SE LO CHEF BACCHETTA IL GIP

Lo chef in questione è Giorgio Chiesa, titolare di un noto ristorante di Cuneo, che ha criticato la decisione del gip di Roma di rilasciare, due giorni dopo, il figlio Cristopher, matricole a Scienze Politiche, fermato dopo gli scontri no global-polizia di mercoledì scorso.
Intervistato dal Giornale lo chef ha detto:”Altro che semplice firma, dovevano tenerlo dentro più a lungo. Se restano impuniti li glorifichiamo. Senza una punizione gli togliamo perfino il senso di colpa”.
Non che papà Giorgio sia stato un modello di educazione (mantiene il figlio, tutt’altro che studente modello già bocciato due volte a liceo, con tanto di appartamento a Monte Mario…) ma certo le istituzioni non aiutano i genitori nel difficile compito di educare.
Non sarà colpa del gip, quanto del legislatore, ma non c’è dubbio che i no global ne escono comunque e sempre impuniti. E ne deriva qualla certezza di impunità che diventa una vera e propria istigazione a ripetere i reati.
Emblematico il caso dell’allora leader dei centri sociali del Nordest, Luca Casarini, che ricevette il foglio di via dal questore di Padova e lui venne tranquillamente a Padova per bruciare in piazza lo stesso foglio di via: pubblica dimostrazione della totale impunità di cui godeva e gode.
Non si può poi non pensare a Pierpaolo Pasolini che, fin dal ’68, si schierò dalla parte dei poliziotti sostenendo che i veri proletari erano loro. Cristopher Chiesa lo conferma in pieno: lascia il suo lussuoso appartamento a Monte Mario per andare allo scontro con agenti modestamente retribuiti che certe abitazioni le vedono solo al cinema…
Il padre Giorgio, in fine, dimostra di conoscere la storia politica del nostro Paese quando aggiunge:” Comunista mio figlio? Ma nemmeno quello! I comunisti sono legalitari, lui è iscritto ad un centro sociale.” Verissimo: i comunisti erano e restano legalitari; ed infatti il vecchio Pci non aveva alcuna simpatia per ’68, sessantottini e derivati vari.

ALLUVIONE E CASTA DEGLI AGRICOLTORI

La paura per l’alluvione, tornata a farsi sentire in queste ore, ci ha fatto scoprire l’esistenza dell’ennesima casta: quella degli agricoltori. Anche loro, come tutte le altre corporazioni, intenti a perseguire i propri interessi in barba a quelli più generali. Nella fattispecie in barba al pericolo che Vicenza e Padova finiscano sott’acqua.
Un pericolo che per Verona, dove gli allagamenti erano abituali, non esiste più da quando è stata realizzata la grande galleria che consente di travasare nel Garda l’acqua dell’Adige in piena.
la soluzione è sempre quella: bisogna dirottare fuori a monte le acque del Bachiglione e del Brenta evitando che vadano a invadere le città. La soluzione sono i grandi bacini di laminazione, vaste aree agricole contigue ai corsi dei fiumi che possono, appunto, essere utilizzate in caso di necessità come scolmatoi. Come mai non sono state realizzate in questi due anni successivi all’alluvione del Novembre 2010?
Si potrebbe pensare che mancano i fondi o che siamo di fronte all’abituale lentezza di tutte le opere pubbliche. La ragione invece è un’altra: la casta degli agricoltori, dei proprietari dei terreni interessati che hanno messo in atto un braccio di ferro per lucrare quanto più possibile.
I danni alle culture dei terreni, se e quando vengono adoperati per contenere le acque, sono relativi. In ogni caso è stato offerto ai proprietari un robusto indennizo a prescindere, cioè versato in anticipo anche se il bacino non viene utilizzato: ben il 70% del valore dei terreni stessi! E – attenzione – non si tratta di un esproprio, bensì solo di un permesso d’uso lasciando loro la piena proprietà! Ma agli agricoltori non basta; sfruttando lo stato di necessità vorrebbero lucrare ancora di più. E la Regione è costretta a trattare. Perchè l’alternativa sarebbe l’esproprio dei terreni stessi con costi e tempi esorbitanti.
Così anche la casta degli agricoltori conferma l’assunto di tutte le altre caste: del bene comune me ne frego, penso solo ad ottimizzare il mio interesse personale.
L’ennesima dimostrazione che i privati, noi cittadini, sempre pronti a mettere i politici sul banco degli imputato, se appena ci si presenta l’occasione non siamo affatto migliori di loro. Si può obiettare, a ragione, che l’esempio, l’educazione al senso civico, è compito di chi ci governa.
Prendiamo atto che i politici hanno invece raggiunto in pieno l’obiettivo opposto: diseducare al massimo i cittadini. C’è qualcuno che riuscirà ora a rieducarli? Contiamo su Sant’Antonio e sulla Madonna di Medjugorje…

