INAMMISSIBILE PASSO INDIETRO

C’era la possibilità di fare un balzo in avanti importante. Dal punto di vista morale e psicologico il Verona era, una volta tanto, in vantaggio. La vittoria con il Cagliari ci permetteva di giocare senza pressione, liberi, con la possibilità di osare e di dare una mazzata ferale alla Salernitana.

Dopo mesi di involuzione tattica e di confusione, Baroni pareva aver preso la via giusta. Il cambio di modulo aveva permesso di non perdere contro Lecce e Udinese, di fare una grande partita a Firenze, di battere il Cagliari. Aggiungiamoci che alla vigilia della sfida con i campani era arrivata anche la notizia che la Curva Sud non sarebbe stata chiusa e quindi si sarebbe giocato con l’aiuto del pubblico più caldo.

Non ci sono scuse, nè alibi, per una partita del genere. Di nessun tipo. Nè l’assenza di Duda, sicuramente importante, ma assente anche a Firenze quando il Verona ha fatto la miglior gara della stagione, nè altre amenità. A Verona, lo sanno tutti, si vive in una splendida oasi. C’è passione, un po’ di pressione, ma tanta comprensione.

La squadra vive tranquilla, forse troppo. La stampa non può più fare interviste all’allenatore, cioè una serie di domande collegate tra di loro, manca il dibattito, l’interloquire, un filo logico. Le critiche, al confronto di altre piazze, sembrano la recita di un rosario. C’è rispetto per la vita privata dei giocatori, nessuno persino si incazza più se la squadra vive ormai scollegata dalla realtà, nel bunker di Peschiera, lontano dal cuore della gente. Mai un allenamento in città. mai un allenamento a porte aperte. Una vergogna assoluta, lasciatemelo dire.

Inoltre, tutti hanno compreso la delicatezza del momento, Setti in difficoltà, le azioni sequestrate, il futuro nebuloso. Abbiamo capito e compreso che questa squadra è stata fatta pensando prima di tutto a ridurre gli ingaggi, imbottita di ragazzini, di scommesse a costo zero e di anziani al capolinea. Una squadra da amare dicevo nell’ultimo articolo di questo blog.

Inzaghi ha vinto perchè è stato più bravo. Ha preparato meglio la partita, ha caricato meglio la sua squadra, ha dato un’idea precisa e semplice al gioco, l’ha fatta correre di più. La gara di Baroni e del Verona è stata simile alla conferenza stampa di fine partita del tecnico. Una supercazzola, una confusione totale. Come voleva giocarla questa gara Baroni? Aspettando la Salernitana? Con la palla a terra? Con i lanci lunghi su Djuric? Sulle fasce? Ditemi voi se l’avete capito. Io no. E credo neanche Baroni.

Ultima cosa: Baroni ha detto anche che ci sta di perdere. Certo, è vero. E’ la grande lezione dello sport, che è sempre l’accettazione della sconfitta. Perdere ci sta mister. Ma non in questa maniera, non rinunciando a lottare, non facendo una gara così orribile. Perdere così dovrebbe farla incazzare e molto. La stessa incazzatura con cui dovranno festeggiare il capodanno i tifosi del Verona. Abituati a soffrire. Ma non dei mona da prendere in giro. Sappiatelo.

UNA SQUADRA DA AMARE

Ci sono squadre che nascono per caso, in mezzo alle difficoltà, bruttine, con tanti difetti. Squadre operaie, con giovani scapestrati arrivati un po’ per caso, un po’ per scommessa, sicuramente a costo zero. Squadre su cui non scommetteresti un euro.

Il Verona di quest’anno è una di queste. Una squadra figlia della spending review (chiamiamola così…), imbottita di giocatori sconosciuti, tirati su dalle reti di un ds anti Iphone come Sean Sogliano, convinto che il lato umano sia sempre più importante dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi, uno che mangia pane e ignoranza, ma quella sana, buona che sa di pearà con la miola, per capirci e di piatti antichi. Una squadra da “far cavar el cor” come direbbe uno dei personaggi di Roberto Puliero (accidenti quanto ci manca quel genio del nostro Robertone…) e che alla fine, proprio per quella sua faccia bruttina e per quella sua poca classe, non puoi non amare.

