BONUS INPS PUNTINA DELL’ICEBERG

Avessero avuto almeno il buon senso di starsene zitti quei furbetti di parlamentari e consiglieri regionali che hanno chiesto il bonus Inps. Invece hanno spiegato di averlo fatto per donare l’importo in beneficienza. Beneficienza, con coi soldi loro, ma con quelli pubblici? “Peso tacòn che sbrego”.

Dopo di che nel Paese dei furbetti il problema è la legge farlocca che consentiva a tutti di chiedere il bonus, prescindendo dal proprio reddito. Immaginiamo una legge che consenta di chiedere la pensione di invalidità a prescindere da essere invalido. Quanti milioni di domande arriverebbero (senza più bisogno di corrompere il medico)?

Dopo di che c’è un problemino più grave dei 600 euro. Non bastasse il 90% che era pronto a votare la riduzione dei parlamentari, vogliono arrivare al 200% di cittadini pronti, come Tafazzi, a togliersi quel poco che resta della nostra sovranità popolare; consegnando così tutto il potere indiscriminato ai burocrati, ai finanzieri, alle multinazionali.

Lo sputtanamento continuo dei politici e dei parlamentari ha un principale obiettivo: togliere il potere agli unici sui quali, almeno teoricamente, noi cittadini possiamo esercitare un controllo; trasferirlo a chi è fuori da qualunque controllo. In sintesi: la fine della democrazia.

Devono dimettersi parlamentari e consiglieri che hanno chiesto il bonus? E invece il vertice (e non solo) delle toghe, protagonisti di uno scandalo di mala giustizia senza precedenti, quelli possono continuare ad avere il lauto stipendio dei magistrati in attesa della riforma farsa del Csm?

E i docenti universitari che in media fanno 120 ore di lezione all’anno (una ogni tre giorni), passando il resto del tempo a grattarsi la pancia come dice Musumeci, continuiamo a pagarli o chiediamo loro di andare a lavorare?

Se i tre parlamentari del bonus Inps sono il simbolo di un intero parlamento da mettere alla gogna, lo sarà o no anche il celebre vigile urbano di Sanremo che fingeva di timbrare il cartellino in mutande? Alla gogna tutti i pubblici dipendenti?

La vergogna del bonus Inps è solo da puntina di un enorme iceberg – mancanza di etica, di senso civico e del dovere – che riguarda la maggioranza di noi cittadini italiani; non certo solo i politici.

IL REGALONE DEL SENATO A SALVINI

 

Sarà perché i sondaggi davano la Lega in calo che si moltiplicano i doni elettorali, gli aiutini, a vantaggio del partito di Salvini. Prima arriva la signora tunisina che sbarca col barboncino al guinzaglio e il troller in mano a conferma indiscutibile che tutti i migranti fuggono dalla miseria e dalla fame…

Non bastasse, adesso giunge il regalone del Senato che autorizza il processo a Salvini sulla Open Arms. Incredibile come questi politici che dovrebbero essere scafati – quanto meno Pd e Renzi – ignorino come (piaccia o anche no) funzionano le dinamiche elettorali nel nostro Paese.

La larga maggioranza dei cittadini elettori (sempre piaccia o anche no) vogliono lo stop all’immigrazione, invocano la linea dura. In parte perché i migranti, molto difficili da controllare, sono un enorme problema reale. In parte perchè autorizzano un comodo alibi: sono solo loro a commettere illegalità e violenza, non noi cittadini italiani modello. (Come se la baby gang che ha devastato Treviso fossero figli di migranti e non di trevigiani troppo impegnati a godersi il tempo libero per averne anche da dedicare all’educazione e al controllo dei propri figli). Ma tant’è.

A fronte di un governo che non sa che pesci pigliare per fronteggiare la nuova ondata di arrivi, con barconi e barchini, a Lampedusa e dovunque, via terra e via mare. Che si inventa due navi per riprendere gli sbarcati e portarli (sequestrarli?) in quarantena al largo (Solo due navi? Servirebbero almeno cinque porta aerei…). Di fronte a questo inutile balbettio del Conte bis, è inevitabile che i cittadini apprezzino Salvini che aveva bloccato per alcuni giorni lo sbarco dalla Open Arms.

Cosa fu la mossa di Salvini? Pura fuffa. Non risolvi certo così l’enorme problema di difendere “i sacri confini della Patria”. Ma fu un segnale apprezzato da moltissimi.

