JURIC E IL CERINO IN MANO A SETTI

Ivan Juric non ci ha pensato più di tanto martedì in conferenza stampa. La dichiarazione che conta è una e solo una: “Bessa e Pazzini sono tra i pochi della rosa che hanno dimostrato di poter giocare in serie A”. La frase, se da un lato sottintende che anche altri potranno dimostrarlo, svela quello che oggi è il vero problema del Verona: non solo salvarsi, ma costruire una squadra che (perlomeno) possa giocarsela. Il contrario, cioè, di quanto accaduto due anni fa. E meno del minimo sindacale per un Setti che – smarrita la promessa di consolidamento – dobbiamo quasi pregare per chiedergli di poter concorrere con orgoglio. E poi dicono che siamo di grandi pretese…

Tornando a Juric: le sue parole spengono la musica e le luci della festa di un mese fa. Si torna a guardare l’orizzonte con lucidità. La considerazione è presto fatta, il Verona è salito in A per tre fattori: Aglietti, una botta di culo e i problemi del Palermo. Non certo per un progetto, o per una squadra così competitiva da permetterle oggi solo qualche ritocco di sostanza.

In particolare il pensiero del tecnico di Spalato per Bessa mi ha fatto piacere. Intanto perché ho un debole per il talento di questo ragazzo. E poi perché due anni fa Bessa fu trattato male, forse quasi per giustificare alla piazza la sua cessione con la squadra in piena zona retrocessione.

Tuttavia nominare Bessa (che potrebbe andarsene) e Pazzini (che presto ne fa 35) come tra i pochi da serie A, dà proprio l’idea della strada in salita e del tanto lavoro che attende la società. Il tempo c’è e io non sono mai stato nemmeno contrario ai colpi last minute di agosto. Ma quel poco che si è visto finora (prestiti, o riserve in campionati inferiori) è largamente insufficiente ed è bene dirlo subito. Aspettiamo con fiducia da protocollo. Al Verona servono cinque pedine di peso (tra cui un centravanti, un regista arretrato e due esterni di mediana) e quel tipo di giocatori, almeno negli ingaggi, qualcosa costano.

Ora insomma tocca a Setti, che si ritrova in mano con il cerino delle responsabilità. E Juric lo ha detto chiaramente.

 

L’ENNESIMA SFIDA DI UN PRESIDENTE FRAGILE

E così Ivan Juric fu. Nessuna sorpresa, la scelta era già stata compiuta prima dei play off. Chi mi segue sa che non ho mai parteggiato per la conferma di Aglietti, a cui resta il merito principale della promozione più carambolesca e fortunata della storia del Verona. Aglietti era stato scelto in un momento di emergenza e ha compiuto un’impresa meravigliosa in quel contesto. Ma era, appunto, un contesto particolare, oggi lo scenario è diverso. Quindi il suo addio, per quanto sentimentalmente amaro, sul piano tecnico ci sta.

Il punto qua è un altro. Juric era la scelta migliore tra quelle possibili? Mai come adesso allenatori liberi ce n’erano.  Io avrei preferito Iachini o Nicola, più pragmatici, esperti e certificati. E anche più in linea sentimentale con Verona (nel calcio le dinamiche sociali incidono). L’allenatore croato invece è un integralista e il suo pedigree è controverso: un inizio di carriera scoppiettante e un lento e agonizzante scemare al Genoa tra esoneri, richiamate e nuovi esoneri. Un amico – politico genovese pragmatico e genoano sfegatato – mi dice che pur essendo Juric una persona seria e in gamba, da loro non ha saputo reggere le pressioni della serie A.

Con Juric devi costruire solo un tipo di squadra in linea con il suo 3-4-1-2, che poi è un 3-5-2 essendo il trequartista un mediano alla Rigoni. Ma non è il momento ora di addentrarsi nei dettagli tecnici. Dico solo che servirà un mercato chirurgico: devono arrivare giocatori “di gamba” sugli esterni e pensatori veloci in mezzo al campo. Tutto il contrario della squadra orizzontale, statica e palleggiatrice di quest’anno. Ma è la storia di Setti a suggerire il contrario: il Verona dopo Sogliano non ha più fatto un mercato calcisticamente logico, perciò la scelta del monolitico Juric cozza un po’ con il modus operandi “da varie ed eventuali” del club.  Con Iachini o Nicola, allenatori adattabili alle più svariate situazioni, invece questo metodo (se così si può chiamare) era più coerente.

