LE EMOZIONI E LA STORIA

“Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni…” (“Emozioni” Mogol-Battisti)

La settimana che ha preceduto la sfida con la Virtus è stata accompagnata da un bel po’ di amarcord, tra il nostalgico e la fierezza di una tradizione che è ancora forte e ben radicata. E la risposta del pubblico è stata adeguata al ritorno della Virtus Bologna dopo 15 anni di attesa: Agsm Forum quasi esaurito, ma soprattutto il pubblico che ha spinto i giganti gialloblù di Luca Dalmonte come non accadeva da tanto tempo.
Tu chiamale, se vuoi, emozioni…e che emozioni! D’altronde la storia ci racconta che i supplementari al Palaolimpia erano quasi di casa quando arrivavano le V nere, così come le rimonte per mano della Scaligera: 20 anni fa i bolognesi allenati da Ettore Messina (tanto per capirci) subirono uno 0-9 nei 39” secondi finali, questa volta la risalita della Tezenis è stata una progressione lenta, quanto inesorabile ed esaltante. Fino al ribaltone nel primo overtime, quando la squadra di Ramagli (tornato per la prima volta da avversario a Verona) sembrava avere messo nuovamente la mani sulla partita. Never. Never say never again; never never never give up! Così si fa la storia, almeno per noi della palla a spicchi. Tutto il resto, come recita un noto proverbio napoletano, “ogne scarrafone è bell’ a mamma soja”.

PETRUCCI, SE CI SEI BATTI UN COLPO

“Lo dico da tempo, in Italia ci sono troppi stranieri. E per di più spesso sono meno bravi degli italiani che potremmo impiegare”. (Giovanni Petrucci, presidente FIP – “Il Sole 24 Ore” 23 settembre 2014 – Mattia Losi) 

Il campionato si ferma per le Finali di Coppa Italia e la Tezenis si ritrova con tutti e due i piedi in zona playoff. Dopo la sosta si ricomincerà con la sfida alla Virtus capolista, il ritorno di Alessandro Ramagli a Verona. Prima di sette partite che decideranno il destino dei giganti di Dalmonte.
Ma questa volta voglio dedicare un po’ di spazio alla Federazione Italiana Pallacanestro. Avete presente? E’ la Federazione che gestisce il secondo sport più praticato in Italia.
Alle recenti elezioni sembrava di essere in Bulgaria (con tutto il rispetto per i bulgari): Gianni Petrucci candidato unico per la riconferma alla presidenza ed un numero di candidati giusto giusto per ogni singolo settore. Gli allenatori ne avevano due, ma uno ha pensato bene di ritirarsi prima del voto, vuoi mettere la suspence?
Petrucci prima e dopo le elezioni si è battuto per la difesa degli italiani nel massimo campionato e, di conseguenza, per non consentire l’aumento di stranieri anche in A2. Tuttavia guida una Federazione che specifica nell’acronimo di essere “Italiana”, ma consente impunemente a decine di giocatori extracomunitari di giocare nelle “minors” senza permesso di soggiorno.
Il caso più eclatante è quello di David Hawkins, ex stella di Roma, Siena, Milano e in Turchia, tesserato da Sustinente nella C Silver lombarda; tesseramento bloccato dopo che l’americano aveva già esordito con la squadra mantovana. Il regolamento consente di tesserare anche nei campionati regionali giocatori extracomunitari, purché in possesso del permesso di soggiorno per motivi di studio o lavoro extrasportivo, al contrario del campionato di A2, dove il visto è sportivo. Hawkins è tornato in Italia per provare con Reggio Calabria, che poi non lo ha tesserato, perciò non ha spesp un visto. Quindi il giocatore sarebbe dovuto rientrare negli Stati Uniti, invece è andato ad allenarsi con Mantova ed è stato tesserato da Sustinente. Con quale permesso di soggiorno? La FIP si è ridestata dal torpore che ammanta gli uffici romani congelando il tesseramento (intanto però una partita l’ha giocata), ma cosa fa per le altre decine di extracomunitari “pseudoprofessonisti” che affollano i campionati minori, anche in serie D, soprattutto al Sud? Solo nella C Silver in Puglia i primi 19 realizzatori sono extracomunitari: hanno tutti il permesso di soggiorno? Non credo proprio. Finora la FIP se n’è praticamente lavata le mani, visto che a fronte di un ricorso la Corte Federale aveva già stabilito che eventuali irregolarità non erano di pertinenza del Giudice sportivo regionale ma della Procura Federale.
Adesso che è arrivato il giocatore “famoso” qualcosa si è mosso, ma come la mettiamo per tutte le altre presunte posizioni farlocche? Perché la Federazione non attiva controlli preventivi? Per tesserare un 12enne nato all’estero (magari italianissimo figlio di italiani) bisogna sborsare 100 euro, balzello per le verifiche degli Uffici federali, che poi invece nulla fanno per accertare la posizione delle orde di stranieri nei campionati senior. Caro Presidente, se ci sei batti un colpo.

