MA IL VERONA È ANCORA UN BENE PUBBLICO?

Sarà un campionato di sola sofferenza. Mettiamocelo in testa e immergiamoci con consapevolezza da psicanalisi nella prosaica realtà delle cose. Il Verona dovrà costruire la sua salvezza punto per punto, rosicchiando con le unghie e con i denti quello che viene di partita in partita. I tempi di vacche grasse sono finiti: Setti ha smantellato ciò che poteva smantellare (è il suo business, il calcio è quasi un pretesto, un contenitore, conta unicamente l’aspetto finanziario), perdendo 40 gol davanti senza rinforzarsi dietro – porta e difesa l’anno scorso sono stati problemi nascosti dalla forza d’urto offensiva.

Vedremo cosa ci riservano questi pochi giorni che restano di mercato. Si parla di un trequartista e certamente imprevedibilità e fantasia servono come il pane. Tuttavia non basta: aggiungiamoci, almeno, anche un difensore e una seconda punta, perché pur essendo un estimatore di Lasagna (ricordiamoci che era nel giro della nazionale e comunque in serie A c’è ben di peggio) è stato lo stesso Cioffi ieri sera ad ammettere che con il suo sistema di gioco l’ex Udinese rischia di essere un pesce fuor d’acqua: “Lasagna, se giochiamo pressando alto, fa fatica” ha detto l’allenatore. E, vecchia storia, una riflessione andrebbe fatta sull’affidabilità di Montipò.

Eppure, nonostante tutto, il Verona può lottare per salvarsi. Con fatica, dolore e sofferenza, come ho scritto, ma tenersene dietro tre non appare impresa titanica. E Cioffi è un tecnico di carattere e con delle idee. Anzi, lui e i giocatori possono dare un senso romantico (il romanticismo che nasce dalla sofferenza e che a volte crea l’epica) a questo nostro campionato che si annuncia privo di bellezza tecnica e calcistica.

Su Setti: chiedersi se potrebbe fare di più, o queste invece sono le sue possibilità non ci porta da nessuna parte. Setti è semplicemente questo perché questo è il suo (solo) modo di fare business. La domanda vera è: l’Hellas è ancora un “bene pubblico”? Il calcio è ancora cosa “popolare”, o è solo un affare oligarchico? Nella prima ipotesi istituzioni, tifosi, stampa e città dovrebbero agire per condizionare (in meglio) l’operato del presidente e chiederne conto dopo un calciomercato così imbarazzante al quarto anno di serie A consecutivo. Altrimenti lasciamo perdere e perseveriamo nel pensiero modesto del “va bene tutto” e del “non disturbare il conducente”, come se il Verona fosse una linea di autobus.

I CHIARI DI LUNA (POCO CHIARI) DI SETTI

Potrei lasciare questo spazio bianco. Dopo nove gol presi in due partite, che vuoi dire? Disquisire di puro calcio nella situazione in cui versa il Verona mi sembra surreale, a meno che non si voglia imitare quel giornale che alla vigilia di Verona-Napoli esortava i gialloblu a tirare fuori la grinta. Il presidente sta vendendo tutto il vendibile, lo spogliatoio è distrutto, ma si parla, restando seri, di “grinta”. E poi ci si chiede perché i giornali non li compra più nessuno…

Potrei lasciare questo spazio bianco. Perché di Marroccu ha già detto tutto Cellino (“un errore averlo ripreso”), del quale ogni cosa si può pensare ma non che non sappia fare calcio. Peraltro il sottoscritto aveva espresso forti riserve sul direttore sportivo del Verona ancora prima che firmasse. Mi chiedo solo: con quale credibilità può restare un dirigente che, forse credendosi Moggi senza avere peraltro un grammo del suo carisma e delle sue capacità, andava a spacciare per incedibili giocatori che erano già sul mercato e che, se permettete un giudizio anche rispetto alla cifre emerse, non sono nemmeno stati ceduti bene?

