ORA CAMBIA TUTTO (ANCHE PER AGLIETTI). MEGLIO ESSERNE CONSAPEVOLI

Ieri il Verona per la prima volta quest’anno è stato forte. Né bello né brutto, ma forte, cioè solido, equilibrato. Lo si è visto nel secondo tempo, quando la squadra nei primi venti minuti (fino all’ingresso di Pazzini e al suicidio di Pillon che impaurito ha tolto Sottil) è calata di ritmo e ha dato spazio al Pescara. Ecco lì, pur indietreggiando, si è sofferto il giusto (solo un’occasione nitida per gli abruzzesi). Sono i momenti di minimo, e non di massimo, a dare la cifra di una squadra. Il Verona, fino a ieri, mai era stato bravo nei minimi.

Sono sincero: prima della partita ero molto fiducioso. Sentivo aria di successo. Dopo il primo tempo però ero un po’ intimorito: il Verona aveva giocato bene però senza segnare e sapevo che non avremmo tenuto quei ritmi per tutti i novanta minuti. Invece il Verona nella ripresa, pur nell’ovvio calo, ha dimostrato grande maturità e sicurezza. Aglietti ha sbagliato solo la mossa di Lee, ma è un inframezzo, mentre la gestione di Pazzini è stata perfetta (questo non significa che dovrà essere uguale con il Cittadella, anzi Aglietti deve lavorare per poter rafforzare l’opzione due punte).

Ora però cambia tutto. Il Verona mentalmente non è più outsider. Con il Cittadella siamo noi ad avere i favori del pronostico, il fattore campo e due risultati su tre. E meglio rendersene conto subito senza tante balle retoriche. Ora Aglietti – bravissimo ma fino adesso facilitato dall’essere il corsaro senza macchia che non ha nulla da perdere – per la prima volta ha il cerino in mano. L’Hellas deve convivere con nuove pressioni e non commettere l’errore mortale di sentirsi già in A. Direte, ovvio. Sì però dopo Pescara questo è un pericolo reale.

Un’ultima parola su Aglietti. Ci ha messo il tocco della normalità, in linea con la tradizione del Verona. La storia lo dice: all’Hellas funzionano le persone serie e semplici con delle idee, non i demiurghi e gli illusionisti, o i grandi nomi fini a se stessi.  Lo dico soprattutto guardando al futuro, date le voci che stanno circolando e gli avvistamenti allo stadio. Altrimenti, in A o in B, ricadiamo nello stesso (brutto) film.

SOGLIANAMENTE OUTSIDER (E AGLIETTI LO SA)

Aglietti sa. Aglietti ha capito. Nel gioco di specchi delle dichiarazioni ufficiali, per cui spesso vale il contrario di quello che si dice, il nostro allenatore ha srotolato il manifesto del gregario perfetto: “Il Pescara è stato fortunato”. Ovviamente non è vero, la squadra di Pillon se l’è giocata a viso aperto e nel computo delle occasioni è stata pure più pericolosa. Ma Aglietti – che era intelligente in campo e lo è come uomo – si muove “soglianamente” da outsider e sa che deve rincuorare e motivare i suoi, enfatizzandone i meriti e minimizzando quelli degli avversari. Arrivati a questo punto, giusto così: tecnicamente poco si può fare, meglio  dare al Verona la consapevolezza psicologica che domenica è possibile ribaltare le sorti della semifinale.

Nel gioco di specchi della normale (e funzionale) ipocrisia si è inserito perfettamente anche Pillon: “Il Verona è una grande squadra. Aver due risultati su tre a Pescara non è un vantaggio”. Due bugie è meglio di una, verrebbe da dire parafrasando un vecchio spot. Ovviamente non è vera nessuna delle due affermazioni: l’Hellas in questa B è una buona squadra, ma non grande e lo si vede pure ora che abbiamo un allenatore non geniale ma di buon senso. Anche ieri sera troppi errori di impostazione e di rifinitura. Matos stringi stringi non determina, Laribi è sempre nel mezzo della sua incompiuta, Danzi per ora è solo un onesto pedatore. Il Pescara è squadra più profonda, vivace, con due ali verticali e concrete, un centravanti nel pieno delle forze e un tecnico come Pillon che ha vinto in tutte le categorie.