Neanche troppo sullo sfondo poi si riapre la ferita del presidente con i tifosi e la città, che Juric mostrano di non gradirlo affatto. In soli nove giorni Setti ha disperso quel piccolo credito (piccolissimo, per la verità) che si era riguadagnato (si fa per dire…) con la promozione. Nove giorni nove per polverizzare tutto. Un record che solo Setti e suoi inesperti pretoriani potevano compiere. Ma non mi sorprende neppure questo.

Ma soprattutto resta quell’eterno senso di precarietà di questa proprietà. Juric è una sfida, un’altra, l’ennesima. La sua storia è priva di mediazioni: in carriera ha fatto molto bene o molto male. Qui potrà fare molto bene o molto male, la via mediana non esiste con lui. Una sfida rischiosa di un presidente e un management fragili, finora non all’altezza della serie A. Insomma siamo ancora qua a contare gli spicci del fato, a sperare, privi di un progetto delineato. Come scrisse il poeta: del doman non v’è certezza. A Verona, in questa stravagante altalena tra A e B, ancor di più.

AGLIETTI, IL POPOLO DEL VERONA E LA PROFEZIA DI ADA…

E’ la notte dei rumori. Esplodono dopo l’accumulo di tensioni. Esco dagli studi dopo 4 ore di diretta a Telenuovo:  suoni di clacson sulla strada, canti euforici dalla Bra e nei vicoli, sana e benedetta sguaiatezza. Risento vecchi cori  anni novanta di un’adolescenza che fu, quando mi buttavo nella fontana e consumavo la batteria dello Zip a forza di clacson. Sorrido.  Rumore è il ticchettio adrenalinico della tastiera mentre scrivo. Vorrei mettere in ordine i pensieri, me lo impone la professione. Non ce la faccio, meglio lasciarli fluire come vengono, sparsi e immediati.

Aglietti, ecco Aglio. Ha rivendicato la sua vittoria. Beata sincerità, ha ragione dannazione. E la sua promozione, punto. Genuino, diretto e consapevole: ha trasformato la sua occasione nella sua storia. Una storia che rimarrà, a prescindere. Questo è il suo capolavoro.

I 25 mila del Bentegodi. Verona è il Verona. Il Verona è Verona. Due concetti imprescindibili. Indissolubili. Non si sono mediazioni: il Verona è passione, follia, finanche calcistica “malattia”. Puoi contestare un presidente, non perdonargli nulla degli ultimi due anni. Ma poi quando la bandiera e la causa chiamano si va oltre, si vola più alto. Squadra di popolo, interclassista, di tutti.  116 di storia sono sopra ogni cosa, prevaricano i momenti. Emotivamente è la promozione di una tifoseria infinita e di una città fortemente identitaria, che ha dimostrato ancora una volta di saper distinguere le persone dai colori, la società dal club. Una finezza meravigliosa. Rimane lo striscione di sabato a Peschiera e di ieri in curva: “Forza Verona”. Semplice, immediato, potente. Il Verona, prima ancora che Hellas. Il Verona, squadra della città. Non è solo semantica.

Lo ammetto, dopo Cittadella non ci credevo (ci speravo sentimentalmente, ma è diverso). Mi risuonavano le parole di Adailton, che anche fuori dagli studi mi spiegava del perché il Cittadella paradossalmente era fregato dal 2-0. Credevo volesse tirarmi su, poi a quelle parole ci ho pensato ogni giorno. Se lo dice lui che ha giocato anni ad alto livello un motivo ci sarà, pensavo. Eppure ancora non mi convincevo. Ha avuto ragione Ada. Profetico.

Ora deve essere solo festa. Stanotte, domani e per una settimana almeno. Ci sarà tempo per le analisi che ci portano al futuro, per approfondire quello che è stato per capire quello che sarà. Oggi, dopo due anni di merda, permettetemi, godete e godetevela e basta.