Ma è chiaro che il problema sta sempre a monte. Più volte e per più anni ho sottolineato i chiari di luna della gestione Setti, piuttosto volubile sul piano finanziario: prima danarosa, poi pauperista (leggi periodo Fusco), poi in risalita (con D’Amico, Juric e Tudor) e ora smobilitante. Verrebbe da chiedersi il perché…Non c’è una logica sportiva (avevi consolidato e creato un club di medio livello in A e ora che fai, cancelli tutto?), fatico però a trovarne anche una economica. Ma certamente avrà dei limiti lo scrivente…

In questo malinconico scenario, fa tenerezza l’allenatore, quel Cioffi i cui lai disperati ormai si palesano senza più inibizioni: “E’ da giugno che aspetto giocatori importanti”; “l’addio di Caprari non era previsto” eccetera eccetera. Nel suo piccolo (molto piccolo) sembra Draghi al Senato durante la fiducia, quando il premier, probabilmente stanco dei litigi, ha fatto di tutto di tutto per farsi cacciare attaccando frontalmente i primi due partiti per peso parlamentare. Certamente le proteste di Cioffi non lo rafforzano, non a caso è già dato a rischio esonero.

Potrei lasciare questo spazio bianco, ma non lo farò. I mass media hanno il dovere di vigilare. Senza retorica, il Verona è innanzitutto un bene della città. E non ci si può approfittare nemmeno della passione dei tifosi, che ci sono e ci saranno sempre. A Setti loro chiedono il giusto: qualche enfatico cerimoniale in meno (peraltro fatto male) per presentare le maglie e una squadra dignitosa.

SUPERMARKET HELLAS, MA SETTI È COERENTE

Chissà un giorno faremo il centro sportivo… per farci giocare i magazzinieri. A meno che Setti non decida di mettere sul mercato pure loro.

Concedetemi la battuta, mi serve solamente per sottolineare un aspetto più serio che ritorna sempre. Ma prima un suggerimento: non sconcertatevi per la campagna di “liquidazione” dei migliori giocatori della rosa. E non perché nella vita ci sono cose più serie (tipo la siccità, per dirla con lo “zio” di Benigni in Johnny Stecchino) – il calcio è roba seria, “la cosa più importante tra quelle meno importanti” Sacchi dixit – ma perché Setti, alla fine, rimane coerente con ciò che ha sempre fatto. Tenere la gestione piana (con una parola fighetta e alla moda potremmo dire “sostenibile”), vendere quelli bravi a prezzi… concorrenziali per compiacere e ingraziarsi il sistema politico del calcio (ergo i presidenti che contano, sarà un caso ma noi trattiamo i giocatori perlopiù con Lazio, Monza e Napoli) e nel contempo fare business.

Il calcio nella sua sostanza, (cioè l’ambizione, la ricerca del miglioramento tecnico, il consolidamento in alto) per Setti è un orpello, un contenitore e non il contenuto, se volete il pretesto o un volano per il business. Insomma più che calcio, qui sembra finanza (tutto legittimo e, aggiungo, Setti non è il solo, è il calcio di oggi). Non a caso, come ha scritto Vighini, anche quando si parla di calciatori, in sede comanda l’amministratore delegato e non il direttore sportivo, chiunque esso sia. Per questo Tony D’Amico ha salutato. Idem lo stesso Juric, magari con un anno d’anticipo (e per quanto Cairo abbia il braccino non paragonatelo a Setti dai…). Per tacere di Tudor. Chi è arrivato al posto loro è probabilmente più accomodante (Marroccu), o è semplicemente un emergente a cui questo Verona per ora può andare bene (Cioffi).

Quindi non stupitevi se Setti parla da anni di investimenti immobiliari (la nuova sede realizzata, il centro sportivo che è un po’ come il Godot di Beckett, lo stadio…lasciamo perdere, ricordate quello fantomatico dei messicani a cui credeva solo Sboarina?) e poi ogni estate vende con disinvoltura i migliori giocatori. Da anni lo chiamo ironicamente “la penna più veloce del nord-est”, per la subitaneità nel vendere i calciatori bravi.

Ma non c’è contraddizione in questo, anzi. È il famoso piccolo cabotaggio che racconto da anni. In attesa di capire cosa Setti deciderà da grande: il Verona o il Mantova?

È UNA MEZZA RIFONDAZIONE, MA CIOFFI È BRAVO

Ho letto le dichiarazioni del nuovo ds Marroccu e del nuovo allenatore Cioffi. Do loro il benvenuto. Marroccu ha detto solennemente che le cessioni saranno limitate, ma poi vai a vedere e Simeone, Ilic, Barak, Casale sono già tutti al passo d’addio. Cancellieri se n’è già andato. Parliamo di quattro titolari dei sei più forti (con Tamezè e Caprari) e di una riserva che è un crack a livello italiano. A casa mia questa si chiama una mezza rifondazione.