Aglietti lo sa, dicevamo. Ieri ha voluto giocarsela, ma senza forzare del tutto, vedi la staffetta Di Carmine e Pazzini, che invece avrebbero potuto essere schierati assieme per una mezz’ora. Ma la partita è sui 180 minuti e Aglietti ha preferito ragionare sul lungo e non sul breve. A Pescara il Verona è sfavorito, perché nel complesso un filo inferiore, per il gol da recuperare e per il fattore campo. Eppure è possibile fare risultato, ricordando anche che il Pescara in casa quest’anno ha lasciato inopinatamente molti punti per strada.

Postilla finale: sento dire che con Aglietti dall’inizio, o comunque ingaggiato prima, non ci saremmo ridotti in questa situazione. Vero in parte, anche lui sarebbe stato da verificare sul lungo periodo e non in questa giostra da dentro e fuori, che è un mondo a parte. Per dire, anche D’Anna ha salvato il Chievo in tre partite e poi ha fallito. Ho letto pure che qualcuno vorrebbe la conferma di Aglietti comunque vada. Calma, ragionare sull’emozione e aprioristicamente è sempre sbagliato. Più che altro al Verona servirebbe un progetto societario e di conseguenza tecnico che da troppi anni manca e ancora non si vede all’orizzonte. Comunque vada.

LUCI, OMBRE E…CERTEZZE

Occorre un passo in più. Decisamente. Questo Verona, pur migliore di quello di Grosso (peggio non si poteva fare…), può bastare a battere il Perugia, non ad andare in serie A. Luci, ma ancora troppe ombre ieri al Bentegodi. Il Perugia ci ha portato ai supplementari con un uomo in meno: questa, a freddo, è la macchia che resta e che desta perplessità. Poi abbiamo dilagato, grazie però anche all’affanno degli avversari obbligati a cercare il gol vittoria e all’ingresso di un cecchino come Pazzini, equivoco che resta incredibilmente da risolvere. Insomma, la qualificazione alla semifinale play off è arrivata in virtù della migliore posizione in classifica in campionato. Con il Pescara non basterà, il trend psicologico e agonistico sarà inverso: è l’Hellas che nei due match avrà il peso e l’onere di cercare almeno una vittoria. E servirà ben altra personalità per gestire il ritorno all’Adriatico, campo storicamente nemico.

Sia chiaro, il Pescara è il miglior avversario che ci potesse capitare. E in questo l’esclusione del Palermo egoisticamente è stata una gran botta di fortuna, checché ne dica il dt Barresi, rimasto piccato per l’articolo ironico del sottoscritto sul culo (inteso come fortuna) di Setti. Caro Barresi, magari ogni tanto si faccia anche una serena e liberatoria risata e non si irrigidisca sempre, suvvia! Il Pescara è un pelo inferiore tecnicamente al Verona. In campionato è arrivata davanti solo per l’inopinato crollo finale di Grosso, ma gli scontri diretti (3-1, 1-1) parlano chiaro.

Ribadisco quanto scritto nei giorni scorsi: il Verona può ragionevolmente ambire alla finale. Ma deve togliersi di dosso le paure e i balbettii visti con il Perugia. Adelante con juicio, tra luci e ombre…e certezze.

AGLIETTI, IL SOGNO DELL’AGGIUSTATORE INQUIETO

Se i riflessi di D’Amico sul mercato sono quelli di quando chiede scusa, allora capiamo bene il fallimentare campionato del Verona, concluso in regular season con un sesto posto deludente ma giusto. D’Amico con tempismo da moviola si accorge con tre mesi di ritardo di essere andato fuori dal seminato nei riguardi di Giovanni Vitacchio. Meglio tardi (tardissimo) che mai. A D’Amico perlomeno do atto che lui da mesi chiedeva a Setti di allontanare Grosso. La squadra un po’ “sgarrupata” la addebitiamo a lui, non certo l’esonero tardivo dell’allenatore. Il ds ha puntato fortemente su Aglietti, amico di Fusco e Paratici (che lo avrebbero voluto sulla panchina della Juventus B la scorsa estate), e la sua ritrovata verve (come l’uscita dai radar precedente) molto si spiega con l’avvicendamento dell’ex tecnico. “Ora sfruttiamo l’entusiasmo” ha detto Tony. Magari però non scambiamolo per arroganza, ecco. Si sa, il confine a volte è labile e carico di effetti boomerang.

