NAPOLITANO E IL GIOCO DELLE TRE CARTE

 

Con questa storia dei rifiuti il presidente Napolitano tenta di fare il gioco delle tre carte, nel senso che mescola e confonde due realtà assolutamente indipendenti: i rifiuti urbani e quelli tossici o speciali. Infatti, anche ammesso che gli atti parlamentari dimostrino che la Campania è stata subissata di rifiuti tossici di provenienza nordista, questo nulla toglie né tantomeno giustifica la conclamata incapacità degli amministratori locali campani di farsi carico di una questione del tutto distinta, cioè della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani.

Cosa che invece hanno fatto tutti gli altri comuni e le altre regioni, non solo del Nord. Compresa la Puglia di cui si è parlato in questi giorni per la scoperta di una mega discarica abusiva di rifiuti tossici e speciali: ma questo, appunto, non ha impedito agli amministratori pugliesi di procedere allo smaltimento dei rifiuti urbani.

Solo col gioco delle tre carte si può utilizzare uno scandalo aggiuntivo, quello dello smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, per inventarsi responsabilità di terzi sullo scandalo del mancato smaltimento dei rifiuti urbani. Responsabilità che sono invece tutte degli amministratori campani, ai quali gli amministratori del resto d’Italia non debbono alcun risarcimento. Né alcuna accoglienza di monnezza (ammesso che fosse questo il secondo fine del presidente Napolitano)

Quanto ai rifiuti tossici, non c’è dubbio che ci sono imprenditori privi di scrupoli (se vogliamo l’imprenditore con scrupoli è quasi un ossimoro, un po’ come le cosiddette banche etiche…) Ma proprio per questo esistono i pubblici poteri chiamati a controllarli, a impedire loro di comportarsi da capitalisti selvaggi. Pubblici poteri che spesso intervengono sollecitati dai cittadini: nel nostro Veneto non dico le discariche abusive, ma perfino quattro sacchetti di rifiuti abbandonati, vengono segnalati dai cittadini al loro sindaco, si invoca l’intervento dell’Arpav, si scatenano le varie Legambiente.

E come mai invece in Campania tutto taceva e tutto ha taciuto per decenni? Come mai imprenditori senza scrupoli che producono o che fanno finta di trattare i rifiuti tossici hanno potuto andare ad imboscarli proprio in Campania? Non è dovuto al fatto che i pubblici poteri e la stessa società civile in Campania sono conniventi con la criminalità organizzata che lucra su questi traffici illegali?

Mi sembra che come minimo vadano divise le responsabilità tra chi ha portato i rifiuti tossici e chi ha permesso che venissero accolti e coperti dall’omerta. Nemmeno in questo caso è accettabile il gioco delle tre carte di una responsabilità tutta nordista.

 

RAZZISTI MA NON A BOLZANO

 

 

 

Saremo anche xenofobi e razzisti, come afferma la giurista canadese Luise Arbour, ma è difficile sostenere che lo siamo a Bolzano cioè nei confronti della minoranza etnica tedesca dell’Alto Adige.

E’ singolare che, nello stesso giorno in cui i giornali riportavano l’accusa dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, la Repubblica raccontasse dell’ultima pretesa, questa sì razzista, degli amministratori altoatesini della Sudtiroler Volkspartei: la pretesa cioè che i bambini italiani prima di iscriversi agli asili di Bolzano sostengano un esame di tedesco. A chi non parla la lingua di Goethe è vietato l’ingresso in quelle scuole, in quegli asili, che pure lo Stato italiano finanzia profumatamente, arrivando a pagare gli insegnanti (tedeschi) “il doppio – scrive sempre Repubblica – di un altro collega italiano”.