INNO OBBLIGATORIO, PREGHIERE ANCHE

E’ un provvedimento parziale questo varato dal governo Monti con l’obbligo di recitare l’Inno di Mameli all’inizio delle lezioni. Per completarlo, in nome del Concordato, l’obbligo andrebbe esteso alla recita delle preghiere: si entra in classe e, dopo aver ricordato per quanti secoli siamo stati “calpesti e derisi”, si prosegue recitando tre Pater, Ave e Gloria…
Chiaro che le preghiere obbligatorie non bastono per affollare le chiese, per tornare ad essere cattolici praticanti. E così non basta cantare l’inno nazionale per diventare “italiani praticanti”. Proprio come non serve intonare “Dio salvi la mia casta!” perchè questa sia nei fatti l’unica appartenenza, l’unica “Patria” che riconosciamo e per cui ci battiamo: per preservare i piccoli o grandi privilegi della casta dei politici, dei giornalisti, dei magistrati, dei geometri, dei pubblici dipendenti, dei sindacalisti con distacco, di medici e avvocati, dei bancari etc., etc.
Queste imposizioni ridicole, da Totò a Palazzo Chigi, nessuno si sognerebbe di attuarle coi francesci, gli inglesi, gli americani o gli svizzeri: il loro inno lo cantano già perchè ci credono, perchè hanno l’orgoglio di appartenere alla propria Patria o Nazione che dir si voglia.
Noi no. Solo l’Italia post unitaria ha cercato in tutti i modi di radicare questo sentimento: con la celebrazione del Risorgimento, con l’insegnamento nelle scuole, con i monumenti nelle piazze di ogni città, con poeti come Carducci e Pascoli. Già col fascimo è tornata la frammentazione: con il varo, appunto, delle corporazioni – lascito perpetuo del Regime alla repubblica italiana – col fatto che non contava essere cittadini italiani ma i diritti derivavano anzitutto dall’iscrizione al Partito nazionale fascista.
Poi – coerentemente – è seguita la stagione dell’inno alle ideologie: eravamo prima democristiani o comunisti o socialisti; la nostra patria sono stati i partiti non l’Italia.
L’amministratore delegato dell’Eni Scaroni raccontava di un sindaco francese che aveva accettato di ospitare nella sua città un rigasifficatore, non ostante fossero modesti i benefici occupazionali e tante le critiche per l’impatto ambientale. Alla domanda sul chi glielo avesse fatto fare ad accogliere ugualmente l’impianto, quale sindaco rispose: perchè me lo ha chiesto il mio Paese.
Se e quando saremo disposti a fare qualcosa per l’Italia, contro il nostro interesse personale e di casta, allora sì che avremo cantato – nei fatti – l’inno di Mameli. Senza bisogno di aprire la bocca e di imporre pagliacciate ai nostri ragazzi (che magari canteranno anche ma poi, i più bravi, scapperanno via da questo paese senza Patria e senza futuro).

