MISERIE

Che tristezza, che pena, che miseria. Sentire Grosso a fine partita accampare scuse su scuse, dopo uno stentatissimo pareggino con un Palermino e sottovalutare la “ferita” profonda che si è aperta con la tifoseria, mentre gli aedi di regime cercavano disperatamente di vedere il bicchiere mezzo pieno. Miserie, come quel Pazzini relegato in panchina, zittito e umiliato e Grosso stizzito se qualcuno gli fa la domanda più banale ma anche più normale della storia: perchè non gioca?

Questo pareggio congela la situazione. Setti non ha cambiato dopo lo schifo di Brescia, perchè dovrebbe cambiare dopo un punto con il Palermo? Sicuramente sarà convinto che stasera la squadra ha fatto una mezza impresa. Se si vuole veramente bene al Verona, mettere la sabbia sotto il tappeto non serve a nulla. E’ ormai tre anni che si cerca di creare una realtà parallela evitando di raccontare la verità del campo. E la verità è terribilmente chiara, nitida, davanti a tutti noi. Questa squadra non ha personalità, non ha identità, non ha gioco. La tredicesima formazione diversa in tredici partite dimostra una confusione inversamente proporzionale alla conoscenza che Grosso aveva di Dawidowicz come da sua ammissione: pari a zero.

Quel che è peggio è che stiamo scivolando in classifica, ormai alla periferia dei play-off e non vi è traccia alcuna di una riscossa. Si va avanti nel piattume, convinti di aver avuto sfortuna, convinti di aver sbagliato “solo la gara con il Brescia”. Ora Grosso, dopo un’estate passata a promettere di riconquistare Verona con il bel gioco e con i risultati, parla di una squadra ancora “giovane” e quindi da comprendere nelle difficoltà. Stesso identico copione del duo Fusco-Pecchia che l’anno scorso spiegavano i loro fallimenti sportivi con la “terribile” pressione della piazza veronese.

Ed infatti siamo già al meraviglioso “i conti si fanno alla fine mica a dicembre” che è un po’ come rifugiarsi in corner al campetto.

Tutto già scritto, tutto già sentito. Setti ovviamente starà riflettendo. E martedì riconfermerà Grosso. Miserie, appunto.

FAKE-ALLENATORE E FAKE-DS

Da agosto ho invocato un Verona a due punte ma dopo Brescia ho capito che quello non è il problema. La gara con il Brescia ha sancito definitivamente che il problema del Verona non sono i moduli né tantomeno gli attaccanti (posto che Pazzini fuori da quattro gare consecutive ha marcato anche oggi…).

Il problema del Verona è l’uomo che la dirige in panchina, fortemente voluto da Setti che per prenderlo ha sfidato la piazza e i tifosi, convinto di avere ragione. Grosso è l’allenatore sbagliato nel momento sbagliato, solo la terribile presunzione del presidente carpigiano ha potuto creare questo ulteriore bubbone esploso alla giornata numero 12 dopo una indegna (si può dire? o mi querelate?) partita a Brescia. Non era difficile capire che Grosso non avrebbe potuto essere l’uomo che risolleva la piazza a Verona. Il suo gioco monocorde, gli allenamenti a porte chiuse, le sue conferenze-stampa carillon (capaci di addormentare anche un neonato col mal di pancia), le sue frasi fatte, non potevano essere la benzina per ripartire dopo lo schifo (si può dire o mi querelate?) della scorsa stagione.

A Bari vedevano Grosso un po’ come noi vedevamo Pecchia. Anzi, anche peggio. Setti però ha voluto continuare sulla stessa strada. Ha confermato il signor Tony D’Amico, il braccio destro di Fusco, dando quindi continuità a quel percorso fallimentare. E al posto di Pecchia ha preso Grosso che ben presto si è rivelato molto peggiore di Pecchia che perlomeno in B aveva fatto un gran calcio.

