ERA MEGLIO GIOCARE (ECCO IL PERCHÉ)

Tragicommedia all’italiana. Nel Belpaese succede anche questo, che un club e una città che partecipano al secondo campionato professionistico italiano non abbiano nemmeno il campo pronto alla seconda giornata. Ma di cosa parliamo? Potremmo già fermarci qua, oppure continuare a contare pure gli sbadigli di Cristiano Ronaldo, panacea di tutti i mali.

“Situazione incredibile” è stata definita quella di Cosenza. Definizione scorretta, tutto questo è molto credibile in una serie B che tra fallimenti e ripescaggi ancora oggi non sa quante squadre avrà ed è trasmessa da uno streaming che in certe circostanze ha fatto quasi rimpiangere il Ceccherini che sistemava chirurgicamente e teneva ferma l’antenna della tv ne ‘Il Ciclone’.

A proposito di Dazn, definita sarcasticamente dal comico Luca Bizzarri una Rojadirecta ma senza il brivido del proibito: ci deve essere del pudore in loro. “Partita rinviata causa maltempo” era l’avviso per gli utenti di Cosenza-Verona. Che teneroni…

Pudore invece sconosciuto a sindaco e assessore cosentini, che sembra di capire stanno sulle palle anche a qualche loro concittadino. Invece di nascondere la testa sotto la sabbia della vergogna dell’inefficienza per la figuraccia nazionale hanno l’indecenza di rivoltare la frittata e scaricare le colpe sul Verona e i veronesi. Che simpaticoni…

Ora pare certo che il giudice sportivo decreterà la vittoria a tavolino del Verona e, intendiamoci, sarebbe sacrosanto, il minimo sindacale. Eppure credo che il Verona di Grosso sia stato danneggiato, perché ora come ora per la squadra è necessario giocare per trovare amalgama, conoscenza, solidità e ritmo partita. Specie dopo le sberle di Coppa a Catania e i balbettii alla prima con il Padova.

Per questo, nonostante i tre punti (quasi) sicuri, lo scrivo senza riserva: è stato giusto non giocare, ma era paradossalmente meglio giocare. Il Verona deve ingranare e ora niente è peggio che fermarsi.

UN FILM GIÀ VISTO…

Così non si va lontano, per nulla. Anzi, si sprofonda nell’anonimato. Verona molle, spento, ombelicale nel suo estenuante e inutile possesso palla orizzontale. Con due ali impalpabili, Di Carmine isolato, un centrocampo poco assortito (troppi portatori di palla, nessun incursore), una difesa equivoca (un terzino sinistro che è destro e non va mai sul fondo, Marrone improponibile come centrale a quattro) e il déjà vu Pazzini davanti.

Scrivevo il 18 agosto: “Siamo davvero competitivi? Grosso che calcio ha in testa? Non c’è qualche doppione di troppo a centrocampo e poca qualità in difesa? Il caso Pazzini (non Pazzini in sé) non è un dèjà vù esiziale? Il pericolo è la presunzione”. Avevo delle perplessità sul metodo con cui era stata costruita la squadra, competitiva come nomi, meno nell’assemblaggio delle caratteristiche dei giocatori. E ho sempre manifestato dei dubbi ovviamente anche su Grosso, di cui non metto in dubbio la preparazione, la didattica e la conoscenza, ma il carisma, la presupponenza calcistica e la lettura delle partite e degli avversari.

E ieri si è visto un Verona improponibile e presuntuoso, a tratti imbarazzante e arrogante. Per di più in casa e contro un modestissimo Padova.

Ora è pure ovvio chiedere che Pazzini giochi (con la giusta collocazione tattica avrebbe dovuto essere titolare in A, figuriamoci in B). Ma Pazzini deve anche essere messo nelle condizioni di giocare, coccolato e protetto nei suoi 16 metri, dove è tutt’oggi uno dei migliori realizzatori italiani (e ieri ne ha dato giusto un assaggio). Pecchia in A non gli ha mai creato le condizioni intorno, la società figuriamoci, e non vorrei che Grosso, nel peggiore dei masochismi, facesse lo stesso.

