Interrompendo il lungo silenzio Sergio Mattarella, al termine dell’ultimo giorno di consultazioni, ha fatto un discorso da applausi; per la chiarezza, la sintesi e la correttezza istituzionale.
Ha ricordato come fossero fallite tutte le trattative tra partiti per formare un governo – tra centrodestra e 5 stelle, tra 5 stelle e Pd, tra centrodestra e Pd – ha aggiunto che non si può tornare al voto col governo uscente Gentiloni, frutto di una maggioranza che non esiste più.
Quindi, ha spiegato, darò l’incarico per un governo super partes e di servizio. Dopo di che sarete voi, gli eletti dai cittadini, i parlamentari a decidere se farlo durare qualche mese per fare alcune cose o se tornare al voto al più presto. Punto.
Tra le urgenze, nei rapporti a scadenza con l’Unione europea, Mattarella prima ancora delle questioni economiche ha ricordato le nuove misure che l’Ue si appresta a varare sull’immigrazione.
Perché è inutile lamentarsi che l’Europa ci impone le sue scelte quando – mancati vincitori e perdenti del 4 Marzo – scelgono di non fare neppure un governo che quantomeno provi, non dico a battere i pugni, ma almeno a trattare con Bruxelles…
Dunque si tornerà alle urne – più probabile ad Ottobre che a Luglio – è sarà un autentico ballottaggio tra il centrodestra a guida Salvini e il Movimento 5 Stelle. Quello che la legge elettorale non prevede – doppio turno e ballottaggio – è arrivato nei fatti. A noi cittadini elettori la scelta: se dare la maggioranza a uno dei due poli e garantire la nascita di un governo, o se ribadire la paralisi del 4 Marzo.
Ma intanto mai abbiamo avuto prima un presidente della Repubblica che non abbia provato a tramaciare, che sia rimasto rigorosamente fedele al suo ruolo istituzionale e ai suoi poteri. Una vera sorpresa. Applausi a Sergio Mattarella.
CADE IL FICO, MA NON I 5 STELLE
All’indomani delle regionali del Friuli molti hanno preconizzato il declino inarrestabile dei 5 Stelle. Pesa, è ovvio, il Di Maio dei due forni, pronto a trattare sia col diavolo che con l’acqua santa pur di fare il premier. Conta il Roberto Fico con l’auto blu e la colf in nero. Scelte e comportamenti non particolarmente graditi a chi li ha votati.
Ma le regionali non sono le politiche. E, soprattutto, i 5 Stelle possono contare – come ha scritto Angelo Panebianco – sugli unici veri “poteri forti” del nostro Paese. L’editorialista del Corriere li chiama “i vertici delle magistrature e la dirigenza amministrativa, le tecnostrutture statali”.
Lasciamo perdere i burocrati e parliamo dei magistrati. Chi meglio di loro ha spianato la strada al voto pentastellato, al vaffà, al mandiamoli tutti a casa questi ladroni corrotti e incapaci dei politici? Lo hanno fatto, da mani pulite in poi, con indagini a tappeto – alcune fondate, tante altre dimostratesi farlocche – con un intento preciso: screditare l’intera classe politica e sostituirsi ad essa come detentori del potere.
Nessun altro Paese democratico ha magistrati sindaci di grandi città (Napoli), presidente di regione (Puglia) aspitanti ministri, non a caso in un governo 5 Stelle (Di Matteo); fino a realizzare il sogno dello storico procuratore capo di Milano, Saverio Borelli, che – per puro spirito di servizio e volontà di ripulire il Paese – era pronto a sacrificarsi ed accettare dal presidente Scalfaro l’incarico di formre un governo di salute pubblica.
