LA POLITICA NON HA ALIBI

 

La politica non ha alibi. Mai. E meno che mai al tempo del Coronavirus. Nel senso che la decisione finale – e la conseguente assunzione di responsabilità – spetta alla politica, al politico. Puoi, anzi devi, consultare medici, tecnici, scienziati (magari non un esercito…) ma alla fine devi decidere tu, e il suggerimento degli esperti non può funzionare da alibi. Perchè sei tu, non loro, investito dalla sovranità nazionale.

Compito tutt’altro che facile, anzi molto gravoso, perché gli esperti non possiedono la verità e spesso forniscono anche versioni contrastanti. Ma il politico, la politica non possono usarli come paravento.

Ammesso (e tutto da verificare con le inchieste) che la Lombardia abbia sbagliato con le case di riposo, il presidente Attilio Fontana non può dire di aver fatto ciò che i tecnici gli hanno suggerito. Perché la decisione finale spettava a lui.

Ferruccio De Bortoli (e non solo lui) ha osservato che di fronte alla pandemia siamo arrivati a varare “15 task force per un totale di 448 persone. Per non parlare dei comitati e dei tavoli. La cornice normativa è imponente: siamo già a 212 atti nazionali”.

Anche con la scuola sono state fatte “due task force, una per la chiusura e l’insegnamento a distanza, una per la riapertura”.

E poi la app per le applicazioni sugli smartphone, per comunicare con i cittadini. C’è quella nazionale Immuni che dovrà conciliarsi con le locali, ad esempio con la AllertaLOM della Lombardia. Insomma una babele perfetta per disorientare noi cittadini.

Sempre De Bortoli ricorda che: “Angela Merkel ha spiegato in poche e semplici parole ai suoi concittadini rischi e doveri del distanziamento sociale. Quando l’autorità è autorevolezza”.

E qui arriviamo al punto. Perché la politica si assuma in modo chiaro e netto le proprie responsabilità nelle decisioni servono – servirebbero…degli statisti

Giuseppe Conte vuole riaperture uguali per tutto il Paese a partire dal 4 maggio, senza le Regioni che vadano a spizzichi e bocconi. E può starci.

Sarà chiaro, netto, comprensibile come Macron, come la Merkel?

A voi l’ardua sentenza. Ma purtroppo l’impressione è che tutti questi nostri tavoli e task force siano serviti da paravento a chi deve decidere e non si decide a farlo.

UOMINI VERI E ANCHE NO

 

Molti dicono e scrivono che, passata la terribile emergenza sanitaria, ne usciremo migliori: più attenti, sensibili e socievoli; con nuovo senso civico: cioè convinti che bisogna pensare allo Stato, a investire in sanità ed istruzione, non solo a metterci i soldi in tasca. Più maturi.

Si fa l’esempio della generazione dei nostri padri, che dopo la tragica esperienza della guerra, furono i protagonisti (assieme al piano Marshall) del boom economico italiano del dopo guerra.

Speriamo. Ma consideriamo una differenza tutt’altro che secondaria tra noi e loro.

I nostri padri cioè erano uomini veri già prima della guerra. Non passavano ore a fare jogging, in palestra, a portare in giro il cane, a vestirsi da ciclisti anche nei giorni feriali (giorni lavorativi) per sciamare in massa sui colli. Loro lavoravano da mattina a sera, tutti giorni anche il sabato, domenica compresa se serviva.

I nostri padri non sapevano cosa fossero reddito di cittadinanza, baby pensioni, false pensioni di invalidità, congedo parentale per fingere di assistere i parenti, assistenzialismo a raffica. Non esistevano le 33 ore a settimana per i pubblici dipendenti. Le donne già in parte lavoravano, ed erano tutte impegnate a far quadrare i magri bilanci famigliari; non andavo certo dall’estetista due volta la settimana né a farsi fare i ritocchini dal chirurgo plastico. Educavano i figli e spiegavano, a chi aveva il privilegio di poter studiare, che doveva darci dentro per non farsi bocciare. Altrochè promozione garantita a prescindere come ora (99,7% promossi all’esame di maturità).

I nostri padri erano educati al lavoro e ai doveri. Noi – mediamente – enfant gaté.

Prima della guerra girava uno slogan: “Si lavora e si produce per la Patria e per il Duce!”. Lasciamo perdere il Duce, tanti credevano di avere il dovere di lavorare, oltre che per la famiglia, anche per la Patria, per rendere grande l’Italia.