Del resto Setti non ha la forza (e ne l’avrà mai) di vendere un solo giocatore ad almeno 25-30 milioni. Perché il suo potere contrattuale, rispetto ai club più danarosi che comprano e rispetto agli agenti, è limitato. Per cedere a tanti soldi devi blindare i tuoi top-player con contratti più lunghi e più ricchi, solo a quel punto puoi sedere al tavolo delle trattative con leadership negoziale. Ma la politica di Setti è quella di una gestione lineare, piana, con investimenti limitati e plusvalenze più basse (ma sufficienti per alimentare il club e fare business per sé). Pertanto l’Hellas, per arrivare al budget di guadagni prefissato, deve privarsi di più giocatori.

Peraltro l’impressione è che quest’anno la società abbia deciso di ridurre di qualcosa il budget rispetto all’ultima stagione. Del resto, intendiamoci, da anni in Serie A ti salvi (se vai alto) con 35-36 punti, nell’ultimo campionato la Salernitana ci è riuscita addirittura con 31. Insomma, mentre sfangarla è pratica agevole, per retrocedere serve un’impresa titanica da kamikaze. Perché mai Setti dovrebbe svenarsi?

Ma come ha ricordato Marroccu, sarà un campionato particolare per la lunga sosta invernale dei mondiali. Occorrerà lavorare in maniera diversa e molte variabili potranno incidere. Non nascondo però che Cioffi mi piace, anche se Udine non è Verona (per pressioni e piazza). Ma il nuovo allenatore sa lavorare bene sul campo e mi dicono che abbia anche forte temperamento. Era necessario un cambiamento, ben vengano le energie fresche. Il Verona è al quarto anno di fila in serie A (non succedeva dal ciclo di Bagnoli 1982-90), ma per certi versi è quasi un anno zero. Non potevamo riaffidare la squadra a Tudor, che ha vissuto di Juric, il ciclo degli ultimi tre anni andava chiuso. Ora il Verona riparte.  

TUDOR ADDIO INDOLORE. DS E FUTURO DI SETTI LE PARTITE CHE CONTANO

Sono giorni per me frenetici e felici. Sono diventato papà di una splendida bambina e ho seguito un po’ marginalmente le ultime vicende del Verona.

Sull’addio di Tudor dedicherei poche righe: ho scritto di recente che di prammatica meritava la conferma e Setti gli ha dato giustamente la priorità, ma non è un divorzio doloroso e importante come quello con Juric. Tudor ci ha messo del suo nel Verona 2021-22 e gli è stato riconosciuto, ma è stato anche molto bravo a vivere di rendita del lavoro del predecessore. Quel ciclo iniziato nel 2019 però ora si è chiuso, tra partenze e veterani ormai un po’ spremuti.  Non so se Tudor sarebbe stato in grado di ricominciarne uno nuovo. Lo ha capito lui stesso e infatti e se n’è andato. Non è un caso se l’ex Juve ha cambiato nove squadre in dieci anni.

Non c’entra nulla la sua partenza con l’addio di D’Amico. Sono due fatti separati. Anzi, se Tony fosse rimasto è probabile che si sarebbe indirizzato verso altri allenatori. La separazione con il diesse non è cosa banale. Detto che è Setti che fa il mercato che conta, quello dove girano soldi e operazioni di prim’ordine, deve però arrivare un sostituto che abbia voglia di fare calcio, non un amico dei “soliti” procuratori. Non vorrei rimbalzare con la macchina del tempo ai giorni dei Bigon o Gardini (Fusco è un capitolo a parte, venne come esecutore della spending review). Giusto per capirci: Marroccu del Brescia non mi convince, Accardi dell’Empoli sì.  

L’allenatore Cioffi invece è un profilo interessante, emergente ma già sufficientemente esperto di serie A. Non lo conosco sul piano caratteriale e quindi sospendo il giudizio: a Verona hanno avuto successo sempre e solo i tecnici di forte temperamento e non i “teorici”. Da Bagnoli a Prandelli, passando per Mandorlini e Juric. Tradotto: conterà molto l’adattamento psicologico di Cioffi alla piazza.

Infine, il futuro di Setti a Verona. Entro il 2024 deve scegliere tra Hellas e Mantova, evidentemente è il Verona l’affare vero. Venderlo vorrebbe dire per lui fare il business della vita. Gli avverbi chiave (e interconnessi) sono “a quanto” e “quando”. Lui lo ha detto chiaro e tondo: “Il Verona vale più di 130 milioni”. Significa che ancora vuole temporeggiare. Se lo può permettere.    

QUALE FUTURO?