Oggi mandare Salvini a processo avrà anzitutto un effetto preciso: aumentare i consensi ad una Lega già partito di maggioranza relativa che può puntare alla maggioranza assoluta…

Ma com’è possibile ignorare la ricaduta elettorale dei processi ai politici? Da quando non si parla più di processare Renzi, Italia Viva rischia di scomparire. E Forza Italia, quello che era il primo partito del Veneto, come mai oggi veleggia attorno al 4%? Che sia perché Silvio Berlusconi negli ultimi anni non è più oggetto di quei processi farlocchi che gli garantivano ampi consensi? Cosa dite?

Ultima considerazione che riguarda il nostro Veneto. L’obiettivo evidente di Luca Zaia, presentando la lista col suo nome e quella degli amministratori, era di dimostrare che, almeno qui, conta più lui della Lega di Salvini. Quanto sarà incazzato Zaia con questo regalone fatto dal Senato a Matteo che rischia di mandare in fumo il suo piano e spingere anche i veneti a votare anzitutto Lega…

IL COOLING BREAK DELLA SOVRANITA’

 

Da appassionato di calcio non so se ridere o piangere quando vede che a metà tempo scatta il cooling break. Chiamano così la pausa di raffreddamento consentita ai calciatori in queste calde giornate estive.

Chiamarla in italiano? Escluso. Da mesi, tanto per fare uno dei mille esempi, usiamo il termine lookdown, non isolamento.

Si parla tanto di perdita di sovranità dovuta al Mes, alle regole che l’Europa vuole imporci. Ce ne fosse uno a ricordare che la prima decisiva perdita di sovranità è rinunciare ad usare la propria lingua. La lingua che è la cultura, la storia, le radici di un popolo. Uno diverso dall’altro.

Mentre con la globalizzazione e l’uso dell’anglosassone andiamo verso il terrapiattismo culturale; tutti uguali e sempre più banali, scontati, in balia delle mode che altri ci impongono.

Anche il primo dubbio sull’autonomia del Veneto nasce da qui. Esiste ancora un popolo veneto o marcia verso l’estinzione? Proprio come la lingua veneta. Quelli della mia generazione parlavano tutti il dialetto, chi in versione padovana chi in versione veronese. Ma i giovani? Trovarne uno, specie nelle città, che parli ancora il dialetto veneto…Non parlano più nemmeno l’italiano. Tutto un blaterare di play station, smartphone, social, computer…Provate a chiedere a un ragazzo se si sente veneto, se sa cosa vuol dire essere veneti. Vivono tutto (o quasi) nel nuovo terrapiattismo culturale.

La sovranità vera, quella della nostra lingua, nessuno ce l’ha tolta. Siamo noi che l’abbiamo buttata nel cesso (anglosassone).

ALITALIA, COSI’ FAN TUTTI

 

Opposizioni scandalizzate perché per l’ennesimo salvataggio di Alitalia sono stati stanziati più miliardi che per la pubblica istruzione, che per la sanità alla prese con l’emergenza Coronavirus. Giusto, una vergogna.

Ma un ospite a Rosso & Nero ci ricordava che Silvio Berlusconi fece l’identica cosa; cioè si oppose alla vendita di Alitalia a chi ne avrebbe ridimensionato costi e personale, si inventò i “capitani coraggiosi”, e la compagnia rimase di bandiera. Cioè con miliardi di deficit annuale pagato dai contribuenti.

Berlusconi, il liberale, quello che chiama l’esecutivo Conte “il governo delle quattro sinistre”. Peccato che liberali e quattro sinistre siano compagni di merende. Non vedi alcuna differenza.

Almeno la smettessero di prenderci in giro fingendosi geneticamente diversi, opposti.

I liberali, quelli veri – ristoratori, negozianti, artigiani, commerciati – di fronte alla crisi hanno dovuto ridurre il personale. Loro malgrado, perché meno dipendenti significa meno guadagni. Ma sono stati costretti a prendere atto della realtà.

Realtà che non esiste se parliamo di Alitalia piuttosto che dell’ex Ilva. Lì il personale non si deve ridurre. Col risultato che Mittal ci manderà al diavolo, e non ci sarà un solo investitore straniero disposto a venire in Italia a farsi massacrare.

Si ironizza sui virologi e adesso anche sui “pianologi” (leggi Colao), utile alibi per un governo che non si prende la responsabilità di decidere, che non agisce.

