E ora? Che senso diamo al campionato? Il Verona di Juric è andato oltre le aspettative, ma ora caro Houston abbiamo un problema… emozionale. Quale obiettivo ci diamo da qui a giugno? La beffa di Marassi mi ha colto impreparato: vincere significava tenere in piedi un senso, leggi la qualificazione europea, realisticamente improbabile ma non è questo ciò che conta: importava avere qualcosa a cui appellarsi per crederci, o quantomeno fingere di crederci.
Il pari di Genova ci porta a sette punti dalla Lazio (mentre scrivo la Juve deve ancora giocare con il Crotone, ma presumo che scavalcherà i laziali consegnandoli al 6° posto, l’ultimo a disposizione per l’Europa League), francamente troppi anche per (appunto) fingere di crederci. Insomma il paradosso è presto spiegato: siamo troppo forti per la lotta salvezza (e questo va a merito della società e del tecnico) e troppo deboli per l’Europa – questo era ampiamente prevedibile, intendiamoci. Nel limbo di una media classifica che la serie A a 20 squadre ha consegnato da troppi anni all’irrilevanza agonistica (con le 18 squadre quantomeno fino ad aprile gli obiettivi restavano anche per le squadre mediane), noi dobbiamo finire il campionato.
Un obiettivo realizzabile potrebbe essere quello di concluderlo nella parte sinistra, come lo scorso anno. Ma mi piacerebbe provassimo a inseguire l’8° posto oggi del Sassuolo, sarebbe il miglior risultato della nostra storia, ciclo Bagnoli a parte. Resta però un calendario complicato e una squadra che sembra avere qualche certezza in meno del girone di andata (lo scrivo dopo 4 punti in due partite…). Juric è la garanzia che non si mollerà di un centimetro, la premialità economica alla società in base alla posizione finale di classifica è un altro buon motivo per esserne certi. Tuttavia oggi l’impressione è che sia più facile essere risucchiati da due-tre squadre dietro che superare il Sassuolo, e dobbiamo lottare affinché non succeda. Anche questo può essere un significato.
Lo è anche la partita di sabato sera con la Juventus. Giusto un anno fa lo sgambetto a quella di Sarri fu il canto del cigno di un Bentegodi per l’ultima volta pieno. Senza pubblico è diverso, ma l’attesa ha sempre un suo fascino. E battere la Signora è una goduria in ogni tempo e in ogni luogo.