Mi sembra logico a questo punto che lunedì mattina il Verona stili un comunicato cacciando questo “fake-allenatore” che sta tradendo ogni aspettativa. E con lui ovviamente il “fake-ds” (altra querela? Si chiama ironia, fatevene una ragione…). Ma la logica quando si tratta di Setti e di questa società non può essere invocata. Quindi non mi stupirebbe rivedere Grosso ancora alla guida del Verona quando si tornerà a giocare. Al peggio non c’è mai fine…

ONESTAMENTE? UNO SCHIFO

Fabio Grosso ha invitato ad analizzare con onestà le ultime prestazioni del Verona. Come a dire che nell’analisi che la stragrande maggioranza dei tifosi del Verona ha fatto ci sia stata poca onestà o addirittura disonestà. Allora, siccome qualcuno onestamente si deve prendere la briga di dirlo a questo allenatore, ci proviamo noi: caro mister… a Venezia abbiamo fatto angossa (si faccia tradurre), col Perugia abbiamo vinto ma ci sono venuti gli sgrisoloni (anche qui traduzione), ad Ascoli è stata una partita vergognosa, mentre stasera abbiamo fatto semplicemente schifo. Ecco… Schifo mi sembra la parola migliore per non cadere in volgarità. Sempre con onestà le dico che giocando così non solo i tifosi non si riavvicineranno più, ma con queste prestazioni lei si è già giocato il bonus che le era stato concesso. Ora recuperare fiducia e credibilità sarà sempre più dura.

Non so cosa si aspettasse di trovare Grosso a Verona. Ma doveva sapere che dopo la vergognosa retrocessione dell’anno scorso qui ci si aspettava molto. Un cambiamento di rotta, gioco, spettacolo, allenamenti a porte aperte, simpatia. Dov’è tutto questo? Non c’è. Le dichiarazioni del tecnico del Verona ripercorrono un filo conduttore già sentito, già visto, vuoto. Si parla di episodi, un salvataggio in angolo per qualsiasi allenatore del mondo in difficoltà. Banalità. E’ colpa di Grosso. No. E’ colpa di una società che non ha voluto ascoltare nessuno, ha voluto imporre un allenatore sbagliato, in un momento sbagliato. Per di più senza il filtro di una dirigenza all’altezza, con il capo degli osservatori del direttore sportivo che aveva fallito l’anno prima, addirittura promosso. Incredibile.

Incredibile vedere Pazzini in panchina e sentire le assurde giustificazioni di Grosso a spiegare la scelta folle e suicida di stasera e di tutte le precedenti volte in cui Pazzini non ha giocato. Sarebbe interessante che ora la società, dopo aver pubblicato le foto sorridenti del Pazzo a inizio stagione ci facesse sentire che cosa pensa realmente di questa umiliazione l’attaccante. Pazzini in panchina è un caso clamoroso, evidentemente avallato dalla società che condivide in toto le scelte del proprio allenatore. Fra un paio di partite Setti dovrà per forza tirare le somme. Vedremo se in caso di altre gare del genere ci sarà una seria presa di posizione o se assisteremo alla riedizione della manfrina dello scorso campionato. A tal proposito, noi abbiamo pochi dubbi.

 