Il Verona, che ha onorato il suo campionato, nelle ultime due partite ha un po’ mollato. Siamo ormai alla fine e quindi poco si può rimproverare. Peccato solo per quei ventimila che sabato contro il Torino hanno dato ancora fiducia alla squadra in una partita di fine stagione: cosa rara e commovente.

Commoventi (e sincere) anche le parole di Juric in sala stampa. Il grande ex a Verona ha lasciato il cuore. Tanti non lo hanno perdonato e si può capire: l’addio è stato spiccio e brutale nei modi.  Ma le scelte professionali, nel calcio, quasi mai sono una questione di cuore. Nulla toglie a quello che ha fatto Juric a Verona e a quello che è Juric come persona. Il tempo rimarginerà la ferita.

Siamo alla fine e non si sa nulla del futuro. D’Amico è destinato a cambiare aria, Tudor invece non si è mai sbilanciato. L’asciuttissimo tecnico croato, che non brilla per espansività e simpatia, merita la riconferma. Il prossimo campionato sarà la prova del nove: quanto ha vissuto di rendita e quanto ci ha messo del suo? E quanto hanno inciso i giocatori?

Già i giocatori. Barak è sicuro partente, Casale gli andrà dietro. Balla ancora invece il futuro di Caprari, Simeone, Tameze. I gioielli sono tanti, ma servirebbe un segnale nuovo da parte di Setti: due cessioni al massimo (Barak e Casale), altrimenti sarà l’ennesima rifondazione. Mi aspetto il definitivo salto di qualità di Ilic, ancora troppo discontinuo, incerto e timido. Il suo talento merita di più.

A proposito di Setti. Sarà lui l’uomo del nuovo centro sportivo? Le voci (mai smentite) di una cessione della società corrono. Il calcio cambia, i fondi stranieri prenderanno sempre più piede.  Sarebbe da capire se sarà l’attuale proprietà a costruire (o rilevare) un centro sportivo, o se dovremo aspettare nuovi capitali. Di certo pare naufragata l’ipotesi dello stadio dei messicani, tanto voluto da questa amministrazione comunale, ma che avrebbe allontanato qualsiasi nuovo investitore dal Verona. Chi comprerà il club lo stadio se lo vorrà costruire in proprio.

Infine fatemi concludere con un applauso al mio amico Marco Gaburro. Per lui quella con il Rimini di ieri è la quarta promozione dalla D alla C in carriera. La terza negli ultimi quattro anni. Ora a 49 anni merita di giocarsi la sua chance in serie C.    

SETTI, SE VENDE, FA L’AFFARE DELLA VITA

Igor Tudor ha aperto una breccia sul (suo) futuro: “Con questo Verona firmerei cento anni”. Uno slancio sentimentale del momento, certo, che chiaramente non basta a chiarire se resterà. Però quella frase è anche una presa d’atto di rilievo: il Verona oggi è un club strutturato economicamente, con giocatori forti e realtà brillante del calcio italiano. È merito di Setti, che dopo le altalene, le omissioni, le opacità anche finanziarie (vedi il caso Volpi) ha trovato una certa solidità di gestione da società di medio livello.

Ma fino a quando possiamo stare tranquilli? Nel calcio attuale tutto è scivoloso, labile, provvisorio. Mi fa ridere quando sento qualcuno parlare di progetto: appena si è parlato di progetto-Atalanta, Percassi ha venduto. Non esistono progetti, ma solo il presente. Tudor infatti ha detto che firmerebbe con “questo” Verona.

Arrivo al punto: in settimana sono uscite indiscrezioni, con tanto di cifre, su una trattativa tra Setti e degli investitori per la cessione della società. Setti non solo non le ha smentite, ma qualche giorno dopo alla Gazzetta di Mantova ha dichiarato che, a meno di sorprese, non venderà il Mantova, suo secondo club. Parole non casuali: sappiamo che dal 2024-25 non saranno più ammesse le doppie proprietà, Setti entro allora dovrà decidere dove restare.

Pare dunque che Setti sia intenzionato a scegliere il Mantova e non si tratterebbe solo di un’imposizione del regolamento: Setti, al di là della facciata ranzanesca da rampante ganassa di provincia, è un uomo pratico e realista, da emiliano delle Basse. Sa che qui ha ottenuto quasi il massimo, che il Verona – che oggi vale 100-120 milioni – con lui non può crescere poi così oltre. Inoltre il calcio continua a cambiare in fretta e sono i fondi d’investimento internazionali a farla sempre più da padrone. Dieci anni fa Setti prese il Verona a poco e in questo lasso di tempo, tra diritti tv e plusvalenze, il club ha già incassato qualche centinaio di milioni. Business lo ha già fatto, ma diciamocelo: vendendo farebbe l’affare della vita.