Con le scuole, nella distribuzione dei posti del pubblico impiego, con l’intero impianto della “proporzionale etnica”, continuiamo a subire il razzismo imposto dalla Svp: ossia un insieme di norme che favoriscono l’etnia tedesca dell’Alto Adige e penalizzano quella italiana. E questi sarebbero gli italiani violenti, aggressivi, xenofobi? Direi che siamo piuttosto “democristiani nell’animo” cioè portati per quieto vivere ad accettare compromessi, a subire: ieri a calare le braghe di fronte al terrorismo altoatesino, oggi ad…aprire le frontiere a chiunque.

Il presidente francese Sarkozy può dichiarare (sempre a Repubblica di oggi) che l’obiettivo della Francia è quello di espellere 28 mila clandestini e stabilire “quote di immigrati per zone geografiche”. Può cioè riproporre la formula tanto contestata del cardinal Biffi e nessuno si sogna – né l’Onu né il Vaticano – di accusarlo di razzismo. Perché? Perché è il capo di un Paese con un orgoglio nazionale ed una tradizione all’opposto della nostra: Sarkozy e la Francia non sono mai stati “democristiani nell’animo”…

Mentre l’Italietta se appena osa rialzare la testa, cioè tentare di opporsi al “diritto di invasione”, subito viene coperta di contumelie da una qualunque Luise Arbour.

 

ALLA SAPIENZA E’ SEMPRE ’68

 

 

All’università romana della Sapienza è sempre ’68. Non è mai finito. Cinquant’anni dopo è tutto uguale. Ed anzi gli studenti “democratici” del collettivo della facoltà di Lettere hanno festeggiato il cinquantenario nel migliore dei modi: cioè con l’assalto squadristico al preside della loro facoltà, Guido Pescosolido. Davvero un gesto simbolico, emblematico, perfetto per ricordarci com’è nato il ’68, cos’è stato e in che modo ha distrutto la scuola italiana.

Questo povero professore assediato nel suo ufficio, col terrore che la teppa riesca a buttar giù la porta, salvato in extremis dalla polizia, abbandonato da uno Stato incapace di arrestare subito i colpevoli e sbatterli in galera, cosa può fare mai? Deve frequentare un corso di difesa personale? Lui è un docente non è mica un Rambo. E quindi non può che calare le braghe annunciando le dimissioni, come ha fatto; anche perché – spiega – teme per l’incolumità dei suoi stessi famigliari.

Ma ci rendiamo conto? Un professore universitario ridotto come un pentito di mafia, che dovrebbe essere messo sotto protezione assieme a tutta la sua famiglia…Qui il problema non sono le sprangate che i collettivi “democratici” si sono scambiate con quelli di Forza Nuova. Il problema sono le sprangate che – agli uni e agli altri – dovevano dargli fin da piccoli i loro genitori per insegnare il rispetto della legge e dell’autorità.

Tornando a Pescosolido, è la perfetta reincarnazione di tutti quei docenti universitari e delle superiori che, cinquanta anni fa, erano la struttura portante della nostra eccellente scuola pubblica: autorevoli, anche autoritari, di certo mediamente molto preparati. Ma anche loro furono lasciati soli dallo Stato. E anche loro non poterono che calare le braghe di fronte alla violenza squadristica di quei sessantottini che volevano il voto politico, il voto collettivo, la promozione garantita. Che pretendevano di stabilire loro programmi e piani di studio; faccio un esempio con la mia vecchia facoltà di Lettere e Filosofia: basta Dante, basta Pascal, vogliamo studiare il Mistero Buffo di Dario Fo’ e l’Uomo a Una Dimensione di Marcuse.

Arrivarono così le promozioni di massa, saltarono i programmi ministeriali, ebbero via libera i mille corsi sperimentali grazie ai quali oggi ognuno può insegnare ( o fingere di insegnare), studiare (o fingere di studiare) ciò che preferisce. Ma con i risultati che tutti vediamo: la nullificazione della scuola italiana. E tutto iniziò con l’intimidazione squadristica di un corpo docenti abbandonato dal suo Stato, come ci hanno tanto efficacemente ricordato e riproposto nel cinquantesimo del ’68 gli studenti “democratici” della Sapienza.