Ma, anche qui, cosa sono stati in passato Cottarelli incaricato di vigilare sulla spesa pubblica, oppure Cantone per la stesura del codice degli appalti? Anche loro esperti messi in campo come paravento, come perdita di tempo, per governi che non attuarono quelle riforme radicali indispensabili per garantire un futuro al nostro Paese.

E il colore politico apparentemente diverso è sempre stato solo un logos per incantare il popolo bue. (Tant’è che anche i 5 Stelle, una volta al governo, sono diventati pari pari agli altri)

Così fan tutti. E che, almeno, la facciano finita di fingersi diversi e prenderci in giro.

 

CHE MINNEAPOLIS VENGA A NOI!…

Quanto sta accadendo a Minneapolis e nelle grandi città statunitensi – per quanto grave sia – riguarda gli Usa. Non noi che abbiamo ben altri problemini: a partire dalle rivolte, non razziali ma sociali,  che minacciano di scoppiare in autunno con l’aggravarsi della crisi economica.

Eppure tanti media e telegiornali continuano a dare enorme risalto a ciò che accade negli Stati Uniti; quasi che tifassero, che sperassero, che la rivolta razzista arrivi anche da noi. Che così si potrà tornare a sparare a zero contro fascisti e razzisti, mettendo la sordina agli altri problemi.

Qualche isolato episodio di razzismo c’è stato anche nel nostro Paese. Ma, al momento, a scendere i piazza sono stati non i razzisti ma i bauchi: mi riferisco ai gilet arancioni guidati dall’ineffabile Pappalardo (già generale dei carabinieri!) secondo il quale o il virus non esiste, è un’invenzione del governo, o lo si cura con lo Yoga…

La rivolta razziale è storicamente presenta e radicata fin dalla nascita degli Usa: lo schiavismo, la guerra civile, il degrado delle periferie delle grandi città dove tanta illegalità è gestita dai neri. Per quanti premi Nobel dai a Martin Luter King, le rivolte razziali in America si ripresentano periodicamente.

Comunque la si pensi, va sottolineata la rapidità dell’intervento dello Stato effettuato là: coprifuoco, migliaia di arresti, guardia civile e militari mobilitati.

Da noi scoppiasse una rivolta – molti temono sarà quella sociale   – prima di intervenire servirà un Dpcm con 250 articoli e mesi prima che i burocrati firmino i decreti attuativi.

E qui, se non ragioniamo da tifosi, va capito che il nucleo del problema è il nostro sistema Paese. Perché non è che se sostituiamo il governo Conte-Zingaretti-Di Maio col governo Salvini-Meloni-Berlusconi il cappio della burocrazia scompare, non servono decreti attuativi, e i soldi arrivano in un baleno nelle tasche di chi ne ha bisogno.

Non è così. Oggi il voto veramente utile è solo quello per un referendum che cambi drasticamente la “Costituzione più bella del mondo”.

RECOVERY FUND DI LA’ DA VENIRE

 

Resta il fatto che i soldi sono veri solo quando arrivano. Titolone di Repubblica: “All’Italia 172 euromiliardi”, sembrerebbe che siano già sul piatto pronti ad essere distribuiti ai tanti che aspettano liquidità. Ma il catenaccio sotto il titolone avverte: “in arrivo a primavera 2021”. Cioè tra dieci mesi. Quando non diecimila, ma centomila aziende, avranno già chiuso i battenti per fallimento in mancanza di aiuti immediati.

Qualsiasi provvedimento dell’Unione europea, per diventare operativo, ha bisogno dell’approvazione di tutti i Paesi dell’Unione. L’Olanda, per dirne uno, è contraria. Anche accettasse l’Ue ci porrebbe sicuramente delle condizioni. Proprio come sta facendo il nostro governo col credito da 6 miliardi alla Fca: che non li distribuisca agli azionisti, ma li investa per posti di lavoro in Italia.

Così l’Ue vorrà avere la certezza che i 172 miliardi non servano a dare la paghetta ai 60 volontari civili, non vengano dissipati in assistenzialismo dissennato, ma vadano ad investimenti per grandi infrastrutture e aziende.

Dopo di che abbiamo politici di ogni colore sotto scorta, dal leghista Fontana alla 5 Stelle Azzolina. Significa che prende corpo una protesta violenta che non bada al colore dei partiti. Significa che prende corpo l’allarme del ministero degli Interni sulle rivolte sociali destinate a scoppiare in autunno.

