TESTA E CUORE

“Se era grande quello che hai superato, sarà immenso quello che raggiungerai” (Anonimo)
Un anno fa ottavo posto (sesto a pari merito) con 34 punti, quest’anno sesto (quarto assieme ad altre due squadre) con 36 punti. Un anno fa passaggio del primo turno dei playoff in gara-5, con l’esaltante impresa a Biella. Quest’anno ottavi vinti 3-0, sempre con il fattore campo contro.
Finora la Tezenis si è migliorata in ogni passo della sua stagione. Senza trascurare l’incremento di pubblico con i sold-out registrati anche in partite tutt’altro che di cartello, come quella contro Jesi una sera di fine dicembre. Energia, durezza mentale e “garra” oltre ogni previsione sono state le armi, anche inattese, nel percorso netto contro Legnano.
Adesso la strada della Verona dei canestri incrocerà quella della Fortitudo: destinazione Bologna. Un anno fa l’avventura dei giganti gialloblù finì 0-3 contro Ravenna. C’è un altro traguardo da superare. Mollare mai!

REPETITA JUVANT

“…che sarà della mia vita chi lo sa, so far tutto o forse niente, da domani si vedrà e sarà sarà quel che sarà” (Jimmy Fontana, Franco Migliacci, Carlo Pes – José Feliciano – Ricchi e Poveri”)

Traguardo raggiunto, con una settimana di anticipo, esattamente come un anno fa. Ma rispetto alla scorsa stagione, la Tezenis può migliorare di almeno due posizioni il suo piazzamento (nel 2017 chiuse all’ottavo posto) e di superare la quota 34 punti.
Non male per una squadra che si era posta come obiettivo l’ottavo posto, l’ultimo valido per i playoff. A Forlì i giganti gialloblù non hanno solo staccato il biglietto per la post season, dalla Romagna arriva un segnale importante di coesione del gruppo e di forza mentali. Proprio le qualità necessarie per affrontare al meglio i playoff. Poi se toccherà incrociare di nuovo la sfida con Biella…”repetita juvant”, se invece la truppa di Dalmonte troverà Legnano o Tortona trionfatrice in Coppa Italia, sarà quel che sarà.

CUORE, COGLIONI, ANIMA

“L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo”. (Mahatma Gandhi)

In queste ore in cui il mondo del basket piange l’improvvisa e prematura scomparsa di Marco Solfrini, c’è stato chi ha ricordato il Julius Erving italiano (paragone ovviamente con le debite e rispettose proporzioni) con tre parole: cuore, coglioni, anima. Tre qualità fuse in una che sono mancate a Ferrara come a Imola, le due “Caporetto” della Tezenis che lontano da Verona sta confermando un preoccupante trend.
Vulnerabili, ha detto coach Dalmonte, che all’evidente irritazione di Imola ha fatto subentrare una sorta di rassegnazione. Per vincere in trasferta nel momento-clou della stagione, quando anche le ultime della classe danno fondo a tutto per uscire dalla palude (per usare un eufemismo…), bisogna fare doppia fatica, occorre spirito di sacrificio. E ci vuole personalità.
Perché non è solo un problema di attacco. Nel girone di ritorno la Tezenis ha vinto fuori casa solo a Mantova (dopo un supplementare), perdendo a Piacenza, a Udine (all’overtime) e negli ultimi due viaggi a Imola e Ferrara con due sconcertanti prestazioni-fotocopia: praticamente mai in partita. Subito all’inseguimento, sempre in affanno.
Nella seconda parte della stagione i giganti gialloblù hanno tirato da 3 con il 30,2% in trasferta e con il 41,9% in casa. Ma la questione non si può liquidare con la spinta del pubblico veronese. Lontano dall’Agsm Forum stiamo vedendo una squadra arrendevole, che concede troppo in difesa e subisce a rimbalzo.
Urge un’inversione di tendenza, senza arrovellarsi nei calcoli e nelle due presunte partite “facili” in casa. Perché la Tezenis resta aggrappata al sesto posto, ma dietro spingono in tante e la differenza-canestri non sorride a Verona.

