La ridistribuzione della ricchezza è la mission, la ragion d’essere della sinistra. Di tutta la sinistra. Quella moderna ha capito che prima bisogna produrla, la ricchezza, che se no hai ben poco da ridistribuire. Quella antica è rimasta a Robin Hood: risolvi tutto prendendo ai ricchi e dando ai poveri. La mission comunque è questa: ridistribuire in modo più equo.
Naturale dunque che sia di sinistra chi ha da guadagnare dalla ridistribuzione. Un po’ sospetto che lo sia, che dichiari di esserlo, chi ha da perderci. D’accordo: ci sono gli ideali, che gli eletti, le persone di grande spessore etico, perseguono anche a scapito del tornaconto personale. Ma gli eletti, come dice il nome, sono pochi. Le persone normali guardano al proprio utile.
Per questo ho sempre considerato con rispetto l’operaio, l’impiegato, la persona con reddito modesto che vota e fa discorsi di sinistra. Con molta perplessità invece i ricchi che si atteggiano a “compagni”. Anche perchè la moda incide e come. E in particolare da noi è diventato molto di moda, molto chic, per tanti milionari atteggiarsi a uomini e donne di sinistra.
(Volendo c’è anche una componente psichiatrica, edipica: non potendo ammazzare il padre, cerco di distruggere il mondo di mio padre. E così i nostri terroristi, i nostri aspiranti rivoluzionari, più che operai erano uomini della borghesia bene: i Giangi Feltrinelli, i Renato Curcio. Efant gaté, bambini guasti e viziati.)
Passi comunque il milionario à la page che si schiera con la gauche. Ma c’è un limite alle puttanate che dice. E questo limite l’ha superato lo stilista fiorentino Roberto Cavalli. Milionario con yacht, uomo di bel mondo, sponsor di Matteo Renzi.
Intervistato dal Fatto non ha saputo resistere al fascino di atteggiarsi a comunista chic, dichiarando: “Quando vedo le Ferrari parcheggiate in giro mando le targhe ai finanzieri”. Che possa pensarlo e farlo un operaio lo capisco, ma Cavalli? Che fa, manda la targa della sua auto?
Non contento, sembrandogli ancora poco, lo stilista “compagno” aggiunge: “Giuro. Fossi al governo, obbligherei i ricchi a versare metà dei loro grandi patrimoni.” Capito? Non a pagare più tasse, com’è giusto. Cavalli vuole l’esproprio proletario dei patrimoni! Da impugnare la motosega e tagliargli a metà lo yacht…
COSTA CONCORDIA EMBLEMA DEL PAESE
Un anno e nove mesi per iniziare a raddrizzare la Costa Concordia. E per tentare di fare altrettanto con il Paese quanti anni o lustri o secoli ci vorranno?
Emblematica la “rotazione” della nave per tempi e modi: perizie, controperizie, valutazioni di impatto ambientale e non, studi e pratiche burocratiche, terrore di assumersi la responsabilità di procedere. D’altra parte chiedete ai sindaci quanto ci vuole per fare una rotatoria o un’altra banale opera pubblica: più o meno lo stesso tempo e lo stesso iter.
Il sito di Repubblica mostrava oggi le foto di quanto successo settanta anni fa a Pearl Harbor: Gli americani in un battibaleno raddrizzarono e spostarono le decine di navi affondate dai giapponesi, rendendo nuovamente agibile in porto. Ma quello era e resta un Paese efficiente.
Il nostro invece è sempre più inclinato, sempre più prossimo ad affondare, come certificano tutti gli osservatori internazionali: sempre più giù in classifica per produttività, qualità della scuola, tempi della giustizia; sempre più primi per burocrazia e tasse.
Enrico Letta – magari con senso della realtà – parla di “politica del cacciavite”. Si cerca di dare un’aggiustatina qui e una là. Di più non si può fare. Ma col cacciavite non raddrizzi né la Costa Concordia e meno che mai il Paese.
Ci vorrebbero argani potenti, drastiche riforme strutturali, che nessun governo riesce a varare.