IL CONDOTTIERO CHE DIVENNE PIU’ FORTE DELL’IDEA

Fu tutto incredibile. Arrivò via Parentela, un calabrese che voleva acquistare il Verona da Martinelli. Prese il posto di Giannini, uno che aveva promesso un calcio bello come il Barcellona e che naufragò in mezzo alla sua presunzione. L’avevano cacciato dalla Romania, credo che le prime settimane a Verona le fece da incazzato per quell’esonero. Poi disse: “Meno male che mi hanno cacciato altrimenti non avrei conosciuto Verona”. Disse anche: “Se i romeni son romeni un motivo ci sarà”. Politicamente scorrettissimo. Il primo compito fu riportare ordine e concretezza in una squadra senza ordine e senza concretezza. Infilò un filotto di pareggi. poi vinse le partite che doveva vincere e centrò i play-off in qualche maniera. E poi fece un capolavoro. Si caricò città, squadra, società sulle spalle. Si mise davanti a tutti, diede sicurezza, fece saltare i nervi alla Salernitana. Fu serie B. Inaspettata, bellissima. E lui divenne il Mandorla, l’uomo della provvidenza gialloblù. Dopo averle prese a Salerno, ebbe la colpa di fare un coro. Ancora politicamente scorrettissimo, ma solo per chi stava strumentalizzando la situazione politica. Mandorlini contro il Sud, lo ricordate? Un’iperbole voluta dai giornaloni nazionali che ci unì ancora di più. Soli contro tutti. Il Verona giocava e vinceva. Vinceva e giocava. Mandorlini era un vulcano. Martinelli lo amava, Gibellini il ds lo conteneva. Mandorlini lo prese di petto, Gibellini se la legò al dito e a fine stagione attaccò. Mandorlini univa ma anche divideva. Arrivò Setti. E soprattutto Sogliano. Una strana coppia Mandorlini e Sogliano. Sogliano comandava. Mandorlini anche. Incredibilmente quel gioco delle parti divenne la forza del Verona. Purtroppo lo si capì anni dopo. Sogliano era il bastone dello spogliatoio. Mandorlini la carota. Insieme una forza. Il primo Verona in serie A sfiorò la perfezione. Iturbe, Romulo, Toni. Che meraviglia. Al secondo anno, crepe. Forse doveva finire lì, dopo una salvezza tranquilla tutt’altro che scontata. Invece si proseguì. Sogliano se ne andò, Mandorlini fece l’errore di pensare di essere diventato il capo di tutto. Gardini pilotò da dietro la situazione. Gli venne fatto un ricco biennale, forse anche inconsciamente, in quel momento Mandorlini si sentì arrivato. Venne Bigon, ds all’opposto di Sogliano. E il Verona si sciolse. Pazzini divenne un caso. Poi si fece male. Prima si ruppe Toni. Ma quello che si era rotto era proprio l’ambiente. Mandorliniani contro anti Mandorliniani. Il Verona veniva dopo. Sempre dopo. Il condottiero che deve applicare l’Idea, più forte dell’Idea. Si potrebbe scrivere un trattato di politica sull’argomento.

Ho amato il primo Mandorlini, lo confesso. Molto. Moltissimo. Era l’allenatore che avrei sempre voluto al Verona. Ho amato meno, molto meno il secondo e terzo Mandorlini. Non ho sopportato che Mandorlini, la sua immagine, divenisse più forte dell’Hellas Verona. Un meccanismo perverso che in realtà denunciava una debolezza intrinseca. Per dire: non esiste che al Real Madrid un singolo, pur fortissimo, diventi più forte nell’immaginario collettivo del Real stesso.

Stasera Mandorlini tornerà al Bentegodi e sarà inevitabile il confronto con l’incolore successore che siede oggi sulla panchina del Verona. In molti salirà anche il rimpianto. Ed è giusto. Ma il nostro compito è tifare Verona. Solo quello. Per questo spero che Mandorlini esca battuto dal Bentegodi.

“La nostalgia” dice Arthur Bloch (quello della Legge di Murphy) “è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano allora”.

LE VERITA’

Le verità fanno male. E solo quelli con la schiena diritta raccontano la verità. Le verità servono a crescere. A dubitare. A ragionare. Dubbi, non certezze. La verità è che questo Verona non potrà lottare per la serie A. Dopo dieci partite ormai s’è capito tutto. Grosso è questo. Le sue conferenze stampa sono nenie, il suo gioco un gigantesco sbadiglio. Un passo avanti e due indietro, un compitino che non morde, che non lascia traccia. Quattro punti in cinque partite, tre sconfitte, un pareggio, una vittoria arrivata con il fattore C. Grosso in panchina, il nulla accanto. Dirigenti invisibili, mai un’intervista, un’assunzione di responsabilità, un pensiero. Tutti a giocare a nascondino, nessuno che ci mette la faccia. E’ il Verona di Setti, di Grosso, di D’Amico e Barresi. Un Verona senza anima, paracadutato, che dovrebbe essere primo e in fuga e che invece è un’accozzaglia di giocatori mediocri. Setti è tornato a spendere, dicevano gli aedi quest’estate. Forse all’Ikea, non certo per il Verona. Abbiamo raccontato che non era vero, cifre alla mano. Il Verona è costruito con parametri zero, Grosso è stato un grimaldello per arrivare ai giocatori del Bari che si sono svincolati. Tutto previsto. Grosso come Pecchia è congenito a Setti. Dubito che verrà mai esonerato anche se le cose si mettessero al peggio.