RAUTI, FINI E ALTRI FUNERALI

Dovevano essere solo i funerali di Pino Rauti, quelli celebrati in piazza Venezia a Roma: sono diventati anche i funerali politici di Gianfranco Fini. Il popolo di destra lo ha infatti accolto con sputi, schiaffi e grida “Traditore! Sei come Badoglio!”. Si può pensare che fossero solo i nostalgici della destra neofascista che fu, gente che non capisce come ci sia l’esigenza di rifondare una moderna destra europea anche in Italia.
Peccato che Fini abbia abiurato il passato (“fascismo, male assoluto”) senza però riuscire a far nascere questa nuova destra europa. Ed è quindi tempo di esequie anche per lui.
D’altra parte qual è il leader della Prima o della Seconda Repubblica che non stia per diventare cliente delle pompe funebri? Berlusconi è già inumato ad Arcore. Casini vi sembra in buona salute? Di Pietro è sepolto dal crollo dell’Italia dei Valori Immobiliari. Per Vendola è pronto un posto nell’ala di sinistra del Vittoriale. Bersani forse sopravviverà, magari perchè leader davvero non lo è mai stato…
Intanto Libero scrive che Flavio Tosi potrebbe essere il Renzi del centrodestra. Di certo il sindaco di Verona è l’uomo nuovo che ha rifondato la Lega. E non è una questione anagrafica: lo stesso dicasi dell’altro Flavio, il sindaco di Padova Zanonato.
Stringendo l’orizzonte al nostro Veneto solo i due Flavi sembrano avere la capacità di guardare al futuro, ai nuovi assetti di governo del territorio: dar vita alle due grandi aree metropolitane Orientale e Occidentale.
Un progetto che non solo porterebbe alla cancellazione completa di tutte e sette le vecchie province venete, ma allo svuotamento della stessa Regione. Innovazione politica autentica.
Concludendo con una battuta (ma non troppo) potremmo dire che oggi i due Flavi sono vivi e uniti nella lotta…per rottamare Luca Zaia!

PERCHE’ IL VENETO NON E’ LA SCOZIA

Gli amici venetisti si sono sdegnati ed offesi per una mia opinione dove osservavo che il Veneto non è la Scozia. Mi hanno scritto diverse mail piene, oltre che di rimostranze, di dati storici sulla Serenissima.
Iniziamo col dire che i sogni non sono la realtà e, guardando alla realtà, mi sembra indiscutibile che il nostro Veneto sia oggi assai poco scozzese. Nel senso che l’idea indipendentista è portata avanti da un gruppo di filologi della storia e cultura veneta ma è ben lungi dall’essere un’istanza di massa.
Lo diverrà quando vedremo qualcosa di simile al Camp Nou dove centomila tifosi hanno smesso di tifare Barcellona contro il Real, hanno composto la bandiera catalana e si sono mesi a gridare all’unisono “indipendenza, indipendenza!”. Lo diverrà quando la maggioranza dei veneti voteranno per un partito indipendentista, come hanno fatto gli scozzesi con lo Scottish National Party.
Nell’attesa siamo, appunto, fermi ai sogni. Magari suadenti, ma sogni. Se mi domandano cosa penso di un Veneto indipendente, rispondo “magari”! E aggiungo che mi piacerebbe ancora di più un Veneto che scelga l’annessione all’Austria…Però sono solo sogni, non realtà.
D’altra parte quanto manchi di presupposti consistenti la battaglia per l’indipendenza lo dimostrano proprio le vicende dei movimenti venetisti: sono un pulviscolo che aveva generato quello che sembrava un partito (nome esatto, un partitino) ,Veneto Stato, che immediatmente si è spaccato in due: da una parte Indipendenza veneta, dall’altro ciò che resta di Veneto Stato. Una spaccatura netta, impensabile tra gli indipendentisti scozzesi, catalani o baschi.
Volendo si può spiegarla con le piccole miserie umane, cioè col desiderio di essere comunque il segretario o il portavoce o il presidente onorario non importa se del nulla o quasi. Penso però che la ragione sia più profonda: scozzesi e catalani non si dividono perchè hanno una consapevolezza culturale e storica della loro unità e, di conseguenza, della comune battaglia per l’indipendenza. Mancando la quale i venetisti son qui a testimoniare, non l’indipendenza del Veneto, ma l’eterno ritorno dei capponi di Renzo.
Avessino l’esempio di un partito piccolo ma compatto, potremmo credere che i veneti – con tempo – si convincano a vortarlo facendolo diventare una forza politica decisiva. Ma, al momento, i venetisti non si arrabbino se guardo la realtà: il Veneto è lontanissimo dal diventare la Scozia. E, se non nasce nemmeno il presupposto, dipende anche (non solo) dalle loro baruffe chiozzotte. Non certo da chi le osserva.