Ho sentito i soliti pompieri in servizio permanente, esegeti della libertà di applauso, fuoriclasse della minimalia. Lo stesso Grosso ha reso alla stampa dichiarazioni inascoltabili e non veritiere sull’andamento della partita. E’ il solito filone pericoloso della rimozione forzata di cui parlavo recentemente (prendendomi gli insulti dei soliti sospetti corazzieri troll). Ho letto le solite irritanti banalità tipo  “aspettiamo a giudicare” e non “bisogna fare processi”. Frasi vuote, insignificanti, cliché consumati.  Invece è necessario intervenire subito, denunciare le storture, nella speranza che dall’altra parte ci sia l’onestà intellettuale e l’umiltà di cambiare e intervenire (se e per quello che si può a mercato finito).

Il tempo ovviamente c’è e in giro non mi pare ci sia molta concorrenza. Ma se non si cambia prospettiva e mentalità ogni secondo sarà un film già visto troppe volte in questi tre anni.

RIMOZIONE FORZATA (CHE NON FA BENE)

E l’incantesimo riuscì. Anestetizzati e dimentichi rimuovemmo ogni cosa. Con le solite frasi fatte, con il consueto copione del nulla, con le scontate esclamazioni evergreen con cui additare chi guarda in faccia la realtà e se ne sbatte dei conformismi: disfattisti! Polemici! Critichini!

L’onda dei social (che oggi fa opinione eccome e crea il mood) ha sancito la linea: guardare avanti. Così, a prescindere. E accidenti a chi osa muovere una mezza critica. Le solite penne (cioè lingue) campionesse della libertà di elogio – forse in perenne ricerca di lettori, o probabilmente speranzosi per una volta di indovinarne una e, presumo, con le farfalle sullo stomaco solo all’idea di reggere un microfono per il tale qualunque – poi ci hanno messo il carico: tutto è meraviglia e, figurarsi, Setti ora spende pure. Wow. E via di domande inutili a Grosso & C., di banalità o noiosi cliché estivi alla presentazione di ogni giocatore.

Nel frattempo non si parla della sostanza, cioè di calcio: siamo davvero competitivi? Grosso che calcio ha in testa? Non c’è qualche doppione di troppo a centrocampo e poca qualità in difesa? Il caso Pazzini (non Pazzini in sé), se non dovesse essere risolto con una cessione del giocatore, non è un dèjà vù esiziale?

Il mio timore è che questa nuova e inopinata onda ottimistica rischia di fare più male che bene. Il pericolo è la presunzione. La rimozione forzata di molti tifosi (forzata perché nessuno ha davvero dimenticato le recenti vergogne,  si è solo imposto di farlo) è come un oppiaceo: seda, rilassa, rallenta i riflessi, crea euforia e riduce il dolore. Invece con l’aria che tira tra via Belgio e Peschiera (aria indolente e presupponente) sarebbe meglio rimanere incazzati, vigili e tenere tutti sulla corda. Meno rose e più spine. E’ meno bello, ma più utile. Per questo oggi rompere i coglioni, che vi piaccia o no, è indispensabile. In nome del Verona.

LE CONTINUE CONTRADDIZIONI DI SETTI

Timidi segnali. E passi per l’avversario – la Juve Stabia è quello che è – ma nel Verona s’intravede nuova qualità. Ci sono 3-4 giocatori destinati a marcare il territorio in serie B e credo che tecnicamente questo basti in una categoria albergata da onesti pedatori.  Sia chiaro, è il minimo sindacale che ci si aspettava da una società che la scorsa stagione (ma anche due anni fa) ha umiliato colpevolmente la piazza con un’inerme decadenza. E, se vogliamo, ancora manca qualcosa là dietro.

Il legittimo dubbio tuttavia non riguarda il mercato (ripetiamo, in B basta poco) ma l’allenatore: Grosso ha idee, conoscenze, metodo, ma non è (ancora) un vincente. Lo diventerà?