 

AGITATORI DI PROFESSIONE, SINDACI DA DISCARICA

 Ci sono ribelli di professione e sindaci degni di finire in discarica. Delle due categorie quella più pericolosa e molto più vergognosa è la seconda.

I ribelli, i fomentatori di professione sono patetici. Per loro ogni occasione è buona. Rifiuti, alta velocità o basi americane pari sono: basta che non manchi l’occasione per protestare e fomentare la ribellione popolare. Prova ne sia che a partecipare ai blocchi stradali di Chiaiano c’erano anche quelli del comitato “No Dal Molin”, e ditemi voi che c’azzecca il raddoppio della base Usa di Vicenza con l’apertura di una discarica a Napoli. C’azzecca nel senso che, appunto, tutte le occasioni sono buone per gli agitatori di professione.

Nessuno più li prenderebbe sul serio se al loro fianco, a cavalcare e fomentare la protesta dei cittadini, non trovassimo anche i sindaci. Sindaci di ogni colore politico come accaduto oggi nel napoletano, ieri in Val di Susa a bloccare i cantieri della Tav. A riprova che questi sindaci degni di finire nelle discariche della democrazia e della civiltà non li troviamo solo in Campania, ma anche in Piemonte, anche nel nostro Veneto a Vicenza dove il neo sindaco Achille Variati si sente in dovere di promettere ai suoi elettori del comitato “No Dal Molin” almeno il contentino di un referendum, fingendo di ignorare che il raddoppio della base americana è già sancito dagli accordi e dalle alleanze internazionali del nostro Paese e dalle decisioni dei nostri governi (sia Prodi che Berlusconi).

Non stiamo parlando dei Caruso, degli Agnoletto di capi e capetti dei vari comitati di protesta (i cui componenti ricordano i famosi aerei del Duce: trasmigrano da un comitato all’altro e sono sostanzialmente sempre gli stessi). Parliamo di Primi Cittadini, che sono certamente legati ai loro amministrati dal rapporto “intenso” dell’elezione diretta, ma che restano e sono anche rappresentati istituzionali di uno Stato, di un Paese della nostra Nazione. E quindi devono rappresentare anche gli interessi generale di questa nostra Nazione, non limitarsi a cavalcare il mal di pancia dei loro elettori (Anzi: parte più agitata dei loro elettori)

I sindaci dovrebbero educare al senso civico, cioè spiegare ai loro cittadini che è nel superiore interesse del nostro Paese trattare i rifiuti, realizzare l’alta velocità, rispettare gli impegni internazionali, individuare domani anche i siti per le centrali nucleari. Se non lo fanno e invece indossano i panni di Masaniello, meritano per primi di finire in discarica.

LA RIVOLTA DEI SINDACI VENETI

 La rivolta dei sindaci veneti muove all’insegna del federalismo fiscale: trattenersi alla fonte (o comunque vedersi riconsegnato dallo Stato) il 20% del gettito Irpef raccolto nel proprio territorio.

Richiesta legittima perchè rapportata alla ricchezza che i cittadini di ciascun territorio producono col loro lavoro; mentre gli attuali trasferimento dallo Stato ai comuni prescindono da questo criterio e generano palesi ingiustizie: comuni come Napoli ottengono procapite, cioè per ciascun cittadino amministrato, trasferimenti doppi rispetto a Padova e a Verona. E ci sono differenze anche tra città della stessa regione.

C’è però un nodo di fondo da sciogliere sia che si parli di questa che di una qualunque altra forma di federalismo fiscale. Il nodo si chiama conto della serva: se do più soldi a uno bisogna necessariamente che ne dia meno a un altro. Se ne do di più a Verona e Padova, devo toglierli a Napoli e a Palermo. Il governo Berlusconi-Maroni è pronto a farlo e a fronteggiare la rivolta del Mezzogiorno e delle stesse Regioni a statuto speciale del Nord?

