L’insigne giurista Sabino Cassese oggi sul Corriere parla de “il valore di chi è più capace” e spiega che, in una democrazia parlamentare qual è la nostra, dovremmo appunto eleggere in parlamento i più capaci.
“Se chiediamo all’idraulico – scrive – o al falegname, al chirurgo o all’ingegnere che sappiano fare (e bene) il loro mestiere, perché la competenza non dovrebbe essere uno dei criteri per scegliere coloro che debbono svolgere una funzione molto più importante e gravida di conseguenze per la collettività…”
Ragionamento inappuntabile, ma scegliere dei parlamentari capaci è un’impresa ardua. Per un semplice motivo: la professionalità dell’idraulico o del chirurgo possiamo valutarla per esperienza diretta o attraverso parenti e conoscenti. Mentre per i politici non è così. Possiamo dare un giudizio, positivo o meno, dei candidati che abbiano fatto il sindaco o l’assessore nel nostro comune. Ma tutti gli altri sono per noi elettori perfetti sconosciuti.
Per gli uscenti si può pensare che noi cittadini abbiamo seguito e valutato il loro lavoro nelle varie commissioni parlamentari? Non direi proprio. E poi gli uscenti sono una minoranza. La gran moda oggi è quella del ricambio: oltre il 75% dei candidati nei collegi uninominali e il 79% dei candidati nel proporzionale non hanno mai seduto prima in parlamento.
Massimo possiamo dire è una ragazza seria, è un ragazzo pulito; o apprezzarli come professionisti, in quanto li conosciamo come avvocati, medici, imprenditori o idraulici. Ma che sono, appunto, professioni totalmente diverse dalla politica. Puoi eccellere nel tuo mestiere, ma nessuna garanzia che l’eccellenza sia confermata nel passaggio alla politica
Quindi nella quasi totalità dei casi chi andrà a votare il 4 marzo manderà in parlamento persone a lui totalmente sconosciute. Non voteremo per i candidati, ma per gli schieramenti convinti a farlo dalle promesse, dagli impegni elettorali dei vari leader nazionali.
Il che è un paradosso per una democrazia parlamentare dove l’ultima parola dovrebbe, appunto, spettare a chi in parlamento siede mandato da noi elettori, e non ai leader dei partiti che non eleggiamo non avendo un sistema presidenziale.
LA RESURREZIONE DEGLI ESTREMISMI
Non che non sia grave questa “par condicio” della violenza nera e rossa, con quanto accaduto ieri a Palermo e a Perugia. Ma l’enorme risalto che le stanno dando tutti i media rischia di avere un effetto preciso: la resurrezione degli estremismi che, fortunatamente, nel nostro Paese vanno verso l’estinzione.
Gli esponenti di Forza Nuova che manifestarono davanti alla sede di Repubblica erano quattro gatti. I centri sociali stanno spopolandosi, anche perché leader carismatici come il veneto Luca Casarin sono ormai in pensione e non si intravvedono sostituti.
Restano, certo, rigurgiti di violenza ma nemmeno lontanamente paragonabili alle stragi compiute negli Anni 60-70 dai brigatisti rossi e dal terrorismo nero.
In questo senso mi pare del tutto spropositato che Il Gazzettino titoli oggi: “ L’anarco-insurrezionalismo minaccia più seria della Jihad”…
Tutti i partiti o quasi cavalcano “l’onda” che fa loro comodo convinti di trarne un profitto elettorale. Quando un Paese serio dovrebbe prendere le distanze da ogni forma di estremismo a prescindere dal colore dell’onda…Ma siamo il Paese che siamo.
Istruttivo lo sfregio alla lapide di Aldo Moro con la scritta “a morte le guardie” firmata con la svastica. Dimostra che i neonazisti la pensano allo stesso modo dei brigatisti rossi che ammazzarono gli uomini della scorta di Moro.
Un altro leader storico della Dc, Amintore Fanfani, parlò allora di “opposti estremismi”, intendendo che erano uguali al di là del colore politico e dei progetti sbandierati.
Lui aveva capito tutto. Noi abbiamo dimenticato tutto.
DISTINGUERE RAZZISMO DA XENOFOBIA
Quanto successo a Macerata è razzismo autentico. Non siamo di fronte alle parole, ai buuh rivolti negli stadi ai giocatori di colore, ma ai fatti, alle azioni: lo stesso autore del raid, Luca Traini, ha ribadito che voleva ucciderli tutti perché erano neri.