Immaginiamo uno slogan analogo ora: “Si lavora e si produce per la Patria e per Mattarella! ( O per Conte, per Salvini, per Zingaretti, fate voi). Ce ne sarebbe uno pronto ad obbedire, a lavorare per migliorare il proprio Paese e non per mettersi i soldi in tasca e prenotare il biglietto di Costa Crociere?

Noi, ometti viziati, usciti dall’emergenza faremo come i nostri padri uomini veri? Si sa che la speranza e l’ultima a morire, ma poi muore anche lei.

 

C’ERA UNA VOLTA GRETA THUNBERG

 

C’era una volta Greta, oggi scomparsa. Ma c’era fino a ieri: ricevuta all’Onu; ricevuta dalla presidente della commissione europea che, al suo fianco, si commuoveva e diceva di condividere tutto i suoi timori per “la nostra casa brucia”.

Oggi Greta scomparsa, ma felice: col blocco della circolazione le polveri sottili sono abbattute (pare sia “in sonno” anche Legambiente) con la chiusura di tante produzioni industriali non si inquina e non si surriscalda più il pianeta. Servirebbe un decreto governativo che chiuda anche i vulcani, ma non si può avere tutto.

Non resta che la barca a vela. Bloccano nei porti anche le navi mercantili. I cieli sono puliti perché le compagnie aeree sono al fallimento: non si vola più da un Paese all’altro né per lavoro né per svago.

Improvvisamente ci siamo svegliati, quanto vorremmo preoccuparci ancora per l’inquinamento e il riscaldamento globale! Ma siamo alle prese con altri problemini più urgenti.

E’ scomparso dalle reti televisive lo spot di Greenpeace che invitava a donare per evitare che muoiano i pinguini al Polo Sud.

Già: adesso moriamo noi, a migliaia; e lo spot che gira è quello della protezione civile cui donare per sperare che riesca a salvarci.

Certo l’ambiente da tutelare. Però siamo investiti da bel altre emergenze. Se continua così – blocco delle merci e crisi economica – il problema non sarà più l’orario dei negozi, ma che ci sia qualcosa da comprare e che abbiamo i soldi in tasca per farlo.

L’uomo primo responsabile dei cambiamenti climatici. E come no!? Basta pensare al Museo dei fossili di Borca, tutti reperti marini trovati in zona. Siamo in Lessinia, in montagna. Gli sconvolgenti cambiamenti climatici avvenivano nella preistoria, quando l’uomo non esisteva, e i mari si alzavano – non di 60-70 metri come paventato ora – ma arrivarono fino ai monti.

Il Coronavirus è servito a svegliarci, ad abbandonare la psicosi ambientalista?

Adesso c’è l’emergenza virus, passata la quale speriamo che una barca a vela vada a prendere Greta, questa povera ragazzina, e la affidi ai servizi sanitari, di psichiatria.

 

SCONTIAMO LE NOSTRE COLPE

 

Tutti – giustamente – scandalizzati per i tagli alla sanità avvenuti negli anni scorsi, per la mancata assunzione di medici. C’è la responsabilità della politica, ma non solo

Ernesto Galli della Loggia sul Corriere ha scritto che non sono mancati solo gli investimenti sulle infrastrutture, a partire da quelle sanitarie, ma anche sulla ricerca, sulla messa in sicurezza degli edifici scolastici, etc. etc.

Come mai? Perché noi cittadini elettori per primi abbiamo voluto un welfare, cioè investimenti pubblici, che producessero anzitutto soldi. Soldi nelle nostre tasche: “aumenti di stipendio, pensioni di invalidità fasulle, baby pensioni, cassa integrazione, regalini da 80 euro, reddito di cittadinanza, sussidi e agevolazioni più varie”

Galli della Loggia sottolinea che, se la sanità del Sud è al tracollo, lo è perché i governatori di quelle regioni hanno investito anzitutto sul clientelismo. Ma pensiamo anche qui da noi: che senso ha aver finanziato con denaro pubblico ogni sagra di paese? Quanta terapia intensiva in più si poteva fare?

Galli della Loggia scrive ancora: “in una democrazia, si sa, a meno che non vi siano personalità autentiche di statisti, la politica e tutto quanto le ruota attorno, stampa compresa, segue sempre più o meno pedissequamente la volontà del pubblico, la quale poi, alla fine, è la volontà degli elettori.