Fingiamo che il nodo gordiano sia già sciolto e poniamoci l’interrogativo successivo: queste risorse in più che abbiamo garantito al territorio a chi le facciamo gestire, ai singoli comuni come vorrebbero i sindaci o alla Regione? L’Italia è l’Italia dei Comuni e quindi viene quasi naturale immaginare un federalismo fiscale su base municipale (la Regione è quasi un’astrazione disegnata a tavolino: quando andiamo in vacanza e conosciamo altre persone viene più immediato presentarci a loro dicendo “sono veronese, sono padovano, sono trevigiano” che non dicendo “sono veneto”…)

Un conto però è lasciare il 20% dell’Irpef ai comuni grossi, che si troverebbero con una massa finanziaria in grado di attivare diversi investimenti e servizi, mentre se la lasciamo ai tanti comunelli veneti da qualche migliaio di abitanti cosa faranno mai con quel 20% di irpef? Forse una rotonda in più (anche dove non serve)?… Penso cioè che se vogliamo programmare interventi economici di un certo respiro per il territorio, dobbiamo lasciare l’Irpef dove genera massa critica e non disperderla in mille rivoli. Dobbiamo lasciarla alla Regione o, come minimo, a quelle Provincie che oggi molti dichiarano di voler abolire e che potrebbero invece assumere un ruolo simile alle contee statunitensi.

Proviamo a ragionarci. Ed ecco anche il senso del sondaggio che proponiamo nella pagina Web. La scelta immediata sarebbe quella di lasciare i soldi del federalismo fiscale ai comuni ma se pensiamo ai compiti fondanti del sistema federalista – deve essere il territorio a gestire come minimo scuola, sanità e sicurezza – diventa arduo pensare di espletare questi compiti disperdendo le risorse tra i 581 municipi della nostra Regione.


ZAPATERO CI CONSIDERA LA SUA DISCARICA

C’è voluto qualche giorno, ma alla fine il bluff di Zapatero e dei suoi ministri è stato scoperto. Il bluff, cioè il finto sdegno progressista contro un governo italiano, xenofobo e razzista, che si appresterebbe ad organizzare espulsioni di massa di clandestini e rom. In particolare la ministra spagnola Bibiana Aido sembrava sul palco assieme a Beppe Grillo quando diceva che a Berlusconi serve uno psichiatra e che lei è pronta a pagargli le visite (a dire il vero di pagare Grillo non si sarebbe mai offerto…)

Il primo a scoprire il bluff è stato Javier Moreno direttore de El Paìs (l’equivalente spagnolo di Repubblia) che proprio intervistato da Repubblica ha spiegato come Zapatero, avendo adottato lui negli ultimi mesi misure molto più restrittive (cioè di destra) contro gli immigrati, abbia voluto rifarsi un’immagine con la sua sinistra interna sparando contro il nostro governo, contro Berlusconi e Maroni.

L’altra osservazione fondamentale per scoprire il bluff zapateriano l’ha fatta Massimo Franco sul Corriere scrivendo. “Madrid ha paura che un indurimento delle leggi da parte del governo di Roma faccia rifluire le rotte dei clandestini nel Mediterraneo di nuovo verso le coste spagnole”.

Questo è il nocciolo di tutta la faccenda. Finché la linea era quella irresponsabile-buonista-accogliente dell’ex ministro Paolo Ferrero, gran parte dei disperati dell’Africa si riversavano verso le nostre coste. Ed alla Spagna andava benissimo. Se oggi il tam tam diffonde la notizia di un giro di vite italiano c’è, dal punto di vista spagnolo, il pericolo che le rotte dei clandestini rifluiscano verso la penisola iberica; e che Zapatero sia nuovamente costretto ad ordinare di sparare come a Ceuta e Melillia o ad organizzare blocchi navali attorno alle Canarie. Sarebbe la fine dello scaricabarile verso l’Italia. Non saremmo più la sua discarica. (Avviso per i frequentatori trinaricciuti del blog: non considero i clandestini rifiuti da mandare in discarica, sottolineo come Zapatero consideri il nostro Paese discarica per i problemi spagnoli)

E noi questo, realisticamente, possiamo aspettarci dal decreto Maroni: il segnale di un giro di vite che arrivi al tam tam dell’immigrazione clandestina informandola che non accettiamo più passivamente di essere il ricettacolo dei disperati.