IL PUGNO E LA CICATRICE

“E il naufragar m’è dolce in questo mare” (L’Infinito – Giacomo Leopardi).

Il naufragio contro Recanati, a dire il vero, è stato tutt’altro che dolce. Un passo indietro dopo un ciclo convincente, con quattro vittorie incardinate nella prova comunque positiva a Trieste. La fame del leopardiani ha fatto la differenza e la Tezenis ha dovuto soccombere, pagando pasticci in attacco e amnesie difensive (rimbalzi compresi).
Dare la croce addosso ad un singolo giocatore non ha senso, tutti possono incappare in una serata sciagurata, com’è successo a Gio Pini, la cosa fondamentale è attendersi il riscatto, come dopo la débâcle di Roseto.
Allora Luca Dalmonte venne fuori con il celebre proclama delle “mani nella merda”, al Palarossini di Ancona il coach gialloblù ha parlato di un pugno in faccia, che ha lasciato una profonda cicatrice sulla sua squadra.
Insomma una lezione che, si spera, possa essere salutare per affrontare con la bava alla bocca tutte le ultime 9 partite della regular season. Contro Recanati, penultima e in formazione largamente rimaneggiata, la Tezenis ha buttato via una ghiottissima occasione per agganciare il treno dei playoff, senza tralasciare un occhio alle spalle, dove le squadre pericolanti hanno il sangue alle bocca. E’ stato l’ultimo bonus, d’ora in avanti i giganti gialloblù non potranno più concedersi il minimo errore, per fare in modo che la Scaligera non resti un’eterna incompiuta.

QUALCOSA E’ CAMBIATO

Ma che bontà, ma che bontà, ma che cos’è questa robina qua? (“Ma che bontà”, Mina – testo di Enrico Riccardi)

Tre partite tre vittorie. Quello che doveva essere il mese terribile si sta trasformando nel mese del rilancio della Tezenis. Una rinascita cominciata a Treviso, rifilando alla De’ Longhi la prima sconfitta in casa, continuata nell’emozionante sfida contro la Fortitudo, premiata dal record di pubblico stagionale all’Agsm Forum, e proseguita a Piacenza.
Se una rondine non fa primavera, tre perle possono sicuramente contribuire a riscaldare questo gennaio gelato, i cui prodromi nell’Epifania di Roseto non promettevano nulla di buono. Qualcosa è cambiato, decisamente in meglio.
Non è affatto un caso che la riscossa sia seguita all’appello “della merda” lanciato da coach Dalmonte dopo il k.o. nell’Abruzzo già sotto la neve. Forse la squadra si è sentita con le spalle al muro, forse è scattata la scintilla che ha portato alla consapevolezza di dover cambiare radicalmente l’atteggiamento mentale. Quel sacro fuoco che negli anni d’oro è stato spesso l’arma in più per la Verona dei canestri.
Ed è arrivata anche la riposta alle critiche più trancianti a Dawan Robinson, senza dubbio l’Mvp nelle ultime due vittorie. Poi la Scaligera butta lo stesso un occhio al mercato, ma per eventuali altri ritocchi.
Adesso sarà fondamentale non montarsi la testa (evento alquanto improbabile), evitando i toni trionfalistici e continuando a stare sul pezzo, sperando che la società consenta a Daniele Della Fiori di poter cominciare a sviluppare il programma triennale, senza dover ricominciare tutto da capo, come è capitato negli ultimi anni.
In chiusura ringrazio tutti gli amici del basket che mi hanno manifestato affetto e vicinanza in questo periodo. Sono tornato in pista, anzi, on the court!