Ma così non si fa calcio, non a Verona, piazza passionale e paziente, ma che non perdona le bugie. Grosso non è l’allenatore per il Verona. Non in questo momento. I sospetti e i miei dubbi estivi sono ora molto più concreti. L’obiettivo era riconquistare la gente. Penso ai 180 ragazzi che stasera torneranno da Ascoli. Nonostante tutto. Nonostante tutti. Nonostante questo Verona imbarazzante. Noi, ci potete giurare, continueremo a raccontare le verità. Di un Verona che è sempre più distante dalla gente, chiuso nel fortino di Peschiera, allenamenti blindati per offrire spettacoli così penosi. Di Pazzini che marcisce in panchina. Di un presidente che ha smesso di investire.

Più forti di chi cerca di minare la nostra professionalità, di chi cerca di farci paura, di querele pretestuose. Quando i nostri giornalisti sono stati tenuti fuori dalla presentazione di Grosso quest’estate vi dissi che quella battaglia era la vostra battaglia. Noi siamo sempre lì a combattere e lo facciamo perché nonostante Setti continuiamo a pensare che il Verona sia un bene e un patrimonio della città. Speriamo siate numerosi al nostro fianco, perché tra poco tutte le verità verranno a galla…

LA NOTTE DI SAN SILVESTRI

Piaciuto il Verona? No. Senza Silvestri questa gara non si vinceva. Il gioco non convince, il carattere della squadra è lontano anni luce. Ma, come si dice in questi casi, vincere è l’unica cosa importante e dunque va bene così.

L’analisi però deve essere più approfondita. Siamo alla gara numero nove e ancora ci sono evidenti problemi. In difesa, a centrocampo, in attacco. Ovunque. Prendiamo gol e concediamo occasioni. Davanti si segna poco, sono servite due invenzioni per passare. Certo, la qualità aiuta, ma se oggi il nostro portiere non avesse fatto miracoli a ripetizione saremmo qui a piangere nuovamente.

Non capisco Laribi, non capisco Dawidowicz, non capisco soprattutto Pazzini in panchina.

La vittoria, però, è un ottimo corroborante. Come il Cynar di Calindri. Quindi farà sicuramente bene. Ma è tempo di vedere progressi, al di là del risultato. Questo gioco di Grosso non mi piace. Troppo lento, compassato, lezioso. Vincendo, comunque, me ne posso fare una ragione, ma ho paura che giocando così, vincere sarà durissima. Intanto portiamo a casa sti tre punti e concentriamoci sulla prossima.

LA SIGNORA DEL RUGBY

Finita l’intervista con Raffaella Vittadello, la signora del rugby veronese, i dirigenti della società mi hanno guardato strabuzzando gli occhi. “Guarda che è successa una cosa incredibile. Raffaella è schiva, non concede mai interviste… Chissà quando mai farà la prossima…”. Mentre mi raccontavano questo, guardavo la bellezza del centro sportivo costruito in via San Marco. Sorto quasi come se non si volesse disturbare. Senza proclami. Un metodo di lavoro che implica una filosofia. Se Raffaella Vittadello avesse voluto spendere quei soldi per costruire una squadra di vertice probabilmente adesso avrebbe portato a Verona facilmente lo scudetto. Si sarebbe presa un bello sfizio, ma niente di più. Invece quel centro rappresenta uno straordinario volano per tutto il movimento, non solo veronese, il cui impatto forse lo capiremo tra qualche anno. Su quei campi, intanto ci giocano decine di ragazzi, via San Marco è tornata a splendere, il degrado non abita più lì. Il Verona Rugby ha iniziato un ciclo, c’è un Accademia privata che non ha eguali in Italia, produrrà giovani talenti. Insomma, un gioiello destinato a durare. E’ evidente che il rugby non gode della popolarità del calcio, nè che Raffaella Vittadello ha avuto in questi anni milioni dai diritti televisivi, dagli sponsor, dai paracaduti. Quando le ho chiesto se ha trovato difficoltà burocratiche mi ha risposto di no. Vuol dire che anche le amministrazioni comunali non sono poi l’orco che qualcuno vuole dipingere.