Secondo questo ragionamento la domanda, quindi, non è tanto se vende, ma quando. Qualche voce accreditata nel mondo del calcio prevede che possa accadere già entro l’estate. Non è da escludere, anche se credo che un altro anno Setti potrebbe prenderselo per acquistare un centro sportivo – o un terreno dove costruirlo – in modo da accrescere definitivamente il valore del club (e della cessione).

In questo ampio scenario ballano, di conseguenza, anche le posizioni di D’Amico e a ruota Tudor. C’è ancora da aspettare.   

EMPATIA, CULTURA E STORIA: QUESTE SCONOSCIUTE

In tempi non sospetti scrivevo di un Verona contabile, inteso come società, che piaceva solo ai tifosi contabili, gli onanisti del calciomercato e delle plusvalenze (come se fossero poi soldi loro). La vergognosa dimenticanza del lutto al braccio ieri a San Siro in memoria di Ciccio Mascetti è la conferma di un club dalla mentalità solo economicistica, in nome del dio plusvalenza, dei gretti e grotteschi inglesismi (l’ultimo in ordine di tempo è la Foundation, perché Fondazione pareva brutto), di una tifoseria che sembra trattata solo come bancomat e dei media locali forse annoverati alla stregua di cani da riporto del verbo ufficiale.

Setti potrà consolidare (lo sta facendo e gliene do atto), realizzare il centro sportivo (per ora sono solo dieci anni di promesse), lasciare che il Comune faccia costruire lo stadio a un messicano sconosciuto che non porterebbe un euro al club e alla città (ma tranquilli, è solo fantascienza che piace ai giornali). Può fare questo e altro, ma riceverà l’applauso solo dei tifosi consumatori e contabili, quelli che guardano solo alla categoria, una bolla social che non è il cuore di Verona e del popolo Hellas. La realtà ci dice di un calcio business ma con sempre meno spettatori tv e stadi semi-deserti. Attenzione rischia di succedere anche a Verona, dove il paradosso è che nonostante la serie A, la passione per questo calcio che non crea epica sta scemando.

Rimane l’amore per il Verona Hellas in quanto essenza, storia e identità. E’ la benzina di tutto. Per questo lo sfregio a una bandiera è stato un atto di una vergogna infinita e indicibile. L’ennesimo segno, il più grave, dell’assenza di empatia e cultura per ciò che siamo. Questione di anima, c’è chi ce l’ha e chi no. Chi ne è sprovvisto magari arricchisce il suo conto in banca, ma non passera mai alla storia. A differenza di Mascetti.

TUDOR ETERNO SOTTOVALUTATO. MA HA CREATO UN SUO VERONA CHE NULLA C’ENTRA CON JURIC

Sempre a rimorchio, nel cono d’ombra. Igor Tudor, mediaticamente e nell’opinione comune, sembra condannato a vivere di luce riflessa. Arriva a Verona, con la squadra a zero e depressa, ti fa 45 punti in 28 partite, eppure ancora oggi il suo Verona non ha l’allure del Verona di Juric.

Se Ivan ha fatto scuola e storia, pare quasi che Tudor sia qui per caso, un comprimario. Se con il Verona di Juric si parlava…di Juric, che monopolizzava e accentrava tutto, come se i giocatori fossero dei modesti mestieranti (e invece avevamo Kumbulla, Pessina, Zaccagni, Rhamani, Barak, Amrabat, Lazovic eccetera), con il Verona di Tudor si parla e scrive (giustamente) di Simeone, Barak, Tamezé, Caprari e persino della crescita dirigenziale di D’Amico (con Juric quasi un pària per i giornali), ma poco o nulla dell’allenatore. Addirittura si sussurra, ma non si dice apertis verbis, che Tudor viva di rendita del lavoro del predecessore.

Lo stesso Tudor, qualche mese fa, nella sala stampa del Bentegodi dopo la vittoria con la Juventus (ero lì presente), alla domanda di un collega della stampa nazionale che gli rinfacciava la sua carriera da tecnico non all’altezza della sua (sottovalutata) bravura, ammise tra le righe di non sentirsi considerato come meriterebbe.