SINISTRA ANTICA NOSTALGICA DEL NAZISMO

 C’è una sinistra moderna capace di riconoscere i propri errori che hanno portato alla sconfitta elettorale, primo tra tutti l’aver trascurato il tema sicurezza-immigrazione. Questa sinistra ha preso atto che Berlusconi e la Lega hanno vinto perchè hanno saputo interpretare meglio le attese dei cittadini (compresa una parte di quelli che votavano a sinistra). C’è una sinistra antica che non prende atto e non fa autocritica, preferisce evocare i fantasmi del passato più tragico: pogrom, razzismo, campi di concentramento. Si inebria credendo di essere stata sconfitta nell’urna dai neonazisti: il Cavaliere nero e i leghisti.

Tale è il desiderio di evocare la resurrezione del nazismo che la intravvedono anche la dove la Lega non esiste, cioè a Napoli. E così Adriano Prosperi in prima pagina di Repubblica parla di “pogrom moderno” e di rom “in fuga davanti a popoli ebbri di sangue”… Ci sarebbe una piccola differenza da ricordare, a costo di rovinare i festeggiamenti per il ritorno del razzismo: nei pogrom storici le case venivano bruciate con dentro gli ebrei, dopo aver inchiodato le porte delle abitazioni per essere certi che morissero tra le fiamme senza alcuna via di scampo. Ad ogni pogrom le vittime erano centinaia. Gli autori erano ebbri di sangue e di corpi carbonizzati. Proprio come nei lager nazisti e comunisti.

A Ponticelli i napoletani, dopo aver subito per anni le angherie, le minacce e i crimini commessi dai rom, li hanno messi in fuga con minacce ed azioni molto persuasive; ma senza aggressioni di massa, senza pestaggi, senza ritrovarsi con le mani “grondanti di sangue”. Dopo averli messi in fuga, e solo dopo, hanno dato alle fiamme le baracche del campo nomadi per evitare che i nomadi stessi ritornassero ad abitarle.

Il metodo usato non è certo ortodosso, ma i napoletani (e i camorristi) hanno fatto esattamente quello che doveva fare lo Stato: sciogliere gli assembramenti illegali di persone che vivono di espedienti e di crimini e abbattere con le ruspe le baraccopoli. Un Paese civile ha una sola alternativa: o costruisce case decorose per alloggiare i rom e, prendendo atto che il lavoro non appartiene alla loro cultura, destina loro un minimo ( o un massimo) vitale, attingendo le risorse dalla fiscalità generale; oppure li disperde e li allontana dal proprio territorio nazionale. Ma un Paese civile non può tollerare che vivano in condizioni subumane in campi abusivi, fingendo di ignorare che le risorse economiche non possono che andare ad attingerle nelle case e nelle tasche dei cittadini.

Quanto al ruolo svolto anche in questa circostanza dalla camorra è solo la conferma di un assunto che tutti dovremmo ormai conoscere e che Luca Ricolfi ci ha ricordato anche in questi giorni: l’antistato prospera dove lo Stato non c’è; e, più lo Stato latita nella sua impotenza, più l’antistato conquista spazio e seguito.



 

 

 

ROM E GIUSTIZIA FAI DA TE

 

 

In attesa che entri in vigore il decreto sicurezza di Maroni e produca qualche effetto anche sul fronte rom, i cittadini e Napoli e non solo (pure a Novara) hanno cominciato a prendere d’assalto i campi nomadi armati di spranghe e con lancio di bottiglie molotov. Siamo alla giustizia fai de te.