LE MANI NELLA MERDA

“Siamo nella merda fino al collo, ma è per questo che camminiamo a testa alta”. (Dario Fo)

Riflessioni a 24 ore di distanza dalla sconfitta di Roseto. Se il ritorno da Jesi è stato accompagnato dalla fitta nebbia, quello dall’Abruzzo è avvenuto sotto una bufera di neve. Brutto segno.
Il secondo tempo al PalaMaggetti è stata la peggior prestazione dei giganti gialloblù in questa stagione, assieme alla ripresa con Udine che segnò l’esonero di Frates.
E’ cambiato l’allenatore, ma non è cambiata la mentalità della squadra. Luca Dalmonte ha tutte le ragioni del mondo dicendo che bisogna lasciare da parte gli egoismi e rimboccarsi le maniche avendo il coraggio di mettere le mani nella merda.
Parole forti in un momento in cui i segnali di scollamento del gruppo devono preoccupare. Una squadra capace di riemergere in fretta dall’agghiacciante 0-11 all’avvio, ma di sciogliersi nella ripresa come la neve portata dall’esterno del palazzo di Roseto, scordandosi di difendere sul lato debole e restando a secco per 5 minuti nell’ultimo quarto.
Sui social i tifosi si dividono tra sostenere la squadra e cominciare a far sentire il peso dell’ambiente (ammesso che ci sia), un ambiente che peraltro sembra “trasformare” parecchi giocatori che arrivano a Verona.
La negatività in questo momento è la cosa di cui ha meno bisogno questa Tezenis, fragile psicologicamente. Il talento, reale o presunto, non basta da solo per uscire da una situazione di evidente affanno, che deve preoccupare tutti. Ma se ne esce solo facendo quadrato, dando chiari e precisi segnali di sostegno e ovviamente di sprone alla squadra, a cominciare dalla società, che non deve lasciarsi prendere dall’indifferenza o dalla depressione. Lasciando lavorare in serenità e con ampi margini di azione chi, come Della Fiori, è stato chiamato a Verona per avviare questo progetto triennale. Il d.s. avrà anche lui qualche responsabilità, ma il lamento continuo non porta da nessuna parte, né tantomeno i processi a gennaio.
I playout non sono lontani e finirci dentro sarebbe pericolosissimo. Per questo è opportuno tirarsi su le maniche fino ai gomiti e prepararsi ad affondare le mani in quella benedetta merda, perché il mese di gennaio non promette nulla di buono e quello di febbraio si aprirà con la sfida al Palaolimpia contro Imola, che sarà già un primo scontro diretto. Con la consapevolezza che il progetto pluriennale può passare anche dalla salvezza, non c’è nulla di strano e non c’è niente da vergognarsi. Soprattutto se l’alternativa, con il clima che girava ancora a metà luglio, era il rischio di vedere la C Silver, invece dell’A2.

P.S. Per motivi personali dovrò staccare un paio di settimane, telecronache e “Mariobasket” compresi. Buon basket a tutti.

GUARDIAMOCI LE SPALLE

“Il coraggio, uno se non ce l’ha, mica se lo può dare” (Don Abbondio, “I promessi sposi” – Alessandro Manzoni)

Buio profondo. Non è solo quello che sull’A14 ci fa compagnia nel ritorno a casa da Jesi. Buio anche e soprattutto sulla Tezenis, infilzata bellamente nella città della scherma. L’Aurora spunta in terra marchigiana, l’annus horribilis della Verona dei canestri si chiude ancora con tante ombre e troppi dubbi sulle potenzialità e sulla tenuta mentale della squadra di Luca Dalmonte. Attualmente quintultima e attesa da un mese di gennaio decisamente ostile.

La luce che il nuovo coach aveva visto timidamente accendersi a Bologna contro la Virtus è rimasta un fioco lumicino, una fiammella da cui debe ancora propagarsi il sacro fuoco dei giganti gialloblù. Al PalaTriccoli, almeno, non c’è stato il crollo verticale palesato per un intero quarto (o di più) nelle partite precedenti; la Tezenis ha controllato a lungo la partita, a tratti con spavalderia, ma si è sciolta sul più bello, dopo essersi arrampicata sul massimo vantaggio reagendo al primo riavvicinamento jesino.
Un finale tremebondo e zeppo di pasticci (66-69 per Verona sulla tripla del Bosca con poco più di 2′) che solleva domande legittime. Qual è il vero Robinson, sebbene limitato da un guaio al ginocchio: quello del 4/4 all’avvio o dello 0/6 successivo e delle palle perse nel momento topico? E Portannese: quello dei canestri pesanti, compresa la tripla del controsorpasso sulla sirena del terzo quarto, o quello tremebondo che nel finale, sotto di 5, non sapeva che pesci pigliare? Pini si sblocchera? Perchè nel pitturato le difficoltà sono evidenti quando la difesa avversaria riempie l’area.

