Lo scandalo Facebook, di cui tanto si parla, è così sintetizzabile: violando la privacy hanno venduto dati personali e orientamenti degli utilizzatori dei social a chi ha confezionato un messaggio elettorale utile a far vincere un certo candidato o un certo partito. A cominciare da Donald Trump.
Piccolo precedente: i social piacevano tanto a Barak Obama, strumento di comunicazione moderno e progressista, che oltre a giovare a lui avrebbe fatto vincere anche Hillary. Non è andata così…e allora sono diventati strumento del demonio.
Il realtà sono solo un nuovo strumento, commerciale oltre che elettorale, come lo erano i manifesti. Precedente storico, prime elezioni politiche del 1948, il famoso manifesto: “Nell’urna Dio ti vede, Stalin no”. Il problema non era il manifesto o lo slogan. Il problema, allora come oggi, siamo noi: crederci o non crederci.
Vale per tutti gli altri strumenti usati nelle campagne elettorali: radio, televisioni, social. Se mai la differenza lo fa la capacità di usarli: Trump ha usato i social meglio della Clinton, Berlusca usava le tivvù molto meglio di Prodi.
Ma il problema primo restiamo noi. I social sono anzitutto il nostro strumento di esibizione (infantile) di massa: ci mettiamo tutti i nostri dati, i gusti e le abitudini, le foto anche hard; non resistiamo nemmeno alla tentazione di scrivere dove e quando andiamo in vacanza. Che così i ladri ci sguazzano a derubare abitazioni sapendole deserte. Colpa dei social o colpa nostra?
Quando noi esibiamo tutta la nostra privacy di che violazione della privacy stiamo a parlare? Mettiamo gratuitamente sul banco la mercanzia per poi stupirci se qualcuno (Facebook, Zuckerberg) la vende a fini commerciali o elettorali?
Il problema non sono mai gli strumenti, ma la nostra capacità o meno di usarli in un modo adeguato e che non sia autolesionista.
MORTE ELETTORALE PER CHI GOVERNA
Piccolo ricordo storico per gli smemorati: come mai dal 1994 non abbiamo mai avuto continuità di esecutivi, come mai ogni volta si passava da un governo di centrodestra (Berlusconi) ad uno di centrosinistra (Prodi) e viceversa? Come mai Monti quando, dopo aver governato, ha provato a fare un suo partito è defunto? Come mai oggi il Pd è ai minimi storici e il centro di Alfano è scomparso?
Risposta ovvia. Chi governa il nostro Paese una cosa anzitutto si garantisce: la sconfitta, la morte elettorale.
Dal che se ne deduce che tanto Salvini quanto Di Maio sarebbero degli autolesionisti per il proprio partito se lo portassero al governo. Specie oggi che c’è da varare una manovra, un Def (Documento di economia e finanza) che non potrà che essere da lacrime e sangue.
Facile elargire promesse elettorali. Masochismo puro andare al governo e dimostrare così che sono inattuabili. Stando all’opposizione (o comunque defilati) Salvini e Di Maio hanno tutto da guadagnare; andando al governo del Paese tutto da perdere.
Quindi è puro gossip quello sulle trattative, più o meno segrete, che i due starebbero già portando avanti per varare assieme (o anche no) un esecutivo.
Sull’altro versante la resurrezione del Pd – Renzi o non Renzi – è garantita solo standosene qualche annetto all’opposizione.
Il nostro Paese è semplicemente ingovernabile. Perché è incartato tra debito esorbitante, spesa pubblica alle stelle, impossibilità di ridurla cioè di falcidiare gli statali; e poi tasse, burocrazia, scarsa produttività.
L’unica soluzione seria l’aveva prospettata Enrico Letta parlando di “politica del cacciavite”: cioè puoi solo cercare di dare un’aggiustatina qua e là. Mentre gli elettori pretenderebbero il demolitore, seguito dalla radicale ricostruzione del Paese. Pura fantasia sganciata dalla realtà.
Quindi cosa succederà? La soluzione più logica e probabile sembrerebbe quella di un Gentiloni bis (o chi per lui) inteso come governo tecnico che vari alcuni provvedimenti dolorosi e inevitabili, senza che alcuna forza politica sia chiamata ad assumersene direttamente la responsabilità. Una riedizione della “non sfiducia”. E poi si vedrà…
Se non vuoi la morte elettorale, tutti all’opposizione e nessuno al governo.