Ha ragione. Chi scrive ha ammirato e stima Juric, maestro del gioco difensivo e delle fulminanti ripartenze verticali, ma ho sottolineato più volte gli ottimi giocatori che aveva a disposizione. Tudor forse ha una squadra ancora più forte (siamo più deboli dietro, ma molto più qualitativi davanti), ma ci ha messo decisamente la sua impronta, psicologica e di gestione ancor prima che tattica. Tudor sul piano dell’organizzazione è meno bravo di Juric (ma pochi in Europa sono superiori al nostro ex allenatore), ma è migliore nella gestione dello spogliatoio e pure nella valorizzazione del singolo talento. Tudor è stato un grande calciatore e si vede: ha un rapporto più liberale ed empatico con i ragazzi, ogni tanto lascia correre e si gira dall’altra parte; Juric invece era un martello, esasperava, portava al limite ognuno. Sono due metodi entrambi vincenti, ma differenti. Juric, in tal senso, potremmo paragonarlo a Conte o al Mourinho di una volta, Tudor è un Ancellotti.

Credo quindi sia ora di dare a Tudor e al Verona di Tudor un suo volto e una sua cifra anche sul piano mediatico. L’Hellas attuale è una squadra molto diversa da quelle precedenti. Tudor e Juric sono amici e giocano con lo stesso modulo, ma le similitudini finiscono qua. Smettiamola di paragonarli e di considerare Igor il successore (sbiadito) di Ivan.

SNODO HELLAS: IL FUTURO DI D’AMICO

Di veri direttori sportivi oggi ne esistono pochi. Molti sono scendiletto dei presidenti, che delegano sempre meno e non concedono poteri di firma o gestioni dirette del budget. È il motivo per cui ne troviamo di mediocri in serie A e di bravi nella risulta della B (vedi Marchetti).

Tony D’Amico è un operativo, nella struttura snella del Verona è titolare di deleghe pesanti, sebbene sia poi Setti a gestire direttamente le operazioni più importanti e danarose. Non stupisce dunque che D’Amico possa avere una pretendente come l’Atalanta, club nella quale la figura del manager sportivo ha ancora una sua specificità,  si veda il lavoro svolto da Sartori in questi anni. D’Amico, 41 anni, ds dell’Hellas dal 2018, ma a Verona già dal 2016 come capo-scout di Fusco, è uno che è cresciuto in fretta e bene. È un sanguigno e un rampante, coltiva le sue ambizioni. Tradotto: non possiamo dare per scontato che rimanga.

I punti nodali sono due: deleghe e budget. Escluso che Setti possa ampliare i poteri di D’Amico a discapito dei suoi, non ci si deve aspettare grandi aumenti nemmeno sul budget da destinare alla squadra. Qualcosa in più ci sarà, Setti dal 2020 ha sempre gradualmente accresciuto il livello degli investimenti. Tuttavia la solfa sarà la solita: saranno ceduti i più bravi (Barak, Caprari e Casale sono gli uomini mercato), che andranno rimpiazzati senza indebolirsi sul piano tecnico. D’Amico ci è riuscito bravamente negli ultimi due anni, ma è il primo a sapere che non è scontato ripetersi sempre e in automatico.

Gli affezionati lettori sanno come la penso: il Verona resta, gli uomini passano. Il mio pensiero è anche la filosofia di Setti, che non si è mai legato a nessuno più del necessario. Ha ragione. Personalmente ho sempre rigettato la mitizzazione degli allenatori, che fossero Mandorlini o Juric. Sul lavoro di quest’ultimo abbiamo vissuto un po’ di rendita anche quest’anno, eppure è stato giusto separarsi se non c’erano più le condizioni di stare assieme. Le motivazioni sono alla base di tutto, valeva per il tecnico croato, determinante per il consolidamento del club, vale per D’Amico. Dico però anche che un direttore sportivo, per certi equilibri, può essere più importante di un allenatore.

Oggi D’Amico rappresenta innanzitutto un metodo di lavoro che si sposa perfettamente con la struttura che ha creato Setti. Questo ingranaggio è più sottile e difficile da replicare di un modulo di gioco. Di allenatori ce ne sono tanti, più o meno bravi certo, ma è una categoria maggiormente intercambiabile. Siamo a uno snodo decisivo per il Verona, che per la prima volta dagli anni ‘80 farà il suo quarto torneo di serie A consecutivo. Ci stiamo consolidando, ma non ci siamo ancora consolidati. La differenza è tutta qui. E richiede di non sbagliare la scelta sul diesse.