Aglietti, a cui vogliamo bene per il suo glorioso passato nel Verona di Prandelli, ha riportato semplicemente il buon senso in campo. “A me il possesso palla per andare indietro non piace, deve essere funzionale a smarcare il compagno” ha detto poche ore fa. Parole finalmente che sanno di calcio (quindi normali) dopo due anni passati ad ascoltare conferenze stampa che parevano sedute di psicanalisi auto-motivazionali con supercazzole prematurate alla Amici Miei.  E se dovevamo aspettare Aglietti, che non è certo un drago della panchina ma un onesto mestierante, per tornare alla normalità, capiamo bene il surreale filone narrativo delle ultime stagioni.

Già Aglietti, lungagnone tra il dinoccolato e lo sgraziato in campo, ma con il piede dolce. Ora da allenatore e uomo di mezza età quelle occhiaie sofferenti, le rughe inquiete, il look scapigliato e lo sguardo irregolare ce lo rendono ancora più simpatico. Riuscirà il nostro “aggiustatore” (io lo chiamo così, questo lui sta cercando di fare) a portarci in serie A con i play off? E’ il suo sogno, dice. Aspettando di conoscere le avversarie (il calcio italiano è sconfortante, è mai possibile dover aspettare sentenze decisive a campionato finito?) possiamo dire che il Verona – che ha faticato pure con il Foggia (ok l’entusiasmo ma non possiamo perdere il senso dell’analisi) – ha poche chances di farcela.

Ma noi, in un’annata così povera di spunti tecnici e romantici, noi bisognosi di nutrirci di qualche emozione, siamo curiosi di seguire il sogno di Aglietti, che a 49 anni ha l’occasione della vita. Ora ci è rimasto lui, l’aggiustatore di San Giovanni Valdarno, terra di vetrai, con il suo sguardo consumato e i modi gentili e spicci.

Dopo, comunque vada, Setti dovrà tornare a fare calcio seriamente, oppure pensare di passare la mano. Ma se ne riparla a fine stagione.

 

DILETTANTI ALLO SBARAGLIO?

Improvvisazione e disperazione. Setti, dopo mesi di melina, decide di esonerare Grosso troppo tardi e preso solamente da una fifa boia. Una società seria che sa fare calcio avrebbe sollevato l’allenatore dall’incarico dopo la sconfitta di Brescia, quando le alternative peraltro non mancavano e c’era tutto il tempo di sistemare la squadra e magari rafforzarla a gennaio. Avrebbe dovuto essere una decisione razionale, non nata da un clima da fine del mondo.

Sembrano dilettanti allo sbaraglio che non sanno cosa fare e come farlo.

Ho sempre trovato ridicolo il “cinema” esonero sì-no-forse culminato con il surreale affaire Cosmi, alla mattina “ingaggiato” e alla sera liquidato. Ho sempre considerato grottesco che bastasse un pari o una vittoria isolata a ridare credito imperituro a Grosso, prima di quel pari o di quella vittoria messo in discussione. A un allenatore o ci credi o non ci credi più, indipendentemente da un risultato positivo casuale.

Ora arriva Aglietti. Una non scelta, una sorta di premio di consolazione. La soluzione migliore era De Biasi, che però non si sarebbe accontentato di un contratto per una manciata di partite. Carriera mediocre quella del simpatico Aglio come tecnico. Ovviamente a lui va l’in bocca al lupo e l’affetto per quello che è stato da calciatore, rifinitore di uno dei Verona più belli (quello di Prandelli in B, giusto vent’anni fa). Aglietti è stato chiamato a tre giorni dalla gara decisiva (in chiave play off) di Cittadella. E anche questo dà il senso della società a cui siamo in mano. Non potrà fare miracoli, ma perlomeno sperò dia un po’ di buon senso in campo, a cominciare dal mettere i giocatori nel loro ruolo. Ci vuole poco.