Resta da capire se sia un episodio isolato o se il razzismo, dei fatti, dilaghi nel nostro Paese. Va comunque distinto il razzismo dalla xenofobia, dalla paura degli stranieri che può essere giustificata o meno.
E’ assurdo che oggi Libero scriva che “un governo incapace provoca il razzismo”. Ma è un fatto che l’incapacità di governare l’integrazione alimenta la xenofobia.
Qualunque modello di integrazione adottato in Europa, da quello francese molto rigido a quello inglese molto liberale, non ha dato risultati soddisfacenti.
Prendiamo atto che i migranti dall’est europeo – fatta la pesante tara dei predoni – quelli arrivati per lavorare non hanno problemi ad integrarsi, ad accettare le nostre regole e i nostri modelli di vita. Mentre non è così per certi africani e per gli islamici in particolare: anche quelli che lavorano mantengono usi e costumi che confliggono pesantemente con i nostri.
Si prospetta dunque una progressione inquietante: se non si riesce ad attuare una vera integrazione, la xenofobia è destinata ad aumentare col rischio che sfoci anche in azioni razzista. Azioni che sicuramente vanno condannate, ma che non basta condannare per fermare.
Dopo di che la xenofobia ha radici nella realtà, cioè nell’incapacità di tutelare in modo adeguato specie le fasce più deboli della popolazione che vivono nelle periferie e nelle case Ater.
Non si può arrivare al paradosso di affermare che o sei accogliente a 360 gradi, e senza remora alcuna, oppure sei un razzista.
Vogliamo togliere alla Lega il brodo elettorale in cui sguazza? L’unico modo è un governo più efficace dell’immigrazione. Vaste programme…
LE DUE LETTERE A MATTARELLA
Durante le festività il presidente Sergio Mattarella ha ricevuto due lettere. Della prima hanno parlato tutti i media: scritta a nome dei bambini stranieri nati in Italia chiedeva di “non lasciarli soli ancora una volta” cioè di approvare lo Jus soli. Questione ormai rimandata alla prossima legislatura.
Meno risalto ha avuto la seconda lettera inviata a lui, politico siciliano, da alcune madri siciliane che lamentavano di aver fatto grossi sacrifici per far studiare i loro figli i quali, ciò non ostante, non hanno trovato lavoro nell’isola e sono dovuto emigrare. “Non si lasci scappare questi suoi ragazzi, signor presidente”, chiedevano le madri a Mattarella.
Pare siano stati duecentomila i giovani a lasciare la Sicilia negli ultimi dieci anni.
Ma qui emerge una considerazione di fondo su come creare crescita vera e posti di lavoro autentici.
La Sicilia infatti ha avuto l’autonomia regionale più spinta d’Italia, “denaro a vagonate – ha osservato Libero – ministri, presidenti, politici onnipotenti, magistrati e papaveri di altissimo livello, regalie di ogni genere, investimenti a fondo perso, la casta più numerosa e coccolata del Paese, più forestali che alberi…stabilimenti Fiat, turismo d’élite, un’agricoltura potenzialmente imbattibile. Tutto inutile, nulla è servito a farla decollare”
Mi pare indiscutibile che il risultato sia quello sottolineato da Libero. Ma una lezione precisa emerge – per chi vuole coglierla – dall’esito siciliano: l’assistenzialismo, anche il più smodato, non crea mai una crescita vera ma solo miseria. La carità, anche quella di Stato, garantisce solo il perpetrarsi della povertà.
Ma questa lezione siciliana tutti la ignorano: l’attuale governo ha varato il “reddito di inclusione”; Berlusconiu lancia un piano da mille euro per il “reddito di dignità; Grillo insiste sul “reddito di cittadinanza”…
Avanti così con l’assistenzialismo, la carità di Stato, che il risultato è garantito: tutta Italia diventerà come la Sicilia, ed emigreranno sempre più tutti i ragazzi italiani non solo quelli siciliani.
L’EUTANASIA DEI LAVORI PUBBLICI
Nel nostro Paese i lavori pubblici, le grandi opere, sono all’eutanasia o, fate voi, al fine vita.