Ecco, il Verona di Marco Baroni, signore dagli occhi gentili, fin troppo martoriato da una schiera di incontentabili quali siamo diventati noi veronesi al quinto anno di serie A, dimenticando troppo in fretta i patimenti della serie C, Pastorello, Arvedi, Cannella, la maledetta palude da cui sembrava impossibile emergere, è una squadra da amare.

Penso ora a Dawidowicz, questo polacco che ha piedi da boscaiolo e cuore da oscar della generosità, penso al piccolo e cazzutissimo Suslov, al tuttofare Terracciano, all’imbullonato Tchatchua, a Duda che quando lo sento mi parte sempre la canzone, a Hongla che è tornato tra noi, a Folorunsho che a volte sembra Forrest Gump che corre anche fuori dallo stadio attraverso la porta di maratona, a Djuric che spizza palloni anche quando è in salotto di casa, a quel pazzo di Ngonge che sembra vivere nel mondo di Alice delle Meraviglie, a Saponara che ha avuto la pazienza di aspettare il suo turno senza rompere le balle (e se le ha rotte non ce ne siamo accorti).

E’ tempo amici miei di accantonare polemiche e diatribe. Il Verona ha bisogno di noi, come quando pareva ad un passo dallo scomparire. Amiamo questa squadra, che forse, poi, alla fine, magari non è nemmeno così brutta. Auguri a tutti. Buon Natale (gialloblù, ovviamente).

SE LA RIGIOCHIAMO CENTO VOLTE, NOVANTANOVE LA VINCIAMO E UNA LA PAREGGIAMO

Come si fa a spiegare che hai perso una partita dominata per sessanta minuti? Come fai a giustificare una squadra che gioca la miglior gara della stagione e raccoglie zero? Che voto dai a Marco Baroni che da una parte prepara un piano perfetto, assalta la Fiorentina, crea mille occasioni da gol e poi combina un disastro togliendo Suslov, inserendo Dawidowicz e inoculando di conseguenza il virus della paura ad una squadra sorretta da una banda di ragazzini?

Mai come oggi l’imbarazzo di commentare l’Hellas Verona è salito a livelli così alti. Ma non dobbiamo cadere nella trappola dello sconforto. Sarebbe troppo facile arrendersi davanti alle avversità di questo campionato. Sarà durissima, lo ripetiamo da mesi, ma era peggio quattro gare fa, dopo la sconfitta col Genoa. Lì, davvero, il Verona sembrava essere arrivato al capolinea. Allenatore in confusione, squadra senza carattere e senza identità, giocatori mediocri. Poi Baroni ha cambiato, sono arrivati tre pareggi in rimonta e la gara con la Fiorentina. Presa a pallate, col portiere che esce con l’oscar del migliore in campo, con un rigore sprecato, e un gollonzo che grida vendetta.

Basta per lenire la delusione? No, ma è una situazione che deve creare tanta rabbia. Se la rigiochiamo cento volte, novantanove volte vinciamo e una la pareggiamo. Perdere non ci sta. Però va detto che probabilmente questa superiorità non è stata sufficiente. Che bisogna fare di più e di meglio. Che non bisogna sbagliare le scelte e la lettura della gara.

Rabbia che va canalizzata per affrontare le prossime due gare. Le più importanti del campionato. Due partite che valgono quelle del gennaio dello scorso anno quando il pareggio di Torino e la vittoria con la Cremonese riaccesero la fiammella della speranza. Giocando così, ne sono certo, le vinciamo tutte e due. Non abbassiamo la testa, non arrendiamoci adesso. Senza sofferenza, non sarebbe l’Hellas. E non sarebbe nemmeno bello, francamente.

