DA TUTTI A CASA A NESSUNO A CASA

Ai 5 stelle, evidentemente, non basta il drastico taglio dei loro parlamentari che gli elettori – prima o poi – faranno. Dicono di volerli tagliare tutti di propria iniziativa. Come se il problema principale del nostro Paese non fosse il numero esorbitante di pensionati, la caccia furiosa al reddito di cittadinanza, ma gli stipendi di troppi parlamentari: pagliuzza rispetto alla trave del debito pubblico che anche loro continuano ad ignorare. Fatto sta che – oltre a Conte premier – l’hanno posto come condizione irrinunciabile per varare il, molto probabile a questo punto, governo col Pd.

Ma la questione fondamentale per loro è un’altra. Il movimento di Grillo nasce e dilaga con il vaffa, con “mandiamoli tutti a casa”. Si presenta cioè come alternativo a tutti i partiti, nessuno escluso.

Ovvio quindi che i grillini non potevano e non possono allearsi con nessuna forza politica, salvo negare la loro stessa ragion d’essere. La loro diversità genetica.

Mentre adesso di parla addirittura di una “alleanza politica” col Pd che, cioè, dal governo centrale dovrebbe trasferirsi anche alle regioni e ai comuni…

Quindi falcidiati lo sono stati dall’alleanza con la Lega e continuerebbero ad esserlo con l’alleanza col Pd. Anzi ancora di più, perché i piddini – ex comunisti ed ex democristiani – sono i veri professionisti della politica italiana, ben più dei leghisti…

Senza aggiungere che questi buzzurri di leghisti sono, a loro modo, populisti e alternativi. Mentre il Pd è il partito dell’establishment, del politicamente corretto, dei salotti bene e dei centri storici; cioè il più inviso ai tanti che votarono 5 Stelle per “mandarli tutti a casa”.

Alleanza che comunque i 5 stelle sono pronti ad accettare per un principale evidente obiettivo: non venire drasticamente ridimensionati nei consensi, e quindi nel numero dei propri parlamentari, dal voto anticipato. Altro che fingere di volere loro come condizione irrinunciabile la riduzione dei parlamentari…

 

IL CAPITANO SI E’ INCARTATO

Cacciatore di voti e stratega politico sono due mestieri, diciamo due attitudini professionali diverse. Quasi sempre l’una esclude l’altra.

Un conto è sapere ottenere il consenso dei cittadini elettori. L’ultimo maestro è Matteo Salvini, preceduto dall’altro Matteo e prima ancora dal Cavaliere.

Del tutto diverso è sapersi muovere nei bizantinismi della nostra politica. Qui tutti e tre non sono stati all’altezza. Si sono incartati. Prima Berlusconi convinto di poter sfidare il vero e unico potere forte del nostro Paese, quello dei magistrati; ha fatto la fine che ha fatto. Poi Renzi convinto di potersi intestare il referendum costituzionale; modo perfetto per scavarsi la tomba.

Oggi anche il Capitano si è incartato, convinto di lanciare la crisi di governo, di poterla gestire ed andare subito a elezioni anticipate incassando quel consenso che, da leader popolare, ha saputo ottenere.

Ma il risultato – a quanto pare – è un tantino diverso. Al momento, da perfetto cristiano, Salvini è artefice di una tripla resurrezione altrui: quella dei 5 Stelle che erano avviati verso l’estinzione; ha scoperto la tomba dov’era finito Renzi; ha ridato uno spazio politico perfino ai poveri resti degli azzurri del Cavaliere.

Più facile indovinare i numeri al Lotto che prevedere come andrà a finire. Però al momento è evidente che Matteo Salvini si è incartato; la politica politicante – elemento fondante dell’Italietta – non sembra mestiere a lui consono.

ZAIA, AUTONOMIA BY BY

 

Piaccia o anche no la politica è fatta di “do ut des”, di mediazione: se metti qualcosa su un piatto della bilancia non è che l’altro piatto rimane vuoto.

Fuor di metafora, il premier Conte ha messo sul piatto il sì Tav e non ha certo affondato i colpi sul Russiagate. Lo ha fatto convinto, non a torto, di evitare la crisi e garantire continuità al suo governo. Quale sarà a questo punto il “des” di Salvini, cosa metterà lui sull’altro piatto della bilancia? Pochi dubbi: il no all’autonomia di Veneto e Lombardia così come agognata da Zaia e Attilio Fontana.