Consoliamoci con l’afflusso turistico. Mai visti così tanti all’Isola del Giglio. Tutti a farsi fotografare con la nave inclinata sullo sfondo. Ne arriveranno sempre più anche in Italia di turisti stranieri: a fotografare, a guardare increduli, un Paese che dovrebbe essere moderno, efficiente, occidentale. E che invece inclina sempre più verso il Terzo Mondo…
SE PAPA FRANCESCO VA IN R4
Papa Francesco è salito sulla R4. L’erre cosa? Capito di che stiamo parlando? Ma della mitica Renault R4! Io lo so bene perchè è stata la prima auto che mi comprò mio padre. Era il 1969. Pensavo fossero ormai estinte, confinate in qualche museo dell’automobile. Invece abbiamo scoperta che una è ancora in uso in Vaticano. Ci è salito sopra Papa Francesco, con grande risalto mediatico e scatenando molta sobria commozione…
Non pretendo che un Papa viaggi in Rolls Royces. Anche se lo fa abitualmente la Regina Elisabetta, senza che nessuno si scandalizzi; e quindi potrebbe forse usarla anche il Vicario di Cristo in terra. Mansione che – se ci crediamo – è un tantino più importante di quella regale.
Ma potrebbe usare una Lancia Delta, una Fiat Bravo, la cui manutenzione costa meno di un’auto da museo. Se non che la R4 fa più sobrio. Sempre ammesso di crederci, ed escludere lo sconfinamento nella sceneggiata populista. Nemmeno il padre fondatore del populismo italiano, Sandro Pertini, si sognava di girare in Renault…
Oltre un certo limite la sobrietà non è credibile. Così come non lo è l’afflato umanitario, senza spiegare chi paga il conto.
Il Papa chiede che i conventi dismessi non vengano più trasformati in alberghi ma destinati ad accogliere i rifugiati. Splendido, di un’umanità commovente. Ma poi il costo del mantenimento chi lo paga? Lo Ior, la banca vaticana, o lo Stato italiano cioè noi con le tasse? E i conseguenti problemi di ordine pubblico? Manda le guardie svizzere a vigilare gli ex conventi o deve pensarci la nostra polizia?
Susanna Tamaro ha scritto che oggi la Chiesa è emarginata. Emarginata e polverizzata. Alla Dottrina cattolica è successo qualcosa di molto simile alla laica Pubblica istruzione.
Un tempo c’erano i programmi ministeriali, che tutti i docenti erano tenuti a svolgere e rispettare. Si sapeva cosa veniva insegnato nelle scuole. Poi si decise di cambiare, magari in nome della libertà di insegnamento. Proliferarono i corsi sperimentali: ogni docente prese a svolgere il programma che voleva lui. Non si sa più cosa si insegna nelle nostre scuole.
Tali e quali i sacerdoti. Basta con la dottrina che dal Papa discendeva attraverso i vescovi (provveditori dell’insegnamento religioso). Oggi ogni prete predica e si occupa di quello che vuole: uno fa il digiuno per
la tutela dell’ambiente, l’altro si improvvisa teologo, un terzo dice che loro, i preti, potrebbero anche sposarsi.
Non c’è più una linea, una dottrina, una certezza della fede.
E se questo polverizzazione ha preso piede qui da noi, figurarsi altri Paesi, come quelli di provenienza del Papa, dove il Cattolicesimo da tempo è “contaminato” con altre credenze, con chiese para protestanti, con riti Vudù e non Vudù…
Mi pare che il primo obiettivo dovrebbe essere quello di contrastare e contenere le spinte centrifughe. Come? Con la sobrietà, dicendo all’Angelus “buon giorno, buon appetito”? O tornando a sentire tutta la sacralità (che implica distanza) del Vicario di Cristo? Serve un Papa di fronte al quale inginocchiarsi con rispetto e devozione, oppure uno che dia l’impressione di poterci giocare a briscola al bar?
Papa Francesco l’ha detto subito: “Vengo dalla fine del mondo”. Speriamo non ci porti alla fine di quel mondo cattolico che è il nostro mondo.
LA LEGGE E’ DISUGUALE PER ALCUNI
Nessuna pietà per Silvio. La determinazione a procedere il più speditamente possibile – alla decadenza da senatore, all’interdizione dai pubblici uffici, oltre che alle conseguenze penali della condanna – si fonda su una parola d’ordine inappuntabile: la legge è uguale per tutti! E quindi deve esserlo anche per il Cavaliere di Arcore!
Peccato che questa storia, della legge eguale per tutti, sia una delle balle più palesi che continuiamo a farci raccontare.
Già c’é da dubitare che un qualunque grande imprenditore (che magari partecipa alle primarie o si autoproclama tessera numero 1 del Pd) subirebbe lo stesso trattamento giudiziario subito dal leader della destra.