E pensare che questa squadra era stata costruita senza Brkic, grazie al quale si devono un paio di vittorie. E’ opportuno guardarsi le spalle, con la consapevolezza che per evitare guai peggiori occorre una qualità che si è vista assai raramente in casa Scaligera: la personalità. Buon 2017 a tutti gli amici del basket.

DOTTOR JEKYLL & MISTER HYDE

“Cambia tutto vivere sotto pressione. Certe persone le spremi e si svegliano, altre crollano”. (John Milton-Al Pacino, “L’avvocato del diavolo” di Taylor Hackford)

Ogni allenatore che affronta la Tezenis (escluso, in verità, Ramagli con la Virtus) ripete più o meno lo stesso ritornello: “Verona non c’entra nulla con quella posizione in classifica…Arrivare qui alla pari di Verona, nessuno lo avrebbe detto…L’organico di Verona per talento e fisico è nettamente superiore…”.
Dichiarazioni che potranno essere state anche di prammatica, ma condivise da molti. E allora cosa succede alla Tezenis? L’avvicendamento dell’allenatore ha prodotto un cambio nell’impianto di gioco, ma solo a sprazzi. Flash, a lunghezza variabile, che però non hanno trovato supporto mentale.
E qui emerge la Tezenis “Dottor Jekyll e Mister Hyde”, già vista durante la gestione Frates (le sofferte vittorie con Trieste e Recanati dopo buoni primi tempi, il crollo nella ripresa con Udine) e proseguita con Dalmonte, che già all’esordio sul campo della Virtus (anche quella partita dai due volti), aveva visto accendersi “una piccola luce”. Poi la vittoria con Forlì (che tuttavia non fa molto testo) e le due partite “stile Giano bifronte” a Ravenna e con Chieti. E il sudato ritorno al successo ci lascia due indicazioni: tecniche e ambientali.
Per avere continuità la Tezenis deve trovare un rendimento decente da DiLiegro e Portannese, oltre a una regia lucida. Forse a Verona si sta troppo bene (altrove la squadra all’intervallo sarebbe stata massacrata). E se i giocatori faticano a gestire una pressione che è legata solo al puro risultato, la soluzione potrà essere trovata solo all’interno della squadra. La reazione nella ripresa con Chieti ha acceso un’altra luce. Che non dovrà spegnersi dopo la feste.

L’UOVO E LA GALLINA

“Io non sono interessata ai soldi. Io voglio solo essere meravigliosa”. (Marilyn Monroe)

La diretta della partita a Ravenna non ci sarà. La società romagnola chiedeva soldi per concedere i diritti, pretesa bizzarra sebbene prevista dal regolamento di Lega.
Ognuno a casa propria è libero di comportarsi come crede, ma se non si riesce a comprendere il valore aggiunto di dare visibilità ai partner del club attraverso una diretta di un’ora e mezza, di giorno festivo, sulla prima emittente regionale del Veneto, oltre ai ‘benefit’ promessi per la partita di ritorno, significa che non si è capaci di vedere più in là del proprio naso.
A parte gli aspetti di principio, sui quali non è possibile transigere, l’ottusità (o la cupidigia) purtroppo sembra essere un difetto che accomuna qualche dirigente in questo campionato nel quale le società strutturate in modo veramente professonale si contano sulle dita di una mano. E tra queste naturalmente c’è la Scaligera Basket.
Per il resto passa un altro principio: quello che è meglio un obolo oggi che una piccola rinuncia per investire sul domani. Ma anche Ravenna dovrà venire a Canossa, ovvero a Verona.

RICORDANDO MARIO VICENZI

“Take care of your memories for you cannot relive them” (Bob Dylan, “Nothing Was Delivered”: Abbi cura dei tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo).