Un colpo al cerchio, uno alla botte e avanti giallo-verdi (almeno per il momento).

Luca Zaia e Attilio Fontana non hanno capito (o hanno fatto finta di non capire) che la loro grande battaglia autonomista era fin dall’inizio vintage. Perché Matteo Salvini aveva già archiviato la Lega partito del territorio, aveva già tolto Nord dal nome e dal simbolo…

Tanto per capirci. Se ti chiami Partito sardo d’azione, dici che vengono prima i sardegnoli. Ma, se diventi Partito d’azione e basta, i sardi sono come tutti gli altri italiani. Non ha più senso che li privilegi. Chiaro?

Ma la palla, anzi la pallona di cannone, adesso se la trovano in mano i due presidenti di Regione. Cosa farà, cosa dirà il nostro Luca Zaia? “Cari veneti, ho scherzato quando proclamavo autonomia o morte! Quando dicevo non firmerà mai una farsa!”

Farà e dirà così? Accetterà “l’autonomia light”, come l’ha giustamente chiamata il Fatto, cioè l’unica autonomietta oggi possibile? Oppure, in un sussulto di dignità, rassegnerà le dimissioni da presidente del Veneto e esorterà i veneti, leghisti e non, a ribellarsi contro la truffa autonomista ordita dal governo giallo-verde?

Staremo a vedere. Di certo c’è poco da invidiarlo per la rovente poltrona di Presidente del Veneto su cui siede ora dopo il do ut des tra Conte e Salvini…

DAI MIGRANTI AL RUSSIAGATE

Finchè il problema principale all’ordine del giorno sono stati i migranti – come accaduto per mesi, mesi e mesi – per Matteo Salvini era tutto grasso (elettorale) che cola.

Non solo per gli oggettivi risultati conseguiti dal ministro dell’Interno nel frenare l’immigrazione clandestina, ma anche per tutti i gentili sponsor che ha trovato lungo il cammino: da Carola a Luca Casarini, dalla gip di Agrigento ai parlamentari del Pd saliti sulla Sea Watch. Fondamentali per far balzare la Lega nei sondaggi addirittura al 40%. (Sondaggi che però non erano e non sono voto reale…)

Improvvisamente lo scenario è mutato: da dieci giorni domina la scena il continuo crescendo del Russiagate o Moscopoli che dir si voglia.

I fatti, i risultati, contano relativamente. Come ha ben spiegato Domenico Cacopardo su Italia Oggi “le operazioni di acquisto di petrolio da parte dell’Eni sono sottoposte a una serie di rigidi controlli” e quindi non esiste che uno come Gianluca Savoini – senza averne il mandato – potesse trattare una qualunque fornitura.

Il che non toglie che un tramaccione come lui ci abbia provato mettendoci anche in ballo una tangente da pagare a qualcuno. Savoini, presidente della fantomatica associazione Lombardia- Russia (Ci mancava solo che l’ex sindaco di Rovigo Bergamin lanciasse l’associazione Polesine-Stati Uniti). Le associazione vere sono infatti tra Stati; quelle farlocche servono solo a darti un lasciapassare per poter andare, nella fattispecie, in Russia a cercar di combinare qualche affare…

In questo contesto la difesa di Matteo Salvini non può limitarsi a dire “Savoini non lo frequentavo, non lo ho inviato io in Russia”, anche perché sono state pubblicate decine di foto che li ritraggono assieme.

Aggiungiamo che, come sempre avviene in queste vicende, ci sono i servizi segreti (francesi) che tramano nell’ombra. C’è il problema della collocazione internazionale del nostro Paese (con gli Stati Uniti nostro alleato di sempre o con la Russia di Putin?). Tutte realtà che un politico scafato non può ignorare, se non a suo danno.

Ecco perché dopo l’ascesa trionfale dovuta ai migranti, per Salvini rischia di iniziare una discesa altrettanto brusca causata dal Russiagate.