Per i play off servono 4 punti, poi agli spareggi ci sono due squadre più forti di noi (Palermo e Benevento).  Intanto mi basterebbe non perdere a Cittadella e già scrivere questo significa che siamo al cospetto di un fallimento. Ma ormai siamo in ballo e balliamo.

IRRILEVANZA E MACERIE MORALI

Non è più rabbia. Non è più, nemmeno, indifferenza, atteggiamento che comunque presuppone una scelta e dunque è “attivo”. Da ieri si è sconfinati oltre, nell’irrilevanza. Non solo del Verona (inteso per come l’ha ridotto Setti) non ce ne frega più niente, ma proprio il Verona non esiste più.  Gli spalti ieri erano semi-deserti: la gente ha preferito le grigliate a una partita comunque da play off. Solo qualche anno fa non sarebbe mai successo. E anche chi allo stadio c’è andato era lì solo per inerzia, mica per qualsivoglia legame con la partita. La partita non…esisteva.

Ecco che così lor signori, Setti, Grosso e compagnia cantante possono tranquillamente dire e fare ciò che vogliono. Non interessa niente a nessuno. Nessuno ascolta più. Nessuno guarda più. Nessuno legge più. Il silenzio stampa? E chissenefrega.

Nel frattempo ci raccontano del nuovo stadio con la piscina. Un’idea peraltro rozza, pacchiana, volgare.  Ma, e lo dico malinconicamente, sarebbe la chiusa perfetta per ciò che è diventato il fu glorioso Verona.  Intorno a noi bilanci e capitalismo immobiliare. E macerie morali e sociali.

E’ rimasto qualche cronista embedded e, vabbè, si commenta da solo. Mi spiace invece per gli ex gialloblu, che forse ancora non hanno capito. Ieri qualcuno di loro era lì bello sorridente in tribuna vip.  Il loro patrimonio di storia e credibilità è troppo importante e non vorrei venisse disperso.  Poi ci sono i piani alti, quelli veri: a Palazzo Barbieri nessuna riflessione in atto?

 

 

LUOGHI COMUNI E NO SENSE

“Con il Brescia abbiamo dimostrato che da qui alla fine possiamo vincere tante partite” (Fabio Grosso 2 aprile). Lui sì che aveva capito tutto…

“Eh ma con le grandi ci esprimiamo bene, è con le piccole che siamo mancati” (il luogocomunismo imperante a Verona). Tra Brescia, Lecce e Palermo 2 punti in 6 partite. Pensa se ci fossimo espressi male…

“Dal primo giorno rompete il cazzo” (Tony D’Amico 10 febbraio). Dopo quel penoso “show” è (ri)sparito dai radar mediatici. Dov’è finito? Ci manchi.

“Dal primo giorno rompete il cazzo” (Tony D’amico 10 febbraio). Scusate se la ripeto in loop, ma è troppo bella. Nel frattempo, se ha tempo, D’Amico ci spieghi cosa si prova ad allestire una “corazzata” con Di Carmine, Lee, Balkovec, Di Gaudio, Gustafson, Colombatto, Marrone. Deve essere emozionante…

“Eh ma è un campionato mediocre” (luogocomunismo 2.0.). Pensa che furbi noi invece che con Lee,  Di Carmine, Balkovec, Di Gaudio, Gustafson, Colombatto, Marrone abbiamo pure la puzza sotto il naso.

“Quando un giorno non ci sarò più il Verona avrà un patrimonio più solido, uno stadio e un centro sportivo” (Maurizio Setti il 10 gennaio alla Gazzetta dello Sport). Campa cavallo. Di fatto una dichiarazione di eternità. Che poi come fa lo stadio a essere patrimonio del Verona se rimane del Comune? Qual è il senso logico, Setti?

“Io speravo di essere un presidente anonimo” (Maurizio Setti sempre alla Gazzetta). Io, visti i risultati, speravo invece di avere un presidente (suo) omonimo.