BRUTTI (MOLTO BRUTTI), SPORCHI (MOLTO SPORCHI), CATTIVI (MA BISOGNA ESSERLO DI PIU’)

Brutti, sporchi, cattivi. Brutto il Verona lo è. Molto brutto. Tranne qualche colpa di genio (tipo la rovesciata di Ngonge) questa squadra gioca male ed è brutta. Dovessimo guardare all’estetica sarebbe meglio fare un giro ai mercatini di Natale che andare sugli spalti del Bentegodi. Sporchi lo siamo da sempre. Basta guardare ai gol che facciamo. Gol incredibili o gol “de scarafon” come quello di Henry di oggi che ha segnato con il bacino. Cattivi… ecco, sarebbe bello lo fossimo un po’ di più, con qualche legnata ben assestata proprio a compensare quella mancanza di estetica di cui sopra… Ma insomma… Questo passa il convento signore e signori e anche a me piacerebbe vedere un Verona che avesse un senso, gioco sulle fasce, sovrapposizioni, tempi di gioco. Un Verona in cui fosse facile prevedere le sostituzioni, in cui tutto avesse una logica. Ma questo piccolo “mostricciatolo” che Marco Baroni sta cercando di pilotare verso una difficile salvezza, almeno ha un po’ d’anima. Ecco, non si può dire che non ci sia anima in questa squadra. Non sarà spettacolare ma non può essere neanche un caso che tutte le grandi giochino male contro di noi. Ha giocato male il Napoli (e infatti vi ricordate i rimpianti per la sconfitta?), il Milan (e anche qui giù di rimpianti), l’Atalanta (altra occasione mancata), la Juve (gol della beffa al 96′ e commenti del tipo: contro una Juve così bisognava approfittarne) e oggi la grande Lazio di Sarri. Meno male che è arrivato un punto, che secondo me non è casuale, come non è casualità che da tre gare si vada sotto e si recuperi. Sotto sotto c’è del valore in questa squadra, e le cose state certi andranno solo che meglio. Vogliamo parlare di tutte le emergenze che Baroni ha dovuto affrontare fino ad oggi? Basti vedere la difesa schierata nelle ultime due gare, con giocatori adattati e altri quasi mandati allo sbaraglio e a tutta la girandola di infortuni che ci hanno falcidiato dall’inizio sino ad oggi. Non appena il mister potrà lavorare un attimo sulla rosa al completo (e con giocatori in forma, non gente appena recuperata come Hien), sicuramente non potrà che andare meglio.

E infatti non appena Henry è arrivato ad una forma decente s’è visto quanto sia mancato un giocatore con quelle caratteristiche. Anche qui non è un caso: due apparizioni, due reti. Lasciatelo tornare in forma e forse anche il problema del gol sarà risolto. Sarà quest’aria natalizia, sarà perché il Verona ci ha abituato ai miracoli e a grandi sorprese, ma non vedo il futuro neo come un mese fa. Stiamo guarendo e a fine anno dopo aver giocato contro Cagliari e Salernitana speriamo di esserne tutti più convinti.

IL DESTINO DEL VERONA CAPOVOLTO DA UN GOL (FANTASTICO) IN ROVESCIATA

E’ successo ancora. Maledizione. Ancora una volta, come sempre. Quella maledetta squadra che fa arrabbiare, discutere, che ci fa incazzare, che pare una masnada di giocatori “strassi”, con un allenatore “mollo”, che non fa i cambi giusti, che rischia di perdere una partita che doveva vincere, alla fine è riuscita ancora a farci commuovere. Finisce sempre così questa storia.

E’ l’Hellas Verona, bellezza. E’ la magia del calcio, di un gol (fantastico) in rovesciata, di Cyril Ngonge, il nostro nuovo campioncino, è la storia di una difesa che non c’è, un po’ come l’isola di Peter Pan, è la testa di Henry che sbuca fuori al 96′ quando anche la speranza ha lasciato lo stadio. E’ tutto incredibilmente bello, tutto gialloblù, forse, recuperando un po’ di razionalità, è la partita della svolta.

Due gare in cui si poteva perdere ma non si è perso, in cui il Verona ha recuperato, ha creato, ha tirato. Tante volte quanto prima non s’era visto, anche se tutti i difetti non si cancellano con una spugna come d’incanto. La prudenza di Baroni, i gol presi che neppure i pulcini e chissà perchè bisogna andare sotto di due gol per iniziare a giocare liberi nella testa, senza nulla da perdere.

Ma vediamo anche le cose buone. Oggi c’è un gioco sulle fasce: Terracciano, umilissimo guerriero a sinistra, super adattato ma sempre dentro la partita, e Tchatchoua, l’uomo con i bulloni nel collo, sul quale era facile fare ironia quest’estate che finalmente stantuffa a destra. E Suslov con le sue gambette da formichina che ara il centrocampo e Duda che disegna geometrie.