Inevitabile – come hanno fatto tanti – pensare ai diamanti di Bossi; o a Savoini come al “mariuolo isolato”, il Mario Chiesa divenuto fatale per Bettino Craxi…

DELUSI I TIFOSI DELLA BATOSTA UE

Porcaccia miseria l’Europa non ci stanga! Non arriva la batosta Ue annunciata da mesi, data per certa, decisiva per mandare finalmente a casa il governaccio giallo-verde e sostituirlo con bel Monti bis.

Niente fare. Perfino il presidente Mattarella – a denti stretti – ha dovuto ammettere che non ci sono le condizioni per la procedura d’infrazione. E così oggi è palpabile la delusione dei tanti tifosi della batosta che non è giunta.

Ovviamente nel pieno rispetto della democrazia, cosa si aspettavano i tifosi? Che non fossero gli elettori a decidere, ma che ci pensasse l’Europa a liberarci da questo governo di razzisti ed incapaci…(Governo che invece, ad un anno dall’insediamento, continua a godere di un consenso maggioritario tra i cittadini. Cosa mai successa prima…)

Insomma, i conti sono a posto o quasi, lo spread crolla, la borsa vola, l’occupazione è in netta ripresa e il nostro Paese continua, diciamo, a vivacchiare come sempre successo.

Non che ci siano, per l’andamento economico, meriti particolari di questo governo; come non ne ha avuti nessun governo precedente. Il merito è tutto nostro. Siamo un Paese di santi, poeti, navigatori e…imprenditori.

Questa la chiave: abbiamo piccoli, medi, grandi imprenditori straordinari. Capaci di innovare, inventare, conquistare i mercati stranieri senza alcun supporto da parte delle istituzioni (Pensiamo a come quelle tedesche fanno sistema per aiutare i loro imprenditori nell’export…)

Imprenditori che lavorano e producono non ostante le cosiddette “associazioni produttive” (produttive anzitutto nella caccia agli aiutini pubblici…); non ostante un fisco oppressivo, una burocrazia delirante, una giustizia civile che distribuisce anzitutto incertezze e non la certezza del diritto.

E’ grazie a loro che l’Italia la sfanga. Fosse anche possibile governare il nostro Paese, saremmo tra i primi al mondo per reddito pro capite.

GOVERNA “LA BANDA DEGLI ONESTI”

Governa “la banda degli onesti”, non solo con l’esecutivo giallo-verde: da sempre, è la caratteristica fondativa della nostra Repubblica.

“La banda degli onesti” è uno splendido film del 1956 che sancì il successo della coppia Totò-Peppino De Filippi: tre amici entrano casualmente in possesso dei cliché e della carta filigrana dell’Istituto Poligrafico dello Stato e pensano di costruirsi un radioso futuro economico stampando banconote false nella cantina del loro condominio.

Angelo Panebianco sul Corriere ha evocato questo film osservando che i nostri governi hanno fatto e fanno la stessa cosa: continuano cioè ad accumulare debito pubblico – che è come stampare banconote false – puntando così a conquistare il consenso degli elettori.

Lo fecero nella Prima Repubblica con quell’autentico macigno sul sistema pensionistico che furono le baby pensioni (continuiamo a pagarne centinaia di migliaia); e la Fornero fu solo l’inevitabile tentativo di riparare al danno provocato dagli spacciatori di pensioni “false”, cioè senza contributi versati.

E poi arriviamo ai giorni nostri con gli 80 euro di Renzi fino a quota 100 della Lega e reddito di cittadinanza dei 5 Stelle.

Nel film i tre amici alla fine non osarono spenderne nemmeno una di banconota falsa. I nostri governi invece tirano dritto verso il baratro finanziario.

Tant’è che il vero motivo dello scontro con l’Ue, il cosiddetto sovranismo o nazionalismo alla Salvini, condivisi anche da Di Maio, ha un unico obiettivo: rifiutare i vincoli europei e poter continuare a fare debito, cioè a stampare banconote false per cercare di comprarsi il consenso degli elettori. (I quali, alla fine, di certo incassano ma non è detto che ripaghino nell’urna…)

IL CONTE TRAVICELLO

L’antica favola greca (di Fedro o forse di Esopo) raccontava del Re Travicello: c’era disordine nello stagno e le rane chiedono a Zeus di mandare un re che metta ordine. Arriva un tuono che spaventa le rane, ma poi si accorgono che dal cielo è arrivato nello stagno solo un tronco che galleggia e basta senza poter far nulla.