Questo autunno, non l’autunno 2021. Ben prima dei 172 miliardi del Recovery Fund europeo che dovrebbero arrivare la primavera 2021.

Auguri.

SOLDI VERI SOLO QUANDO ARRIVANO

 

Lungo parto pieno di sofferenze ma alla fine è nato il Decreto Rilancio: 25 miliardi a famiglie e lavoratori, 16 alle imprese.

Lecito dubitare che ci siano le risorse, data la lunga sofferenza del parto. Ma, come ha scritto Sallusti nel suo editoriale sul Giornale: “I soldi sono veri solo quando arrivano”.

Quindi i tempi di erogazione. Tanto per ricordarne una: centinaia di migliaia di lavoratori attendono in vano da due mesi la cassa integrazione in deroga; in Svizzera arriva quattro giorni dopo la richiesta.

Tempi e poi modalità. Cipriani si è rifiutato di riaprire lo storico Harry’s bar di Venezia definendo “demenziali” le disposizioni dell’INAIL. Ma c’è di peggio: sempre l’INAIL ha decretato che, se un lavoratore andando in azienda con l’autobus si contagia, il titolare viene denunciato penalmente. Quindi questi dovrebbe tutelare la salute non solo sul luogo di lavoro – com’è giusto – ma anche sui mezzi di trasporto pubblico!

Abbiamo appena celebrato la legge Basaglia che decretò la chiusura dei manicomi. Manicomi che andrebbero riaperti immediatamente per mettere la camicia di forza ai dirigenti dell’INAIL.

Tornando al Decreto Rilancio, Sabino Cassese sul Corriere parla di “ombre su tempi e modi”. L’ex sindaco di Venezia Cacciari è d’accordo sol suo successore Brugnaro: “abbiamo un governo di incapaci” e sul decreto Cacciari scrive: “Centinaia di pagine, di richiami e rinvii legislativi continui, il peggio del peggio dell’Italia burocratica e statalista. Intanto le imprese muoiono”.

Concludo con un modo di dire ben noto ai giocatori di poker: questo è un Rilancio al buio.

 

BONAFEDE O MALAFEDE INACCETTABILE E’

 

Il Discorso fatto nel post precedente sulla responsabilità, che è sempre e solamente, della politica, dei politici, vale non  solo per il Coronavirs ma anche per la scarcerazione dei boss, di mafia e pure dello spaccio.

La motivazione, tutela della loro salute, è inacettabile perché i contagi nelle carceri sono nettamente inferiori a quelli delle case di riposo. Per i detenuti in isolamento pressochè inesistenti.

Giustamente Giannelli sul Corriere ha pubblicato la vignetta con alcuni anziani che sperano di finire in galera piuttosto che restare nelle Rsa…

Puoi, anzi devi, sentire i consulenti (magari più preparati della nostra veterinaria finita negli Usa, specialista della malattia dei polli…) ma poi devi decidere.

Oggi abbiamo oltre 300 boss ai domiciliari. Quelli di mafia avevano richiesto anni di indagini e ricerche per farli uscire dalla latitanza. Il pericolo, tempo che arrivi il decreto per la ricarcerazione, è che siano diventati uccel di bosco.

Il ministro Bonafede non può scaricare la responsabilità sul capo, ora destituito, della polizia carceraria. Anche non fosse stato lui a decidere, non esiste che il ministro della Giustizia non sapesse cosa stava accadendo. Era distratto? Da cosa?

Fosse in bonafede o in malafede non può sottrarsi alla sua enorme responsabilità. Condannata da tutti i magistrati antimafia.

Per concludere c’è questa piccola novità: fin’ora i 5 Stelle erano il partito più entusiasta dell’operato delle toghe. Adesso per difendere l’indifendibile loro ministro Bonafede, vanno allo scontro con i magistrati.

LA POLITICA NON HA ALIBI

 

La politica non ha alibi. Mai. E meno che mai al tempo del Coronavirus. Nel senso che la decisione finale – e la conseguente assunzione di responsabilità – spetta alla politica, al politico. Puoi, anzi devi, consultare medici, tecnici, scienziati (magari non un esercito…) ma alla fine devi decidere tu, e il suggerimento degli esperti non può funzionare da alibi. Perchè sei tu, non loro, investito dalla sovranità nazionale.

