La pandemia ha prodotto qualcosa che mai (ma proprio mai) avremmo immaginato di dover vivere: aver paura dei propri figli.
Lo spiega in un articolo su Repubblica – con osservazioni inconfutabili – lo scrittore-sceneggiatore Francesco Piccolo.
Questo il quadro di partenza: il Covid infetta a tutte le età, anche i giovani; ma per loro non è un problema grave, nel senso che – di solo Covid – non è morto nessuno (i pochi ragazzi deceduti avevano altre patologie molto gravi). Ma il problema è che i giovani contagiano gli altri, i più anziani, quelli in età critica.
Piccolo, genitore di una certa età spiega che, quando suo figlio minore che ha sempre frequentato le medie inferiori a Roma, torna a casa lui ha paura: gli dice di lavarsi le mani, di non abbracciarlo perché teme appunto di essere contagiato.
Il che rovescia completamente il discorso sulle scuole: non si tratta di garantire la sicurezza in aula o sui bus, ma di capire cosa succede quando i ragazzi tornano a casa con genitori, appunto, di una certa età o addirittura a contatto con i nonni. Incontestabile – sottolinea Piccolo – che i contagi si diffondono anzitutto il famiglia.
Lo scrittore – paradossalmente – invoca un decreto in base al quale “tutti i giovani studenti dovrebbero vivere e studiare in una città sufficientemente lontana. Dovrebbero stare in un’altra regione e dovrebbero prendere la residenza, in modo che non possano tornare più, fino alla fine della pandemia, tornare a casa e infettare i loro genitori”.
Ovviamente soluzione impraticabile. Come lo è immaginare una sorta di muro di Berlino che divida in due il Paese: da una parte vivono tutti i giovani, dall’altra quelli con l’età a rischio morte da Covid.
Altra osservazione: Piccolo ha la figlia più grande che studia all’università di Bologna e non vuole assolutamente che torni a Roma a trovarlo. Perché, spiega, se anche la portasse a fare il tampone in farmacia e risultasse negativo, poi lei potrebbe infettarsi nel percorso dalla farmacia a casa e quindi contagiarlo.
E così viene chiarita definitivamente anche la funzione del tampone: certifica che sei in salute nel momento che lo fai, ma un minuto dopo tutto torna in ballo e puoi beccarti il contagio.
Francesco Piccolo ci delinea un quadro che mai, appunto, avremmo pensato di vivere. Potevamo aspettarci di tutto: la carestia, la perdita del lavoro, perfino un’altra guerra mondiale; ma mai e poi mai di arrivare ad aver paura dei propri figli. E invece è accaduto.
“Il nuovo groviglio – scrive lo scrittore – contorto e innaturale di sentimenti che ha creato il coronavirus: aver paura dei propri figli più che di ogni altro essere al mondo, sentirsi sicuri solo se i propri figli sono lontani…”