 

RISCRIVIAMO LA STORIA

Perché? Rimane, tra sconcerto e rabbia, quel perché. Perché quei cinque minuti iniziali? Che approccio è? Passi giorni a dire che il Cittadella non va sottovalutato e poi ti presenti così? “Eh ma poi abbiamo fatto la partita” dicono. Ciao core. Il calcio non è pugilato e nemmeno tennis: è lo sport più irregolare che esista, determinato dai momenti che ti crei. Hai voglia di dire che poi hai giocato bene (in realtà tanta pressione a trequarti ma pochi sbocchi puliti) creando occasioni anche clamorose (due pali e due paratissime di Paleari): ma dovevi rincorrere, è questa la differenza. E rincorrendo,, con l’affanno che ti sale, poi capita pure di prendere il secondo (pesantissimo) gol. Ne abbiamo viste di partite così nella storia del calcio, niente di nuovo. Inutile star qui a recriminare.

Scorre, di sangue e di nervi, anche un altro perché: Pazzini. Già, sempre lui ahinoi. Messo in campo un quarto d’ora quando eri già in calo fisico, quindi non sfruttato a dovere e nelle migliori condizioni, e comunque più pericoloso lui che Di Carmine nel resto della partita (i due si completano ed è un suicidio calcistico non averli messi assieme per paure e titubanze ingiustificabili). Come a Pescara, quando il Pazzo ha creato i presupposti per la vittoria. Hai il miglior cecchino della serie B e lo tieni fuori mentre la tua squadra mette una serie infinita di cross in mezzo all’area? A Cittadella se la ridevano.

Potremmo discutere, quindi, dei pali, delle parate di Paleari, di una sconfitta pesante e ai punti immeritata. Acqua fresca. Il calcio, specie in queste finali da dentro e fuori, si costruisce nei dettagli. E ieri la squadra e Aglietti hanno fallito clamorosamente nei frangenti determinanti.

Ma si può rimediare. Sarà difficile perché noi segniamo poco e il Cittadella è squadra tatticamente solida. Non la vedo sbagliare la partita della vita. E poi la storia oggi sembra dalla loro parte, come il Chievo di vent’anni fa. Ecco a cosa è chiamato il Verona, non solo a una partita di calcio da vincere con due gol di scarto, ma a riscrivere una storia che pare segnata.

ORA CAMBIA TUTTO (ANCHE PER AGLIETTI). MEGLIO ESSERNE CONSAPEVOLI

Ieri il Verona per la prima volta quest’anno è stato forte. Né bello né brutto, ma forte, cioè solido, equilibrato. Lo si è visto nel secondo tempo, quando la squadra nei primi venti minuti (fino all’ingresso di Pazzini e al suicidio di Pillon che impaurito ha tolto Sottil) è calata di ritmo e ha dato spazio al Pescara. Ecco lì, pur indietreggiando, si è sofferto il giusto (solo un’occasione nitida per gli abruzzesi). Sono i momenti di minimo, e non di massimo, a dare la cifra di una squadra. Il Verona, fino a ieri, mai era stato bravo nei minimi.

Sono sincero: prima della partita ero molto fiducioso. Sentivo aria di successo. Dopo il primo tempo però ero un po’ intimorito: il Verona aveva giocato bene però senza segnare e sapevo che non avremmo tenuto quei ritmi per tutti i novanta minuti. Invece il Verona nella ripresa, pur nell’ovvio calo, ha dimostrato grande maturità e sicurezza. Aglietti ha sbagliato solo la mossa di Lee, ma è un inframezzo, mentre la gestione di Pazzini è stata perfetta (questo non significa che dovrà essere uguale con il Cittadella, anzi Aglietti deve lavorare per poter rafforzare l’opzione due punte).

Ora però cambia tutto. Il Verona mentalmente non è più outsider. Con il Cittadella siamo noi ad avere i favori del pronostico, il fattore campo e due risultati su tre. E meglio rendersene conto subito senza tante balle retoriche. Ora Aglietti – bravissimo ma fino adesso facilitato dall’essere il corsaro senza macchia che non ha nulla da perdere – per la prima volta ha il cerino in mano. L’Hellas deve convivere con nuove pressioni e non commettere l’errore mortale di sentirsi già in A. Direte, ovvio. Sì però dopo Pescara questo è un pericolo reale.