NORD-SUD IN ROTTA DI COLLISIONE
Lo scenario più corretto dell’Italia uscita dalle urne credo l’abbia fatto oggi sul Corriere Angelo Panebianco: Nord e Sud sono in rotta di collisione.
Il Giornale aveva confrontato le due mappe. Quella tra la larga maggioranza dei voti 5 Stelle al Sud e l’altra coi confini dell’allora Regno delle due Sicilie dei Borboni. Ma si può fare anche un altro raffronto: tra i voti presi al Nord dal centrodestra e l’allora Lombardo Veneto degli Asburgo.
La realtà è che si profila oggi una spaccatura simile all’Italia preunitaria.
Scrive Panebianco: “E’ certo che un gruppo politico fortemente meridionalizzato qual è oggi il Movimento 5 Stelle dovrà tentare di ridistribuire risorse verso il Sud…E’ altrettanto certo che le zone produttive del Paese resisteranno ad un simile tentativo di ridistribuzione della ricchezza e che di questa resistenza non potrà non farsi interprete una coalizione così nettamente nordista qual è il centrodestra”.
Quindi le contrapposte risposte da dare al proprio territorio elettorale escludono (escluderebbero) un governo 5 Stelle-Lega.
Sempre Panebianco osserva che fin’ora l’Italia ha avuto sempre un “federatore”, cioè un leader, un partito, impegnato a tenere assieme le diverse aspettative di Nord e Sud: per decenni la Dc, poi Berlusconi (che infatti prendeva voti sia qui che in Meridione), lo stesso Renzi quando parlava di “partito della nazione”.
Oggi quel federatore non c’è più. E per questo si prospetta una rotta di collisione senza precedenti tra Nord e Sud.
La soluzione – tanto paradossale quanto impraticabile – sarebbe che Mattarella desse due incarichi: a Di Maio per il governo del Sud e a Salvini per il governo del Nord…
Dopo di che un qualche governo o pastrocchio di scopo salterà fuori. Ma la profonda spaccatura resterà e non potrà che accentuarsi.
HA VINTO GINO BARTALI
Nessun dubbio che a trionfare nell’urna siano stati Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma le elezioni hanno anche un vincitore morale, benché postumo: Gino Bartali.
Lasciamo stare il campione e l’uomo eccezionale, quando veniva interpellato su qualunque questione Ginettaccio esordiva dicendo “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare…”. Parola d’ordine che ieri la maggioranza degli elettori ha fatta propria.
L’è tutta sbagliata questa classe politica. Non solo quando ha governato il centrosinistra, anche con Berlusconi ieri sorpassato e umiliato da Salvini. Un Cavaliere “scaduto” come l’ha apostrofato la femen che lo contestava a torso nudo al seggio elettorale.
Sbagliate le politiche sull’immigrazione, sulla sicurezza, su giovani e lavoro, sulle tasse, sulla burocrazia. L’è tutto sbagliato. Resta da verificare chi e come rifarà tutto. Chi garantirà un radioso nuovo inizio al nostro Paese.
I numeri direbbero che spetta ai due trionfatori. Al governo Di Maio-Salvini. Ma c’è una differenza che non mi sembra secondaria. Guardando al nostro Veneto sindaci e amministratori locali della Lega sono – mediamente – persone capaci e collaudate. Hanno un vizio intollerabile per i 5 Stelle: sono amministratori, politici, di lungo corso e competenti.
Senza aggiungere che partiti nazionalisti o sovranisti, o populisti che dir si voglia, li troviamo più o meno radicati in tanti Paesi europei. Mentre qualcosa di paragonabile al Movimento pentastellato esiste solo ed esclusivamente a casa nostra.
Tornando a Gino Bartali il suo mantra si è diffuso nei decenni grazie ai media, che tendono sempre a privilegiare le notizie cattive rispetto a quelle incoraggianti (si parla poco dei tanti medici che fanno il loro dovere, molto dei furbetti in camice bianco) grazie anche a tante associazioni private la cui ragione sociale è dimostrare che i consumatori, piuttosto che i contribuenti, vengono costantemente truffati. Senza dire che è tanto bello convincersi che “l’è tutto sbagliato” sempre per colpa degli altri e mai per colpa nostra. E così è arrivato il risultato elettorale di ieri.