L’editorialista de La Stampa, Luca Ricolfi, non si limita a denunciare il fenomeno ma aggiunge che, proprio perché è una strada sbagliata, pericolosa e che non risolve i problemi, proprio per questo dobbiamo capire cosa alimenta la giustizia fai da te. E Ricolfi non ha dubbi: la tentazione di farsi giustizia da se nasce nel cittadino esasperato perché lo Stato lo ha lasciato solo in balia dei criminali. Giunge a fare un parallelo che mi sembra perfetto: “La giustizia fai da te – scrive – come la mafia prospera dove lo Stato si ritira o non fa il suo dovere”.

Comprendere questo rapporto di causa effetto è fondamentale per non dare un giudizio distorto, per non attribuire al cittadino colpe che sono anzitutto dello Stato. Non è escluso che ci siano anche dei fanatici, persone che hanno visto troppi film di Charles Bronson e indossano i panni del “Giustiziere della notte”. Ma siamo alla psicopatologia, sono casi psichiatrici. Mentre il giudizio politico è diverso: il cittadino comune, proprio perché paga le tasse vuole il rispetto del contratto sociale, cioè vuole che sia lo Stato con leggi, forze dell’ordine e magistratura a difenderlo. Non capisce perchè dovrebbe farlo lui quando ha pagato altri per garantire la propria sicurezza. Arriva ad impugnare la spranga solo se lo Stato lo abbandona, se lo lascia in balia dei rom. E magari arriva a metterli in fuga, come fatto dai napoletani di Ponticelli, quando doveva pensarci lo Stato a tenere i nomadi lontani dalle loro case e dai loro bimbi a rischio rapimento.

Ultima considerazione sul modo equilibrato e comprensivo con cui i mezzi d’informazione nazionali hanno trattato l’assalto al campo nomadi di Ponticelli con mazze e lancio di bottiglie molotov: hanno descritto i fatti, sottolineato quanto i cittadini napoletani fossero “esasperati” e non hanno aggiunto altri commenti. Non penso che avrebbero decritto nello stesso modo un assalto a un campo rom che fosse successo a Verona o in genere nel Lombardo-Veneto. L’esperienza insegna che qui da noi i cittadini non hanno diritto all’attenuante dell’esasperazione, se reagiscono è perché sono razzisti, xenofobi e preda di quella diffusa cultura leghista-naziskin che alimenta l’odio per il “diverso”…Che ci sia una sezione del Carroccio anche a Ponticelli?

 



LA SICUREZZA DI LUCA TONI

 

 

La sicurezza di Luca Toni gli deriva dal fatto di vivere a Monaco di Baviera, non a Modena o in una delle città del nostro Veneto.

Come noto il centravanti della nostra nazionale quest’anno ha giocato, con grande successo, nel Bayern. Il Magazine del Corriere della sera gli ha dedicato la copertina e una lunga intervista nella quale Toni, dopo aver parlato di calcio, dice: “Vedo quanto è bella Monaco e vorrei che fossero altrettanto belle le città italiane. Basterebbe la sicurezza, guardi. A Monaco non ci sono furti, non ci sono ladri, non ti rubano la macchina”. Questo in una grande città tedesca, mentre il giornalista del Corriere ricorda che in una piccola città italiana, a Modena dove Toni ha tenuto una casa, sono andati subito a derubarlo.

Va sottolineato il quadro che fa il centravanti della nazionale perché smentisce la tesi che tutto il mondo sia Paese: cioè che anche le altre nazioni siano sopraffatte, come la nostra, dalle questioni della sicurezza e dell’immigrazione che sarebbero per tutti ingestibili. E’ una balla colossale. Paesi come la Germania, la Francia, la Spagna, l’Austria, la Svizzera si sono impegnati per governare fenomeni certamente complessi e difficili e, alla fine, hanno ridotto e incanalato l’impatto per i loro cittadini. Noi invece abbiano cazzeggiato per decenni alternando il buonismo più irresponsabile ad una “faccia feroce” altrettanto inconcludente. Se pensiamo al senso di legalità, al rispetto delle regole, che i governi italiani hanno dimostrato e sviluppato negli ultimi decenni, non c’è da meravigliarsi che una quota di stranieri delinqua: c’è da meravigliarsi che non delinquano tutti! Che ce ne siano moltissimi così seri da lavorare ed integrarsi non ostante la pochezza delle nostre politiche.