Definizione di Wikipedia: “Re Travicello è un’espressione che si usa per indicare una persona che occupa una posizione importante o una carica ufficiale ma che non ha autorità o capacità sufficienti ad esercitare il potere”.

Ed ora siamo al Conte Travicello. Ascoltarlo ieri nel suo lungo “discorso alla nazione” faceva tenerezza. Tre quarti d’ora di chiacchiere inutili quando poteva sintetizzare in una sola frase: o Salvini e Di Maio la smettono di litigare, e mi lasciano fare il premier, oppure mi dimetto!

Giuseppe Conte ha voluto rivendicare anche la propria “indipendenza” senza capire che è una ulteriore debolezza. Indipendente dai partiti puoi esserlo se arrivi dalla Banca D’Italia (Lamberto Dini) o se sei considerato un grande economista stimato in tutta Europa (come lo era Mario Monti, a prescindere che lo fosse davvero…). Non se vieni dal nulla, se sei uno sconosciuto del tutto inesperto proiettato d’emblée a Palazzo Chigi.

Ma il punto vero è un altro. I programmi di Lega e 5 Stelle sono inconciliabili, come ha ribadito ieri il rilancio di Salvini: subito Tav, sblocca cantieri, flat tax, autonomia, riforma della giustizia. Tutti temi opposti al programma del Movimento che è contro le grandi opere, che vuole la decrescita felice, più assistenza non meno tasse, niente autonomia, riforma della giustizia che aumenti i poteri dei magistrati e non che li diminuisca come vorrebbe Salvini.

Forse, dico forse, una mediazione tra le due parti sarebbe riuscita a trovarla il “Divo” Giulio, Andreotti, quello che riuscì perfino a varare il “governo delle larghe intese” tra Dc e Pci. Ma pensare che possa riuscirsi il Conte Travicello è come credere che uno in carrozzella scali in Monte Bianco.

E adesso cosa accadrà? Facciamo come le rane e chiediamo aiuto a Zeus…

VOTO ON LINE SU DI MAIO E FRANCESCO

Grande attesa per il voto on line degli iscritti al Movimento 5 Stelle che dovranno conferare o meno la leadership di Luigi Di Maio dopo il molto deludente risultato elettorale.

Ma, più interessante ancora, sarebbe un voto on line che confemi o meno Papa Francesco al vertice della Chiesa cattolica.

I media infatti stanno evidenziando i grandi contrasti all’interno dei grillini. Per pudore invece oscurano i contrasti altrettanto diffusi tra la base e il vertice della Chiesa. Ma fino ad un certo punto.

Il Corriere, sia pure senza grande risalto (fondo pagina 12, senza richiamo in prima…), ha pubblicato l’intervista al cardinale Gerhard Muller il teologo tedesco già custode dell’ortodossia cattolica che si scaglia contro il “cerchio magico” di Bergoglio e dichiara:” La Chiesa sbaglia, con Salvini bisogna dialogare”.

Il sociologo Luca Ricolfi afferma: “La popolarità di Francesco è sopravvalutata. Per molti cittadini il Papa è più l’unico leader che è rimasto alla sinistra che non il capo della Chiesa cattolica”.

Sempre sul Corriere Galli della Loggia scrive: “IL rosario impudicamente agitato da Salvini senbra aver avuto sul voto cattolico (se ancora esiste) un richiamo più vasto degli ammonimenti di una Chiesa in caduta libera di credibilità per il silenzio sulle malefatte sessuali dei  suoi membri e per la sconsiderata richiesta di un’accoglienza senza limiti nei confronti degli immigrati”.

Tanto sconsiderata che nessun partito italiano la sposa, basti pensare alle politiche migratorie messe in atto dall’allora ministro Minniti…Quindi ultimo leader Francesco, non della sinistra, ma dell’estrema sinistra catto-comunista.

Interessante (?) il referendum su Di Maio. Ma ci starebbe tutto e sarebbe assai più pregnante un voto on line anche su Francesco; magari riservato ai pochi che certifichino l’iscrizione, cioè la presenza domenicale nelle chiese.

BASSETTI IRROMPE NELL’URNA

Trovo inaudito che, a pochi giorni dal voto, il cardinal Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, abbia fatto irruzione nell’urna.