Un’ultima parola su Aglietti. Ci ha messo il tocco della normalità, in linea con la tradizione del Verona. La storia lo dice: all’Hellas funzionano le persone serie e semplici con delle idee, non i demiurghi e gli illusionisti, o i grandi nomi fini a se stessi.  Lo dico soprattutto guardando al futuro, date le voci che stanno circolando e gli avvistamenti allo stadio. Altrimenti, in A o in B, ricadiamo nello stesso (brutto) film.

SOGLIANAMENTE OUTSIDER (E AGLIETTI LO SA)

Aglietti sa. Aglietti ha capito. Nel gioco di specchi delle dichiarazioni ufficiali, per cui spesso vale il contrario di quello che si dice, il nostro allenatore ha srotolato il manifesto del gregario perfetto: “Il Pescara è stato fortunato”. Ovviamente non è vero, la squadra di Pillon se l’è giocata a viso aperto e nel computo delle occasioni è stata pure più pericolosa. Ma Aglietti – che era intelligente in campo e lo è come uomo – si muove “soglianamente” da outsider e sa che deve rincuorare e motivare i suoi, enfatizzandone i meriti e minimizzando quelli degli avversari. Arrivati a questo punto, giusto così: tecnicamente poco si può fare, meglio  dare al Verona la consapevolezza psicologica che domenica è possibile ribaltare le sorti della semifinale.

Nel gioco di specchi della normale (e funzionale) ipocrisia si è inserito perfettamente anche Pillon: “Il Verona è una grande squadra. Aver due risultati su tre a Pescara non è un vantaggio”. Due bugie è meglio di una, verrebbe da dire parafrasando un vecchio spot. Ovviamente non è vera nessuna delle due affermazioni: l’Hellas in questa B è una buona squadra, ma non grande e lo si vede pure ora che abbiamo un allenatore non geniale ma di buon senso. Anche ieri sera troppi errori di impostazione e di rifinitura. Matos stringi stringi non determina, Laribi è sempre nel mezzo della sua incompiuta, Danzi per ora è solo un onesto pedatore. Il Pescara è squadra più profonda, vivace, con due ali verticali e concrete, un centravanti nel pieno delle forze e un tecnico come Pillon che ha vinto in tutte le categorie.

Aglietti lo sa, dicevamo. Ieri ha voluto giocarsela, ma senza forzare del tutto, vedi la staffetta Di Carmine e Pazzini, che invece avrebbero potuto essere schierati assieme per una mezz’ora. Ma la partita è sui 180 minuti e Aglietti ha preferito ragionare sul lungo e non sul breve. A Pescara il Verona è sfavorito, perché nel complesso un filo inferiore, per il gol da recuperare e per il fattore campo. Eppure è possibile fare risultato, ricordando anche che il Pescara in casa quest’anno ha lasciato inopinatamente molti punti per strada.

Postilla finale: sento dire che con Aglietti dall’inizio, o comunque ingaggiato prima, non ci saremmo ridotti in questa situazione. Vero in parte, anche lui sarebbe stato da verificare sul lungo periodo e non in questa giostra da dentro e fuori, che è un mondo a parte. Per dire, anche D’Anna ha salvato il Chievo in tre partite e poi ha fallito. Ho letto pure che qualcuno vorrebbe la conferma di Aglietti comunque vada. Calma, ragionare sull’emozione e aprioristicamente è sempre sbagliato. Più che altro al Verona servirebbe un progetto societario e di conseguenza tecnico che da troppi anni manca e ancora non si vede all’orizzonte. Comunque vada.

LUCI, OMBRE E…CERTEZZE

Occorre un passo in più. Decisamente. Questo Verona, pur migliore di quello di Grosso (peggio non si poteva fare…), può bastare a battere il Perugia, non ad andare in serie A. Luci, ma ancora troppe ombre ieri al Bentegodi. Il Perugia ci ha portato ai supplementari con un uomo in meno: questa, a freddo, è la macchia che resta e che desta perplessità. Poi abbiamo dilagato, grazie però anche all’affanno degli avversari obbligati a cercare il gol vittoria e all’ingresso di un cecchino come Pazzini, equivoco che resta incredibilmente da risolvere. Insomma, la qualificazione alla semifinale play off è arrivata in virtù della migliore posizione in classifica in campionato. Con il Pescara non basterà, il trend psicologico e agonistico sarà inverso: è l’Hellas che nei due match avrà il peso e l’onere di cercare almeno una vittoria. E servirà ben altra personalità per gestire il ritorno all’Adriatico, campo storicamente nemico.

