci milioni di paracadute. Possiamo pure morire su un wc. Speranzosi, ma felici.