Il lungo e accorato appello del cardinale è stato così sintetizzato dal Fatto quotidiano: “Votate tutti tranne Salvini”.

Ovviamente non si tratta di essere d’accordo o meno, di giudicare bene o male il leader della Lega come un qualunque altro uomo politico; la cosa inaudita è che il massimo esponente della Chiesa italiana dica per chi non si deve votare. Siamo tornati al celebre slogan del ’48. “Nell’urna Dio vi vede, Stalin no”. Oggi, 71 anni dopo, Bassetti ci esorta a non votare per Matteo- Stalin-Salvini.

Mi sarei aspettato che tutti i partiti, tutti i media di una repubblica (teoricamente) laica, cioè fondata sulla separazione tra Chiesa e Stato, insorgessero di fronte a questa inaccettabile ingerenza nel voto e nella politica. Invece silenzio (quasi) assoluto.

E’ impensabile in qualunque Paese democratico che la Conferenza episcopale tedesca piuttosto che spagnola, non dico esorti a non votare per qualcuno, ma semplicemente si occupi delle elezioni e dia una qualunque indicazione agli elettori.

Accade solo nell’Italia ancilla del Vaticano.

La salvezza sarebbe un Pannella che promuovesse un referendum abrogativo dei Patti lateranensi. Dico sarebbe, perché naturalmente non succederà.

SE SALVINI USASSE UN MINORE…

Ovviamente è lecito impegnarsi in qualunque battaglia politica. Si può discutere, non il contenuto delle varie battaglie, ma le modalità con cui vengono condotte.

Quando Berlusconi era in auge c’era una forte opposizione, non solo alla sua politica di governo ma alimentata anche dalla “nipote di Mubarak” e dalle “cene eleganti” di Arcore. Per questo fu organizzata una grande giornata di protesta al PalaSharp di Milano.

Fin qui niente da dire. Se non che, ad un certo punto, salirono sul palco anche dei ragazzini ad inveire contro il Berlusca. Fu una scelta vergognosa perché si voleva dimostrare che il Cavaliere era un tale farabutto da aver indignato perfino le anime candide e pure dei fanciulli. Fanciulli che evidentemente erano stati plagiati dagli adulti; che se no avrebbero pensato a giocare alla playstation come tutti i loro coetanei, senza avere in mente Berlusconi.

Dal precedente veniamo a Salvini. Con la gioia o col dolore tutti riconoscono che il consenso crescente alla Lega è dovuto anzitutto alle sue battaglie sul fronte dell’immigrazione. Battaglie che lui conduce in prima persona sul palco e in tivvù.

Immaginiamo ora che Salvini pensi: per convincere gli indecisi ho bisogno di un’anima candida. E così si inventa un ragazzino, di nome Francesco come il Santo patrono d’Italia, possibilmente con un qualche handicap che così la gente si commuove di più, e lo manda a denunciare la vita impossibile nelle città “inquinate” dai clandestini, le donne che la sera non hanno coraggio di uscire nemmeno a buttare la spazzatura nei cassonetti, le classi infrequentabili per i troppi alunni stranieri.

Manda lui, il minore Francesco, sui palchi e in tivvù, a farsi intervistare dal Tg1 delle 20, ad incontrare la seconda carica dello Stato, e magari pure in udienza dall’omonimo Papa Bergoglio.

Cosa diremmo di Salvini? Ma che è un farabutto che sta usando un minore, per giunta con problemi di disabilità! Che non siamo tanto cretini da credere che sia lui, Francesco, il protagonista della battaglia e che non sia Matteo a manovrarlo dietro le quinte!

Ho detto “cretini” perché ieri Libero, in occasione della visita a Roma della ragazzina norvegese, ha fatto un titolo certo criticabile “Vieni avanti Gretina!”. Criticabile perché non ha rispetto per Greta e la sua sindrome di Asperger.

Ma il problema non è Greta Thunberg. Il problema è il Tg1, la Casellati, il nostro Senato, lo stesso Papa Francesco. Con tutto il dovuto rispetto alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma sono così cretini, o “gretini”, da credere che sia lei la grande protagonista e che non ci sia qualcuno che – vergognosamente – la manovra e la utilizza dietro alle quinte?