LA SOFFERENZA DI UN BAMBINO

A Cittadella un bambino di 10 anni è stato prelevato all’uscita da scuola e caricato a forza dal padre e da alcuni agenti sull’auto, per sottrarlo alla madre cui il tribunale dei minori aveva tolto l’affidamento. Lo stesso ragazzino, per otto anni, aveva assistito ai litigi tra i due genitori (allargati anche ad altri famigliari), litigi degenerati pure nelle lunghe dispute giudiziarie.
Secondo voi qual’è la causa della sua indiscutibile sofferenza: alcuni attimi di prelievo forzato o la guerra continua tra le due figure di riferimento? Uno scontro lungo anni tra quei genitori che per i figli piccoli sono le divinità; e risulta loro dunque inconcepibile, traumatico, assistere alla guerra tra gli dei.
Eppure gran parte dell’opinione pubblica (oltre ai media e alle istituzioni) ha messo sotto accusa la “violenza della polizia”.
Una giustizia tesa alla tutela dei minori dovrebbe togliere la patria potestà ad entrambi i genitori che coinvolgano i figli nelle battaglie che spesso accompagnano le separazioni. Varrebbe come deterrente sapere che questo può essere il risultato finale, veder sottratto il figlio ad entrambi? Se non valesse avremmo la riprova che l’affidamento del figlio è solo un alibi: cioè che interessa di più usarlo come arma impropria nelle rancorose dispute tra patner che non vederselo affidato per accudirlo con amore.
Come sappiamo il cosiddetto “video choc” è stato ripreso da una zia materna del bambino. Auguriamoci che qualcuno riesca a riprendere anche uno de tanti pedofili che quotidianamente sodomizzano i ragazzini. E che mandi il video a “Chi la visto”. Finalmente le istituzioni, i presidenti di Senato e Camera, il parlamento e la stessa opinione pubblica sarebbero mobilitati contro la vera violenza che tanti bambini subiscono.
E non per un semplice “placaggio”, sgradevole fin che si vuole da vedere; ma che è, comunque, solo l’esito finale della Guerra dei Roses tra mamma e papà.

CELENTANO FA IL TO MESTE’

E’ un condensato di saggezza e buon senso il vecchio proverbio lombardo “ofelè fa il to mestè”, pasticcere fa il tuo mestiere. Non combinare pasticci come succede a (quasi) tutti quelli che voglio cimentarsi con un mestiere diverso da quello che conoscono e praticano. Gli esempi si sprecano, basti pensare ai tanti giornalisti entrati in politica solo per fare altrettanti buchi nell’acqua…
Impossibile non pensare al proverbio dopo aver visto Celentano in Arena arabbattarsi, non certo con il Rock dove è e resta un grande, ma con quell’Economy che non rappresenta proprio il suo mestè.
Di una banalità imbarazzente le sue domande all’economista francese Jean Paul Fitoussi (che già quello dell’intervistatore è mestiere diverso dal cantante) per non parlare della sue personali considerazioni. Perla tra le perle l’affermazione che tanto il debito pubblico “basta non pagarlo”. Peccato che a detenerlo, il debito, siano in massima parte le famiglie italiane e quindi, non restituirlo, significa mangiarsi i loro risparmi.
Una soluzione che può passare per il capo ad una massaia, o ad un giornalista d’accatto come lo Zwirner, i quali però non possono andare a sparare queste stupidaggini in un Arena gremita e in diretta televisiva con decine di milioni di telespettatori.
Quanto alla decrescita non sto a fare il moralista osservando che gli ingaggi dell’Adriano mai sono decresciuti… ma certo che sentirlo predicare questa soluzione mi fa un po’ lo stesso effetto di vedere i banchieri che vanno a votare per la sinistra…
La novità, dopo diciott’anni, era il concerto dal vivo. Cioè il rapporto “vivo” con un pubblico vero, non con quello degli studi televisivi che (per cachet) applaude comunque quando si accende la scritta luminosa “applausi!” e viene zittito se dissente.
E così lunedì sera il pubblico dell’Arena ha interrotto la predica sull’Economy a suon di fischi e di grida: “Canta, Adriano, canta!”. Fa il to mestè, appunto, che di pasticceri della politica e del sociale ce n’è già a sufficienza.
Una postilla, dato che siamo nella mitica rete che, più che il luogo della partecipazione democratica, è quello dei pasticceri che si inventano nuovi mestieri: basta poter postare, e tutti siamo convinti di essere diventati esperti di tutto lo scibile umano. Tutti come Celentano che predica.

