UNA FAVOLA A LIETO FINE

La commozione di Juric a fine partita è un po’ un cerchio che si chiude. La sensazione che questo match con il passato abbia chiuso un piccolo grande ciclo.

E’ stato il periodo più bello del Verona di Setti. La scelta dell’allenatore croato, ha dato vita a una favola bellissima. Sono stati tre anni meravigliosi, intensi, commoventi. Juric, D’Amico, Tudor, i preparatori, i medici, lo staff tecnico, la comunicazione guidata da Andrea Anselmi e naturalmente il presidente Setti hanno costruito qualcosa di magico, non scontato, difficilmente ripetibile.

Caratteri forti, passionali, che si sono incastrati perfettamente con la città, le sue ambizioni, le sue aspirazioni e che hanno creato squadre destinate alla storia. Le passioni “bruciano” dentro, lo ha detto Juric, lo hanno fatto capire le sue lacrime, soprattutto chi lavora senza tregua per colmare l’evidente gap con le altre.

Fuoco che probabilmente ha bruciato e sta bruciando anche Tony D’Amico, l’uomo che dopo Juric ha dato continuità e che probabilmente lascerà, non per avidità ma per incapacità a continuare a regalare la sua vita all’Hellas, così come ha fatto sino ad oggi.

Va così, finisce una favola, non l’Hellas Verona. Con pazienza toccherà ora a Setti ricominciare un nuovo ciclo partendo dalle persone giuste, dando fiducia ai suoi collaboratori più capaci, con il patrimonio di esperienza e finanziario che questi tre anni ci lasciano.

Comunque andrà è stato un successo, chiunque verrà dovrà essere un uomo Hellas, testardo, orgoglioso, di cuore, onesto, duro ma pronto a farci commuovere e a commuoversi. Come chi si appresta a salutare e a portarci sempre nel proprio cuore. E’ stato bellissimo e comunque grazie per le emozioni che ci avete regalato.

GRAZIE LO STESSO

Ci hanno provato, vanno applauditi lo stesso. Già il fatto di essere stati per una settimana lo spauracchio del Milan ci aiuta a capire che razza di campionato abbia fatto il Verona. Non è stata fatal Verona solo perchè questo Milan non è alla frutta come quello di Rocco nè presuntuoso come quello di Sacchi. Riuscire a vincere di questi tempi al Bentegodi legittima la conquista dello scudetto. Il Verona ci ha provato in tutte le maniere a rendere la vita durissima ai rossoneri, bravi a emergere dallo svantaggio. Di più non si poteva fare nè chiedere ai ragazzi gialloblù.

Il campionato resta sontuoso, l’Europa era solo un sogno, animato peraltro dal fantastico cammino della squadra scaligera più che dalle nostre fantasie. Tutti i record sono ancora superabili. Battendo il Torino e non perdendo all’ultima con la Lazio si arriverebbe a quota 56, due punti sopra il Verona di Mandorlini. Poi, lo dico da qualche settimana, si dovrà pensare al futuro. Se D’Amico se ne andrà via, Setti dovrà trovare in fretta nuovi equilibri, sempre difficili da perseguire nel calcio. Ma ora il Verona ha basi diverse, c’è un modo consolidato di lavorare e una strada tracciata.

Ma guai fare voli pindarici. Guardare le rose di Cagliari e Salernitana dopo il mercato di gennaio, è un monito per ricordarci che anni come questi vanno beatificati nei secoli e non sono per nulla scontati. Anche per questo, nonostante la sconfitta con il Milan bisogna essere orgogliosi di una squadra che è andata anche quest’anno oltre i propri limiti.

ECCO PERCHE’ SETTI RISCHIA DI PERDERE IL DIRETTORE SPORTIVO CHE LUI STESSO HA CREATO

Parliamo di Hongla. E’ un brocco? O come ha fatto vedere a Cagliari un signor giocatore? Lo togliamo dalla colonnina degli acquisti sbagliati in cui è stato messo dopo tre giornate? Parto da lui per arrivare lontano. Hongla è un buon, forse ottimo giocatore che andava aspettato. Grazie a dio il Verona è oggi un circolo virtuoso che permette a tutti di valorizzarsi. Un gruppo meraviglioso di giocatori che ha l’unica colpa di averci fatto finire gli aggettivi celebrativi.