Dopo di che? Non resta che guardare all’opera i nuovi costruttori, quelli che rifaranno il Paese, che lo rivolteranno come un calzino. Magari garantendo a tutti il reddito di cittadinanza senza bisogno di affannarsi a creare nuovi posti di lavoro: basterà finanziarlo tagliando le pensioni d’oro. Magari tornerà anche l’amata liretta al posto dell’euro nostra prima rovina…
Auguri e buon lavoro.
ELEGGERE I PIU’ CAPACI E’ ARDUO
L’insigne giurista Sabino Cassese oggi sul Corriere parla de “il valore di chi è più capace” e spiega che, in una democrazia parlamentare qual è la nostra, dovremmo appunto eleggere in parlamento i più capaci.
“Se chiediamo all’idraulico – scrive – o al falegname, al chirurgo o all’ingegnere che sappiano fare (e bene) il loro mestiere, perché la competenza non dovrebbe essere uno dei criteri per scegliere coloro che debbono svolgere una funzione molto più importante e gravida di conseguenze per la collettività…”
Ragionamento inappuntabile, ma scegliere dei parlamentari capaci è un’impresa ardua. Per un semplice motivo: la professionalità dell’idraulico o del chirurgo possiamo valutarla per esperienza diretta o attraverso parenti e conoscenti. Mentre per i politici non è così. Possiamo dare un giudizio, positivo o meno, dei candidati che abbiano fatto il sindaco o l’assessore nel nostro comune. Ma tutti gli altri sono per noi elettori perfetti sconosciuti.
Per gli uscenti si può pensare che noi cittadini abbiamo seguito e valutato il loro lavoro nelle varie commissioni parlamentari? Non direi proprio. E poi gli uscenti sono una minoranza. La gran moda oggi è quella del ricambio: oltre il 75% dei candidati nei collegi uninominali e il 79% dei candidati nel proporzionale non hanno mai seduto prima in parlamento.
Massimo possiamo dire è una ragazza seria, è un ragazzo pulito; o apprezzarli come professionisti, in quanto li conosciamo come avvocati, medici, imprenditori o idraulici. Ma che sono, appunto, professioni totalmente diverse dalla politica. Puoi eccellere nel tuo mestiere, ma nessuna garanzia che l’eccellenza sia confermata nel passaggio alla politica
Quindi nella quasi totalità dei casi chi andrà a votare il 4 marzo manderà in parlamento persone a lui totalmente sconosciute. Non voteremo per i candidati, ma per gli schieramenti convinti a farlo dalle promesse, dagli impegni elettorali dei vari leader nazionali.
Il che è un paradosso per una democrazia parlamentare dove l’ultima parola dovrebbe, appunto, spettare a chi in parlamento siede mandato da noi elettori, e non ai leader dei partiti che non eleggiamo non avendo un sistema presidenziale.
LA RESURREZIONE DEGLI ESTREMISMI
Non che non sia grave questa “par condicio” della violenza nera e rossa, con quanto accaduto ieri a Palermo e a Perugia. Ma l’enorme risalto che le stanno dando tutti i media rischia di avere un effetto preciso: la resurrezione degli estremismi che, fortunatamente, nel nostro Paese vanno verso l’estinzione.
Gli esponenti di Forza Nuova che manifestarono davanti alla sede di Repubblica erano quattro gatti. I centri sociali stanno spopolandosi, anche perché leader carismatici come il veneto Luca Casarin sono ormai in pensione e non si intravvedono sostituti.
Restano, certo, rigurgiti di violenza ma nemmeno lontanamente paragonabili alle stragi compiute negli Anni 60-70 dai brigatisti rossi e dal terrorismo nero.
In questo senso mi pare del tutto spropositato che Il Gazzettino titoli oggi: “ L’anarco-insurrezionalismo minaccia più seria della Jihad”…
Tutti i partiti o quasi cavalcano “l’onda” che fa loro comodo convinti di trarne un profitto elettorale. Quando un Paese serio dovrebbe prendere le distanze da ogni forma di estremismo a prescindere dal colore dell’onda…Ma siamo il Paese che siamo.
Istruttivo lo sfregio alla lapide di Aldo Moro con la scritta “a morte le guardie” firmata con la svastica. Dimostra che i neonazisti la pensano allo stesso modo dei brigatisti rossi che ammazzarono gli uomini della scorta di Moro.