E poi lui: Cirillo il Pazzo. Capolavoro di mercato di Sean Sogliano, costato zero euro (va bene ricordarlo ai distratti), che migliora di partita in partita, sempre più convinto, sempre più leader. Avesse segnato un gol così Vlahovic o Martinez dell’Inter sarebbero qui a farne una fogna che non finisce più. Ma forse è meglio così. Meno copertina, meno possibilità di esporlo in vetrina e più ce lo godiamo noi.

Ci salviamo? Bella domanda. E’ durissima amici miei, molto più dura della scorsa stagione. Ma le ultime gare ci danno due certezze. La prima è che Baroni non ha una squadraccia ma ha anche giocatori di valore. La seconda: il Verona non ha mollato, pur con tutti i suoi limiti e le difficoltà. Se volete due buone notizie.

SETTI, IL VERONA E QUELLA DISAFFEZIONE PERICOLOSA CHE NON SI RIESCE PIU’ A FERMARE

Leggo su Repubblica una bella intervista a Paolo Maldini, bandiera del Milan, “scaricato” dal fondo d’investimento proprietario della società rossonera. Spiega Maldini: “Ci sono persone che sono di passaggio in istituzioni come il Milan, nel mondo dei club di calcio di profilo internazionale, e che non hanno un reale rispetto della sua identità e della sua storia. Non sono incaricate e non si muovono per dare una visione per le nuove generazioni di tifosi. Spesso sono manager che vengono a lavorare in un grande club di grande prestigio e popolarità anche per migliorare il proprio curriculum e poi andare da un’altra parte. Per contro, invece, ci sono persone che hanno a cuore tutte queste cose, molto più a lungo termine e molto più legate agli ideali che il club, nel corso della sua storia, ha insegnato a tanti, sul campo e fuori. Purtroppo, nel calcio professionistico moderno, la popolazione della prima tipologia di persone sta diventando sempre più numerosa. Io credo che bisognerebbe tenersi stretto chi è portatore di ideali e orienta il proprio lavoro per salvaguardarne valori e identità”.

Le parole di Maldini mi hanno fatto riflettere: non tanto sul Milan, ma sul Verona, la squadra della nostra città. Che cos’è oggi il Verona, quale impianto “ideologico” promuove, quali sono i suoi obiettivi, esiste un “appeal” nei confronti delle nuove generazioni, distratte da altre squadre, sport, campioni?

Purtroppo la verità è che non esiste nulla di tutto questo. La gestione Setti ha allontanato in maniera tragica la massa dei fans dall’Hellas. Il Verona, per carità, resta un importantissimo asset della città, ancora oggi uno dei biglietti da visita di Verona, ma quasi completamente “spogliato” di ogni romanticismo, che sopravvive nel cuore e nella mente di ogni singolo tifoso ma che non riesce a trovare più nella società scaligera il motore primo di questo incredibile amore.

La squadra, cioè l’asset sportivo se vogliamo parlare con il linguaggio del manager, è lontanissimo da ogni tifoso. Si allena isolata, lontana dagli occhi e dal cuore di chi la sostiene poi alla domenica allo stadio. La disaffezione è evidente. Non esiste un minimo contatto diretto con il giocatore che non si abbevera delle emozioni dei tifosi, della loro carica, anche del loro malumore. Spesso le prestazioni in campo non ricalcano il calore dello stadio, la passione del veronese.

Ridurre poi il calcio e soprattutto il Verona ad un arido ambito commerciale, dedito a bilanci, plusvalenze ha creato una mentalità distorta persino nel tifoso più romantico. Basta scorrere un qualsiasi social in tempo di calcio mercato per capire che ormai anche il tifoso sia permeato da valori che sono lontani dal sogno sportivo di creare cioè sempre una grande squadra o comunque la migliore possibile. Si parla di quotazioni, di formule, di cessioni ancora prima che di campioni o futuri campioni che possano rafforzare quella squadra. La mancanza di emozioni di Setti, sempre freddo sugli spalti quanto glaciale quando deve cedere un giocatore, persino quelli giovani, ha creato un ulteriore scollamento. Non ci può innamorare di un giocatore perché puntale arriva l’inevitabile cessione che tra l’altro mai porta a creare qualcosa di più importante, di alzare il livello, come magari è successo all’Atalanta. Si vende per sopravvivere, vivacchiare, per salvarsi, senza ambizione, senza sognare.