Mario Vicenzi era un uomo buono e semplice. Se n’è andato troppo presto; magari in questi anni un po’ tormentati avrebbe potuto dare un consiglio prezioso, pur restando nell’ombra, come faceva spesso. Un passo indietro rispetto al fratello Giuseppe, che nel 1972 rilevò da Andrea Piotto la Scaligera Basket appena promossa in serie D.
Il pioniere della pallacanestro veronese sapeva giocare con abilità su più tavoli, così oltre alla Scaligera c’erano l’Arena e la Cestistica, quest’ultima tutt’ora viva e vegeta , presieduta dalla quasi 90enne moglie Maria Benedetti Piotto (insignita dal presidente Petrucci della Targa d’oro della Federazione Italiana Pallacanestro) e favorita per la promozione in C Gold.
Giuseppe e Mario Vicenzi hanno rappresentato un pezzo importante non solo del basket, ma dello sport cittadino, ed è giusto ricordare un dirigente- coproprietario che non si tirò mai indietro per sostenere la Scaligera. La sua grande amicizia con Praja Dalipagic è emblematica ed uno dei ricordi più affettuosi e struggenti che conservo di quella epopea è la carezza che Mario Vicenzi negli spogliatoi del Pionir di Belgrado diede al grande campione (che per una stagione illuminò i tifosi gialloblù), affranto per il trionfo della Mash nella finale di Coppa Korac contro la Stella Rossa di cui era d.s.
La 7ª edizione del “Memorial”, posticipata rispetto alla collocazione tradizionale, arriva dopo le polemiche e le tensioni societarie estive, ma conferma la vicinanza di Giuseppe Vicenzi al basket gialloblù. Le cui sorte adesso sono affidate alla famiglia Pedrollo. Non si deve dimenticare che si deve a Vicenzi se la fiamma dei canestri rimase accesa dopo il fallimento, con la Sanzeno presieduta dal nipote Luca, figlio di Mario.
E non bisogna mai dimenticare chi siamo e dove eravamo. Soprattutto se ci si vuole rialzare dopo una caduta.

DOLOROSO, MA INEVITABILE

“Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te” (Kobe Bryant).

Esonerare un allenatore è sempre una decisione dolorosa, soprattutto dal punto di vista umano. E quando si deve cambiare in corsa è una sconfitta per tutti: società, squadra e coach, che finisce per pagare anche errori non solo suoi.
la Tezenis non ha voluto commettere l’errore dello scorso anno, quando, dopo avere puntato su un cavallo completamente sbagliato, si è trovata nelle condizioni di non poterlo cacciare, in virtù di un contratto blindato come Fort Knox, che avrebbe comportato un esborso sanguinoso.
Quest’anno la splendida vittoria sul campo della Fortitudo aveva illuso tutti, ma tutte le altre partite hanno palesato perplessità, pur tenendo conto della congiuntura sfavorevole, con l’infortunio a Pini e poi a Boscagin.
Il secondo tempo “allucinante” contro Udine è diventato così l’emblema delle incertezze e degli equivoci di questa Tezenis: 18 punti segnati nella ripresa, come gli 8 realizzati nel secondo periodo all’esordio con Roseto (precipitando a -23), i 25 nella ripresa con Piacenza e con Recanati (sfangandola come sappiamo contro i leopardiani), gli 11 nel terzo periodo a Mantova.
Insomma scarsa continuità, figlia di un gioco confusionario e autostima dei giocatori in drastico calo. A Frates bisogna dare atto che – come ho scritto nel precedente post – ha sempre difeso la squadra e si è assunto la responsabilità delle “mille porcate” commesse dai suoi giocatori. Un galantuomo, però forse non adatto a questa squadra e a questo campionato.
Le idee sicuramente non erano chiare, e non solo in campo. Al di là degli infortuni, la Tezenis in queste otto giornate è partita solo due volte con lo stesso quintetto (a Bologna e contro Piacenza), generando forse insicurezza tra qualche giocatore. E tra le contestazioni sollevate a Frates anche alcune scelte opinabili nel quintetto schierato nel momento topico contro Udine e il totale mancato utilizzo di Rovatti, che magari nell’assoluta mediocrità avrebbe potuto meritare una chance.
Incertezze che il tecnico ha riverberato anche sulla dirigenza, finendo col decidere il suo destino. Adesso resta da vedere chi si metterà definitivamente al timone della Scaligera: la nave è in mare aperto e per uscire dal mare procelloso serve un coach in grado dare sicurezza a tutto il gruppo, molto di più del “grande nome”. O presunto tale.
Buon vento Tezenis.

P.S. Nota a margine. In sette anni di A2 sotto la gestione Pedrollo, un solo allenatore è rimasto per tre stagioni ininterrotte senza che il rapporto venisse chiuso in anticipo sugli accordi contrattuali. E’ solo una constatazione. Il tempo è sempre galantuomo.