Hongla è un esempio. Un esempio di come si è lavorato in questi anni a Verona e di cosa è stato costruito. Dietro questo miracolo c’è senza dubbio Tony D’Amico di cui abbiamo elogiato la straordinaria maturazione. D’Amico a sua volta è un’invenzione di Maurizio Setti che nel momento peggiore della sua gestione, forse anche mosso dalla disperazione, gli ha consegnato le chiavi della società.

Vado subito al sodo: oggi sarebbe una follia perdere questo equilibrio vincente, faticosamente conquistato in questi anni. Ed è folle creare ancora una volta il dualismo tra Setti e un suo collaboratore. Siamo ormai tormentati da questa morsa. Da anni a Verona convivono sempre due partiti. Pro e contro il presidente, pro o contro l’allenatore. Visione distorta che ci ha portato a idolatrare alcuni personaggi più della squadra stessa. Assurdo.

Io credo che Tony D’Amico se ne andrà. Setti vuol essere come Socrate e bere fino in fondo la cicuta per dimostrare di avere ragione. L’unico indispensabile, dice il presidente, qui dentro sono io. Si dimentica di quando ha scelto Gardini, Grosso e Bigon. In verità accanto a straordinarie intuizioni Setti ha preso anche clamorose tranvate.

Juric e D’Amico sono le persone che gli hanno cambiato la vita. E lui ha cambiato la loro. Sembra assurdo che oggi non si riesca a trovare un punto di intesa con il direttore sportivo che lo stesso Setti ha creato dal nulla.

Cosa chiede D’Amico? Semplicemente che il settore tecnico e non quello finanziario sia al vertice della società. Non chiede la luna, ma sa anche che il calcio è materia bastarda e che ogni anno non puoi fare le nozze con i fichi secchi. E’ stufo di dover battagliare per ogni acquisto e che sia dato per scontato il suo lavoro. Non ti può andare sempre bene e Tony ha anche questa dote: sapere esattamente quali sono i suoi limiti e che fino ad oggi tutto ha funzionato a meraviglia ma che improvvisamente, basta anche un solo alito di vento, per cambiare i destini e le fortune.

Setti non vuole mollare su questo punto. Preferisce che ci sia una regola (spendere il meno possibile) e poi semmai derogare. I conti sono saldamenti in mano a Simona Gioè e da lei bisogna passare. Senza se e senza ma. I due settori, diciamo così, a volte vanno in frizione e Setti in questo momento non può o non vuole fare una sintesi.

Per una volta spero che a vincere l’Hellas Verona e che questa meravigliosa favola continui a vivere.

PARLIAMO UN PO’ DI NOI…

Una mia risposta a un lettore ha scatenato nell’ultimo blog un dibattito inaspettato. Ho detto a questo lettore che non poteva farsi i cazzi suoi in questo spazio perché questa è casa mia. Il lettore aveva fatto un commento che ho ritenuto fuori contesto in cui dedicava (lui) la vittoria di Bergamo a Ciccio Mascetti. Il suo intento era evidente: zittire le polemiche post Inter con la bella prestazione del Verona. Un atteggiamento che mi ha veramente innervosito perchè calpestava a mio modo di vedere un’altra volta la leggenda gialloblù.

Almeno io l’ho inteso così, forse ho sbagliato, ma non credo. Comunque la frase “questa è casa mia” ha colpito molti di voi. Ed è partito un dibattito che ho lasciato correre per tutta la scorsa settimana e che ho letto con piacere. Il lettore con cui ho battibeccato ha detto che ce l’ho con lui perché da “sempre” critica me, la mia trasmissione, gli ospiti. Ha detto “bannami” così si capirà che razza di despota sei. Si è evidentemente sopravvalutato perché in realtà non l’avevo mai letto né considerato prima di quel momento.

Altri hanno replicato, tirando in ballo linee editoriali e gusti personali. Sono abituato a questo tipo di scambi dialettici, l’unico dispiacere è che nessuno ha mai il coraggio di dirmi in faccia quello che pensa. Purtroppo faccio molta fatica a partecipare a un dibattito che non è paritario: mentre io compaio sempre con la mia faccia, con la mia firma, assumendomi sempre la responsabilità di ciò che scrivo chi sta dall’altra parte spesso critica e offende in maniera anonima, cambiando nick e mail a seconda delle convenienze, in maniera strumentale, organizzando “shitstorm”. Questo nel corso degli anni mi ha portato a limitare moltissimo gli interventi e il dialogo perché in realtà per essere tale mancava esattamente una parte, l’altra parte, l’interlocutore. Si può parlare con un nick finto?

