GALAN A SCUOLA DA TOSI

 

 

Se il presidente Giancarlo Galan vuole capire come mai in Veneto il suo Pdl ha perso una valanga di voti (l’11% abbondante) a tutto vantaggio della Lega Nord, basta che guardi come lavora e si muove Flavio Tosi che – viceversa – ha trasformato Verona nella città più leghista d’Italia, cioè con la più alta percentuali di voti al Carroccio.

Tosi, appunto, lavora e si muove: quotidianamente è a contatto con i cittadini, li incontra, li ascolta, è impegnato a dar loro risposte. Non solo ha dimostrato di saper risolvere alcuni problemi della città ma, soprattutto, fa vedere il suo impegno costante anche sulle tante questioni che non sono di facile soluzione. Nessuno può rimproverargli che non ci provi e che non si dedichi.

Il lunedì dei risultati elettorali, così deludenti per il Pdl, Galan li ha spiegati al microfono di Telenuovo accusando i governi nazionali, compreso quello presieduto da Berlusconi, di averlo lasciato solo; cioè di non aver varato quelle riforme che la nostra regione attendeva. Giusto. Ma le riforme non sono arrivate nemmeno per Tosi, benchè al governo ci fosse anche la Lega… Per questo bisogna aggiungere che il primo ad aver lasciato solo il Veneto è lo stesso Galan: perchè, se Tosi lavora venti ore al giorno per Verona, Galan lavora venti ore al mese per il Veneto. Quanto tempo ha dedicato il presidente per incontrare i veneti, per ascoltarli, per cercar di dare loro risposte concrete?

L’equivoco è quello di pensare che il talento possa sopperire al lavoro e all’impegno quotidiano, ma non è così: il talento da solo non basta. Non è sufficiente che Galan abbia un notevole talento politico, che gli va riconosciuto. Se Michelangelo avesse dedicato venti ore al mese alla scultura, sarebbe rimasto uno scalpellino non ostante tutto il suo straordinario talento.

Anche Silvio Berlusconi ha un talento straordinario, sia imprenditoriale che politico. Eppure ha sempre lavorato venti ore al giorno. Proprio come Tosi. Al contrario di Galan. Poi i risultati si vedono e si contano, anche dentro le urne.

 

LEGA NORD O LEGA VENETA?

 

Lega Nord o Lega Veneta? All’indomani del trionfo leghista questo è il problema: se si debba puntare a raggiungere il traguardo del federalismo restando legati a filo doppio con i leghisti lombardi o se i leghisti veneti debbano recuperare, a tutto campo e in tutti i sensi, la loro autonomia.

Questo legame a doppio filo con i lombardi ha visto per anni ed anni i veneti in posizione subordinata. Nel senso che sono stati i lumbard a decidere di tutto e di più: non solo la linea politica, cioè l’esistenza di una “patria padana” che si è annessa la “patria veneta”, ma anche le candidature e la segreteria “nazionale” della Lega Veneta. Con un proconsole, scelto dai lombardi, che comandava in Veneto a nome loro. Un risultato che però era anche giustificato dalla ben diversa qualità del personale politico della Lega in Lombardia e in Veneto…

Oggi non è più così. Oggi le Lega in Veneto ha dimostrato di avere ottimi amministratori locali, molto apprezzati dai cittadini. Ha cominciato nella Treviso di Luca Zaia e di Giancarlo Gentilini (il Gentilini del concreto lavoro di sindaco, non quello delle parole in libertà…) poi nella Vicenza di Manuela Dal Lago, nella Verona di Flavio Tosi, nella Cittadella di Massimo Bitonci e in tanti altri comuni minori. Oggi ha anche un leader politico (che è cosa diversa dal bravo amministratore), non a caso temutissimo dai lumbard: Flavio Tosi, al quale Milano impedisce di tenere il congresso della Lega Veneta perchè non vuole che venga sancita la sua leadership.

Oggi la Lega in Veneto ha ottenuto più consensi che in Lombardia (26% contro il 22%). E’ di fatto il primo partito del Veneto, cosa che non si può dire della Lega in Lombardia. Il picco del 34% raggiunto a Verona vale dieci volte il 38% di Sondrio.

Tutti elementi che possono far pensare che sia scattata l’ora della Lega Veneta autonoma, in grado di ottenere per la nostra regione una soluzione catalana o scozzese. Ma senza lasciarsi andare sulle ali dell’entusiasmo: cioè senza ignorare il pericolo che può derivare da una divisione della Lega. Pericolo di indebolire il fronte al punto da non riuscire a varare neppure quel federalismo – più o meno all’acqua di rose – che, forse, resta l’unico traguardo realistico…Voi cosa pensate?