Un altro leader storico della Dc, Amintore Fanfani, parlò allora di “opposti estremismi”, intendendo che erano uguali al di là del colore politico e dei progetti sbandierati.
Lui aveva capito tutto. Noi abbiamo dimenticato tutto.
DISTINGUERE RAZZISMO DA XENOFOBIA
Quanto successo a Macerata è razzismo autentico. Non siamo di fronte alle parole, ai buuh rivolti negli stadi ai giocatori di colore, ma ai fatti, alle azioni: lo stesso autore del raid, Luca Traini, ha ribadito che voleva ucciderli tutti perché erano neri.
Resta da capire se sia un episodio isolato o se il razzismo, dei fatti, dilaghi nel nostro Paese. Va comunque distinto il razzismo dalla xenofobia, dalla paura degli stranieri che può essere giustificata o meno.
E’ assurdo che oggi Libero scriva che “un governo incapace provoca il razzismo”. Ma è un fatto che l’incapacità di governare l’integrazione alimenta la xenofobia.
Qualunque modello di integrazione adottato in Europa, da quello francese molto rigido a quello inglese molto liberale, non ha dato risultati soddisfacenti.
Prendiamo atto che i migranti dall’est europeo – fatta la pesante tara dei predoni – quelli arrivati per lavorare non hanno problemi ad integrarsi, ad accettare le nostre regole e i nostri modelli di vita. Mentre non è così per certi africani e per gli islamici in particolare: anche quelli che lavorano mantengono usi e costumi che confliggono pesantemente con i nostri.
Si prospetta dunque una progressione inquietante: se non si riesce ad attuare una vera integrazione, la xenofobia è destinata ad aumentare col rischio che sfoci anche in azioni razzista. Azioni che sicuramente vanno condannate, ma che non basta condannare per fermare.
Dopo di che la xenofobia ha radici nella realtà, cioè nell’incapacità di tutelare in modo adeguato specie le fasce più deboli della popolazione che vivono nelle periferie e nelle case Ater.
Non si può arrivare al paradosso di affermare che o sei accogliente a 360 gradi, e senza remora alcuna, oppure sei un razzista.
Vogliamo togliere alla Lega il brodo elettorale in cui sguazza? L’unico modo è un governo più efficace dell’immigrazione. Vaste programme…
LE DUE LETTERE A MATTARELLA
Durante le festività il presidente Sergio Mattarella ha ricevuto due lettere. Della prima hanno parlato tutti i media: scritta a nome dei bambini stranieri nati in Italia chiedeva di “non lasciarli soli ancora una volta” cioè di approvare lo Jus soli. Questione ormai rimandata alla prossima legislatura.
Meno risalto ha avuto la seconda lettera inviata a lui, politico siciliano, da alcune madri siciliane che lamentavano di aver fatto grossi sacrifici per far studiare i loro figli i quali, ciò non ostante, non hanno trovato lavoro nell’isola e sono dovuto emigrare. “Non si lasci scappare questi suoi ragazzi, signor presidente”, chiedevano le madri a Mattarella.
Pare siano stati duecentomila i giovani a lasciare la Sicilia negli ultimi dieci anni.
Ma qui emerge una considerazione di fondo su come creare crescita vera e posti di lavoro autentici.
La Sicilia infatti ha avuto l’autonomia regionale più spinta d’Italia, “denaro a vagonate – ha osservato Libero – ministri, presidenti, politici onnipotenti, magistrati e papaveri di altissimo livello, regalie di ogni genere, investimenti a fondo perso, la casta più numerosa e coccolata del Paese, più forestali che alberi…stabilimenti Fiat, turismo d’élite, un’agricoltura potenzialmente imbattibile. Tutto inutile, nulla è servito a farla decollare”
Mi pare indiscutibile che il risultato sia quello sottolineato da Libero. Ma una lezione precisa emerge – per chi vuole coglierla – dall’esito siciliano: l’assistenzialismo, anche il più smodato, non crea mai una crescita vera ma solo miseria. La carità, anche quella di Stato, garantisce solo il perpetrarsi della povertà.