C’è poi sempre quella cappa di malumore, che ora si sente meno grazie ai segnali di distensione di Setti con la piazza e la tregua sancita dalla tifoseria. Ma, si sa, le ferite finché non si rimarginano vanno monitorate e Grosso dovrà essere abile a vincere tanto e subito e a gestire eventuali passi falsi che riaprirebbero antiche e nuove piaghe (ne sarà capace?).

Infine c’è la questione Setti, che rimane aperta. Pare che Ranzani nostro abbia scoperto i tifosi dopo sei anni. Riflessi lenti? O qualcosa di nuovo bolle in pentola? Di certo aver spedito a Mantova certi (cattivi) consiglieri può averlo aiutato. Ma la domanda resta: in A possiamo tornarci immediatamente, ma poi? Continuiamo l’altalena? Il proprietario di Verona e Mantova saprà garantire la stabilità e mantenere (in ritardo, come i suoi riflessi) la promessa che fu, ergo l’agognato consolidamento? E ci sarà ancora lui al vertice del club?

Tante domande. Chi pensa se le fa, perché Setti pare andare a cicli contraddittori: primi tre anni vacche grasse (fino alle spese di Gardini-Bigon per Pazzini e Viviani), poi altri tre di prestiti e investimenti pressoché inesistenti. Adesso – grazie ai nuovi milionari incassi del paracadute e delle ennesime plusvalenze, e alla scadenza di vecchi pesanti contratti – s’intravede un minimo d’equilibrio, con l’ingaggio di molti giocatori svincolati ma di proprietà e con contratti pluriennali.

Ma la credibilità e l’affidabilità non si riconquistano in una sola estate. E’ ancora troppo poco. E’ ancora troppo presto. E le andature altalenanti dei cicli settiani ci inducono a restare diffidenti e guardinghi, e a vigilare.  Il Setti del Verona è ondivago. Come possiamo fidarci?

È SETTI CHE DEVE VOLTARE PAGINA, NON IL TIFOSO

Voi la fate facile. Le storie di ieri già morte, sepolte, dimenticate. Capisco: anche il mio alter ego tifoso, come un innamorato, anela sempre una nuova speranza. Anzi ne necessita, di essa si nutre. Sennò che senso avrebbe ogni cosa? Intendo, il Verona: sostenerlo, seguirlo, gioire, imprecare. La vita è già dura, è fatica, l’elisir è di diritto.

Eppure io non posso. Non posso con disinvoltura scrollare le spalle e, noncurante, voltare pagina. Da giornalista devo essere razionale. Vi piaccia o no. Setti è in crisi di credibilità da tempo e non bastano due-tre strapuntini ruffiani o qualche foto con gli ex leggenda per colmare il gap. E sarebbe da miopi pensare di creare consenso solido e non effimero con la narrazione positivista e la sponda mediatica degli embedded.

Il tifoso oggi è informato e maturo e sa separare le cose: ama il Verona a prescindere, ma chiede altro al suo presidente. Serve tornare in serie A, investire lì e restarci. Come da promessa disattesa. Poi ne riparliamo. Le altalene ci piacciono con i nostri figli o nipotini al parco giochi. Di Carmine è un buon acquisto, ma basta? Chiaramente no e non metto fretta a nessuno, il mercato chiude a fine agosto e io sono della teoria che se sono forti possono arrivare anche all’ultimo. Ma se vogliamo vincere il campionato (minimo sindacale per la forza economica del Verona) servono altri quattro titolari (due difensori, un mediano e una punta esterna). Ma poi impertinente domando: i soldi per Di Carmine (a prescindere dalla formula tecnica dell’acquisto) non potevano essere messi a gennaio per due-tre giocatori? Domando, non affermo. Con terribile insolenza chiedo: perché alcune comparse l’anno scorso ingaggiate per la A, oggi vengono cedute (giustamente, intendiamoci) in B? Se non sono ritenuti all’altezza ora, come potevano esserlo un anno fa?