ARRIVA L’INDULTO BIS

 

 

Cosa ci aspetta dopo il voto? L’aumento degli stipendi e delle pensioni? Il taglio delle tasse? ueste sono solo promesse. Le certezze, purtroppo, sono diverse: è certo, è inevitabile, che arrivi l’indulto bis. Ce lo spiega l’editorialista de La Stampa Luca Ricolfi il quale ricorda che, nell’indifferenza generale, le carceri sono tornate ad essere strapiene proprio come nell’estate 2006, una situazione ingestibile che in qualche modo “costrinse” la classe politica a varare l’indulto. Dopo di che non si è fatto nulla. Non sono state costruite nuove carceri, non si è proceduto (ammesso che sia la via giusta) a depenalizzare i reati minori e così siamo daccapo: quest’estate o scoppia la rivolta nelle carceri o bisogna nuovamente svuotarle con l’indulto bis.

In barba ad un tema così stringente e sentito come quello della sicurezza. Tema che in campagna elettorale sia Berlusconi che Veltroni hanno pensato di poter accantonare per dedicarsi a questioni ben più sentite dai cittadini: i brogli, il giuramento di fedeltà alla Repubblica, i fucili e la salute di Bossi…

E dire che proprio dal nostro Veneto è appena arrivata una lezione elettorale memorabile, quella delle comunali dello scorso anno quando Flavio Tosi diventa sindaco di Verona con un risultato di ampiezza tale da lasciare a bocca aperta tutti quanti.

Vi pare che Tosi sia diventato sindaco con quel clamoroso risultato perchè aveva giurato fedeltà al Tricolore o perchè aveva denunciato i brogli elettorali della sinistra?…Come tutti sanno lo è diventato perchè ritenuto in grado di garantire più sicurezza alla città; cioè a riprova di quanto questo tema sia cruciale nelle scelte dei cittadini elettori.

Mi permetto di aggiungere che non stiamo parlando di un qualche “natio borgo selvaggio” della Val Brembana…ma di una delle grandi città venete, di una delle città italiane più ricche di cultura e di storia: di quella Verona che è stata sede del Papato e capitale dell’Impero, e che è terra di relazioni e scambi internazionali.

Insomma è la dimostrazione che oggi la sicurezza è la priorità per le persone civili. Veltroni e Berlusconi invece hanno pensato di scopar via questo tema sotto il tappeto della campagna elettorale, con un primo risultato: dopo il voto arriverà l’indulto bis.

 

SE SEI POVERO PUOI RUBARE

 


Se sei povero puoi rubare. Ne è convinto il giudice del tribunale di Verona che ha mandati assolti i due rumeni, sorpresi in flagrante a rubare alla Caritas, perchè ha riconosciuto loro lo “stato di necessità”, cioè appunto il fatto che sono poveri.

E magari anche con l’ulteriore attenuante di essere stranieri. Resta infatti l’impressione che, se veneti, non basti essere poveri per poter rubare impunemente. O dobbiamo pensare che i nostri pensionati, nella quarta settimana, possano andare tranquillamente a far man bassa nei supermercati certi di trovare un giudice comprensivo?

Lo “stato di necessità” potrà garantire un intervento assistenziale, ma non la cancellazione del reato. Altrimenti – come ha osservato il sindaco di Verona Flavio Tosi – si arriva ad un codice penale per fasce di reddito…E fino a quale reato esentiamo i più poveri? E facciamo ancora finta che esista una giustizia?

Intanto, sempre se sei povero (e straniero), puoi contare anche sulla benevolenza di certe Curie, come quella ambrosiana guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. La quale Curia ha denunciata la violazione dei diritti umani dei rom avvenuta in seguito allo sgombero del mega campo nomadi di via Bovisasca. Sacrosanto che la Chiesa si schieri a fianco degli ultimi, ma un po’ sorprendente che trascuri i penultimi: cioè tutti quei cittadini milanesi che per anni hanno subiti furti, scippi, violenze ed intimidazioni da questi stessi rom. Come mai la Curia ambrosiana non ha deprecato la violazione anche dei loro diritti?

Perchè non sono abbastanza poveri? Perchè hanno il torto di non vivere da zingari ma del proprio lavoro? Perchè fa più chic (ovvero più politicamente corretto) atteggiarsi a paladini dei rom che dei cittadini comuni?