Sia chiaro, il Pescara è il miglior avversario che ci potesse capitare. E in questo l’esclusione del Palermo egoisticamente è stata una gran botta di fortuna, checché ne dica il dt Barresi, rimasto piccato per l’articolo ironico del sottoscritto sul culo (inteso come fortuna) di Setti. Caro Barresi, magari ogni tanto si faccia anche una serena e liberatoria risata e non si irrigidisca sempre, suvvia! Il Pescara è un pelo inferiore tecnicamente al Verona. In campionato è arrivata davanti solo per l’inopinato crollo finale di Grosso, ma gli scontri diretti (3-1, 1-1) parlano chiaro.

Ribadisco quanto scritto nei giorni scorsi: il Verona può ragionevolmente ambire alla finale. Ma deve togliersi di dosso le paure e i balbettii visti con il Perugia. Adelante con juicio, tra luci e ombre…e certezze.

AGLIETTI, IL SOGNO DELL’AGGIUSTATORE INQUIETO

Se i riflessi di D’Amico sul mercato sono quelli di quando chiede scusa, allora capiamo bene il fallimentare campionato del Verona, concluso in regular season con un sesto posto deludente ma giusto. D’Amico con tempismo da moviola si accorge con tre mesi di ritardo di essere andato fuori dal seminato nei riguardi di Giovanni Vitacchio. Meglio tardi (tardissimo) che mai. A D’Amico perlomeno do atto che lui da mesi chiedeva a Setti di allontanare Grosso. La squadra un po’ “sgarrupata” la addebitiamo a lui, non certo l’esonero tardivo dell’allenatore. Il ds ha puntato fortemente su Aglietti, amico di Fusco e Paratici (che lo avrebbero voluto sulla panchina della Juventus B la scorsa estate), e la sua ritrovata verve (come l’uscita dai radar precedente) molto si spiega con l’avvicendamento dell’ex tecnico. “Ora sfruttiamo l’entusiasmo” ha detto Tony. Magari però non scambiamolo per arroganza, ecco. Si sa, il confine a volte è labile e carico di effetti boomerang.

Aglietti, a cui vogliamo bene per il suo glorioso passato nel Verona di Prandelli, ha riportato semplicemente il buon senso in campo. “A me il possesso palla per andare indietro non piace, deve essere funzionale a smarcare il compagno” ha detto poche ore fa. Parole finalmente che sanno di calcio (quindi normali) dopo due anni passati ad ascoltare conferenze stampa che parevano sedute di psicanalisi auto-motivazionali con supercazzole prematurate alla Amici Miei.  E se dovevamo aspettare Aglietti, che non è certo un drago della panchina ma un onesto mestierante, per tornare alla normalità, capiamo bene il surreale filone narrativo delle ultime stagioni.

Già Aglietti, lungagnone tra il dinoccolato e lo sgraziato in campo, ma con il piede dolce. Ora da allenatore e uomo di mezza età quelle occhiaie sofferenti, le rughe inquiete, il look scapigliato e lo sguardo irregolare ce lo rendono ancora più simpatico. Riuscirà il nostro “aggiustatore” (io lo chiamo così, questo lui sta cercando di fare) a portarci in serie A con i play off? E’ il suo sogno, dice. Aspettando di conoscere le avversarie (il calcio italiano è sconfortante, è mai possibile dover aspettare sentenze decisive a campionato finito?) possiamo dire che il Verona – che ha faticato pure con il Foggia (ok l’entusiasmo ma non possiamo perdere il senso dell’analisi) – ha poche chances di farcela.

Ma noi, in un’annata così povera di spunti tecnici e romantici, noi bisognosi di nutrirci di qualche emozione, siamo curiosi di seguire il sogno di Aglietti, che a 49 anni ha l’occasione della vita. Ora ci è rimasto lui, l’aggiustatore di San Giovanni Valdarno, terra di vetrai, con il suo sguardo consumato e i modi gentili e spicci.