DIO E CANESTRI

“Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”. (Karol Wojtyla – Papa Giovanni Paolo II)

La mia figlia più giovane, che studia in Germania, mi ha scritto chiedendomi di Henry Williams. Lei è nata nel 2000 e non ha avuto il privilegio di vedere giocare “Hi-Fly”. Henry Williams assieme a Mike Iuzzolino è stato l’artefice del boom della Verona dei canestri ed il simbolo per un’intera generazione di appassionati.
E’ sufficiente guardare i messaggi di cordoglio sui social per capire quanto Williams sia entrato nei cuori di chi lo ha conosciuto, lo ha amato, a maggior ragione chi, come me, ha avuto il dono di frequentarlo e di godere della sua amicizia.
Amato e apprezzato da tutti, anche dagli avversari. Le parole di Jeff Mullins, suo coach ai tempi del college, disegnano alla perfezione l’uomo e il giocatore: “Abbiamo perso una grande persona. Non era solo quel tiro micidiale e il suo modo di giocare. Era un leader, una persona di grande carattere, aveva tutte le qualità che un giovane deve possedere, alle quali aggiungeva un notevole talento come giocatore di basket”.
Un campione, dotato di un’elevazione straordinaria, di un crossover al fulmicotone e di un tiro mortifero, potremmo dire “la mano sinistra di Dio”, mutuando una celebre frase dedicata a Diego Armando Maradona. E se vogliamo citare altri due celebri mancini, ecco Mc Enroe e Paganini. Classe e talento allo stato puro.
Tanti ricordano ancora l’emozione per il suo ritorno a Verona dopo i 4 anni a Treviso e la stagione a Roma, per giocare l’Eurolega, onusto di uno scudetto, una Saporta e due Supercoppe. E non si potrà mai dimenticare il favoloso rush che trascinò la Muller all’esaltante vittoria sul Barcellona.
Quando ha smesso di giocare, dopo 10 stagioni in Italia (chiudendo con la promozione in serie A con Napoli), è tornato a Charlotte per fare il predicatore, l’altra grande passione assieme al basket. Dio e canestri.
La vita non è stata tenera con lui. Qualche anno fa il medico che lo aveva in cura gli disse che aveva “i valori di un uomo morto”. Per Henry rimanevano solo due soluzioni, o il trapianto o la dialisi. I tentativi di trapianto non ebbero buona fine, la notte scorsa è suonata l’ultima sirena per un uomo dal fisico minato, a soli 47 anni.
E dopo il dolore, la commozione, il lutto, resterà solo una cosa da fare: ritirare la maglia numero 14. Ti sia lieve la terra, amico mio, adesso puoi volare ancora più alto. Un abbraccio a Katrina, Kristen, Lauren e Brice.

LA GIOSTRA GIALLOBLU’

“Si fa solo un giro, sulla giostra. La vita è degli audaci”. (Charles Bukowski)

Benvenuti sulla giostra siore e siori! L’A2 è così: la Tezenis alla ripresa del campionato si è ripresentata in campo pallida e tremebonda, cadendo malamente a Imola. Ma se Atene piange, Sparta non ride: Montegranaro è finita k.o. in casa con Bergamo ultima in classifica, Trieste l’ha spuntata alla fine a Roseto. E chi se ne frega di Montegranaro e Trieste, penseranno i tifosi, ma non c’è bisogno di ricordare che in questo momento della stagione ogni squadra moltiplica gli sforzi per guadagnare punti preziosi per la classifica, che siano in chiave playoff o per la salvezza.
Così i giganti gialloblù sono finiti sull’altalena, dall’esaltante vittoria in rimonta con Treviso al più pesante k.o. della stagione. Incomprensibile. Coach Dalmonte, che ha trattenuto l’irritazione, si è assunto tutta la responsabilità del crollo al Palaruggi, che non può essere liquidato solo con l’inesperienza del giovane gruppo veronese.
Siamo allo sprint decisivo del campionato e da qui in avanti l’aspetto mentale sarà sempre più importante. E a Imola, purtroppo, si è già visto.