Quasi tutti i veneti hanno nei loro cromosomi, cioè nel vissuto famigliare, un passato di povertà dignitosa. Una miseria che ha rappresentato il primo stimolo a migliorare le proprie condizioni di vita e mai una giustificazione per rubare (anche perchè sul “settimo non rubare” la Chiesa non si sognava di fare sconti). Oggi invece sempre più spesso ci si trova di fronte ad un mondo alla rovescia: dove l’onestà è da stupidi, la povertà un’attenuante, ti difendono se vivi di espedienti, e hai più diritti se sei straniero.

 

 

DALLA MONNEZZA ALL’EXPO

 

Siamo passati dalla monnezza all’Expo, dalle stalle alle stelle. Da una Napoli incapace di gestire il ciclo dei rifiuti, come avviene in tutto il mondo civile, e perciò vergogna d’Italia agli occhi della comunità internazionale; ad una Milano che la stessa comunità internazionale ha giudicato degna di ospitare l’Esposizione Universale e dunque simbolo di un’Italia moderna che sa innovare al passo con i Paesi più sviluppati.

Non si può cavarsela dicendo che l’Expo a Milano segna il riscatto dell’Italia, che cancella la vergogna della monnezza per le strade, che sono le due facce del nostro contraddittorio Paese. No. Bisogna avere il coraggio di dire quello che tutti pensano e ormai anche dicono. Cioè che queste due facce non possono più stare assieme nello stesso Paese; che monnezza ed Expo non possono andare a braccetto, perchè sono simbolo di due modelli economico incompatibili: la produzione e l’assistenzialismo.

Il Nord produttivo non può continuare la finanziare un Sud dove sono falliti tutti i piani di sviluppi, tutti gli aiuti, tutte le industrializzazioni. Napoli non può avere quindici volte i netturbini di Milano, così come la regione Sicilia non può avere (con metà abitanti) cinque volte i dipendenti della regione Lombardia. Questa è la perversione del federalismo: regioni ed enti locali del Sud liberi di spendere quello che vogliono senza la responsabilità di reperire le risorse nel loro territorio.

Tutti conoscono il rimedio teorico: passare al federalismo vero, quello fiscale. Ma con la consapevolezza che, se vogliamo davvero applicarlo, bisogna prepararsi ad una sorta di guerra civile, perchè le regioni del meridione non accetteranno mai di buon grado di vedersi decurtare la Manna che piove su di loro dalle tasche dei contribuenti del Nord.

Basta leggere l’intervista sul Riformista di oggi del governatore della Calabria Agazio Loriero il quale teme l’avvento (per mano leghista) di quello che definisce “ un federalismo fiscale aggressivo ed emotivo che farà saltare la solidarietà nazionale”. Il che vuol dire che Loriero accetta solo un federalismo fiscale non aggressivo, cioè falso e di facciata, che continui a foraggiare la sua regione senza cambiare nulla.

Ma monnezza ed Expo, produzione ed assistenzialismo, non possono più convivere nello stesso Paese. A meno che i cittadini del Nord non decidano di immolarsi diventando tutti martiri della solidarietà nazionale…

 

CALCIO, MORTI E PSICODRAMMI

 

Nel nostro Paese tutto ciò che riguarda il calcio, e che avviene attorno al calcio, ci fa perdere immediatamente il senso della misura: diventa psicodramma, reazione isterica utile solo a compiere qualche passo nel delirio.

La conferma arriva anche dal tragico incidente costato la vita all’ultras del Parma Matteo Bagnaresi: partita sospesa, aperture dei telegionali della domenica sera, titoli a tutta pagina sui quotidiani del lunedì. “Calcio sotto choc”, “Non si può perdere così una giovane vita”, ci manca solo che prendiamo sul serio anche la cabala convincendoci che non è un caso la morte capitata nella stessa giornata di campionato in cui, all’andata, perse la vita Gabriele Sandri!…Cosa centra tutto questo? Siamo appunto al delirio.

Quante giovani vite vengono perse dopo una notte in discoteca o perchè travolte da un autista ubriaco? Eppure qui non scatta lo psicodramma, scatta solo se c’entra il calcio. L’Uefa, organismo internazionale non coinvolto nell’isteria nazionale, ha osservato che la vera follia è aver sospeso l’incontro Juve-Parma per un “incidente stradale” capitato a 50 chilometri dalla stadio. Il che ovviamente nulla c’entra con la prevenzione contro la violenza che va fatta dentro e fuori gli stadi. Si vaneggia sulle trasferte da vietare, dimenticando che il “colpevole” era l’autista del pulman di tifosi juventini diretti al loro stadio. Vogliamo forse vietare ai tifosi gialloblù o a quelli biancoscudati di prendere l’auto o l’autobus per andare a vedere la loro squadra in casa?