A ben guardare i 5 Stelle non sono il partito né di Grillo né di Casaleggio ma delle toghe, le cui inchieste sempre appoggiano con incondizionato fervore. (Ed è questa la prima differenza tra loro e tutti gli altri partiti)
Dovrebbe bastare il buon senso ai cittadini per capire che è comunque meglio affidare il potere a politici anche di qualità discutibili ma comunque scelti da loro; sia pure con limiti (niente preferenze) e leggi elettorali imperfette, piuttosto che affidarlo, il potere, ai vincitori di concorso pubblico che nessuno può ne’ eleggere ne’ mandare a casa.
Dovrebbe. Ma così non è. E quindi il declino del consenso ai 5 Stelle non è affatto scontato; resta tutto da verificare nei tempi e nelle dimensioni il futuro del movimento sponsorizzato dalle toghe.
IL REDDITO DI CITTADINANZA C’E’ GIA’
I tanti che oggi si scandalizzano per il reddito di cittadinanza promesso e proposto dai 5 Stelle dovrebbero prendere atto che i grillini semplicemente si muovono sulla scia, in continuità con le misure di un welfare, certamente irresponsabile e deleterio per la crescita economica, ma che il nostro Paese sta adottando da almeno 50 anni
In occasione dell’incarico alla Casellati, che teoricamente poteva portare ad un presidente del consiglio veneto, siamo andati a vedere l’unico precedente: il vicentino Mariano Rumor per 5 volte premier dal 1968 al 1974. Passato alla storia, Rumor, per aver introdotto le baby pensioni. E cosa sono mai queste pensioni baby se non un reddito di cittadinanza ante litteram? Oggi sono ancora 500 mila coloro che percepiscono un assegno da prima del 1980. Costo: 9 miliardi di euro all’anno.
La cassa integrazione straordinaria in vigore per decenni cos’è stata e che effetti ha prodotto? Il rifiuto di tornare a lavorare e non usufruirne più era la norma. Secondo il Rapporto Eurispes 2016 l’83,3% dei cassintegrati integrava il reddito con lavoretti in nero: è o no anche questo un reddito di cittadinanza ante litteram?
Ultimo dei tanti esempi possibili (tralasciando i posti pubblici a vita senza alcun controllo né di presenza né di produttività) le pensioni di invalidità. Possibile che dal 2004 al 2016 il numero dei beneficiari sia passato da due a tre milioni? Con un costo lievitato da 8,5 a 15,4 miliardi di euro. Quanti sono i falsi invalidi che fruiscono del reddito di cittadinanza?
Vero ciò che tanto tempo fa diceva Leo Longanesi: “Una Repubblica fondata sul lavoro non sogna che il riposo”.
Ma vero anche che certi comportamenti dei cittadini derivano più spesso da perversi incentivi istituzionali – un welfare irresponsabile che affossa la cultura del lavoro – che da cattiveria o pigrizia.
D’altra parte parafrasando Milton Friedman: se pagate la gente per non lavorare e la tassate quando lavora, non stupitevi di creare disoccupazione.
Risultato finale: siamo il Paese Ocse con la crescita più bassa; tra il 1996 e il 2017 è stata solo del 6%. Perfino la Grecia tanto bistrattata ha fatto meglio col 16%.
(Ho citato ampi stralci dell’articolo di Carlo Stagnaro sul Foglio di giovedì 19 aprile)
MONDO CANE IERI, OGGI E DOMANI
Mondo cane è il titolo di uno splendido film documentario del 1962 di Jacopetti e Prosperi; un film pieno di scene amare perché dura e difficile era la vita allora per tante persone. Anche se nel raccontarla gli autori non lesinavano con l’ironia
Non ostante il titolo Jacopetti e Prosperi avevano omesso di parlare dei cani, dei loro problemi e delle torture che già allora venivano loro inflitte.
Nessuno si sognava, allora, di mettere sullo stesso piano animali e esseri umani, o addirittura di mettere al primo posto gli animali, i cani che allora erano cani da guardia non da compagnia né primo oggetto del nostro affetto e delle nostre attenzioni.
Il mondo cane di ieri.