Quindi c’è sicuramente la responsabilità di una classe politica (tutti i governi, di ogni colore) inadeguata. Ma dov’era il nostro senso civico? La consapevolezza che bisogna potenziare lo Stato e non pensare solo a mettere soldi pubblici nelle nostre tasche.

MEDICI EROI, E ANCHE NO

Ci sono medici eroi, non c’è dubbio. Penso anzitutto a quei giovani camici bianchi che – in piena emergenza – fanno le guardie mediche di notte in provincia, da soli in ambulatori dove entra di tutto…

Ma non ci sono solo eroi. Racconto cosa mi è successo.

Vivendo e abitando vicino a Vò Euganeo, dove mi recavo quotidianamente, mi hanno consigliato di stare in autoisolamento un paio di settimane per evitare di contagiare amici e colleghi.

Tutto bene, non ho avuto sintomi; ma, per ulteriore prudenza, prima di tornare al lavoro ho pensato di fare il tampone sabato 7 Marzo. Mi hanno spiegato che era possibile al reparto di Malattie infettive del Policlinico di Padova, la più grande e celebrata struttura ospedaliera del Veneto.

Dei cartelli spiegavano che nel fine settimana –sabato e domenica – potevi farlo, non al reparto, ma nell’ambulatorio adiacente dove sono andato trovando 20-25 persone in attesa.

Pensavo di dover aspettare un’oretta. Ma dopo 3 ore e mezza – dalle 11 e 15 alle 14 e 45 – erano stati fatti solo sette tamponi. Come mai? Perché, assieme ad un gruppo di infermiere, era operativo un solo medico che doveva correre dall’ambulatorio anche su al reparto dove continuavano ad arrivare malati critici. In quelle ore morì anche uno dei ricoverati.

Di fatto in piena emergenza coronavirus, nel reparto del più prestigioso ospedale veneto, era di turno un solo medico durante il fine settimana.

Quindi mi domando se, al di là dei medici eroi che certamente ci sono, non ci siano anche quelli che – per convincerli a lavorare nel week end – dovresti mandare i carabinieri a prenderli…

 

 

IL VIRUS DEL FANATISMO RELIGIOSO

 

Circola la battuta: dobbiamo preoccuparci di più per il Coronavirus o per il Corano-virus? Al di là della battuta la domanda è: vero o no che l’autentica pandemia, quella che nella storia ha provocato più morti, è il fanatismo religioso?

Non dimentichiamo certo che, per secoli e secoli, c’è stato anche il Vangelo-virus: caterve di morti con le crociate, l’inquisizione, la pulizia etnico-religiosa degli Ugonotti nella notte di San Bartolomeo.

Oggi però nessuno ammazza inneggiando a “Gesù è grande!”, ne a Jahvè o Budda o Visnù; ma solo al grido di “Allah akbar!”, a dimostrazione che ora il fanatismo religioso più pernicioso e letale è quello islamico.

Contro questo virus scarseggiano poi sia la ricerca che le contromisure. Dobbiamo rallegrarci o preoccuparci che sia successo a Londra e non qui da noi che, appena uscito dal carcere dove era stato condannato per terrorismo, il terrorista islamico sia tornato a colpire? Direi la seconda, perché in tutto il mondo occidentale si sottovaluta questo virus. Siamo all’Eurabia profetizzata da Oriana Fallaci

Magari in nome di un’apertura democratica alle diversità culturali e religiose, anche quando sono aberranti.

Proviamo ad immaginare come reagiremmo se la Chiesa cattolica dicesse alle nostre donne di velarsi per non tentare mostrando il viso e il corpo. Penso che imporremmo il Tso – trattamento sanitario obbligatorio – a qualunque religioso cattolico osasse promuovere una mostruosità del genere. Invece accettiamo che nelle nostre città girino donne islamiche, velate in strada e schiavizzate in casa. E’ per rispetto della diversità religiosa?…

Silenzio totale, accettazione passiva di questa violenza sulle donne islamiche. Anche le femministe, mute come sardine in scatola, e preoccupate solo che non si diffonda il virus-Weinstein…

E per isolare il Corano-virus, il virus del fanatismo religioso islamico, dobbiamo forse sperare nelle ricercatrici dello Spallanzani o in chi altro?

SOLDI IN TASCA, MORTI IN STRADA

Si parla poco del rapporto tra soldi in tasca e morti in strada. Questione che non riguarda solo il figlio del regista Paolo Genovese, ma tanti altri ragazzi figli di persone qualunque.