Piero Ostellino ha scritto sul Corriere che, pur di arrivare a condannare Berlusconi, i magistrati hanno messo in piedi una nuova fattispecie di reato che non aveva precedente nei nostri codici: l’ideatore di reato. Condannato non per aver materialmente compiuto l’evasione fiscale, ma per averne ideato il metodo.
Sempre Ostellino aggiunge che sarebbe come condannare lo scrittore di gialli che ha delineato l’omicidio perfetto e non chi, ispirandosi al libro, lo ha concretamente compiuto. Un paragone che quantomeno fa riflettere.
Ma non è questo il punto, e possiamo anche lasciar perdere le vicende giudiziarie di Berlusconi.
Il punto è che proprio i magistrati, coloro che dovrebbero amministrare la giustizia, sono i più disuguali di fronte alla legge.
Un giornalista che sbaglia, che diffama qualcuno, né risponde sia penalmente che civilmente. Un medico che sbaglia altrettanto. Un ingegnere che sbaglia i calcoli di cemento armato pure. Siamo arrivati a imputare e condannare perfino i sismologi rei di non aver saputo prevedere i terremoti…
La regola chi sbaglia paga vale per tutti: commercianti, artigiani, pubblici dipendenti, insegnanti, preti, imprenditori. Solo per loro, solo per i magistrati, non esiste. Non esiste la responsabilità civile, non ostante un referendum l’avesse introdotta a furor di popolo. Col risultato che pm e giudici del processo Tortora hanno proseguito indisturbati fino al massimo della carriera e della retribuzione.
Nei tribunali, dove si amministra la giustizia, campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti”. Salvo per chi amministra la giustizia stessa! Unica riforma possibile: togliere la scritta. Cioè smetterla almeno di farci prendere in giro.
CALCIO, PIU’ VIOLENZA CHE RAZZISMO
Molto originale davvero la giustificazione data dal sindaco di Roma Ignazio Marino dopo il masso lanciato contro il pullman dell’Hellas: opera di quattro scalmanati – ha detto – che non rappresentano la città. Già è sempre così, quando succede nelle grandi città è colpa di poche teste calde, una esigua minoranza di facinorosi.
Peccato che la regola non valga per Verona. Quando accade qui le quattro teste calde, i facinorosi diventano l’emblema e la prova della “Verona violenta e razzista”. Immediatamente viene criminalizzata l’intera città, senza alcun distinguo.
Ha ragione il sindaco Tosi quando dichiara che se fosse successo a Verona “sarebbe stata messa sotto accusa l’intera città”. Su Roma invece si sorvola anche quando la violenza ha una chiara connotazione razzista, come accaduto lo scorso anno con i tifosi del Tottenham aggrediti e accoltellati, dai laziali, in quanto ebrei ( Tottenham è la squadra del quartiere ebraico di Londra).
Altro che i “buuu” a Balotelli vanamente attesi sabato scorso al Bentegodi…
Ma è ora di prendere atto che il vero problema, endemico e cronico, del calcio italiano è la violenza fisica. Non quella verbale. Esiste anche la seconda, e più che ai “buuu” e ai fischi penso agli insulti razzisti. Però dovrebbe esserci un senso delle proporzioni.
Se la leghista Dolores Valandro – giustamente – è stata condannata ad un anno per l’invito a stuprare la Kyenge, quanti anni di galera dovrebbero scontare i tifosi romanisti che hanno scagliato il masso? Masso che, se colpiva l’autista del pullman dell’Hellas, poteva provocare una strage?
Violenza fisica sulla quale invece sorvoliamo per concentrarci su quella verbale. La violenza politica – dei no tav, dei no global – la trattiamo alla stregua di una forma di dissenso democratico. Quella calcistica la addebitiamo a quattro fanatici che “non rappresentano che loro stessi”. Mentre sono la rappresentazione perfetta di un Paese che, di fronte alla violenza come alla criminalità diffusa, non sa esercitare la deterrenza.
In Inghilterra la Thatcher ha stroncato gli hooligans (al loro confronto gli ultras di Roma e Lazio sono dilettanti del crimine…). Li ha stroncati in un battibaleno. Per lo stesso motivo non esiste un quel Paese la criminalità diffusa dei clandestini (e nemmeno degli inglesi). Anzi: non esistono i clandestini. Possono esserci, ci sono, i terroristi islamici. Ma questa è un’altra storia.
Noi invece la deterrenza la esercitiamo con le chiacchiere, i decreti legge, la burocrazia. Cioè non la esercitiamo.