Il Verona non ha un grande campione di riferimento, non ha una bandiera. Non appena un giovane calciatore riesce ad esplodere viene ceduto, sull’altare del bilancio e della plusvalenza. Ma come fa un ragazzino ad innamorarsi senza questi riferimenti? Tutti noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere i meravigliosi anni ’80 nella nostra adolescenza, avevamo sui muri delle nostre camerette i posters dei nostri campioni preferiti. Personalmente dormivo tra Elkjaer e Fanna che accompagnavano i miei sogni notturni. Ma oggi, un ragazzino chi potrebbe avere come “mito”? Jorginho, ceduto a gennaio? Simeone, ceduto ai primi gol? Caprari, svenduto al Monza?

Maldini tocca poi un altro aspetto, non meno secondario. Quello dei manager che vengono, passano, a volte distruggono, molto spesso “mangiano”. Ne abbiamo viste a decine a Verona. Gente che, tranne eccezioni, non ha dato nulla, semmai tolto. Nel Verona non esiste praticamente nessuno che incarni veramente la storia dell’Hellas Verona, che sappia tramandare quello spirito. Setti non conosceva nemmeno la storia della sua società e volutamente ha sempre allontanato dai ruoli chiave chi incarnava quello spirito. Lasciamo stare gli incarichi di facciata, come la presidenza onoraria di Osvaldo Bagnoli, che sono serviti più a mettersi l’anima in pace proprio per ribattere a questa accusa, che a dare veramente un senso di appartenenza.

Setti è figlio del calcio moderno, di quel calcio che in Italia sta sempre più precipitando verso il baratro. Non gliene faccio una colpa. A livelli di risultati resto convinto sia uno dei migliori presidenti avuti da trent’anni a questa parte, ma è indubbio che mai il Verona squadra e la città siano stati così distanti. Ed è un gioco pericoloso. Non pensare ai giovani, ai futuri tifosi, alle nuove generazioni, porterà ad una desertificazione del Bentegodi, ad un impoverimento del valore della società, ad un ridimensionamento del fenomeno. Oggi l’Hellas è ancora vivo e vegeto perché vi sono generazioni che lo tengono in vita, che ne animano ancora la discussione, che ne custodiscono gelosamente tradizioni, vittorie e sconfitte.

Sono temi che alla vigilia di un futuro passaggio di consegne della società vanno a maggior ragione ribaditi. Il Verona non è e non sarà mai una semplice società per azioni, un’impresa commerciale. E’ una banca di sogni, emozioni, ricordi. Se perde questa “mission” sarà solo un vuoto e decadente magazzino.