Dei tanti incidenti con morti sulle strade, il più tragico come noto è accaduto in Alto Adige. Un sudtirolese di 27 anni, alla guida della sua Audi TT, ha travolto e ucciso sette giovani turisti tedeschi in vacanza a Lutago, in provincia di Bolzano.

Tra le varie considerazioni fatte ne ho letto una di particolarmente interessante. Sottolineava che questo sudtirolese, Stefan Lechner, non aveva nemmeno concluso le scuole professionali. Di conseguenza faceva l’operaio, viveva con i suoi genitori: la madre insegnante, il padre appena andato in pensione.

Una famiglia normale, di certo non particolarmente facoltosa, come normale era il suo stipendio da operaio. Da qui la domanda: ma come poteva uno, che sfiora la soglia di sussistenza, possedere un bolide costoso da 200 cavalli e passare le notti a far baldoria nei locali?

Allarghiamo il discorso: secondo le statistiche abbiamo uno dei tassi più alti di disoccupazione giovanile, la soglia della povertà che continua ad alzarsi, cioè ad includere – stando all’Istat – fasce sempre più ampie di popolazione, in particolare giovanile.

Dopo di che, al di là della tragedia dei morti sulle strade, dai uno sguardo la sera ai locali nelle nostre città e ci vedi migliaia e migliaia di ragazzi che bevono a raffica, fan baldoria fino all’alba; ovviamente non a credito, ma pagando i loro costosi consumi.

Con che soldi? Se sono disoccupati, se sono studenti che ancora non lavorano? Glieli mettono in tasca le famiglie? Ma ci sono così tante famiglie benestanti da permettere ad una marea di giovani di scialare a raffica? Riusciamo a determinare il reddito reale delle persone e delle famiglie, o è nascosto – non dico in Calabria – ma perfino in Alto Adige?…

Tornando ai morti sulle strade, se la prima causa di incidenti – oltre ai cellulari – è l’assunzione di droghe ed alcol, la contro misura necessaria è (sarebbe) mettere meno soldi in tasca ai ragazzi a disposizione per lo sballo. Sballo che è comunque nefando anche quando non finisce in tragedia.

 

 

GIOVANE ITALIA E COSE TURCHE

 

Come sempre c’è una certa differenza tra gli auspici, le speranze, e la realtà. Tra la fiducia e l’ottimismo che ha voluto dispensare il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno, puntando sulla coesione nazionale, su una “giovane Italia”, sui giovani che rilanceranno il Paese nel 2010.

Purtroppo la giovane Italia non è più in Italia, nel senso che sono oltre 100 mila all’anno ad andarsene dall’Italia, in massima parte giovani, come certifica l’Istat. Vanno all’estero dove vige il merito, ormai perfetto sconosciuto nel nostro Paese…Qui restano anzitutto quelli a caccia del posticino pubblico; e non è certo così che può ripartire l’economia e il Paese.

Forse uno sguardo Mattarella avrebbe poi dovuto rivolgerlo anche alla “cose turche” che stanno capitando in Libia. Un caos, quello libico, che si abbatterà anzitutto sull’Italia

Non serviva certo il voto del parlamento turco arrivato ieri, si sapeva da tempo che Erdogan aveva deciso di inviare le truppe a fianco di al Serraj, per assumere un ruolo cruciale nel Paese africano con due evidenti obiettivi: sostituirsi all’Eni nella gestione delle fonti energetiche libiche e gestire i flussi migratori. Già gestisce quelli dall’Asia con il corridoio balcanico, vuole gestire anche quelli africani che passano dal corridoio libico.

Al di là del fatto che sia governata da un regime autoritario e non democratico la Turchia è un grande Paese: ha un’economia che vola, una capacità di attrarre investimenti stranieri (Germania, Stati Uniti) che noi ce la sogniamo; conta oltre 82 milioni di abitanti ed ha una storia gloriosa, quella dell’Impero ottomano, che punta e ripetere tornando egemone nel bacino del Mediterraneo.

Noi abbiamo una politica interna i cui provvedimenti funzionano bene come…il Mose. E abbiamo completamente abbandonato la politica estera; siamo completamente assenti dalla crisi libica (pur avendo il ministro degli esteri più competente e preparato di tutti i tempi…). Come se ciò che sta accadendo in Libia non ci riguardasse, quando saremo invece i primi a subirne il devastante impatto.