Parlo a nuora perchè suocera intenda? Certo. E’ evidente. Il metodo di Raffaella Vittadello è un esempio. Come prima lo fu quello di Luca Campedelli che senza fare tanto casino ha dotato il Chievo di un proprio centro sportivo che ha risanato un intero quartiere, facendo sentire i propri benefici su tutta l’area dell’Adige. Nel frattempo anche la società di Stefano Magrini, la Bluvolley ha fatto un’operazione simile. Ha preso in gestione un’area che si stava degradando e ne ha fatto un piccolo gioiellino. Anche lì ora si respira aria buona e sicuramente in futuro sarà una base importante anche per ottenere risorse per la prima squadra. All’appello manca solo l’Hellas Verona, cioè la società che gode del massimo appeal e del massimo interesse a Verona. Inutile ricordare le promesse di Setti quando arrivò. “Lo stadio non è strategico” disse allora il presidente del Verona “ma il centro sportivo sì”. Da quel giorno di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima ma il Verona continua a “mendicare” ovunque campi per far allenare i propri ragazzi. Setti si è ingarbugliato nella gestione, ha dato la colpa della sua inazione a Tosi che gli ha risposto per le rime, il centro sportivo che pareva cosa fatta (Gardini lo aveva annunciato come il suo fiore all’occhiello quando se ne andò all’Inter) è una chimera.

Dotare il Verona di un centro sportivo è la distinzione tra chi è qui di passaggio e chi vuole veramente mettere basi solide per il futuro. Non servono proclami, ma come ha dimostrato Raffaella Vittadello, servono volontà e investimenti. Setti è già in pesante ritardo e le sue promesse altro non sono ad oggi che vuote parole.

PS. (Presidente eviti di andare a presentare querela anche per questo blog… Si chiama diritto di critica che continueremo liberamente ad esercitare finché lei sarà presidente dell’Hellas Verona società che continuiamo nonostante tutti i suoi tentativi in senso contrario a ritenere un patrimonio di questa città. E sia chiaro: non sarà una querela a farci paura o a intimorirci o a zittire la nostra libera espressione)

SCHERZI A PARTE

Non so quale partita abbia visto Fabio Grosso. Ho appena letto le dichiarazioni del mister a fine gara e mi si sono aperti due scenari: a) Mediaset ha ingaggiato il nostro allenatore per un ‘incredibile puntata di Scherzi a parte. b) Mediaset ha ingaggiato il nostro presidente che ha ingaggiato Grosso per un’incredibile puntata di Scherzi a parte. Una cosa è certa: siamo su Scherzi a parte. Quando ce lo diranno finirà tutto in una gigantesca risata e magari inizierà il nostro campionato, quello vero, con un allenatore normale, uno che faccia le cose giuste, logiche, che dia alla squadra un po’ di carattere e non racconti filastrocche a fine gara o durante la settimana.

Se non fossimo su Scherzi a parte e ci dicessero che il Verona supercorazzata della serie B, dotata di faraonico paracadute da 20 milioni di euro, tiene Pazzini in panchina, e dopo otto giornate è a quattro punti dal Pescara, sicuramente ci incazzaremmo. E saremmo un filino arrabbiati anche se dopo tre partite la nostra squadra avesse fatto un punto striminzito, con una squadra che i vecchi frequentatori dell’antistadio, quello precedente alle duecento inaugurazioni, avrebbero definito con assoluto realismo “alle asse”.