QUALCHE SEGNALE DI VITA DAL PIANETA VERONA, MA NON E’ SUFFICIENTE

C’è vita. C’è speranza. Il Verona non è ancora morto. I segnali che arrivano dal secondo tempo col Lecce sono confortanti. Era ciò che volevamo vedere. Una squadra con idee chiare che sapesse aggredire gli avversari e creare occasioni da gol. Il pareggio va strettissimo all’Hellas. Falcone è stato il migliore in campo, piuttosto mi sarebbe piaciuto vedere Baroni più incazzato per la vittoria che è sfuggita che soddisfatto di quanto ha espresso la squadra. Anche questa è una questione di mentalità. Dopo una partita così, dopo aver preso due gol che gridano vendetta, l’allenatore deve venire in sala stampa e battere i pugni sul tavolo e arrabbiarsi perché non sono arrivati i tre punti. Basta accontentarsi. Non ci accontentiamo più. Qui bisogna correre, rincorrere, recuperare. Bisogna vincere, segnare, essere cattivi, davanti e dietro. Purtroppo il Verona si è creato da solo questa situazione. Ha buttato nel cesso il vantaggio inizlale, si è attorcigliato alla ricerca di moduli e nel tentativo di recuperare quelli che non erano allo stesso livello, neanche fossimo una comunità per ex giocatori. Adesso basta. Ci vuole anche più coraggio. La parola inclusività lasciamola ad altri ambiti. Qui si lotta e vince il migliore. E’ una lotta darwiniana, piaccia o non piaccia. Il cambio di modulo a mio avviso è servito soprattutto al mister che ha messo la gente al posto giusto, laddove devono stare. Alla luce di quanto visto contro il Lecce, abbiamo sprecato quattro mesi, ciondolando nel buio. Meglio Terracciano a destra a Tchatchoua a sinistra nei quattro che i tre con due braccetti inguardabili delle partite precedenti. Persino Amione, che pareva un gatto di marmo ha avuto un senso. Concediamo al disastroso Hien ancora un paio di gare, ma anche lui è tempo che si metta in bolla e dimentichi il mercato, perchè ora come ora vale (forse) l’Albinoleffe (con rispetto per l’Albinoleffe che ha stadio e centro sportivo di proprietà che qui a Verona Setti se li sogna). C’è un giocatore che è nettamente superiore a tutti, sebbene ondivago come il meteo: Ngonge. E’ un pazzo scatenato e solo Dio sa quanto amiamo questi giocatori a Verona. Un piccolo fenomeno che va messo nella condizione di rendere al meglio. C’è vita e c’è speranza, ma nient’altro. Aspettiamo altre prove, altre verifiche, soprattutto attendiamo la vittoria. Vedremo a Udine se il secondo tempo è stato un caso o se invece è davvero un punto di partenza. Baroni per ora l’ha sfangata. Non è ancora sufficiente per pensare che sarà l’allenatore fino alla fine. 

BARONI RESISTE, MA A GENOVA SI GIOCA LA PANCHINA. SQUADRA IN RITIRO

Mi pesa tantissimo scrivere che la gara con il Genoa sarà l’ultima spiaggia per Marco Baroni. L’allenatore del Verona è una brava persona, retta diritta, che in questo momento si è preso tutte le responsabilità davanti al pubblico che fischiava la squadra. Però l’evidente realtà del campo è che il Verona ha giocato una gara orrenda, frutto di una confusione in cui il tecnico è purtroppo finito dopo l’ottimo avvio del campionato. Un tourbillon di scelte, di moduli, di modi diversi di giocare. Prima uomo su uomo, poi il tentativo di cambiare, alla fine un ibrido che assomiglia più a Frankestein che a una squadra di senso compiuto. Nè carne nè pesce, con giocatori sbagliati nel posto sbagliati ed altri che sarebbero “giusti”, relegati in panchina. Col Monza l’ennesimo esperimento: Lazovic mezzala nel centrocampo a cinque, Suslov in panchina, Doig soprammobile a sinistra, Faraoni ai due all’ora a destra.

Il Verona non segue più l’allenatore, pare evidente anche allo stesso Baroni che non si capacita di questa metamorfosi in campo dopo una settimana in cui la squadra era apparsa brillante e in forma. La società non cambierà adesso. Ma sicuramente Sogliano e Setti si aspettano un grande prestazione a Genova. Quasi certamente la squadra andrà in ritiro a Castelnuovo da lunedì, non una punizione ma l’intenzione di far capire a tutti, allenatore compreso, che il momento è delicato e che è ora di vedere un segnale.

La cosa incredibile è che Baroni ha smarrito la via maestra proprio dopo i primi importanti risultati. Quando il Verona si faceva meno “pippe” mentali, forse, quando il gioco era più primitivo, più ignorante, meno fronzoli e più concretezza. La squadra ha perso quella sana ignoranza per tentare di diventare più bella ed efficace, ma è rimasta a metà del guado. Oggi è un “mostro” acefalo, senza intensità, senza grinta, priva di concetti di gioco, ma priva anche della rabbia agonistica che compensa sempre al deficit tecnico in squadre costruite a basso budget come quella scaligera.