Che cos’è dunque questo spazio? Ho sempre pensato che questo blog potesse essere una specie di scossa elettrica, un momento di riflessione. Ho un solo scopo: difendere quello che io penso sia l’Hellas Verona. Un’idea, un pensiero, un piccolo ideale. In questi anni siamo passati attraverso minacce di ogni tipo e l’esistenza del Verona è stata più volte messa a rischio. Ho visto personaggi della peggior risma, ed ho visto ahimè un sacco di tifosi che si sono fatti “comprare” l’anima da questi personaggi. Non so se sono adeguato a farlo, forse no, ma questa è la mia idea, l’unica che mi ha guidato in questi anni e che continuerà a guidarmi. Ho criticato Pastorello aspramente, Arvedi, Martinelli, Setti.

Quest’ultimo non sprizza simpatia, nè veronesità. Ha fatto cose ottime e altre pessime. Non sa la storia del Verona, è superficiale, affarista, ha pianificato una retrocessione a tavolino e diceva che era colpa nostra (di tutti noi) che avevamo creato un ambiente ostile e ha voluto farci credere che a volte il treno si ferma col culo… Però è anche maledettamente bravo nel fare l’imprenditore calcistico, sa organizzare le società, vendere al momento giusto, comprare senza sperperare. La storia dell’Hellas Verona gli ha riconosciuto di essere il miglior presidente dell’era post scudetto. Il fatto che lo dica io che di certo non gli ha mai risparmiato niente, penso possa fargli ancora più piacere. E il bello è che io non ho nessun problema a dirlo. Proprio perché a me interessa l’Hellas Verona e non Setti, o Mandorlini o Toni, o Pazzini. Chi fa il bene dell’Hellas Verona merita gli applausi. Chi invece lo danneggia merita critiche e censure.

Il blog, dunque, è innanzitutto il mio pensiero. Di cui mi prendo e mi prenderò sempre le mie responsabilità. E poi c’è chi vi partecipa. E’ ovvio che dietro molti nick, diciamo così, “mobili” si sia celato di tutto. Dirigenti del Verona (proprio così…), ex dirigenti, calciatori, padri di calciatori, mogli di calciatori, colleghi invidiosi o arrabbiati, lacchè. Potrei scrivere un libro sull’argomento e forse un giorno lo farò… Vi dico solo che a volte ho avuto sorprese incredibili. Tipo quel tale che offendeva in maniera pesantissima, con parolacce ed era… un prete missionario. O l’altro che mi ha fatto ricorrere alla Digos ed era un dirigente d’azienda che poi in lacrime mi ha chiesto di ritirare la denuncia, o quello che parlava a nome di Parentela (ve lo ricordate?) ed era un giornalista di cui è meglio tacere il nome per carità di patria… Uno che tra l’altro continua la sua attività diffamatoria su altri social.

Questo, dunque, è un blog, non un muro dell’Hellas. Non è nemmeno una chat su Telegram o su Whatsapp. Si rispetta quel minimo di educazione che si deve tenere quando si va far visita in casa altrui. Siete tutti benvenuti, non banno nessuno se non ci sono offese o campagne denigratorie.

Amo il Verona, forse troppo. Il mio unico vero difetto in un mondo in cui chi ha passione, amore e un po’ di coraggio viene visto come un povero matto da screditare affinché loro possano continuare a fare i loro affari indisturbati. Sono disilluso e penso che il Verona sia ormai solo una romantica idea nelle mia testa. Almeno finché non segna El Cholito.

LA SQUADRA CHE VISSE TRE VOLTE

Dapprima fu il Verona di Eusebio Di Francesco che in molti davano per sicura retrocesso. Poi venne Tudor e rimise in piedi la baracca. Quel Verona raggiunse la salvezza giocando memorabili partite, mettendo in vetrina il trio meraviglia, tre formidabili attaccanti e una dedizione encomiabile. Sempre sul pezzo, si direbbe oggi in una story su un social.

Infine arrivò l’ultimo Verona quello che maggiormente ci gratifica e che ci sta regalando un sacco di soddisfazioni. Una squadra che continua a onorare il campionato con professionalità e con straordinario impegno. Lasciando perdere la parentesi di Milano, il Verona numero tre ha fatto una partita bellissima con il Genoa e ha compiuto un meraviglioso capolavoro contro l’Atalanta.

E’ davvero un enorme orgoglio vedere che questa squadra non ha mollato gli ormeggi e non è andata in vacanza. Credo che il segreto sia all’interno di uno spogliatoio che poggia su basi sanissime e solidissime dove Tony D’Amico è il direttore d’orchestra e Tudor il primo violino. Dove i ragazzi si divertono a suonare melodie entusiasmanti e dove regna la felicità.