Emblematico il caso del più importante intervento di strutture sanitarie previsto nel nostro territorio: il nuovo ospedale di Padova che dovrebbe essere un’eccellenza per l’intero Veneto.
Dopo decenni di discussioni e rinvii, la Regione e il Comune hanno trovato e firmato un accordo su come e dove farlo. Applausi e soddisfazione unanimi. Piccolo dettaglio: manca la certezza dei finanziamenti; Zaia ha chiesto un miliardo a Roma.
Altro piccolo dettaglio: i tempi. Lo stesso Luca Zaia –con enorme ottimismo – ha previsto almeno tre anni e mezzo per l’inizio lavori e almeno altri otto anni per completarlo.
Lasciamo perdere l’esempio della Cina dove in 48 ore si costruisce un palazzo e i sei mesi una diga enorme. Guardiamo noi: a quando eravamo un Paese e non il bordello attuale.
1964. L’allora presidente del consiglio Aldo Moro inaugura l’Autostrada del Sole: 759 chilometri da Milano a Bologna a Firenze a Roma a Napoli; con tanto di valichi degli Appennini. I lavori erano iniziati otto anni prima. Servirono allora otto anni per costruire l’Autostrada del Sole. Oggi ce ne vorrebbero otto (fingiamo di crederci) per costruire l’ospedale di Padova! Chiaro esempio, mi pare, di un Paese che, quanto ad efficienza, ha compiuto passi indietro da gigante…
Basta o no a dimostrare che i lavori pubblici, le grandi opere sono al fine vita? Sottolineando i tempi previsti in un servizio sul Tg Padova mi sono permesso di scherzare, ma non tanto, dicendo: auguriamo ai padovani neonati di vivere abbastanza a lungo da riuscire a vedere il nuovo ospedale nella loro città.
Oggi riusciamo a mala pena a costruire qualche rotonda. In quanto tempo? Più meno lo stesso che serviva nel 1964 per realizzare quaranta-cinquanta chilometri di autostrada.
ACHILLE LAURO ERA PIU’ SERIO
E’ iniziata la campagna elettorale per le politiche a suon di promesse, fatte a prescindere dai soldi cioè dalle risorse disponibili. Senza mai indicare come verrà coperta la spesa.
Bene ha fatto Giannelli oggi sul Corriere a disegnare Renzi e Berlusconi come Babbo Natale che dispensano regali all’angolo delle strade.
Achille Lauro era più serio. Il capostipite della famiglia di armatori, quando si candidò a sindaco di Napoli negli anni Cinquanta, comprò i voti. Si narra di mezza banconota data prima del voto e l’altra mezza dopo la verifica dal seggio…Ma li comprò con soldi veri e con soldi suoi. Non con promesse fatte ignorando che le casse del nostro stato sono devastate: debito pubblico e spesa pensionistica i più alti in Europa, dopo la Grecia.
Non si tratta di negare che le promesse fatte da Renzi (bonus per tutti) dal Berlusca (pensioni minime a mille euro) e degli stessi 5 Stelle (reddito di cittadinanza) rispondano a esigenze reali e attese concrete. Ma, se non chiarisci dove troverai le risorse per coprire le nuove spese, stai promettendo il nulla.
Tanto più oggi quando non c’è politico italiano – dal consigliere dell’ultimo comunello al capo dello Stato – a non sapere che nel 2008 ci aspetta una manovra da lacrime e sangue, con conseguente ulteriore stangata fiscale (Iva compresa) per provare a contenere la nostra spesa pubblica, non certo per espanderla ulteriormente.
Ma il punto è anche questo: che fine farebbe un leader politico che, a noi italiani, promettesse lacrime e sangue? Dritto al cimitero, altroché Fornero…Quindi non stupiamoci che facciano campagna elettorale e suon di quelle fake news che noi per primi vogliamo sentirci raccontare.
COI PROFUGHI RESA TOTALE
La protesta dei profughi (cosiddetti) che negli ultimi giorni ha investito in particolare le province di Venezia e di Padova, e di cui si sono occupati tutti i media sia locali che nazionali, è stata utile a dimostrarci che siamo alla resa totale: nell’impossibilità, non dico di governare i flussi, ma nemmeno di gestire in maniera decente i migranti che già abbiamo accolto.
