Trova Sogliano che s’incastra perfettamente con Mandorlini e poi gli fa fare plusvalenze milionarie e disfa tutto per ascoltare lo “Schettino” dei conti, quello che ad aprile col Verona ultimo se ne andò all’Inter. Poi prende Bigon che ne combina peggio di Bertoldo, è costretto a riparare da Fusco che lavora come un liquidatore, torna in serie A vincendo un rocambolesco derby col Vicenza e un miracoloso gol di Romulo, poi pianifica la retrocessione in B, arriva ultimo, Fusco se ne va ma lui si affida a Tony D’Amico, un carneade inesperto. I due prendono Grosso, il Verona annaspa, arriva Aglietti che con un colpo di reni agguanta in extremis la promozione in serie A, nel frattempo c’è un contratto da rispettare con Juric (già pronto ad allenare in B, come lui stesso ammise) e il Verona svolta.
Il generale Ivan imprime un passo diverso al Verona, comunicativo e organizzativo. D’Amico ne beve la conoscenza calcistica come una spugna fino a diventarne un alter ego. Il Verona costruito a zero diventa una bellissima rivelazione, Setti pare baciato da sapienza e fortuna. D’Amico e Juric permettono a Setti di diventare ricchissimo, macinano plusvalenze a iosa, si staccano dividendi e stipendi che nemmeno Agnelli, Setti è persino riabilitato davanti alla piazza. Addirittura quando va allo scontro con Juric sono in molti a parteggiare per il presidente, è lui ad averlo voluto dicono, Juric l’ingrato. E Setti vende, vende sempre, tutto il vendibile. Tanto poi ci sono Ivan e Tony a rifare la tela.
Juric chiede di più, chiede un salto di qualità, è utopico e visionario. Setti gli sbatte in faccia i conti, non accetta, non vuole alzare l’asticella, i due si dividono. Tocca a D’Amico fare Juric, ma prima c’è l’errore Di Francesco subito riparato dal dietro front e dall’arrivo di Tudor, amico di Ivan, già contattato in estate. Ne esce una stagione epica. Ma le crepe emergono ad aprile. Tony chiede qualche investimento e più autonomia rispetto alla “donna dei conti”, Simona Gioè che nel frattempo ha sempre più potere e prende sempre più decisioni. D’Amico in questo clima e con l’Atalanta che lo corteggia, se ne va, Tudor lo segue. In tre anni Setti perde tutte le sue galline dalle uova d’oro, compreso Anselmi il saggio ufficio stampa che riesce a equilibrare tutte queste forti personalità. C’è ancora una volta aria di ridimensionamento, che in pochi mesi estivi diventa un imbarazzante smantellamento. Forse stufo di essere tirato per la giacchetta o forse desideroso di dimostrare di essere il più importante nel Verona, Setti prende un ds “aziendalista” come Marroccu (con il bene placet di Gioè), i due scelgono Cioffi (se il padre di certe scelte, vedi Juric, è certo, di altre come Cioffi è incerto…), vendono, svendono, smantellano, cambiano rotta.
Il resto è cronaca: Cioffi è triturato da una società che non lo accompagna, vittima dello stesso errore che ha già “fulminato” Di Francesco. Proseguire con il gioco alla Juric, senza averne sensibilità e capacità. Squadra a Bocchetti, risultato che non cambia. Il Verona fa schifo, è un disastro, dieci sconfitte consecutive. Il tutto in meno di sei mesi.
Setti esce così in conferenza stampa e pare un coniglio bagnato. Non sa, è confuso, crede di aver fatto tutto bene. Non si è ancora accorto dopo tutti questi anni che le persone fanno la differenza. Che Bigon non è Sogliano, che Marroccu non è D’Amico, che Cioffi non è Juric. E’ stato solo fortunato in passato? Un dubbio che oggi ha più certezze. Ma ora Setti può ancora incredibilmente rimediare. E dimostrare a tutti che in quei Verona-meraviglia c’era anche un po’ della sua bravura.