Grosso ha invece detto testuale: “È importante tornare ad accumulare punti”. Accumulare punti? Capite? Con il Verona che è a quattro lunghezze dal Pescara e che può essere superato dal Lecce e/o raggiunto dal Palermo, questo dopo il pareggio con il Venezia parla di punti accumulati… Nessuna parola su una squadra senza idee, che gioca a folate, tre passi avanti e due indietro come nei valzer di Cecco Beppe, che non sa azzannare alla gola gli avversari in difficoltà, che non segna con gli attaccanti, ridotti a belle statuine e che all’86’ forse per la vergogna, invece di inserire un bomber vero, mette dentro un imberbe bambino che giocava in Primavera fino a qualche mese fa. Ma questo deve essere il copione che gli autori della trasmissione gli hanno passato per rendere lo scherzo ancora più credibile. Pazzini? Sarà utile. Di Carmine che ha toccato un pallone, sbagliando un gol ad un centimetro dalla porta? Ha giocato una grande partita. Fantastico.

Scherzi a parte: Setti non ha nulla da dire? Stiamo tutti uniti perchè il campionato è lungo e i conti si fanno alla fine? Il ds D’Amico dopo la balbettante conferenza stampa di inizio stagione, esiste? Toc toc… C’è qualcuno in casa?

Ps: il Mantova è primo in serie D. E Setti può dunque gioire. Lo vedete che siamo su Scherzi a parte?

LA SOCIETA’ DEL FARE (E DISFARE)

Siamo la società del fare, diceva Giovanni Gardini cinque anni fa. E giù annunci: abbiamo comprato la sede (non era vero, era solo in affitto con una promessa di acquistarla), faremo il centro sportivo (cinque anni dopo nemmeno l’ombra), abbiamo aperto un negozio con  un brand internazionale (nel frattempo fuggito). Cinque anni dopo Setti ripete, perché ripetere aiuta (a dimenticare). Siamo la società del fare: infatti abbiamo acquistato la sede (di nuovo), faremo il centro sportivo (dove, come, quando?) eccetera eccetera. Nel mezzo abbiamo vissuto almeno otto inaugurazioni per un restauro dell’antistadio. Inaugurazione del manto erboso, inaugurazione della tribunetta, inaugurazione dell’inaugurazione. Ogni volta con annunci, taglio del nastro, partita beneaugurante, regalo della magliettina al sindaco di turno per la foto di rito. L’idea che il Verona torni ad allenarsi lì in pianta stabile è nel frattempo abortita e nelle dichiarazioni ora si parla di “qualche allenamento per stare a contatto con i nostri tifosi”.

In mezzo a tutte queste dichiarazioni ci sono stati due anni merdosi (è la parola giusta, credetemi) in cui la passione dei tifosi è stata risucchiata via, in cui però ci hanno detto che “dovevamo restare tutti uniti perchè i conti si fanno alla fine”. E pure noi siamo stati uniti. Turandoci il naso perché l’odore di merda era veramente troppo forte. Lo fece Montanelli votando Dc, abbiamo tentato di farlo anche noi per l’Hellas Verona. Poi dopo i disastri, le fughe dei ds, abbiamo aspettato (invano) che si facessero i conti, ma Setti ci ha detto solo che la colpa di quei due anni così indecenti era di chi aveva fatto e costruito il suo miglior Verona, quello dei primi tre anni: Sogliano e Mandorlini.

Setti è così appassionato del Verona, che nel frattempo ha comprato il Mantova, forse per scimmiottare De Laurentiis che ha preso il Bari e Lotito che ha la Salernitana. Per quale scopo solo dio lo sa. Avesse consolidato il Verona, fatto dieci anni di serie A, e qualche apparizione in Europa, creato un settore giovanile all’avanguardia con decine di talenti da piazzare, forse (ma forse) avrebbe avuto un senso. Così ha fatto solo imbestialire la gente.

Ho paura adesso perché Setti ha detto dopo due sconfitte consecutive che dobbiamo restare “tutti uniti”. Ancora. Fare e disfare. Tanto poi basterà inaugurare una rete di protezione dell’antistadio per dimenticare tutto… In fondo, come dice quel detto, finché c’è paracadute c’è speranza.