“Grosso? Ha una testa superiore” (ancora Setti alla Gazzetta). Ricorda molto il sempre settiano “Pecchia? Farà una grande carriera”. Ne azzeccasse una…

“Grosso crede in quello che fa” (di nuovo Setti alla Gazzetta). Non vorrei fosse questo il problema…

“Il gruppo è unito, segue Grosso” (luogocomunismo evergreen, “in tutti i luoghi e in tutti i laghi”). Solo io sogno un gruppo diviso, spaccato, rotto che non lo segue per niente?

“L’anno scorso commisi un errore a non cambiare l’allenatore” (Setti in conferenza stampa a Peschiera il 9 febbraio).  E quest’anno lo sta ricommettendo. Oltre il perseverare. Più che diabolico. Meraviglioso, no?

E mentre la serie A (diretta) sfugge e quella indiretta appare una chimera, faremo il nuovo stadio.  Lo ha detto Berthold, che non ricordavo come costruttore di stadi. Sarà un caso, ma a Verona non lo abbiamo mai rimpianto…

Che avrebbe detto Troisi? Pensavo fosse amore e invece era…un arcovolo. O forse, davvero, non ci resta che piangere.

 

 

IL PARADOSSO DELLA NOSTRA DEBOLEZZA

Il paradosso sta tutto nella buona prova di ieri sera. Il Verona migliore ha giocato alla pari con un Brescia minore. A parità di resa infatti abbiamo prodotto uno sforzo maggiore. A parità numerica di occasioni il migliore in campo risulta il nostro portiere, che ha sfoderato 3-4 parate determinanti. Il Brescia quelle occasioni le ha create con la tecnica. Le nostre possibilità sono state ugualmente pericolose, eppure più affannate, carambolate e meno costruite (fa eccezione il gol di rara bellezza confezionato da Zaccagni-Faraoni).  La discriminante si chiama qualità: noi Tonali, Torregrossa e Donnarumma insieme, per dire, non li abbiamo.

I corazzieri della crassa retorica, presuntuosi e ignari di calcio, per i quali forse bastano i nomi in ordine sparso, l’hanno menata fino a oggi. “Siamo la corazzata” dicevano. Ma quale? Dove? Quanta presupponenza. Quanta incapacità di andare a fondo nell’analisi. Ci si concentrava (giustamente) su Grosso per dimenticare una squadra costruita con i piedi. E’ Di Carmine che ci deve fare la differenza? L’avete visto? O forse il volenteroso ma inconcludente Lee? “Eh ma gli allenatori avversari dicono che siamo i più forti” sento dire . E voi ve la bevete? Si chiama captatio benevolentiae. Cose già viste e sentite.

Ma “se avessimo giocato così con Padova (due volte), Venezia, Cremonese, Crotone, Ascoli (due volte)…” è il refrain di stasera. E grazie! Ma secondo voi è una triste fatalità? La verità è che il Verona non avrebbe mai potuto giocare “così” contro quelle squadre, perché di fronte a difese chiuse non ha mai mostrato la qualità, il dinamismo e la continuità necessarie per aprirle e perforarle. Una volta può essere un caso, cinque, sei, sette volte è un limite. Il Brescia invece si è schierato più aperto e ti ha dato la possibilità di giocare “così”. Come il Pescara, ricordate? Pillon, dopo il 3-1 subito, a sua insaputa scoperchiò il nostro vaso di Pandora: “Stasera ho sbagliato io, abbiamo fatto la partita, alzandoci troppo e prestandoci al contropiede del Verona” disse. Presi dall’euforia del momento, ce la siamo scordata troppo in fretta quella frase.

Il Verona, lo dico da tempo, è squadra da quarto-quinto posto. Per le caratteristiche tecniche del suo insieme. Per l’allenatore che non dà nulla in più e ad aprile non ha ancora trovato la quadra. La (bella) prestazione con il Brescia non fa altro che rafforzare questa realtà.

Ora il treno per la serie A diretta si allontana forse definitivamente. Emozionalmente dispiace, ma calcisticamente è giusto così. Anche vincendo a Palermo (fatto per ovvi motivi tutt’altro che scontato) il rischio è di trovarsi a 5-6 punti dal Lecce dopo il nostro turno di riposo, a cinque giornate dalla fine.