Ma la cosa forse più irritante è la retorica vuota ed inutile: tutti a riempirsi la bocca con la giovani vite da difendersi, quando queste reazioni isteriche servono solo a mettere a rischio altre vite sia giovani che meno giovani. Se si vuole difendere davvero le vite, cominciamo a dare alle notizie il peso che hanno invece di montare i casi e infiammare gli animi.

 

ALLAM E L’ISLAM COSA NE DITE?

 


La Pasqua 2008 è passata alla storia come quella della conversione in mondovisione di Magdi Allam al cristianesimo, con il battesimo impartito dal Papa in persona.

Subito dopo Allam ha ribadito la sue critiche durissime al fondamentalismo islamico, arrivando a sostenere che quella religione ha insita la violenza. Solo la religione islamica è così? O anche in altre religioni la violenza e l’intolleranza sono come un fiume carsico che – nel fluire del tempo – ogni tanto scompare, lasciando spazio alla tolleranza e al dialogo, e ogni tanto riaffiora?

Siete d’accordo con l’analisi che propone di il vicedirettore del Corriere? E, altra questione più pragmatica: posto che il pericolo del terrorismo islamico è qualcosa di molto concreto, posto che molti islamici presenti anche nel nostro Paese hanno una concezione dei diritti e delle libertà personali che per noi è inacettabile; posto tutto questo, come se ne esce? Ci vuole una contrapposizione sempre più forte e decisa, come mi sembra auspichi Allam, o può servire di più il dialogo e un’integrazione che punti a laicizzarli (come avvenuto per noi cattolici) cioè ad avere un rapporto molto meno pervasivo con i dettami della religione? Favorendo lo sviluppo economico e civile dei Paesi islamici non si prosciuga anche il mare che alimenta il terrorismo?

Altra questione ancora: come giudicate il comportamento di Papa Benedetto XVI° che prima battezza di persona e in mondovisione Magdi Allam, e subito dopo si dissocia da lui facendo dire al portavoce vaticano che la Chiesa non necessariamente condivide le idee dei suoi convertiti…Se Papa Benedetto non condivideva non faceva meglio a far battezzare Allam dal portavoce vaticano padre Lombardi?…

Non entro nella scelta di fede di Magdi Allam, che è questione sua personale. Ma sui molti risvolti più propriamente politici di questa vicenda mi sembra interessante discutere e confrontarci. Aspetto i vostri pareri

 

PRODI LIBERISTA, BERLUSCA STATALISTA

 

 

 

 

Sembra lo scambio delle coppie, è lo scambio dei ruoli. E gli scambisti sono Prodi e Berlusconi. Il primo da ex presidente dell’Iri (industrie di Stato) si è fatto liberista, cioè ha deciso che bisogna mettere Alitalia sul mercato per non sprecare più denaro pubblico. Berlusca, il liberista per antonomasia, l’imprenditore incarnatosi in politica, è andato ad occupare il posto lasciato libero da Romano: vuole il prestito ponte dal governo, cerca la cordata per mantenere l’italianità della compagnia di bandiera. S’è fatto statalista e incassa il plauso del sindacato e di Bertinotti.

Se parliamo di tattica elettorale il Cavaliere come al solito ha fatto goal: nel senso che ha rimesso al centro della scena quel governo Prodi con i suoi ministri puntualmente litigiosi che Veltroni tanto si era impegnato a far dimenticare…

Ma se parliamo di risultati elettorali rimango più perplesso: non mi sembra infatti che i veneti fossero disperati all’idea che la compagnia di bandiera passasse dal tricolore italiano a quello francese; a loro, come a tutti, interessa volare a costi accettabili e possibilmente senza che ti rubino i bagagli. Chiunque lo garantisca è ben accetto.

Direi che il comune sentire della nostra regione lo ha interpretato meglio il governatore Giancarlo Galan: ben venga Air France e grazie che si accolla il baraccone mangia soldi di Alitalia. Gli stessi leghisti veneti fanno fatica a convincersi e spiegare che vale la pena di fare qualunque cosa per salvare il baraccone. Un po’ diverso per i leghisti lombardi che, da partito territoriale, sono tenuti a difendere quantomeno Malpensa…

Ma il Berlusconi statalista crea problemi ai suoi alleati del Nord produttivo e liberista. Così come il Prodi liberista va in conflitto con gli alleati storici della sinistra politica e sociale. Lo scambismo non paga. O sbaglio?