ESAME DA GRANDE

Pensavo di scrivere dopo la sconfitta di Piacenza, ma poteva sembrare di fare i criticoni al primo scivolone dopo sei vittorie di fila.
Potevo scrivere dopo la sofferta vittoria con Bergamo, ma ho aspettato. Potevo scrivere in seguito alla “canestrata” con Montegranaro, ma incombeva la trasferta a Mantova ed eccoci qua.
La Tezenis è stata rimandata all’esame da grande, ma se quest’estate ci avessero detto che dopo 21 giornate la Tezenis sarebbe stata terza in classifica non sarebbero mancati i lazzi, le sghignazzate e magari anche qualcuno pronto a invocare la camicia di forza.
Ha ragione Dalmonte quando dice che contro la sua squadra contro la Fortitudo è stata troppo congelata, intestardita a giocare sempre nello stesso modo. Del resto se praticamente tutti i giochi prevedono solo il p&r, non è semplice trovare delle variazioni in corso d’opera. E pensare che il coach della Tezenis ha sorpreso tutti sparigliando le carte con uno starting-five inedito, con Nwohuocha e Totè. Bologna, priva di uno straniero e senza il capoallenatore (che nei miei deliri ho pure citato in telecronaca…), ha impartito una lezione alla giovane Scaligera.
Del resto se dalla panchina esce gente come Mancinelli, Rosselli (che vanno entrambi per i 35 anni), McCamey e lo stesso Pini, si capisce la profondità del roster bolognese e la qualità delle rotazioni. E in quintetto l’asse Fultz-Cinciarini assicura altra esperienza da vendere (36 e 35 anni rispettivamente).
Il mese febbraio darà molte indicazioni sulle reali potenzialità di questa Tezenis, che ha ancora margini di miglioramento. Certo se tiri col 70% vinci contro chiunque e la bravura della Fortitudo è stata proprio di mettere in campo una durezza mentale che ha raddoppiato sul pick and roll fino a metà campo per 40 minuti. Poi restano ancora alcuni enigmi da sciogliere: Toté (una partita buona ogni tre), Visconti e il suo utilizzo a singhiozzo, anche dopo prestazioni positive.
Post scriptum. La diretta con la Fortitudo è stata forse la mia peggiore telecronaca. Nella foga mi è anche scappata una critica pesante ed esagerata per le proteste di Mancinelli (così le ho interpretate io, come gli arbitri), punito con un fallo tecnico. Non mi riferivo affatto ai tifosi bolognesi. In ogni caso dopo averlo fatto in diretta mi scuso ancora con il Mancio e con la Fortitudo. Non succederà più.

GRAZIE DOTTORE

“Take care of all your memories…For you can non relive them – Abbi cura di tutti i tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo”. (Bob Dylan)

Se la Scaligera Basket è diventata la Verona dei canestri, sei i giganti gialloblù ci hanno regalato emozioni indimenticabili e trionfi esaltanti, se siamo ancora qui a divertirci e a sperare in grande lo dobbiamo soprattutto e sopra a tutti a due persone: Giuseppe Vicenzi (che assieme al fratello Mario rilevò la Scaligera da Andrea Piotto nel 1972) e Mario Fertonani.
La luce si è spenta sull’illuminato manager che trasformò la passione per il basket (mantovano di origine, giocò – manco a dirlo – sotto Piotto con la Vini Sartori) in mecenatismo di eccellenza assoluta e da presidente di Glaxo Italia portò in dote una sontuosa sponsorizzazione, con tanto di compartecipazione societaria, che condizionò con un lungo contratto la multinazionale farmaceutica a sostenere la Scaligera Basket anche quando Fertonani lasciò la Glaxo, creando i primi grattacapi ai fratelli Vicenzi nella gestione della società ad alto livello.
C’era lui ad alzare sul parquet di piazza Azzarita a Bologna la Coppa Italia vinta nel 1991 e il marchio Glaxo era presente anche nel 1996, quando la Mash conquistò la Supercoppa. Sotto la sponsorizzazione Citrosil e Glaxo la Scaligera è salita due volte in A2 e due volte in A1, nella stagione del trionfo in Coppa Italia, con quella che non noi veronesi, ma la “Gazzetta dello sport” ribattezzò “diciassettesima squadra di A1”.
L’ultima volta che ho scambiato due parole con il dottor Fertonani fu in occasione della rimpatriata organizzata una sera con la squadra che conquistò la Coppa Italia, c’erano già i primi segni della lunga malattia, ma era chiaramente felice di aver contribuito, in modo determinante, a quella memorabile e irripetibile impresa.
Fra le sue tante dichiarazioni ne ricordo una in particolare: “Io sono un imprenditore di spettacolo. Allestisco una squadra che gioca, il tifoso paga il biglietto e deve vedere bel gioco e la squadra vincere”. Aggiungiamo due parole: se possibile. Infatti Mario Fertonani era convinto che chi più spendeva doveva vincere per forza e per questo pretendeva la vittoria. Gli sia lieve la terra dottore, è stato un Grande.

IL VESCOVO MORO

“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla” (Martin Luter King)

Verona è sempre stata legata e devota a San Zeno, il suo “Vescovo moro”. Adesso il Vescovo moro può dire di averlo anche il basket gialloblù: Phil Greene. Il quarto esponente della dinastia cestistica dei Greene from Chicago ha messo la firma ai due esaltanti buzzer beater che hanno mandato in visibilio i tifosi della Tezenis nelle vittorie contro la capolista Trieste e nell’ottovolante di emozioni a Roseto. In mezzo anche un’altra signora partita sul campo di Orzinuovi, vincendo dopo aver strappato l’overtime con una rimonta straordinaria.
Così se a Napoli quasi per ogni cosa s’invoca “San Genna’ pienzece tu!”, la Verona dei canestri può sperare il “San Philgreenquarto”, senza dimenticare, tuttavia, che il merito di ogni vittoria va diviso e condiviso, perché non conta solo chi segna, ma anche chi difende (e Green lo fa alla grande), prende rimbalzi, recupera palloni, porta blocchi. Poi il colpo finale passa sempre nelle mani dei più grandi, come “The black Bishop”.