Poi ovviamente, calcisticamente parlando, il Verona ha tantissima qualità. Barak, Caprari, Simeone, Tameze, Ilic, ma anche Montipò e Casale, per arrivare a Ceccherini potrebbero stare tutti nell’Atalanta senza sfigurare. Questa, l’abbiamo detto, è la miglior squadra mai costruita da Setti.

Speriamo sia davvero un ciclo e non la fine di un’avventura. Bisogna essere agili e rapidi a togliere nuvoloni e voci controproducenti. Il vantaggio di essere già salvi è il vantaggio di poter già ora pianificare il futuro. Con Setti in plancia di comando a dare la rotta, D’Amico al timone a tenere la barra a dritta, Tudor a comandare la ciurma. E noi ad applaudire tanta bellezza.

UN ERRORE IMPERDONABILE SU CUI RIFLETTERE

Cosa siamo senza la Storia? Nulla. Cosa sarebbe il Verona senza la sua Storia, che talvolta è anche la nostra? Solo una macchina da plusvalenze, arida, impersonale, inutile come un portafoglio.

Capire questo è molto semplice e basta per spiegare che quello che è successo al Meazza è un errore non tollerabile. Lungi da me richiamare Torquemda e la Santa Inquisizione per flagellare l’autore della dimenticanza. Non è questo il punto. Sbagliare è umano, soprattutto per chi lavora e ho sempre odiato chi se la prende con l’ultimo della catena.

Il problema è che è stato dimenticato Ciccio Mascetti, non le fasce nere da mettere al braccio. Ecco: da tempo dico e scrivo che il Verona è troppo lontano dalla città, distaccato, quasi avulso. Setti ha fatto una scelta precisa. De-veronesizzare il Verona, togliere i veronesi dai posti chiave, per paura di essere troppo coinvolto, di dar vita a un chiacchiericcio che in passato bene non ha fatto. Il recidere il legame con la città, mantenendo solo l’aspetto “copertina” (Bagnoli presidente onorario, gli Ambassador) ha provocato un’assenza di cuore, di passione, di legame.

Certo, sono in molti ad essersi legati alla nostra città tra i dipendenti del Verona, pur venendo da fuori. Ma a molti di loro manca proprio il vissuto, la conoscenza. Anche a Setti è mancata questa passione. Fin dai tempi degli studenti di greco che avrebbero fondato l’Hellas, il presidente, bravissimo in tantissimi altri aspetti, ha peccato di superficialità da questo punto di vista. Dimenticarsi di Ciccio Mascetti, una delle più grandi figure dell’Hellas Verona, è il frutto di questa superficialità. Non può essere tollerato né essere questione da mettere sbrigativamente sotto il tappeto.

Setti ha presentato le scuse di persona, non scontato, e di questo gli va dato atto. Ora però questo errore gravissimo deve innescare in società una pesante riflessione. Forse è l’ennesima lezione di Mascetti da lassù. Dare anche al Verona di Setti un’eleganza, un cuore e uno stile che fino ad oggi sono mancati.

IL SILENZIO DI CICCIO MASCETTI

A Ciccio non serviva parlare. Soprattutto quando aveva davanti l’Osvaldo. Uno che parlava pochissimo, l’altro ancora meno. Eppure si capivano. Sceglievano i loro ragazzi con cura, pezzo per pezzo, prima per caratteristiche tecniche, poi per carattere. I bomber li scovavano sul Panini. Se nelle statistiche uno andava sempre in doppia cifra, vuol dire che non ti puoi sbagliare. L’algoritmo prima dell’algoritmo. Ciccio era sempre lì, elegante, come in campo, persino austero, intelligente, fine di testa, anche furbo. Il capitano del Verona, l’otto sulla schiena, l’uomo che frenava le mattane del Zigo e del Commenda Saverio.

Ora sia chiaro: centrocampisti come Mascetti oggi ce li sogniamo. Nel calcio di oggi uno così giocherebbe stabile nel Liverpool di Klopp e prenderebbe 40 milioni di euro all’anno. Aveva il fosforo nei piedi, la giocata pulita, la voglia di sacrificarsi e di ripartire, il tiro, l’assist, il gol. Era un lusso per il Verona. In più rappresentava lo spogliatoio, metteva in riga i più riottosi, si faceva rispettare. Divenne ds ma era un po’ anche team manager, factotum della società, confidente e cuscinetto. Il miglior compagno per Bagnoli che non era mica farina da far ostie come si crede, sbagliando.