QUALI STRADE PER LA PATRIA VENETA

L’indipendenza del Veneto. Tema caro ai frequentatori di questo blog. Proviamo a capire se è solo un sogno o un obiettivo percorribile e raggiungibile: ci sono delle strade, e quali, per ricostituire la “Patria Veneta” cara a Gino, a Michele e agli altri venetisti?

La premessa che fa Gino è incontestabile: “la grandezza di uno Stato non dipende dall’estensione geografica ma dal grado di civiltà”. Il grado di civiltà però non basta a garantire né la sopravvivenza ne la ricostituzione di uno Stato: ci vuole la forza economica, politica, culturale e mediatica in senso lato, anche militare.

Nella fattispecie lasciamo pur perdere la forza militare, cioè quel ricorso alle armi che Gino, Michele e, qualunque persona assennata, esclude in partenza. Ma se la “Patria Veneta” di cui parliamo è la Serenissima, non possiamo dimenticare che è durata nei secoli grazie alla potenza economico-mercantile, fulcro del peso e della potenza politica della Repubblica di Venezia.

Venendo all’oggi, temo che senza forza politica, senza peso economico e mediatico, non si vada da nessuna parte: al massimo si arriva ad asserragliarsi sul campanile di San Marco… Un gesto simbolico, che ebbe vasta eco, che colpì l’immaginario venetista, ma che non mi pare abbia fatto compiere alcun passo concreto sulla strada dell’indipendenza del Veneto.

Sempre Gino indica la via del referendum, sul modello della Scozia dove “un partito indipendentista come lo Snp ha proclamato di volerlo indire”. Gino stesso ha perfettamente ragione quando aggiunge che comunque verrebbe bocciato a causa del peso economico-mediatico del potere dominante che ha fatto “credere ai veneti di essere italiani”. Va però aggiunto che nel nostro Veneto nemmeno esiste un partito indipendentista che abbia proclamato di volerlo indire questo benedetto referendum. Oppure forse esisterà anche il partito indipendentista veneto, ma è così insignificante che nemmeno se ne conosce l’esistenza…Come dire che senza peso politico nemmeno si comincia ad andare da una qualsiasi parte.

Mi domando dunque se i venetisti non debbano riconsiderare l’ipotesi di muoversi di conserva con la Lega Nord: che sarà anche un po’ infida, in quanto troppo lombarda, ma che oggi sembra la forza politica più in grado di innescare un processo di federalismo e di autonomia che cominci a ridare un po’ di respiro anche alla “Patria Veneta”

O ci sono strade più rapide e dirette per arrivare al traguardo?

TORNA IL VENTO DELLA SECESSIONE

 


Torna a spirare il vento della secessione e non per bocca di Umberto Bossi; ma attraverso le parole di un imprenditore prestato (con successo) alla politica, Riccardo Illy, presidente del Friuli Venezia Giulia che governo con una giunta di centrosinistra. Illy che, intervistato da Stella sul Corriere della sera, si domanda “Per quanto ancora il Nord potrà resistere alla tentazione secessionista?”.

Il governatore del Friuli definisce la politica “autistica” rispetto alle esigenze del nostro territorio, una politica che “ha tradito una parte del nostro Paese”. “Così perdiamo il Nord” è il titolo dell’ultimo saggio scritto per Mondadori da Riccardo Illy.

L’approccio è rovesciato. Non si parla più di un Nordest egoista e poco solidale, che pensa solo a far soldi e non si cura del resto del Paese. Si sottolinea invece il tradimento perpetuato contro i cittadini delle nostre regioni, il loro lavoro, l’impegno la serietà. Accentuato dal confronto con i Paesi europei nostri confinanti dove invece esigenze ed attese di modernizzazione trovano risposte da parte della classe politica.

Il vento della secessione spira anche attraverso Ilvo Diamanti, editorialista de La Repubblica, responsabile dell’istituto demoscopico che realizza ogni settimana un’indagine per Il Gazzettino. L’ultima di queste indagini rileva come sia “raddoppiata l’ostilità verso il Sud”: nelle nostre regioni un cittadino su due considera “il Mezzogiono un peso per lo sviluppo del Paese” e aggiunge “nel 1997, quando la Lega invocava l’indipendenza della Padania, puntava l’indice contro il Sud il 26%.

Oggi invece è il 51% a farlo. E molti sono anche elettori del centrosinistra.

Ritornando ad Illy pone una questione cruciale: i cittadini del Nordest non sono spinti alla secessione da un desiderio irrazionale o dal loro egoismo, ma è la mancanza di risposte adeguate da parte della politica ad alimentare il vento della secessione. Si può non essere d’accordo?