Oggi il mondo è cambiato è diventato un mondo cane nel senso letterale del termine: dato che oggi i cani vengono prima degli umani. Basti vedere quanto accaduto in Trentino dove il pastore maremmano Miro, accusato di disturbare i vicini, è stato sottratto alla padrona e mandato in canile
Ma lei, la padrona ha lanciato l’hashtag “FreeMiro”, liberate Miro, e c’è stata un’autentica sollevazione popolare come nemmeno contro Weinstein e la violenza sulle donne: raccolte in un lampo oltre 250 mila firme; e il tribunale del riesame di Trento ha dovuto calare le braghe e liberare Miro da quell’autentico lager che, come noto, sono i canili.
Ora quanti anziani soli e abbandonati abbiamo nelle nostre città? Anziani che magari, come successo a Venezia, vengono ritrovati mummificati 7 anni dopo la morte?
E quante firme sono state raccolte per assistere e tutelare, oltre a Miro, i nostri anziani? Nemmeno una.
Quanti bambini abbiamo che vengono usati come strumenti di guerra dai loro genitori quando si separano; bambini che vengono straziati nei loro affetti più profondi; affetti, sensibilità – mi sia consentito dirlo – che non sono paragonabili a quelli di un cane o di un animale?
E quante firme, quante petizioni, sono state fatte per rinchiudere in canile questi sciagurati dei loro genitori? Nemmeno una.
Chi se ne frega degli anziani, dei bambini stuprati nei loro affetti!
L’importante è FreeMiro, liberare il pastore maremmano.
Quindi quale sarà il mondo cane di domani? Quello in cui verranno raccolti milioni di firme per proibire lo spry contro le zanzare, perché è crudele e incivile sopprimere così questi poveri animaletti.
Tanto gli anziani saranno morti, i bambini estinti e i cani scorrazzeranno liberi per il pianeta.
NOMADI E PREGIUDIZI XENOFOBI
Succede che, ogni sera, il cielo diventi scuro; diciamo pure nero. Che rilevarlo sia un pregiudizio xenofobo o un semplice dato di realtà?…
Ieri, in occasione della giornata internazionale di Rom, Sinti e Caminanti, il presidente Mattarella ha invitato a “superare pregiudizi e xenofobie” nei confronti dei nomadi e favorire invece la “loro integrazione”.
Matteo Salvini ha replicato: ”Se molti di loro lavorassero di più e rubassero di meno, se molti di loro mandassero i figli a scuola invece di educarli al furto, sarebbe davvero una festa…”
Sarà mica un pregiudizio xenofobo prendere atto che tanti nomadi rubano, ragazzine incinta (e quindi non perseguibili) e bambini compresi? O vogliamo credere che campino ferrando i cavalli e battendo il ferro?
Che poi è facile parlare di integrazione. Ma come la mettiamo con il rispetto dovuto alle culture “diverse”?
Sempre ieri Mattarella ha rivolto il suo augurio “a tutte le persone che hanno radici nella cultura millenaria di questi popoli antichi”. Non c’è dubbio che sia millenaria l’abitudine allo spostamento dei Caminanti, che sono appunto nomadi. Ma, se rispettiamo questo loro diritto al nomadismo, manca il presupposto di base per far rispettare l’obbligo scolastico ai loro figli. A meno di non ipotizzare istituti scolastici itineranti, gestiti dall’Opera Nomadi…
Possiamo imporre loro di diventare stanziali o è un vulnus intollerabile alla loro millenaria cultura? E’ l’esempio, per certi versi più banale, di come sia impossibile l’integrazione se vogliamo rispettare la diversità
La lezione dei nomadi è secolare, quella degli islamici molto più recente ma per certi versi identica: è pura fuffa parlare di integrazione se non si è determinati ad imporre una eguale cultura. Cultura intesa come diritti, doveri, rispetto da parte di tutti delle leggi di un Paese. E chi non lo accetta non può che essere “discriminato”. Dopo di che ognuno può cucinarsi il piatto tipico e adorare (se lo vuole) la divinità più gradita.