Abbiamo burocratizzato al massimo gli ingressi agli stadi: tornelli, tessera del tifoso, biglietti da acquistare in banca. Risultato: entra lo stesso di tutto – dai fumogeni, alle spranghe, alle bombe carta – in compensano entrano sempre meno spettatori, demotivati ad andarci oltre che dalla violenza anche dalle inutili burocrazie.
Certo, abbiamo stadi vecchi e inospitali, rovinati da piste per l’atletica mai utilizzate. Ma anche qui non cediamo agli equivoci: fossero anche moderni, ospitali e attrezzati con tutto il contorno di bar, negozi e ristoranti, la gente normale, le famiglie, continuerebbero e non andarci finchè resta il pericolo concreto di finire preda della violenza degli ultras.
SFOTTO BALOTELLI. SONO RAZZISTA?
Il comportamento del popolo dell’Hellas, sabato al Bentegodi durante Verona-Milan, ha generato un serio problema interpretativo della legge Mancino sull’istigazione all’odio razziale. Niente “buuu” all’indirizzo del calciatore nero-italiano, nessun fischio, solo applausi. Più super Mario sbagliava un passaggio, più tirava alta una punizione, più i tifosi della curva e dell’intero stadio lo applaudivano gridando:” Mario, Mario! Bravo, bravo!”
Insomma lo sfottevano, lo prendevano in giro. E qui sorge il problema. Si può sfottere un nero, o si può farlo solo con un bianco? Chi lo fa col nero è un razzista che gli manca di rispetto ed istiga all’odio nei suoi confronti? Ripenso a Mourinho che cacciò Balotelli dall’Inter sostenendo che “aveva un solo neurone”. Magari di un calciatore bianco (chessò: di Boriello) puoi dirlo. Ma come la mettiamo se cambia il colore della pelle?
In attesa di lumi dalla Cassazione, sentiamo cosa pensano i frequentatori del blog.
Personalmente applaudo al popolo dell’Hellas che ha avuto l’intelligenza di sfottere, non tanto Balotelli, quanto la becera retorica antirazzista dei media che in tutti i modi (senza riuscirci) avevano cercato di drammatizzare la vigilia del match.
Becera retorica. Perchè il razzismo è una cosa molto, molto seria come ci hanno dimostrato i drammi e le pulizie etniche del Novecento: Hitler agli ebrei e Stalin ai kulaki non è che facessero “buuu”, li hanno sterminati in quanto appartenenti ad una razza e ad un ceto sociale ritenuti inferiori.
Questo è il razzismo. Che tutt’ora si manifesta ad esempio con i cristiani che quotidianamente vengono sterminati in alcuni Paesi in quanto cristiani, cioè appartenenti ad una religione inferiore.
Per viltà ignoriamo il vero razzismo, facciamo finta che non esista. Media ed istituzione, nazionali ed internazionali, trovano assai più comodo e meno pericoloso farsi belli (farsi le pippe) con il “razzismo” da stadio. Che metto tra virgolette perchè mai ho sentito grida e fischi preventivi indirizzati a calciatori di colore persone serie, ma unicamente a quelli – neri o bianchi – con carenza di neuroni.
NON C’E’ PANE? DATEGLI INSALATA!
L’ultimo dato di Confindustria sul crollo dei consumi mi ha ricordato Maria Antonietta quando diceva rivolta al popolo affamato di Parigi: “Non c’è pane? Dategli brioches!”
Secondo l’associazione degli imprenditori anche il popolo italiano del 2013 sarebbe ridotto così male da non potersi più permettere nemmeno di comprare il pane e la pasta. Allarme: crollano perfino gli acquisti dei beni primari!
Peccato che il popolo – cioè la generalità dei cittadini, fatti salvi i poveri veri che pure ci sono – possa permettersi le brioches, ossia le insalatine prelavate e confezionate in busta dei supermercati. Che costano tre volte la pasta: meno di 50 cent. il mezzo chilo di pasta, 1 euro e 20-1 e 30 la bustina con un paio d’etti di insalata. Con la pasta puoi mangiare per tre giorni, l’insalatina la consumi con un pasto.
Dopo l’allarme di Confindustria, ripreso dai media, una nostra giornalista è andata dai fornai a intervistare sia i panettieri che i loro clienti. I primi confermavano: si vende meno pane. I secondi spiegavano: carboidrati? Ma siamo matti! Bisogna stare a dieta per calare la pancia e mettere il costume, in questi mesi tutti ci dicono che si deve mangiare soprattutto frutta e verdura!
Prodotti che, appunto, costano come il pane (in effetti piuttosto caro) e molto più della pasta.