Compito tutt’altro che facile, anzi molto gravoso, perché gli esperti non possiedono la verità e spesso forniscono anche versioni contrastanti. Ma il politico, la politica non possono usarli come paravento.

Ammesso (e tutto da verificare con le inchieste) che la Lombardia abbia sbagliato con le case di riposo, il presidente Attilio Fontana non può dire di aver fatto ciò che i tecnici gli hanno suggerito. Perché la decisione finale spettava a lui.

Ferruccio De Bortoli (e non solo lui) ha osservato che di fronte alla pandemia siamo arrivati a varare “15 task force per un totale di 448 persone. Per non parlare dei comitati e dei tavoli. La cornice normativa è imponente: siamo già a 212 atti nazionali”.

Anche con la scuola sono state fatte “due task force, una per la chiusura e l’insegnamento a distanza, una per la riapertura”.

E poi la app per le applicazioni sugli smartphone, per comunicare con i cittadini. C’è quella nazionale Immuni che dovrà conciliarsi con le locali, ad esempio con la AllertaLOM della Lombardia. Insomma una babele perfetta per disorientare noi cittadini.

Sempre De Bortoli ricorda che: “Angela Merkel ha spiegato in poche e semplici parole ai suoi concittadini rischi e doveri del distanziamento sociale. Quando l’autorità è autorevolezza”.

E qui arriviamo al punto. Perché la politica si assuma in modo chiaro e netto le proprie responsabilità nelle decisioni servono – servirebbero…degli statisti

Giuseppe Conte vuole riaperture uguali per tutto il Paese a partire dal 4 maggio, senza le Regioni che vadano a spizzichi e bocconi. E può starci.

Sarà chiaro, netto, comprensibile come Macron, come la Merkel?

A voi l’ardua sentenza. Ma purtroppo l’impressione è che tutti questi nostri tavoli e task force siano serviti da paravento a chi deve decidere e non si decide a farlo.

UOMINI VERI E ANCHE NO

 

Molti dicono e scrivono che, passata la terribile emergenza sanitaria, ne usciremo migliori: più attenti, sensibili e socievoli; con nuovo senso civico: cioè convinti che bisogna pensare allo Stato, a investire in sanità ed istruzione, non solo a metterci i soldi in tasca. Più maturi.

Si fa l’esempio della generazione dei nostri padri, che dopo la tragica esperienza della guerra, furono i protagonisti (assieme al piano Marshall) del boom economico italiano del dopo guerra.

Speriamo. Ma consideriamo una differenza tutt’altro che secondaria tra noi e loro.

I nostri padri cioè erano uomini veri già prima della guerra. Non passavano ore a fare jogging, in palestra, a portare in giro il cane, a vestirsi da ciclisti anche nei giorni feriali (giorni lavorativi) per sciamare in massa sui colli. Loro lavoravano da mattina a sera, tutti giorni anche il sabato, domenica compresa se serviva.

I nostri padri non sapevano cosa fossero reddito di cittadinanza, baby pensioni, false pensioni di invalidità, congedo parentale per fingere di assistere i parenti, assistenzialismo a raffica. Non esistevano le 33 ore a settimana per i pubblici dipendenti. Le donne già in parte lavoravano, ed erano tutte impegnate a far quadrare i magri bilanci famigliari; non andavo certo dall’estetista due volta la settimana né a farsi fare i ritocchini dal chirurgo plastico. Educavano i figli e spiegavano, a chi aveva il privilegio di poter studiare, che doveva darci dentro per non farsi bocciare. Altrochè promozione garantita a prescindere come ora (99,7% promossi all’esame di maturità).

I nostri padri erano educati al lavoro e ai doveri. Noi – mediamente – enfant gaté.

Prima della guerra girava uno slogan: “Si lavora e si produce per la Patria e per il Duce!”. Lasciamo perdere il Duce, tanti credevano di avere il dovere di lavorare, oltre che per la famiglia, anche per la Patria, per rendere grande l’Italia.

Immaginiamo uno slogan analogo ora: “Si lavora e si produce per la Patria e per Mattarella! ( O per Conte, per Salvini, per Zingaretti, fate voi). Ce ne sarebbe uno pronto ad obbedire, a lavorare per migliorare il proprio Paese e non per mettersi i soldi in tasca e prenotare il biglietto di Costa Crociere?

Noi, ometti viziati, usciti dall’emergenza faremo come i nostri padri uomini veri? Si sa che la speranza e l’ultima a morire, ma poi muore anche lei.