Ultime considerazione sull’Opera Nomadi, un tempo assai di moda oggi desaparecida o quasi. Ho come il sospetto che il buonismo speculativo abbia trovato più proficuo occuparsi dei migranti che di Rom, Sinti e Caminanti…
FLICK O FLOCK CAMBIA POCO NULLA
L’unico che da giorni aveva previsto come sarebbe andata a finire (oltre a Lillo Aldegheri) è stato Giuliano Ferrara: ovvio, inevitabile risultato elettorale alla mano, la nascita del governo al bacio Salvini-Di Maio.
Fermo restando – aggiungeva Ferrara – che nessuno dei due può fare il premier, e quindi verrà scelta una figura istituzionale: Giovanni Maria Flick, e se non sarà lui sarà un altro. Flick o flock poco cambia.
Ma cambia poco o nulla anche col governo al bacio. Molti dipingono come una tragedia il governo dei populisti, degli euroscettici. Dimenticando che, anche quando facevamo parte della Nato, eravamo ” Natoscettici”: cioè facevamo accordi e affari anche con l’Unione Sovietica, portando la Fiat a Togliattigrad…Stavamo con Israele ma anche con i Paesi arabi; facemmo accordi perfino con i terroristi palestinesi garantendo loro il libero transito verso le olimpiadi di Monaco…
La nostra caratteristica è la capacità di stare su più staffe, di sfangarla comunque e sempre com’è nei cromosomi di noi italiani che – ricorda l’inno nazionale – “per secoli fummo calpesti e derisi”, cioè invasi da tutti gli invasori possibili; e quindi: viva la Francia, viva la Spagna purchè…
Cosà faranno i due del governo al bacio? Una gamba in Europa, un’altra con Putin, la terza con Trump. E si tira a campare, come sempre avvenuto.
D’altronde già i programmi vengono ridimensionati: la flat tax al 15% diventa “riduzione fiscale” (di qualche punticino), il reddito di cittadinanza ora è “aiuto al lavoro”…E maturano anche i soggetti politici: gli stessi grillini che un anno fa non vollero le olimpiadi a Roma adesso le vogliono a Torino. Stanno mutando proprio come i sindaci della Lega: i primi erano idealisti, pieni di progetti fantasiosi; ora sono dei neo democristiani impegnati a governare i loro comuni con senso della realtà. Consapevoli cioè che quattro cose si possono fare, e quaranta no.
Nessuna tragedia dunque. Il governo al bacio Salvini-Di Maio garantisce semplicemente un ricambio di classe dirigente (non della sua qualità). Fermo restando che presente e futuro di noi italioti resta scolpito nel Gattopardo: bisogna far finta che tutto cambi, perché tutto rimanga uguale.
IL PROBLEMA SIAMO NOI, NON I SOCIAL
Lo scandalo Facebook, di cui tanto si parla, è così sintetizzabile: violando la privacy hanno venduto dati personali e orientamenti degli utilizzatori dei social a chi ha confezionato un messaggio elettorale utile a far vincere un certo candidato o un certo partito. A cominciare da Donald Trump.
Piccolo precedente: i social piacevano tanto a Barak Obama, strumento di comunicazione moderno e progressista, che oltre a giovare a lui avrebbe fatto vincere anche Hillary. Non è andata così…e allora sono diventati strumento del demonio.
Il realtà sono solo un nuovo strumento, commerciale oltre che elettorale, come lo erano i manifesti. Precedente storico, prime elezioni politiche del 1948, il famoso manifesto: “Nell’urna Dio ti vede, Stalin no”. Il problema non era il manifesto o lo slogan. Il problema, allora come oggi, siamo noi: crederci o non crederci.
Vale per tutti gli altri strumenti usati nelle campagne elettorali: radio, televisioni, social. Se mai la differenza lo fa la capacità di usarli: Trump ha usato i social meglio della Clinton, Berlusca usava le tivvù molto meglio di Prodi.