Con le loro proteste, con le lamentele e le pretese, sono arrivati al punto – per dirla alla Montalbano – di scassare i cabasisi perfino alla diocesi di Padova. Una diocesi governata dal vescovo Claudio Cipolla diretta emanazione di Papa Francesco: dovere cristiano di accogliere tutti a braccia aperte.
E perché una diocesi e un vescovo così arrivino a dire, come hanno detto, “Basta! Non accogliamo più nessuno!”, vuol proprio dire che è stato superato ogni limite, non solo del buon senso, ma della stessa fratellanza cristiana. “Ci vogliono delle regole e anche i profughi devono rispettarle” ha tuonato il portavoce della diocesi.
Ma questo è il punto della resa finale: di regole, nel nostro Paese, non ce ne sono e non ci sono strumenti per farle rispettare.
Centinaia di “profughi” sono sciamati dall’hub di Cona nel veneziano e sono andati dove hanno voluto, nessuno poteva fermarli. Una cinquantina sono arrivati anche a Padova ad inscenare una protesta davanti alla prefettura.
Le regole, la ragionevolezza da tutti condivisa, imponevano di sistemare le carenze del centro di accoglienza di partenza e riportarli là. Anche per evitare che la protesta dilaghi in tutti gli altri hub veneti. E questo hanno detto il prefetto di Venezia, il sindaco e il prefetto e il vescovo di Padova.
Ma all’atto pratico cosa puoi fare con le regole vigenti nel nostro Paese? Una sola cosa. Prendere un autobus, portarlo dove sono sciamati e chiedere loro: “Prego, volete salire?”. Questo è stato fatto. Ma loro, il profughi, hanno rifiutato il cortese invito a salire e tornare a Cona. Punto. Null’altro è consentito fare nei loro confronti: non imporre la sistemazione nel luogo scelto; non imporre di frequentare un corso di italiano, non imporre di fare un qualunque lavoretto socialmente utile. Tutto e solo se accettato volontariamente (come i vaccini versione Zaia).
E, con queste condizioni, non può che esserci l’anarchia più totale. Dobbiamo forse scandalizzarci che i migranti ne approfittino quando siamo noi Paese ad aver creato le condizioni perché l’anarchia ci sia escludendo di poter imporre loro il rispetto di qualunque regola?…
FUORI DAL MONDO, NON SOLO NEL CALCIO
Ok. Col calcio siamo fuori dal mondo cioè dal mondiale. Ma l’apocalisse vera è che l’intero nostro Paese rischia di essere, anzi è sempre più, fuori dal mondo; dal mondo civile e progredito.
Basta guardare a cosa è successo ad Erbezzo, con i profughi ospitati nell’ex base Nato, scomparsi. Si spera scomparsi all’estero e non a Roma o a Milano dove pretendevano di andare. Fatto sta che nessuno sa dove siano. Fuori dal mondo con l’accoglienza made in Italy.
O vogliamo parlare della pressione fiscale rapportata alla qualità dei servizi? Fuori dal mondo. La burocrazia che ti impedisce di iniziare in tempi ragionevoli un’attività? Fuori da quel mondo che te lo consente in un paio di settimane.
La tragedia è che, sessant’anni fa quando fummo esclusi dai mondiali in Svezia, nel mondo stavamo entrandoci con impeto: il boom economico dei primi anni Sessanta, l’Oscar della lira, un numero irrisorio di pubblici dipendenti. (Quando oggi abbiamo invece l’Oscar degli statali…).
Il Tempo, il quotidiano di Roma, interpreta la rabbia di tutti i tifosi di fronte ai risultati deludenti della loro squadra e titola rivolto agli azzurri: “Andate a lavorare!”
Sessant’anni fa ci andavamo tutti eccome: una marea di meridionali pronti a venire al Nord, veneti disposti e cercare lavoro dovunque.
Oggi non solo la voglia di lavorare è quasi deparecida, ma non basta aver voglia. E’ indispensabile la competenza. Guardi ai programmi scolastici, li rapporti alle esigenze del mondo reale, e vien da piangere.
La causa prima, strutturale, che ci porta fuori dal mondo è il crollo della nostra pubblica istruzione, certificato da ogni test e raffronto europeo.
Un crollo che genera non solo il crollo di livello dell’intera classe dirigente del nostro Paese, ma la mancanza di quelle competenze che oggi sono indispensabili per chiunque voglia trovare un lavoro qualificato.