Ma questa lezione siciliana tutti la ignorano: l’attuale governo ha varato il “reddito di inclusione”; Berlusconiu lancia un piano da mille euro per il “reddito di dignità; Grillo insiste sul “reddito di cittadinanza”…
Avanti così con l’assistenzialismo, la carità di Stato, che il risultato è garantito: tutta Italia diventerà come la Sicilia, ed emigreranno sempre più tutti i ragazzi italiani non solo quelli siciliani.
L’EUTANASIA DEI LAVORI PUBBLICI
Nel nostro Paese i lavori pubblici, le grandi opere, sono all’eutanasia o, fate voi, al fine vita.
Emblematico il caso del più importante intervento di strutture sanitarie previsto nel nostro territorio: il nuovo ospedale di Padova che dovrebbe essere un’eccellenza per l’intero Veneto.
Dopo decenni di discussioni e rinvii, la Regione e il Comune hanno trovato e firmato un accordo su come e dove farlo. Applausi e soddisfazione unanimi. Piccolo dettaglio: manca la certezza dei finanziamenti; Zaia ha chiesto un miliardo a Roma.
Altro piccolo dettaglio: i tempi. Lo stesso Luca Zaia –con enorme ottimismo – ha previsto almeno tre anni e mezzo per l’inizio lavori e almeno altri otto anni per completarlo.
Lasciamo perdere l’esempio della Cina dove in 48 ore si costruisce un palazzo e i sei mesi una diga enorme. Guardiamo noi: a quando eravamo un Paese e non il bordello attuale.
1964. L’allora presidente del consiglio Aldo Moro inaugura l’Autostrada del Sole: 759 chilometri da Milano a Bologna a Firenze a Roma a Napoli; con tanto di valichi degli Appennini. I lavori erano iniziati otto anni prima. Servirono allora otto anni per costruire l’Autostrada del Sole. Oggi ce ne vorrebbero otto (fingiamo di crederci) per costruire l’ospedale di Padova! Chiaro esempio, mi pare, di un Paese che, quanto ad efficienza, ha compiuto passi indietro da gigante…
Basta o no a dimostrare che i lavori pubblici, le grandi opere sono al fine vita? Sottolineando i tempi previsti in un servizio sul Tg Padova mi sono permesso di scherzare, ma non tanto, dicendo: auguriamo ai padovani neonati di vivere abbastanza a lungo da riuscire a vedere il nuovo ospedale nella loro città.
Oggi riusciamo a mala pena a costruire qualche rotonda. In quanto tempo? Più meno lo stesso che serviva nel 1964 per realizzare quaranta-cinquanta chilometri di autostrada.
ACHILLE LAURO ERA PIU’ SERIO
E’ iniziata la campagna elettorale per le politiche a suon di promesse, fatte a prescindere dai soldi cioè dalle risorse disponibili. Senza mai indicare come verrà coperta la spesa.
Bene ha fatto Giannelli oggi sul Corriere a disegnare Renzi e Berlusconi come Babbo Natale che dispensano regali all’angolo delle strade.
Achille Lauro era più serio. Il capostipite della famiglia di armatori, quando si candidò a sindaco di Napoli negli anni Cinquanta, comprò i voti. Si narra di mezza banconota data prima del voto e l’altra mezza dopo la verifica dal seggio…Ma li comprò con soldi veri e con soldi suoi. Non con promesse fatte ignorando che le casse del nostro stato sono devastate: debito pubblico e spesa pensionistica i più alti in Europa, dopo la Grecia.
Non si tratta di negare che le promesse fatte da Renzi (bonus per tutti) dal Berlusca (pensioni minime a mille euro) e degli stessi 5 Stelle (reddito di cittadinanza) rispondano a esigenze reali e attese concrete. Ma, se non chiarisci dove troverai le risorse per coprire le nuove spese, stai promettendo il nulla.
Tanto più oggi quando non c’è politico italiano – dal consigliere dell’ultimo comunello al capo dello Stato – a non sapere che nel 2008 ci aspetta una manovra da lacrime e sangue, con conseguente ulteriore stangata fiscale (Iva compresa) per provare a contenere la nostra spesa pubblica, non certo per espanderla ulteriormente.
Ma il punto è anche questo: che fine farebbe un leader politico che, a noi italiani, promettesse lacrime e sangue? Dritto al cimitero, altroché Fornero…Quindi non stupiamoci che facciano campagna elettorale e suon di quelle fake news che noi per primi vogliamo sentirci raccontare.