Che fosse un campionato di sofferenza si sapeva. Ma la sofferenza deve andare a braccetto con la voglia di lottare. Se manca quella, allora è meglio andare tutti a casa. Credo che Baroni, la sua correttezza, la sua onestà, fino a sfiorare l’autolesionismo, non sia purtroppo in questo momento in sintonia con la fase che sta attraversando il Verona. Ma vale la pena ricordare che tutti gli ultimi allenatori passati da qui, Tudor a parte, che hanno tentato di “sganciarsi” dal gioco di Juric, hanno fallito. Oggi magari scopriamo che Di Francesco e Cioffi non erano così male come pensavamo e per questo qualche responsabilità, mi permetto di dire, deve finire anche sui giocatori. Loro passano sempre indenni le bufere, colpa della società, dell’allenatore, del direttore sportivo. Mai loro. Non è giusto. Colpa di Baroni, dunque, ma fino ad un certo punto. Anche se poi, dovesse andar male, pagherà lui per tutti.

IL CORAGGIO UNO SE NON CE L’HA MICA SE LO PUO’ DARE

Ci è mancato il coraggio, non la fortuna. E il coraggio, diceva il Manzoni, se uno non ce l’ha mica se lo può dare. Il Verona ha perso contro la Juventus perchè è mancato questo coraggio. Che non è essere sprovveduti o pazzi. E’ una piccola scintilla che accende le squadre svantaggiate nella classe e nella tecnica come quella veronese. Sono tanti piccoli dettagli che mancano a questa squadra. Dettagli che, mi dispiace dirlo, devono arrivare dalla panchina.

Baroni non ha coraggio, ha altre doti, ma non quella. Ormai l’abbiamo capito. L’ossessione dell’equilibrio impedisce alla squadra di dispiegare le ali, di evolvere. Tutti fanno bene il loro compitino e stop. Rivedere i minuti finali della partita con la Juventus ti fa venire voglia di spaccare il televisore.

C’è un fallo laterale a 30 secondi dalla fine in zona offensiva a nostro favore. Non esiste, ma proprio non esiste che la palla venga riconsegnata alla Juventus come ha fatto il Verona più preoccupato di tornare indietro a difendersi dall’ultimo assalto che tenere il pallone avanti. Lì la partita è finita. Ma chi è che deve trasmettere questo coraggio, questi atteggiamenti? A sentire Baroni a fine gara, e questo della comunicazione sta diventando un altro problema, lui assiste a tutto ciò come se fosse uno spettatore. Anche lui come noi vede queste cose, anche lui come noi si arrabbia. Ma lui è l’allenatore non un tifoso. E’ lui che dopo 10 partite e mille allenamenti deve dare l’atteggiamento è lui che deve trasmettere il coraggio dalla panchina.

Baroni ha più risorse e qualità nella rosa di quelle che stiamo vedendo in questo Verona. Che non è una grande squadra, che è stato costruito al risparmio, ma di certo ha una rosa che se la può giocare per la salvezza.Ormai è chiaro anche questo e non faremo il bene del Verona a non dirlo.

I cambi ieri sera sono stati quantomeno tardivi. E sapere a fine partita che sono stati “forzati” a causa delle condizioni di chi stava giocando mi lascia perplesso, molto. Chi è entrato ha fatto benissimo, persino un bambino se ne sarebbe accorto. Suslov è un signor giocatore, Tchatchoua ha gamba, Lazovic il migliore del Verona per qualità. Cosa aspettavamo a metterli dentro?

C’è poi quel terribile segnale del cambio di Serdar con Bonazzoli che a mio avviso è stato devastante. Un centrocampista per un attaccante, l’unico che poteva portare su il pallone, alleggerire la pressione. Mosse da Trapattoni anni ’80, calcio vecchio e superato. É proprio il messaggio che dai alla squadra la conseguenza. Allora ci difendiamo. Allora rinunciamo completamente al contropiede. Stiamo indietro e speriamo. No, mister non va bene. Non va proprio bene. Mi dispiace ma non è questo il Verona che vogliamo. Ci sono in panchina Saponara, Ngonge, Mboula. Vedi tu chi mettere dentro, ma non si può dare quel segnale di resa.