SOLO RENZI FA PIAZZA PULITA

Tutti a casa! Tagliamoli le mani! Mandiamoli in esilio o, meglio, in galera! Queste sono oggi le grida che si levano dai cittadini esasperati dalla crisi economica, poco inclini a ricordare le loro responsabilità e molto inclini ad eddebitarle tutte alla classe politica: come se ce l’avessero mandata i marziani, l’attuale classe politica, e non l’avessimo scelta e confermata noi cittadini elettori…
L’esperienza insegna che non è così semplice, che si rischia di andare di male in peggio. Non direi infatti che ci abbiamo guadagnato “pensionando” con Mani Pulite gran parte dei politici della Prima Repubblica: ci siamo ritrovati con le seconde linee dei vecchi partiti sotto mentite spoglie (democristiani e socialisti riciclati in Forza Italia o nel Pd) e – peggio ancora – con una massa di dilettanti allo sbaraglio.
Ve la raccomando l’incompetenza velleitaria dei leghisti della prima ora: tutti convinti di poter raddrizzare le banane. Tanto simili ai grillini che – a Parma – nemmeno sapevano che, se rinunci ad un’opera già appaltata (inceneritore), devi pagare una pesantissima penale…Come pensare di affidarsi ai giornalisti che – capaci come siamo di far solo chiacchiere – nemmeno sanno da dove cominci l’amministrazione di un comune o il governo del Paese.
I grillini hanno scoperto l’acqua calda dell’onestà, della trasparenza, della competenza. A parole. Mentre devi riuscire a concretizzare nei fatti i buoni propositi, che altrimenti resti un giornalista di complemento (per quanto navighi in rete)…
Comunque sia chi crede alla piazza pulita, e la vuole, si metta già in coda per partecipare alle primarie del Pd e votare Matteo Renzi. L’unico che può davvero mandarli a casa tutti.
Non solo il suo segretario Bersani, ma lo stesso Berlusconi: il quale è in attesa del risultato delle primarie perchè sa di potersi confrontare solo con un vecchio arnese par suo, quale Bersani stesso, ma non certo con un giovane virgulto come il sindaco di Firenze.
Per non parlare di altri vecchi arnesi come Casini e Fini, ridotti a nascondersi dietro l’ombra del Monti bis per sfuggire al riscontro della propria conta elettorale.
Ma Renzi è in grado di rottamare anche Vendola, al quale non è bastato mettersi l’orecchino per far dimenticare che arrivava dal secolo scorso con la pretesa di rifondare il comunismo nel Terzo Millenio.
Non vedo come possa resistere al confronto lo stesso Grillo che Ciriaco De Mita a suo tempo mandò in Rai con un compito preciso: dare dei ladri ai socialisti di Craxi. Erano gli anni Ottanta e, da allora, questo continua a fare Grillo: da dei ladri a tutti…
Ripeto: la piazza pulita è una soluzione troppo semplicistica per funzionare. Ma, chi ci crede, voti e faccia votare per Matteo Renzi.