 

AIUTO: IL VERONA SI E’ GIA’ SMARRITO

Il Verona si è già perso. In un turbinio di moduli, giocatori, centrocampisti, doppioni. Perso nei meandri delle scelte astruse del proprio allenatore, capace di far diventare fenomeni due discrete squadre di serie B. Un Verona anestetizzato da dichiarazioni politicamente corrette, ma che non accendono più la passione. Il Verona si è perso a Salerno e non ha ritrovato la strada contro il Lecce. Dobbiamo migliorare, ripete come un mantra Fabio Grosso (nuovo tormentone che sostituisce il “siamo in crescita” di Pecchia),  i cui limiti di lettura della partita stanno diventando macigni sulla strada della serie A, in cui l’abbondanza della rosa fa a pugni con le scelte, in cui più in generale, manca l’atteggiamento, la rabbia, la cattiveria. Chiamare in causa la sfortuna è da perdenti.

Il Verona deve piangere perché non segna e perché prende gol da polli. Perché fa una fase difensiva all’acqua di rose, perché soffre le verticalizzazioni degli avversari, perché crossa cento volte ma nessuno di quei cross è di qualità e perché tiene i suoi uomini migliori in panchina. Grosso stasera doveva venire in sala stampa con la bava alla bocca, doveva farci vedere la sua rabbia, quella che dovrebbe trasmettere ai suoi giocatori. Invece la sua conferenza sembra tarata sulla modalità “dobbiamo migliorare” “abbiamo creato molto” e non dà una spiegazione che sia una al perché il Verona che dovrebbe “ammazzare” il campionato grazie al suo paracadute milionario (certo lo ricordiamo perché è impossibile dimenticarlo nel metro del giudizio…) perde due a zero in casa contro il Lecce.

Il Verona non ha anima, che è dote differente dal gioco, non ha cattiveria, non ha il sacro fuoco. Grosso ha voluto imporre il suo metodo di lavoro. Allenamenti lontani dalla gente, praticamente tutti a porte chiuse (da quando l’Hellas è tornato dal ritiro le sedute a porte aperte si contano sulle dita di una mano) privandosi del valore aggiunto che una provinciale come il Verona può vantare: l’entusiasmo dei suoi meravigliosi tifosi. Che non si crea con le parole, gli slogan inglesizzati, i media event di plastica e solo con la stampa amica ammessa.

Si chiedeva a Setti quest’estate una netta dicotomia con lo schifo che ci era stato propinato. Lo chiedeva la Sud a cui venne ribattuto che nessuno avrebbe imposto le scelte. E così è stato promosso come ds il braccio destro di Fusco, l’invisibile Tony D’Amico ed è arrivato il suo amico Grosso da Bari, eliminato ai play off dal Cittadella. Sufficiente per dimenticare il passato? No: perché lo schema di lavoro è esattamente lo stesso della precedente gestione. Sono cambiati solo i nomi, ma tutto è riconducibile a ciò che ha creato la più grande disaffezione che si sia mai vissuta a Verona.  La coppia di amici Fusco-Pecchia è stata sostituita dalla coppia D’Amico-Grosso. Questo è ciò che è accaduto, in mezzo c’è stata una campagna acquisti al risparmio (i migliori sono tutti parametri zero, arrivati dai fallimenti di Cesena e Bari) e molte plusvalenze. Nel frattempo Setti che solo qualche mese prima aveva umilmente spiegato ai veronesi di essere unicamente mosso da passione calcistica, ha acquistato il Mantova. Un cortocircuito comunicativo che non ha eguali.

Nonostante questo per la bassa qualità del campionato di serie B, il Verona è competitivo. Ma non è una squadra. Non ancora.  La gara con il Crotone, a questo punto, va letta come una felice eccezione. In mezzo tante partite confusionarie, una vinta a tavolino, due perse in modo sciagurato. Eppure ritrovare la diritta via non deve essere così difficile. Basta fare mosse logiche, abbandonare le rotazioni insensate, trovare e mantenere un’identità di uomini e di moduli, mettere in campo quelli bravi. E trovare una testa, una società, uomini che ci rimettano passione. Quella vera. Quella per l’Hellas Verona.