CENTRO O NON C’ENTRO

“Lo sciocco ha mille certezze, il saggio non ne ha alcuna”. (Proverbio cinese)

Il problema di Maganza è serio e al momento non ci sono certezze sui tempi di recupero. E’ invece certo che la Tezenis con l’attuale assetto paga dazio a rimbalzo ad ogni partita. Contro Ferrara i giganti gialloblù sono stati bravi a ridurre il gap che nel primo tempo era stato pesante.
L’impressione è che non si possa andare avanti così a lungo. Curtis Nwohuocha merita un monumento (come dimostra ignoranza cestistica qualche tifoso che lo ha bollato come mediocre), ma un giocatore arrivato per essere il quarto lungo nelle rotazioni (dietro Maganza, Udom e Totè) e giocarsi una manciata di minuti, si è trovato proiettato titolare, con un minutaggio consistente.
E’ evidente che diventa molto complicato e rischioso andare avanti così, vincendo in casa (quando va bene) e perdendo fuori. Il presidente Pedrollo ha dichiarato che un nuovo lungo sarebbe dovuto essere in campo già contro Ferrara, però il mercato sembra offrire ben poco. Chi ha un lungo se lo tiene stretto. Né si può rivoluzionare l’assetto della squadra, cercando uno straniero che comunque dovrebbe essere già vistato.
Così lo staff tecnico fa quadrato attorno ad un gruppo che ha margini di miglioramento (Toté deve ancora risorgere) e cercherà di trovare la sua forza nell’unità e nella compattezza. Riempiendo ogni spazio del campo. Ma non sarà facile. Senza dimenticare che dopo Ravenna la Tezenis era in zona playout.

MOLLARE MAI!

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country” (“Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese” – John Fitzgerald Kennedy, presidente Usa, discorso d’insediamento alla Casa Bianca – 20 gennaio 1961).

Se i due americani tirano con 4/30 in coppia, non vinci neanche se schieri Steph Curry. Soprattutto se perdi anche il confronto a rimbalzo 46-30. L’inguaribile ottimismo deve prevalere sul pessimismo di chi in estate lodava la linea verde varata dalla Tezenis e adesso invece critica a spada tratta l’inesperienza di troppi giocatori. Tifosi bipolari. Una squadra si ama, a prescindere. Troppo facile e troppo comodo cantar gloria solo quando si vince. Perdere fa girare i cabasisi a tutti, ovvio, ma il clima desolante all’Agsm Forum contro Udine invita a riflettere.
Si giocava in casa, dove i giganti di Dalmonte avevano vinto e divertito nelle due precedenti uscite. Si giocava di sabato sera, con il campionato di calcio fermo: poca gente e poco tifo. Al punto che il “mitico Robi” durante l’intervallo si è sentito in dovere di scendere per un giro di campo ad arringare il resto degli spettatori. Per questo è opportuno chiedersi che cosa gli appassionati di basket possono fare per la Tezenis e non cosa la squadra può fare per loro.
Poi possiamo discutere di tutto: delle diverse rotazioni, del minutaggio maggiore che forse si sarebbero meritati Curtis e Iris, di Totè che è acerbo, poco determinato e non esploderà mai (parliamo di un giocatore che ha in corpo solo due di settimane di allenamenti pieni), dell’assenza di Maganza (che fa il paio con quella di Pellegrino per i friulani). La zona 3-2 con trappole di Lardo ha messo il bavaglio alla Verona dei canestri, ma se fai 0/8 da 2 (Green) o 0/7 nelle triple (Jones), la colpa è anche (e abbondantemente) degli attaccanti.
Per chiudere con un arbitraggio ancora una volta irritante, con fischi che talvolta hanno smentito quello precedente. A Bologna alcune decisioni nel pieno della rimonta gialloblù avevano inciso sul nuovo capovolgimento della partita a favore della Fortitudo, questa volta abbiamo solo la conferma che la botte dà il vino che ha. E la botte arbitrale non è certo Doc. Però questo è solo l’ultimo dei problemi. Sotto con il derby di Treviso e poi con un altro sabato all’Agsm Forum, contro Imola. Mollare mai!