Zaso era uno che se piantava un chiodo facevi fatica a farglielo togliere. Dirceu non lo voleva proprio, per esempio, servì tutta l’abilità diplomatica del Ciccio per farglielo andar giù. Morale: Gibellini se ne andò, Zaso sacrificò anche il pupillo Guidolin, restarono Dirceu e Nico, il Verona era uno spettacolo per chi lo guardava, ragazzino, dagli spalti come me.

Mascetti c’era sempre fino a quando capì che era tempo di andare. Lavorò a Roma dove cercò di imporre la pacatezza in un ambiente di esauriti. Portò là Damiano Tommasi e lanciò il giovane Totti.

Ciccio parlava poco, giusto per spiegare le cose come stavano ai romanisti in perenne rivoluzione. Fu anche a Bergamo, all’Atalanta, e un po’ ma solo un po’ gli deve essere sembrato di stare a casa sua, a Verona.

A Verona aveva sposato Emanuela, la sorella della nostra Simonetta. E poi c’erano Matteo e Matilde, i due figli, le nipoti, la famiglia, gli ex gialloblù, Bagnoli e il presidente Chiampan. Una maledetta malattia, di quelle che ti mangiano l’anima e la coscienza ancor prima del corpo, ha cominciato a dilaniarlo. Ecco perché non lo vedevamo più in giro. Se n’è andato, quasi per togliere il disturbo, con la solita discrezione.

Il suo silenzio, da oggi, è pesantissimo da sopportare. Ma sappiamo che il Ciccio, per noi che lo abbiamo visto, apprezzato e conosciuto, vivrà per sempre nel nostro cuore gialloblù.

NON ROMPETE IL GIOCATTOLO

Il Verona oggi è una macchina perfetta. Setti ha trovato la quadra dopo tanti errori costruendo un capolavoro. Ha rilanciato Juric e messo sul ponte del comando sportivo Tony D’Amico. Del ds ho già avuto modo di dire che mai come quest’anno ha inciso sulla stagione dell’Hellas. Questo Verona è figlio suo, della sua passione e della sua maturazione come uomo e come dirigente. D’Amico oggi è l’uomo a cui Setti non può rinunciare. Non serve dire che D’Amico ha attirato molte attenzioni per il lavoro fatto a Verona. Un lavoro logorante. Sempre sul filo risicatissimo di budget limitati, con la possibilità di errore vicina allo zero.
Non credo che D’Amico se ne andrà dal Verona se non altro per un debito di riconoscenza nei confronti di Setti che lo ha preso quando era nessuno facendogli pilotare la delicatissima macchina dell’Hellas Verona. Ma sarà necessario consolidare anche questo rapporto lavorativo cercando di offrire al ds margini di manovra più ampi, più investimenti, ancora maggiore autonomia.
È un altro passaggio delicato quello che attende il Verona nei prossimi mesi. Non da sottovalutare perché non si può ricominciare sempre tutto daccapo. È vero che gli imprenditori talvolta tendono volutamente a sottovalutare l’importanza di dipendenti chiave per non consegnare nelle loro mani un potere eccessivo a volte creando artificialmente dualismi che ne limitano il raggio d’azione. Sarebbe folle e controproducente farlo ora in questo meraviglioso Verona. Insomma: non rompete questo giocattolo. Ci stiamo divertendo troppo.

LE CERTEZZE CHE CI PORTIAMO A CASA DA EMPOLI

Vorrei evitare la retorica e far parlare solo i fatti. I fatti dicono che questo Verona si è salvato a febbraio e con tutti i suoi limiti continua a onorare il campionato. Dare per scontato questo dato significa ridimensionare il capolavoro che società, allenatore, giocatori hanno fatto fino ad oggi. L’Europa, ad un certo punto, era un sogno perseguibile. Senza il secondo tempo dell’Olimpico, probabilmente, saremmo ancora qui a sperarci. Ma anche quest’anno come l’anno scorso con Juric e l’anno prima, il Verona è stato commovente. Anche a Empoli. Soprattutto a Empoli.

Mancavano una marea di titolari e francamente era difficile puntare un euro sui gialloblù. Alla fine usciamo a testa altissima, anzi con una valigia piena di rimpianti per il doppio rigore sbagliato dal Cholito, perché vincere era davvero possibile. Abbiamo anche delle certezze in più che. speriamo, siano tali anche per Tudor.