Ma il problema primo restiamo noi. I social sono anzitutto il nostro strumento di esibizione (infantile) di massa: ci mettiamo tutti i nostri dati, i gusti e le abitudini, le foto anche hard; non resistiamo nemmeno alla tentazione di scrivere dove e quando andiamo in vacanza. Che così i ladri ci sguazzano a derubare abitazioni sapendole deserte. Colpa dei social o colpa nostra?
Quando noi esibiamo tutta la nostra privacy di che violazione della privacy stiamo a parlare? Mettiamo gratuitamente sul banco la mercanzia per poi stupirci se qualcuno (Facebook, Zuckerberg) la vende a fini commerciali o elettorali?
Il problema non sono mai gli strumenti, ma la nostra capacità o meno di usarli in un modo adeguato e che non sia autolesionista.
MORTE ELETTORALE PER CHI GOVERNA
Piccolo ricordo storico per gli smemorati: come mai dal 1994 non abbiamo mai avuto continuità di esecutivi, come mai ogni volta si passava da un governo di centrodestra (Berlusconi) ad uno di centrosinistra (Prodi) e viceversa? Come mai Monti quando, dopo aver governato, ha provato a fare un suo partito è defunto? Come mai oggi il Pd è ai minimi storici e il centro di Alfano è scomparso?
Risposta ovvia. Chi governa il nostro Paese una cosa anzitutto si garantisce: la sconfitta, la morte elettorale.
Dal che se ne deduce che tanto Salvini quanto Di Maio sarebbero degli autolesionisti per il proprio partito se lo portassero al governo. Specie oggi che c’è da varare una manovra, un Def (Documento di economia e finanza) che non potrà che essere da lacrime e sangue.
Facile elargire promesse elettorali. Masochismo puro andare al governo e dimostrare così che sono inattuabili. Stando all’opposizione (o comunque defilati) Salvini e Di Maio hanno tutto da guadagnare; andando al governo del Paese tutto da perdere.
Quindi è puro gossip quello sulle trattative, più o meno segrete, che i due starebbero già portando avanti per varare assieme (o anche no) un esecutivo.
Sull’altro versante la resurrezione del Pd – Renzi o non Renzi – è garantita solo standosene qualche annetto all’opposizione.
Il nostro Paese è semplicemente ingovernabile. Perché è incartato tra debito esorbitante, spesa pubblica alle stelle, impossibilità di ridurla cioè di falcidiare gli statali; e poi tasse, burocrazia, scarsa produttività.
L’unica soluzione seria l’aveva prospettata Enrico Letta parlando di “politica del cacciavite”: cioè puoi solo cercare di dare un’aggiustatina qua e là. Mentre gli elettori pretenderebbero il demolitore, seguito dalla radicale ricostruzione del Paese. Pura fantasia sganciata dalla realtà.
Quindi cosa succederà? La soluzione più logica e probabile sembrerebbe quella di un Gentiloni bis (o chi per lui) inteso come governo tecnico che vari alcuni provvedimenti dolorosi e inevitabili, senza che alcuna forza politica sia chiamata ad assumersene direttamente la responsabilità. Una riedizione della “non sfiducia”. E poi si vedrà…
Se non vuoi la morte elettorale, tutti all’opposizione e nessuno al governo.
NORD-SUD IN ROTTA DI COLLISIONE
Lo scenario più corretto dell’Italia uscita dalle urne credo l’abbia fatto oggi sul Corriere Angelo Panebianco: Nord e Sud sono in rotta di collisione.
Il Giornale aveva confrontato le due mappe. Quella tra la larga maggioranza dei voti 5 Stelle al Sud e l’altra coi confini dell’allora Regno delle due Sicilie dei Borboni. Ma si può fare anche un altro raffronto: tra i voti presi al Nord dal centrodestra e l’allora Lombardo Veneto degli Asburgo.
La realtà è che si profila oggi una spaccatura simile all’Italia preunitaria.