Questo per dire quanto sia stupido ( e controproducente) il catastrofismo di chi arriva a dipingerci come un popolo di affamati ridotti ad acqua (del sindaco) e senza nemmeno il pane. Quando invece possiamo ancora permetterci le brioches. E stiamo regolarmente intasando le autostrade verso il mare, i monti, il lago.
Ripeto. Non che non ci sia la crisi, che investe soprattutto il mondo dei dipendenti privati e degli autonomi. Ma ci sono gli ammortizzatori sociali, i risparmi, il tessuto famigliare. Che fretta c’è di dipingerci alla fame? Minimo aspettiamo che arrivi sul serio. Cosa ottengono Confindustria e certi media a deprimerci prima del tempo? Autolesionismo puro.
PAPA FRANCESCO COL BAGAGLIO A MANO
Sono tante le immagini che hanno colpito nello storico viaggio di Papa Francesco in Brasile. Oggi tutti i media mostrano quelle della messa conclusiva sulla spiaggia di Copacabana con oltre tre milioni di fedeli. Per non parlare della preghiera flash mob, con prelati e vescovi che ballano e cantano guidati dal rapper brasiliano.
Ma forse la più emblematica è quella della partenza: Francesco immortalato mentre sale in aereo portandosi il bagaglio a mano come l’ultimo turista di un volo low cost.
Il Papa ha fatto della semplicità il suo emblema. Niente appartamenti vaticani, mangia alla mensa assieme agli altri parlando con chi capita. Certo. La Chiesa aveva bisogno di questo bagno di umiltà. Purchè non si arrivi a confondere la semplicità con la banalità. Forse, il Vicario di Cristo in terra, un segretario che gli porti la borsa può permetterselo senza dare scandalo…
E le nostre magnifiche chiese – piene di storia, di opere d’arte e di sfarzo – cosa ne facciamo? Chiudiamo San Pietro, la Basilica del Santo, San Zeno, perchè sono troppo ricche, e andiamo a pregare in un capannone di periferia per essere e mostrarci più francescani?
Credo che una certa “sacralità”, l’abito, il linguaggio, la forma non guastino nemmeno nel mondo laico. A partire dalla politica dove oggi tutti si fingono francescani.
Laura Boldini non mangia al ristorante di Montecitorio ma alla mensa dei dipendenti. Può starci. Ma, quando si preoccupa di darne notizia all’Ansa e ai media, la domanda sorge spontanea: presidentessa ma ci sei o ci fai? Perchè la sobrietà di certi politici è da tempo una finzione a beneficio dei gonzi. C’era l’onorevole Peppone, il deputato del Pci, che partiva da Roma in prima classe salvo passare in terza all’ultima stazione prima del suo paese per farsi vedere popolare dai suoi elettori. C’erano i capi della Dc sempre molto attenti a girare il territorio in vecchie Fiat che non inducessero il sospetto di arricchimenti illeciti. Puro teatro.
Oggi i parlamentari tra di loro si chiamano “cittadino” o “eletto” al massimo “deputato”. Hanno cancellato quel “onorevole” di cui andavano così fieri in passato. Sono forse più onorevoli oggi che hanno rinunciato alla qualifica? Hanno recuperato credito agli occhi dei cittadini o stanno perdendo quello residuo?
Da giovane giornalista qualche volta andavo a Roma e sentivo un’emozione per la maestosità del luogo: entravo a Montecitorio come nel tempio della nostra democrazia. Oggi per come vestono, parlano, si atteggiano i nostri rappresentanti potrebbero anche loro tenere le sedute in un capannone dismesso alla periferia di Roma.
I nostri fraticelli della politica: tutti in bicicletta, tutti morigerati, tutti con lo scontrino.
Non che la semplicità guasti, anzi ce n’è bisogno. Ma evitando gli eccessi perché altrimenti diventa banale e falsa.
SANT’AGOSTINO E I PRODOTTI CINESI
Dai giocattoli per bambini ai “giocattoli” per adulti. L’ultimo sequestro di prodotti cinesi ha offerto questa novità: marchingegni hard per giochi erotici.
A Padova c’è l’Ingross della mercanzia prodotta in Cine che da qui viene distribuita in tutto il Veneto. Gli interventi, i sequestri, della Guardia di finanza sono all’ordine del giorno. I finanzieri fanno il loro dovere perchè – secondo la normativa vigente nel nostro Paese – sono prodotti fuori legge, contraffatti e pericolosi per la salute.