Un crollo culturale che fa sì – scusate se insisto – che oggi almeno un elettore su tre sia pronto a votare il partito di un comico. Partito che esiste solo qui da noi e in nessun altro Paese del mondo occidentale. E neppure orientale. E neppure sudamericano, repubbliche delle banane comprese.
LA SICILIA DICE POCO, SU RENZI NULLA
La Sicilia, il voto alle regionali siciliane, ha distrutto il Pd e in particolare la leadership di Matteo Renzi, che ora se la sogna di potersi ricandidare a premier. Questa è la visione e la versione correnti.
Una visione, direi, alquanto miope: ridotta a guardare la pagliuzza, ignorando la trave.
C’è infatti una piccola trave europea, che riguarda la socialdemocrazia di tutti i Paesi del nostro continente: ovunque in caduta libera, ovunque ridimensionata, la socialdemocrazia, dalle urne.
Da quando infatti un welfare, per anni e sempre più generoso nelle elargizioni, ha dovuto fare i conti con la realtà di conti pubblici ormai insostenibili, da allora il modello storico della socialdemocrazia è entrato in crisi. E a tutt’oggi la socialdemocrazia non ha trovato una proposta di governo tale da convincere i suoi ex elettori a tornare a casa.
Il quadro generale è questo. Se lo teniamo presente diventa molto riduttivo, per non dire ridicolo, attribuire al voto siciliano i problemi del Pd e di Renzi. Senza aggiungere che, rispetto all’andamento della socialdemocrazia europea, quella nostra, il Pd Renzi o non Renzi, non se la cava proprio malaccio.
Al momento l’alternativa qual è? La nostra sinistra-sinistra che di governare, cioè di impegnarsi a dare risposte concrete, non si cura: le basta testimoniare la sua purezza teorica…e magari impegnarsi a far perdere la sinistra riformista. Obbiettivo questo appena raggiunto in Sicilia.
Quanto al resto le elezioni sicule poco hanno detto che già non si sapesse. Gli elettori dei 5 Stelle continuano a votare, qualunque cosa combinino gli amministratori locali pentastellato, perché la loro resta una scelta alternativa a tutto il resto del tanto detestato partitume.
C’è la ripresa del centrodestra. C’è. Ma con un piccolo problema: ha vinto in Sicilia dove la Lega è irrilevante. Mentre qui al Nord, nel nostro Veneto in particolare, la Lega c’è eccome; mentre irrilevante, o quasi, è Forza Italia…
AUTONOMIA DAL SOGNO ALLA REALTA’
Niente da dire: un trionfo il risultato del referendum sull’autonomia. Un trionfo anzitutto per Luca Zaia e la Lega del Veneto. Un po’ ridicolo il tentativo di altri partiti di cointestarsi la vittoria.
L’iniziativa è e resta della Lega del Veneto, che ha avuto il merito di interpretare un comune sentire di tanti cittadini della nostra regione, che va ben oltre l’entità del voto leghista.
Colpisce l’omogeneità dell’affluenza e del sì in tutte le province, quando ci si poteva aspettare dati più alti nelle roccaforti venete della Lega.
Un risultato da sogno, che però adesso deve fare i conti con la realtà. Luca Zaia, come un leone ruggente, garantisce che saremo padroni a casa nostra, che ci terremo i nove decimi delle tasse pagate. Piccolo problema: la Costituzione esclude che le regioni a statuto ordinario abbiano potestà in materia fiscale…
Chiaro dunque che, se nella prossima trattativa col governo, la Regione dovesse ottenere solo nuove competenze ma senza i soldi per finanziarle, senza il famoso “residuo fiscale”, il risultato sarebbe pura fuffa.
Ma, mettiamo che Zaia, se non i nove decimi, ottenga anche solo di trattenersi tre-quattro decimi, sarebbero soldi in più a disposizione nelle casse della regione o soldi in meno da far pagare in tasse ai cittadini? Mi sembra infatti che la prima opzione espressa nelle urne sia “basta farse ciuciar i schei da Roma” e non “fasemosei ciuciar da Venexia invese che da Roma”…
Inoltre, visti i ben più modesti risultati ottenuti in Lombardia, forse la Lega del Veneto dovrebbe intraprendere una ulteriore battaglia per l’autonomia: per emanciparsi cioè da quella Lega lombarda che – da Bossi a Maroni a Salvini – continua a colonizzarla…