Scrive Panebianco: “E’ certo che un gruppo politico fortemente meridionalizzato qual è oggi il Movimento 5 Stelle dovrà tentare di ridistribuire risorse verso il Sud…E’ altrettanto certo che le zone produttive del Paese resisteranno ad un simile tentativo di ridistribuzione della ricchezza e che di questa resistenza non potrà non farsi interprete una coalizione così nettamente nordista qual è il centrodestra”.
Quindi le contrapposte risposte da dare al proprio territorio elettorale escludono (escluderebbero) un governo 5 Stelle-Lega.
Sempre Panebianco osserva che fin’ora l’Italia ha avuto sempre un “federatore”, cioè un leader, un partito, impegnato a tenere assieme le diverse aspettative di Nord e Sud: per decenni la Dc, poi Berlusconi (che infatti prendeva voti sia qui che in Meridione), lo stesso Renzi quando parlava di “partito della nazione”.
Oggi quel federatore non c’è più. E per questo si prospetta una rotta di collisione senza precedenti tra Nord e Sud.
La soluzione – tanto paradossale quanto impraticabile – sarebbe che Mattarella desse due incarichi: a Di Maio per il governo del Sud e a Salvini per il governo del Nord…
Dopo di che un qualche governo o pastrocchio di scopo salterà fuori. Ma la profonda spaccatura resterà e non potrà che accentuarsi.
HA VINTO GINO BARTALI
Nessun dubbio che a trionfare nell’urna siano stati Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma le elezioni hanno anche un vincitore morale, benché postumo: Gino Bartali.
Lasciamo stare il campione e l’uomo eccezionale, quando veniva interpellato su qualunque questione Ginettaccio esordiva dicendo “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare…”. Parola d’ordine che ieri la maggioranza degli elettori ha fatta propria.
L’è tutta sbagliata questa classe politica. Non solo quando ha governato il centrosinistra, anche con Berlusconi ieri sorpassato e umiliato da Salvini. Un Cavaliere “scaduto” come l’ha apostrofato la femen che lo contestava a torso nudo al seggio elettorale.
Sbagliate le politiche sull’immigrazione, sulla sicurezza, su giovani e lavoro, sulle tasse, sulla burocrazia. L’è tutto sbagliato. Resta da verificare chi e come rifarà tutto. Chi garantirà un radioso nuovo inizio al nostro Paese.
I numeri direbbero che spetta ai due trionfatori. Al governo Di Maio-Salvini. Ma c’è una differenza che non mi sembra secondaria. Guardando al nostro Veneto sindaci e amministratori locali della Lega sono – mediamente – persone capaci e collaudate. Hanno un vizio intollerabile per i 5 Stelle: sono amministratori, politici, di lungo corso e competenti.
Senza aggiungere che partiti nazionalisti o sovranisti, o populisti che dir si voglia, li troviamo più o meno radicati in tanti Paesi europei. Mentre qualcosa di paragonabile al Movimento pentastellato esiste solo ed esclusivamente a casa nostra.
Tornando a Gino Bartali il suo mantra si è diffuso nei decenni grazie ai media, che tendono sempre a privilegiare le notizie cattive rispetto a quelle incoraggianti (si parla poco dei tanti medici che fanno il loro dovere, molto dei furbetti in camice bianco) grazie anche a tante associazioni private la cui ragione sociale è dimostrare che i consumatori, piuttosto che i contribuenti, vengono costantemente truffati. Senza dire che è tanto bello convincersi che “l’è tutto sbagliato” sempre per colpa degli altri e mai per colpa nostra. E così è arrivato il risultato elettorale di ieri.
Dopo di che? Non resta che guardare all’opera i nuovi costruttori, quelli che rifaranno il Paese, che lo rivolteranno come un calzino. Magari garantendo a tutti il reddito di cittadinanza senza bisogno di affannarsi a creare nuovi posti di lavoro: basterà finanziarlo tagliando le pensioni d’oro. Magari tornerà anche l’amata liretta al posto dell’euro nostra prima rovina…
Auguri e buon lavoro.