Tuttavia è inevitabile pensare a Sant’Agostino che si illudeva di svuotare il mare con il secchiello. Possono i sequestri stroncare un mercato di queste dimensioni? Mercato che prospera sulla concorrenza di prezzi molto più bassi. Difficile crederlo. Anzitutto, se sequestro deve essere, dovrebbe avvenire non dentro il territorio nazionale ma al confine: dormono forse le autorità portuali dove ogni giorno sbarcano centinaia di container provenienti dalla Cina? Dormono o sono indotti a dormire?…
Ma il secchiello non basta né per le merci né per gli uomini. Anche l’America ha rinunciato a illudersi di fermare la clandestinità con i rimpatri: ben che vada ne rimpatri dieci e ne arrivano altri mille. (Il che non toglie che il clandestino che delinque vada perseguito con il massimo rigore). Non si cava il ragno dal buco, non si svuota il mare col secchiello.
Sia per le merci che per gli uomini servono misure strutturali che vadano oltre la pura repressione. Parlando di merci ci vuole un diverso accordo internazionale con la Cina; ragionevole, basato sulla reciprocità, e che non si illuda di impedire la libera circolazione.
La giustificazione di certe nostre misure protezioniste fa francamente ridere: ci vuol tutta per credere che il giocattolo cinese faccia venire il cancro al bambino che dovesse metterlo in bocca…
Abbiamo calcolato il pericolo delle ritorsioni? Di una Cina che decida di chiudere il suo enorme mercato ai nostri prodotti? Quando il nostro Paese può sopravvivere e tornare a crescere solo rilanciando l’export.
Una problematica globale che non stiamo affrontando. E intanto continuiamo a mettere il secchiello in mano ai Sant’Agostino in divisa come se potessero risolvere loro la questione.
LA KYENGE E I BECCHINI DELLA LEGA
La stupidità, la capacita di farsi del male, che dimostrano certi dirigenti della Lega davvero non conosce limiti.
Si illudeva chi pensava archiviata una stagione con il pensionamento del vecchio leader Umberto Bossi (che almeno aveva l’attenuante della malattia). I suoi epigoni, anche se schierati con Maroni, si dimostrano eredi più che degni.
Parlo di Roberto Calderoli che non trova di meglio che paragonare il ministro Kyenge ad un orango. Poi, cercando di scusarsi, insiste: dicendo che lui è amico degli animali, che il suo non è un giudizio politico ma estetico. E quindi ribadisce la somiglianza somatica…
Qui in Veneto Daniele Stival pensa di essere spiritoso e dice che è offensivo per gli oranghi il paragone con il ministro congolese… Discorsi degni di un ubriaco la sera al bar. Non certo di persone che hanno la pretesa di far politica, che siedono nelle istituzioni l’uno da vicepresidente del Senato, l’altro da assessore regionale.
Giustamente il presidente Napolitano di sdegna e parla di “imbarbarimento della vita civile”. E’ inaudito il tono, le offese razziste, la volgarità. Ma più ancora mi lascia allibito la stupidità politica: questi, Calderoli e Stival, sono gli autentici becchini della Lega Nord; stanno seppellendo i resti del loro partito.
Anche in questa occasione a dimostrare buon senso, e senso politico, è il sindaco di Verona, nonchè segretario veneto della Lega, Flavio Tosi. Il quale da un lato ha subito condannato Calderoli dicendo che “l’offesa personale non va usata né nella vita né nel confronto politico”. Ma soprattutto arriva al nocciolo della questione osservando che così facendo “ha spostato il tema su cose che sono offensive e di nessuna utilità, quando il problema dell’immigrazione è un problema vero di cui bisogna parlare”.
Questo è il nocciolo dell’autolesionismo di certi leghisti: c’è un tema caldo, sentito da tantissimi cittadini, affrontato male per l’incapacità di governarlo – quello dell’immigrazione appunto – e, se sai far politica, puoi usarlo anche in termini di consenso. Mentre, se sei un ubriaco capace solo di vomitare insulti, fai semplicemente il gioco della Kyenge che, qualunque tesi possa sostenere o progetto ventilare, non può più essere oggetto di eventuali critiche perchè i Calderoli e gli Stival le hanno confezionato lo schermo di una solidarietà unanime. Paragonandola ad un orango le hanno regalato l’immunità. Autentiche aquile.
Se vogliamo non sono aquile nemmeno gli avversari politici di Calderoli e Stival che ora invocano le loro dimissioni. E perchè mai farli dimettere? Meglio lasciarli a completare l’opera di becchini della Lega Nord…