Perdere punti in questa maniera è doloroso. Provoca ferite profonde dell’autostima, preoccupa. Preoccupa finire sempre la partita recriminando, preoccupa questa mancanza di lucidità dalla panchina, preoccupa anche la classifica perché è chiaro che al primo risultato positivo di una di quelle che ora vanno piano dietro saremo risucchiati e allora anche questa piccola tranquillità che ci arriva dal tesoretto delle prima due giornate finirà

Ed è probabilmente già finita perché adesso arrivano due gare che non si possono sbagliare. Due partite da cui dipenderà il futuro del Verona in questo campionato. Monza e Genoa: Baroni deve trovare il suo Verona. Il “nostro” Verona.

CARO MISTER, IL TEMPO DEGLI ESPERIMENTI E’ FINITO. RIVOGLIAMO IL VERONA DA BATTAGLIA

Alla nona giornata, possiamo dire finito il tempo degli esperimenti. Concesso a Marco Baroni il giusto periodo per assemblare la squadra, per conoscere i suoi ragazzi, tenendo ben presente il contesto in cui il tecnico ha lavorato a causa di un mercato difficilissimo, ora si tratta di vedere i frutti di questo lavoro. E per la verità usciamo dalla gara con il Napoli molto delusi. Non perché sia scandaloso perdere con i campioni d’Italia, ma per le modalità con cui questa sconfitta è maturata.

Sarebbe stato molto più semplice spiegare la sconfitta dopo il primo tempo. Ma la reazione arrivata nella ripresa e le scelte dello stesso Baroni, complicano molto l’analisi. Perché è più che evidente che qualcosa, anzi moltissimo non ha funzionato nel primo tempo e che le correzioni dell’allenatore nella ripresa altro non fanno che creare molto rammarico per questa sconfitta. Ci chiediamo e chiediamo all’allenatore quale sia il vero Verona. Perché questa metamorfosi? Perché tante scelte sbagliate? L’impressione è che il tecnico si sia un po’ incartato, attento a equilibri dello spogliatoio, a gerarchie pregresse, a tenere tutti attaccati al carro. Ma il calcio e la serie A sono spietati. Non si aspetta nessuno. E’ una selezione darwiniana. Conta solo il risultato. Unico parametro, da sempre per giudicare il lavoro di un allenatore. Ne abbiamo parlato a lungo dell’argomento. Chi vince ha ragione, chi perde ha torto. A maggior ragione in una società come l’Hellas in cui l’unico obiettivo è portare a casa la pellaccia in ogni modo possibile. Se il piccolo bottino di punti ha permesso a Baroni di lavorare fino ad oggi tranquillo, ora questo margine sta per essere eroso e bisogna tornare a pensare di portare a casa il risultato in ogni modo. Schierando i migliori della rosa, chi è più in forma, chi garantisce più corsa, più freschezza. Ora fare nomi dopo la partita di oggi è superfluo. Ma è evidente che vedere Amione fare disastri come braccetto, vedere Faraoni e Doig ancora in pesante difficoltà, vedere Hongla in versione bradipo e Serdar boccheggiante, qualche dubbio arriva. Le nove partite giocate e soprattutto questa ultima gara con il Napoli ha dato delle evidenze che Baroni non può non cogliere.

Se Tchatchua entra e fa cinque cross perfetti, dando vivacità ed energia alla squadra non posso non chiedermi perché non ha giocato a scapito di Faraoni e Doig. Idem per Bonazzoli che di questa squadra dovrebbe essere titolare inamovibile tanta è la classe che di certo non gli fa difetto. Lazovic è uno che non avrà i novanta minuti ma che per sessanta fa la differenza. Duda ha giocato gare sontuose con la nazionale. Era peggio di Hongla? Folorunsho non può essere spostato come una pedina del Monopoli, perché non riesce a trovare riferimenti. E il Terracciano “inventato” come braccetto in un momento di difficoltà è meglio di questo Amione che francamente pare essere una causa persa. Aggiungiamo che in panchina ci sono giocatori come Saponara e Mboula, ancora sotto utilizzati se non addirittura ignorati e avremo un quadro della situazione tutt’altro che chiaro. 

E’ un momento fondamentale per la storia di questo campionato.. Baroni deve dimostrare nelle prossime tre partite di aver trovato il bandolo della matassa e soprattutto dovrà portare a casa punti. E’ finito il tempo degli esperimenti, della “crescita” felice, del “volemose ben”. Deve tornare il Verona da battaglia, assente ormai da troppe settimane.