Aggiungiamo che, come dicono a Verona, non puoi correre il Gran Premio con i mussi: ci vogliono almeno dei cavalli (non dico dei purosangue), altrimenti è inutile annunciarlo. Temo cioè che sia inutile che il nuovo governo annunci e vari, come sta facendo in queste ore, il decreto sicurezza quando poi per renderlo operativo devi affidarti ai “mussi”: ossia ad apparati dello Stato demotivati e sclerotizzati dai decenni di ignavia e irresponsabilità in cui li ha lasciati languire la classe politica.

Con gli apparatnik della vecchia Unione Sovietica non si andava da nessuna parte. E così oggi, prima bisognerebbe riformare dalla base la magistratura e le forze dell’ordine, e solo dopo pretendere che un decreto sicurezza trovi efficace applicazione e produca risultati simili alla Monaco di Luca Toni.

 


 

IL PROBLEMA E’ IL DELINQUENTE NON IL “DIVERSO”

 Gli studenti collegati dal liceo Maffei di Verona con Annozero di Santoro spiegavano quanto accaduto nella loro città con la solita litania del “diverso”. C’è una certa cultura intollerante – dicevano – che diffonde la paura del diverso, che istiga all’odio per il diverso e allora, è inevitabile, che poi si apra anche la caccia al diverso, che si arrivi al pestaggio del diverso. Il diverso che sarebbe l’immigrato, il nomade, il gay

Facciamola finita con queste banalità e con queste falsità

Per quanto riguarda gli omosessuali, a Verona come nel resto d’Italia, al massimo si può provare fastidio per gli eccessi di esibizionismo durante i gay pride. Per il resto il comune sentire è: si facciano pure gli affari loro, che sono fatti loro. Nessuno si sogna né di discriminarli né di aprire la caccia al gay.

Per quanto riguarda gli immigrati, gli stranieri che lavorano ed entrano a far parte della comunità, non c’è nessuna paura ma solo curiosità. Pensiamo solo all’esperienza che quasi tutti oramai abbiamo fatto attraverso i nostri figli che hanno compagni di scuola stranieri attraversi i quali abbiamo conosciuto anche i genitori. C’è forse paura? No: c’è la curiosità di fare tante domande sul loro Paese, sui gusti, sulle abitudini, su come ci vedono e ci giudicano. La paura scatta solo con quelli stranieri che compiono atti criminali: che rubano, che scippano, che si dimostrano violenti. Ma allora il problema non è il “diverso”, il problema è il delinquente.

Va capito anche il timore che sorge in chi vede piazze e luoghi della propria città occupati in orario di lavoro da stranieri in età da lavoro, che bivaccano invece di lavorare. E’ naturale domandarsi se non siano dediti a procurarsi di che vivere con attività “alternative” al lavoro… Ma anche qui la paura non è un pregiudizio, è invece indotta dal comportamento dello straniero.

La diffidenza si moltiplica nei confronti dei rom. Perché mentre constatiamo quotidianamente che la larga maggioranza degli immigrati lavora e non crea problemi, non riusciamo a vederne uno di rom che lavori e voglia integrarsi…

Non dimentichiamo in fine che nel nostro Paese esiste sì l’odio pregiudiziale ed indistinto verso il diverso. Ma non c’entrano nulla né gli stranieri né i rom né i gay. E’ l’odio cieco nei confronti dell’avversario politico che le contrapposizioni ideologiche hanno alimentato per decenni in un modo vergognoso: anche se eri la persona più seria e corretta bastava dirsi comunista perchè la destra ti mettesse al bando; bastava professare idee di destra, idee fasciste, e la sinistra faceva altrettanto trattandoti da subnormale.

Oggi direi che il peggio è passato. Ma il pregiudizio dell’odio e della discriminazione verso il politicamente diverso sono duri a morire.