ER BATMAN DELLE PREFERENZE

Franco Fiorito, detto er Batman, è divenuto l’emblema del politico che arraffa denaro pubblico e non lo usa per fini istituzionali (iniziative del gruppo Pdl) ma per fini personali (feste, auto di lusso, cravatte Marinella e via dicendo).
Vera o meno che siano l’accusa e il comune sentire, è certo che er Batman ha cominciato arraffando qualcos’altro: voti di preferenza a iosa. Fu infatti eletto sindaco ad Anagni a furor di popolo, cioè con 7.757 voti di preferenza (1.200 in più dei partiti che lo sostenevano!). E’ poi entrato in Regione Lazio due volte: la prima con 17.296 prefrenze, la seconda con 26.217.
Domanda: si sono sbagliati questi cittadini elettori? Credevano forse che er Batman fosse la reincarnazione di Quintino Sella? O gli hanno dato la preferenza perchè sapevano benissimo chi era e cosa faceva? La seconda ipotesi pare la più probabile…Quindi se lui è un arraffone ed un farabutto, che ottiene il voto di scambio elargendo denaro pubblico, altrettanto farabutti sono i cittadini elettori che si son fatti comprare.
L’italia è piena di er Batman perchè questo è il genere di politico che vogliono cittadini cresciuti con l’assistenzialismo pubblico, privi di senso civico ed eticamente allo sbando. Fiorito esiste perchè noi l’abbiamo fatto esistere con le preferenze.
Essendo quello che siamo (l’opposto di quei santi onesti che amiano dipingerci in contrapposizione ai politici ladri) sarebbe una pura follia restituire la parola ai cittadini. Ripristinando cioè il voto di preferenza (o anche i collegi elettorali: tale e quale) alle elezioni politiche.
L’esperienza delle Regione Lazio, della Calabria, della Sicilia è a dimostrarci l’esatto contrario: bisognerebbe togliere la preferenza dove ancora sussiste! D’altra parte lasciando la parola ai siciliani (con la preferenza o con i collegi) secondo voi chi eleggerebbero: un prefetto Mori o un Totò Riina?
L’impressione netta è che il male minore sia ancora che il Parlamento lo nomino Bersani e Berlusconi, Casini e Di Pietro; piuttosto che siamo noi italiani dell’anno 2012 a sceglierlo…
La vicenda de er Batman è qui ad insegnarci che in ampie aree del territorio nazionale (non dico proprio in tutto) le elezioni andrebbero sospese, ed il potere dato a dei prefetti. Però scelti dalla Merkel…

E’ NERO IL PAESE NON MARCHIONNE

Secondo alcuni Sergio Marchionne è l’uomo nero, il manager che non mantiene le promesse e non investe più negli stabilimenti Fiat i 20 miliardi promessi con Fabbrica Italia. Ma, se esiste la logica, la conclusione dovrebbe essere diversa, anzi opposta.
Marchionne infatti vende molto in Usa, America Latina e altri Paesi emergenti (oltre 4 milioni di vetture Crysler-Fiat) garantisce profitti (superiori ai 3 miliardi di euro) e quindi posti di lavoro stabili. Sempre lui, qui in Italia, ha migliaia di operai in cassa integrazione, non vende neppur i nuovi modelli sui quali ha investito (800 milioni sulla nuova Panda, ma solo 120 mila auto venute a fronte delle 200 mila ipotizzate) e accumula debiti per 700 milioni di euro.
Il manager è lo stesso, cambia il Paese. Quindi – se c’è una logica – è l’Italia nera, non Marchionne. Nera perchè viviamo una crisi economica più stringente, per cui gli italiani, contrariamente a statunitensi e brasiliani, non hanno soldi per comprare nuove auto. Ma nera anche perchè il nostro è un Paese sempre più “inospitale” per gli investimenti e le attività produttive.
I sindacati invocano l’intervento al governo Monti, della Fornero. Però anche il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ha spiegato (ospite della Gruber a Otto e mezzo) che nessun governo può interferire sulle scelte di un’azienda privata e che gli aiuti di stato – comunque esecrabili – sono oggi espressamente vietati dall’Europa in quanto generano la concorrenza sleale tra aziende.
Il governo Monti può intervenire sulle questioni strutturali, sulle regole del gioco. Marchionne, intervistato da Ezio Mauro, ha chiesto “una riforma del lavoro che ci porti al passo degli altri Paesi”. Possiamo raccontarci che è già stata fatta, che siamo già al passo degli altri…la Fiat, e non solo lei, continueranno ad andare altrove…
Sempre Marchionne conclude l’intervista con Mauro: “Ma “repubblica fondata sul lavoro” vuol dire anche essere competitivi, creare occupazione attraverso sfide e competizioni. Questa cultura da noi manca”.
Continuare a definirlo un uomo nero è solamente un alibi, serve ad evitare di guardarci allo specchio, serve ad ignorare i ritardi che abbiamo accumulato rispetto ai moderni Paesi industriali.