Dopo, comunque vada, Setti dovrà tornare a fare calcio seriamente, oppure pensare di passare la mano. Ma se ne riparla a fine stagione.

 

DILETTANTI ALLO SBARAGLIO?

Improvvisazione e disperazione. Setti, dopo mesi di melina, decide di esonerare Grosso troppo tardi e preso solamente da una fifa boia. Una società seria che sa fare calcio avrebbe sollevato l’allenatore dall’incarico dopo la sconfitta di Brescia, quando le alternative peraltro non mancavano e c’era tutto il tempo di sistemare la squadra e magari rafforzarla a gennaio. Avrebbe dovuto essere una decisione razionale, non nata da un clima da fine del mondo.

Sembrano dilettanti allo sbaraglio che non sanno cosa fare e come farlo.

Ho sempre trovato ridicolo il “cinema” esonero sì-no-forse culminato con il surreale affaire Cosmi, alla mattina “ingaggiato” e alla sera liquidato. Ho sempre considerato grottesco che bastasse un pari o una vittoria isolata a ridare credito imperituro a Grosso, prima di quel pari o di quella vittoria messo in discussione. A un allenatore o ci credi o non ci credi più, indipendentemente da un risultato positivo casuale.

Ora arriva Aglietti. Una non scelta, una sorta di premio di consolazione. La soluzione migliore era De Biasi, che però non si sarebbe accontentato di un contratto per una manciata di partite. Carriera mediocre quella del simpatico Aglio come tecnico. Ovviamente a lui va l’in bocca al lupo e l’affetto per quello che è stato da calciatore, rifinitore di uno dei Verona più belli (quello di Prandelli in B, giusto vent’anni fa). Aglietti è stato chiamato a tre giorni dalla gara decisiva (in chiave play off) di Cittadella. E anche questo dà il senso della società a cui siamo in mano. Non potrà fare miracoli, ma perlomeno sperò dia un po’ di buon senso in campo, a cominciare dal mettere i giocatori nel loro ruolo. Ci vuole poco.

Per i play off servono 4 punti, poi agli spareggi ci sono due squadre più forti di noi (Palermo e Benevento).  Intanto mi basterebbe non perdere a Cittadella e già scrivere questo significa che siamo al cospetto di un fallimento. Ma ormai siamo in ballo e balliamo.

IRRILEVANZA E MACERIE MORALI

Non è più rabbia. Non è più, nemmeno, indifferenza, atteggiamento che comunque presuppone una scelta e dunque è “attivo”. Da ieri si è sconfinati oltre, nell’irrilevanza. Non solo del Verona (inteso per come l’ha ridotto Setti) non ce ne frega più niente, ma proprio il Verona non esiste più.  Gli spalti ieri erano semi-deserti: la gente ha preferito le grigliate a una partita comunque da play off. Solo qualche anno fa non sarebbe mai successo. E anche chi allo stadio c’è andato era lì solo per inerzia, mica per qualsivoglia legame con la partita. La partita non…esisteva.

Ecco che così lor signori, Setti, Grosso e compagnia cantante possono tranquillamente dire e fare ciò che vogliono. Non interessa niente a nessuno. Nessuno ascolta più. Nessuno guarda più. Nessuno legge più. Il silenzio stampa? E chissenefrega.

Nel frattempo ci raccontano del nuovo stadio con la piscina. Un’idea peraltro rozza, pacchiana, volgare.  Ma, e lo dico malinconicamente, sarebbe la chiusa perfetta per ciò che è diventato il fu glorioso Verona.  Intorno a noi bilanci e capitalismo immobiliare. E macerie morali e sociali.

E’ rimasto qualche cronista embedded e, vabbè, si commenta da solo. Mi spiace invece per gli ex gialloblu, che forse ancora non hanno capito. Ieri qualcuno di loro era lì bello sorridente in tribuna vip.  Il loro patrimonio di storia e credibilità è troppo importante e non vorrei venisse disperso.  Poi ci sono i piani alti, quelli veri: a Palazzo Barbieri nessuna riflessione in atto?