La prima: Cancellieri è un grandissimo talento del calcio italiano e come tale va trattato. Dopo quello che abbiamo visto a Empoli non ci sono più nè se nè ma. Il ragazzo romano deve trovare adeguato spazio in questo Verona e va valorizzato come patrimonio della società. Ovviamente va anche fatto maturare, ma sinceramente ormai abbiamo più di un indizio che ci dice che Cancellieri diventerà un giocatore di straordinaria levatura e che non può essere trattato come tappabuchi.

La seconda: oggi Hongla ci ha dimostrato che quello che dicono a casa sua, in Camerun, è vero. E’ un buon giocatore, forse anche ottimo che ha incontrato troppe difficoltà nell’adattarsi al calcio italiano. Il passato ci ha insegnato che non si deve mai buttare via il bambino con l’acqua sporca e che un giocatore merita sempre una seconda chance. La favola di Nicola Ferrari, che ogni tanto tiriamo in ballo, è un insegnamento che va ricordato ogni volta che si esprime un giudizio troppo severo nei confronti di uno dei nostri giocatori. Vale per Hongla, vale per Montipò, valeva per Nicola Ferrari, diventato poi l’eroe della promozione in serie B.

La terza: il vivaio continua a sfornare materiale eccelso. Coppola, al netto dell’errore sul gol è un ottimo giocatore, Terraciano è entrato con grande personalità, Casale ormai lo consideriamo un veterano. La miniera, insomma, continua ad estrarre oro che poi servirà ad alimentare il futuro della società. E’ un segno di grande continuità che la società ha dato e che trova poi sbocco nella prima squadra che continua a raccogliere risultati eccezionali. E Il bello è che non è ancora finita.

I LIMITI DEL VERONA

Siamo andati oltre ogni limite e il fatto di essere a 41 punti è lì a testimoniarlo. Ma per altre imprese, tipo Europa, non siamo attrezzati. Non è una resa, ma una presa (d’atto). Il Verona è andato oltre ogni più meravigliosa aspettativa, ha compiuto miracoli a ripetizione, è stata una squadra bellissima per tante partite e ci ha tanto divertito. Davanti ha tre satanassi che potrebbero giocare in qualsiasi squadra di buon livello in Europa, ma a livello generale e parlo come organico, la rosa ha evidenti limiti, almeno per poter ambire a raggiungere traguardi di alto livello come appunto un piazzamento europeo. Non appena c’è qualche problema fisico o di organico, il Verona si perde, non tutti purtroppo hanno la stessa qualità, la rosa è risicata.

Gennaio s’è portato via giocatori che potevano essere utili è evidente che la classifica così tonica ha permesso di sfrondare ingaggi onerosi e di limitare gli acquisti. A sinistra c’è un buco perpetuo che s’è voluto tappare con un jolly come Depaoli ma non appena è mancato Lazovic s’è visto cos’è successo. Frabotta è purtroppo un fantasma da inizio anno, Hongla uno di quelli che non ha ancora convinto. Lo stesso Faraoni sembra insostituibile, mentre in difesa è stato lasciato andare Magnani che è stato sostituito con Coppola.

Se guardate alle squadre che dovrebbero ipoteticamente essere le avversarie dell’Hellas in questa corsa europea e andate a spulciare le loro panchine capirete che razza di divario esista. Insomma in quel senso il gap è notevole, serviranno anni e investimenti per colmarlo. Eppure… Eppure nonostante tutto il Verona, non certo il miglior Verona della stagione per le motivazioni qui sopra esposte, all’81’ era ancora in partita, la rete di Faraoni aveva scosso il Napoli, l’inerzia era tutta dalla parte gialloblù.

Allora ci ha pensato con quella chirurgica bravura che conosciamo negli arbitri italiani, da Farina a Massa a Mazzoleni, Doveri a spegnere la spinta dell’Hellas. L’espulsione di Ceccherini, interpretazione didascalica del regolamento, ha privato il Verona di una pedina nel suo miglior momento rovinando l’assalto finale. Decisione non presa su identica situazione ma capitata al Napoli una quindicina di minuti prima. La corsa probabilmente finisce qui, ma altri traguardi sono ancora alla portata dell’Hellas di Tudor. I 54 punti del Verona di Mandorlini, il nono posto, i record ancora da ritoccare. Non è finita insomma. O almeno si spera.

PS. Non è goliardia. Non è ironia. Non è niente. E’ solo merda. E se volete ci dissociamo dalla merda. Ma mi sembra ovvio.