Una cortesia però: non venitemi a dire che abbiamo perso punti per strada. Noi eravamo questi. Noi siamo questi.

 

PARLANO DI IMMOBILI E POCO DI CALCIO

Una verve commovente. Chiamatela mentalità. “Non si può sempre vincere” butta lì Fabio Grosso dall’alto dei suoi 1237 punti in classifica e delle sue 113 vittorie consecutive. Non scomodate però quell’insigne pedagogo che fu de Coubertin, più modestamente è dai tempi del grest o dei campi estivi che non sentivo frase siffatta. “Non si può sempre vincere” dicevano paternalisticamente a chi perdeva, accompagnando la consolatoria chiosa con una beffarda pacca sulla spalla.

La malinconia del Verona sta tutta nell’ipse dixit del suo allenatore, che da settembre ci mostra il solito impalpabile spartito. Lui però è l’allenatore più adatto a questa società. Anzi, è il tecnico ideale. Società che vuole lo stadio (Berthold oggi sul Corriere di Verona dichiara che l’idea nacque nel 2017 parlando con Barresi) e non compra uno straccio di regista vero a gennaio. Società che acquista la sede, pensa a centri sportivi, fa store, ma pare tenere il calcio sullo sfondo (questo dicono i risultati degli ultimi anni). Del resto lo ha dato da intendere lo stesso Setti – che certo tra mille difetti non è un ipocrita – l’anno scorso, nella celebre conferenza stampa nella sua azienda di Carpi: “Il bilancio viene prima dei risultati”. Prima, non assieme. Una differenza decisiva.

In tutto questo (immobiliare)  parlar d’altro, en passant, la serie A sfugge. Ma sono dettagli. “Niente di serio” avrebbe detto Giacomo di Aldo Giovanni Giacomo. “Non si può sempre vincere” ha detto Grosso. E questa fa già più ridere.

 

 

LA MEDIOCRITÀ DI GROSSO È QUELLA DI SETTI

Mediocre coerenza. Il Verona conferma il copione: squadra senza spina dorsale, costruita male e allenata peggio. In un moto di compassione la settimana scorsa avevo puntato mezza fiche sulla speranza, sebbene ieri su Telenuovo prima della partita avevo ammonito: “Perugia è un po’ pochino per parlare di svolta”.

Passando dalla compassione all’utopia speravo di essere smentito, anche se razionalmente non ho mai visto il bicchiere mezzo pieno perché la squadra è questa. Intendo, se non hai un regista e devi mettere il dannoso Marrone in difesa – credendoti Liedholm e  scambiando l’ex barese per Di Bartolomei – per fargli impostare il gioco, significa che che hai dei limiti strutturali. Se non hai un terzino decente dove vuoi andare? Poi Grosso, al solito, ci mette il carico: Bianchetti, che in B sarebbe un gran difensore centrale capace di fare reparto da solo, viene sacrificato sulla fascia destra; l’inconsistente e indolente Laribi riproposto non si sa come e perché; ma è soprattutto il cambio di Balkovec-Di Gaudio con 4 giocatori spostati di ruolo in un colpo solo la perla del sabato del Bentegodi. Roba da farmi venire istantaneamente la labirintite acuta.

Il Verona non esce dal guscio del suo campionato deludente. E’ una squadra da quarto posto al massimo (ringraziando la scarsezza generale), che in questi mesi non è mai riuscita a frequentare la zona promozione come sarebbe stato suo dovere. Il problema non è nemmeno la classifica (saremmo ancora in corsa, anche se le concorrenti hanno una o due partite in meno), ma l’andamento costante nella sua impalpabile mediocrità.

Una mediocrità che è anche e soprattutto della società che, nella consueta e consumata (ma ormai stanca) arte di parlar d’altro, celebra la sede nuova (sono soddisfazioni!). Setti, che non riesce nemmeno a esonerare il suo allenatore, evidentemente non è più in grado di fare calcio ad alti livelli. Altro che stadio nuovo.