Non vorrei che nel prossimo discorso di Capodanno la giovane Italia venisse esortata a convertirsi all’Islam e mettersi nelle mani di Allah…

SUICIDIO: AIUTO E CONTRASTO

 

Scontata l’assoluzione di Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio del dj Fabo. Sullo sfondo c’è un profondo cambiamento culturale del quale – piaccia o no – non si può che prendere atto.

Per secoli la vita non apparteneva all’individuo. Per i credenti apparteneva a Dio e lui solo poteva decidere. E per i laici apparteneva allo Stato che – tanto per dire – poteva anche decidere di mandarti a morire in guerra; e non esisteva obiezione di coscienza.

La nuova cultura, i nuovi valori oggi stabiliscono che ogni persona ha diritto di decidere della propria vita, cosa farne e quando e come porvi termine. La magistratura, la Corte costituzionale ha solo anticipato (come spesso avviene) la politica che ora dovrà prenderne atto, varando una nuova legge conseguente.

Si spiana la strada all’eutanasia? Certo. Ma anche questo è un dato di fatto: ho il pieno diritto a decidere della mia vita, non solo quando sto male affetto da una malattia incurabile; pure quando sto bene e posso comunque decidere se continuare a vivere o no. O deve deciderlo Dio o lo Stato?

Si può aiutare senza problemi il suicidio di chi lo richieda.

Se mai sorge una domanda contraria: abbiamo diritto di contrastare, di impedire il suicidio, di chi abbia liberamente scelto di togliersi la vita?

Oggi i siti celebrano un operaio dei trasporti pubblici milanesi che ha abbracciato una ragazza che stava gettandosi sotto il metrò, impedendole di togliersi la vita. Ma siamo sicuri che avesse il diritto di farlo, di impedire la sua libera scelta del suicidio? Va celebrato o va processato per ostacolo all’esercizio della sacrosanta libertà individuale?

Domandina intrigante in linea col progressivo suicidio della nostra civiltà.

VIOLENTAVA IN ATTESA DELL’ASILO…

 

E’ diventato un caso nazionale quanto successo in un piccolo centro di accoglienza in un piccolo comune del padovano, a Tribano: un richiedente asilo nigeriano di 26 anni, arrivato nel nostro Paese da 4 mesi, attraverso la rete e riuscito a sedurre una ragazza della Repubblica Ceca di 22 anni convincendola, con una falsa promessa d’amore di matrimonio, a raggiungerlo nel centro di accoglienza.

Dopo di che l’ha segregata in una stanza, picchiata e violentata per ben 11 giorni. Senza che nessuno si accorgesse di nulla: né gli altri ospiti in attesa dell’asilo, né la cooperativa Edeco che dovrebbe gestire il centro di accoglienza e controllare cosa succede al suo interno.

Lei alla fine, tramite un cellulare, è riuscita mandare un messaggio di aiuto su Whatsapp e sono intervenute le forze dell’ordine a liberarla.

Lui ora è accusato di sequestro di persona, violenza sessuale e anche rapina; perché ha pensato bene pure di rubarle le 50 mila corone (pari a 2 mila euro) che la ragazza si era portata dalla Repubblica Ceca.

Scrive un quotidiano locale. “Quello che si compie nella campagna di Tribano è il dramma di due solitudini. Lui che scappa dalla sua terra per cercare una prospettiva migliore in Europa…”. Ma certo: povero ragazzo africano – con i tempi così lunghi per ricevere una risposta alla richiesta d’asilo – qualcosa doveva pur fare! Magari sequestrare, violentare e rapinare una giovane donna; tanto per ingannare l’attesa!…

No. Il dramma della solitudine è uno solo, quello della ragazza ceca.

Il sindaco di Tribano, Massimo Cavazzana, è infuriato anzitutto con la coop che non ha effettuato nessun controllo sui suoi ospitati. Ed ha ragione.

Ma rendiamoci conto che certi criminali efferati non riescono a controllarli nemmeno le forze dell’ordine, figuriamoci un’associazione privata di “volontari”, spesso sottopagati dal vertice che incassa i contributi.

Il problema di fondo è ben più vasto del ruolo pur esecrabile delle coop: purtroppo non arrivano solo santerellini, vittime del dramma della solitudine o della miseria o della persecuzione. Con loro entrano anche fior fior di delinquenti; capire e separare i primi dai secondi; questi ultimi controllarli, prevenire i loro crimini efferati, è un’impresa impossibile.

Almeno diciamocelo: accoglienza impresa impossibile, in Italia come in tutti gli altri Paesi europei. Oppure possibile ma solo pagando il prezzo che è stato pagato (da ultimo) a Tribano.