Ma non è solo quello, non c’è solo il campo. Per recuperare terreno va completamente cambiata l’impostazione filosofica settiana: il mantra “prima il bilancio” come feticcio assoluto, il surreale “io non vi faccio fallire” (ma dai? Grazie), danno l’idea di una società in affanno, senza spessore e grande prospettiva. E la percezione di un’altalena quasi programmata (non affermo che sia così, lungi da me, scrivo di una percezione della gente).

Sensazioni che spengono l’anima (e il dato degli abbonati in tal senso fa riflettere). Il resto è turbamento, disaffezione, disagio, sospetto, irritazione. La morte, lenta e agonizzante, del sentimento. E vale per chi si è abbonato e per chi ha deciso di non rinnovare. Così è se vi pare.

IL TRAVAGLIO PSICOLOGICO DEI TIFOSI

I tifosi dibattono tra loro e dentro di loro: mi abbono, o non mi abbono? E già solo questo travaglio emotivo (qualsiasi sia la scelta finale) dà l’idea di cosa è diventato, nel suo rapporto inesistente con il popolo gialloblu, il Verona di Setti. Una crisi di credibilità che difficilmente potrà rientrare con qualche ruffianeria populista. La spaccatura è più profonda ed è cominciata due anni fa con la vergognosa retrocessione del 2015-16. Da lì in poi una serie di fatti, comportamenti, omissioni, silenzi, presunzioni, sceneggiate hanno allargato la crepa, fino all’ultima retrocessione, ancora più imbarazzante di quella precedente.

Ora Setti evidentemente sta cercando di riavvicinarsi alla piazza con operazioni cosmetiche: dal probabile ritorno di Roberto Puliero alle radiocronache, alla partnership estiva con la Melegatti, fino alla (tardiva e non ancora certa) presentazione della squadra allo stadio ai primi di agosto, passando per un rinnovato e più vigoroso rapporto con l’associazione degli ex gialloblu e le nuove maglie che riprendono il blu originario.
Tuttavia queste (ottime) iniziative rischiano di rivelarsi effimere se il proprietario di Verona e Mantova non pianificherà corposi investimenti per la squadra. Investimenti di cui da anni non si ha traccia e l’attuale calciomercato non si discosta dal solito copione (si spenderà per Di Carmine, ma non basta dopo le ultime ed ennesime plusvalenze). Anzi, addirittura questo improvviso e strano slancio del presidente verso i simboli veronesi – fatalità nel suo momento di minimo storico – potrebbe rivelarsi agli occhi dei più decisamente sospetto proprio per la poca credibilità di Setti e per un passato che quanto alla voce passione (non) parla per lui.

Ed è in questo scenario che si consuma il travaglio psicologico dei tifosi, sospesi a mezz’aria tra la fedeltà al Verona per tutto ciò che il Verona rappresenta (l’aggregazione dei butei, la fede sportiva, l’istituzione, il rito del giorno della partita, l’identità-stadio) e la voglia di dare un piccolo-grande segnale a questa società che invece non li rappresenta.

Ed è Setti ad aver creato questo vulnus morale. Un vulnus morale che non ha precedenti.

P.S. Mi auguro davvero che Roberto Puliero possa tornare. Sarebbe la normalità, nulla più. Un rimedio parziale e tardivo a un torto subìto. Un anno fa, proprio di questi tempi, una mattina mi trovai con lui all’Arsenale, dietro al palcoscenico dove in quelle sere stava recitando, e chiacchierammo un paio d’ore per l’intervista che poi sarebbe uscita su questo sito. Io, lui, un cortile e due sedie, all’ombra di un luglio afoso come pochi. Ne colsi la sofferenza emotiva. Roberto è una bella persona. Viva Puliero. Viva il nostro Verona.

CAMBIO LINEA…ANZI NO

Tuffo carpiato con avvitamento. Cambierò opinione e linea. Subitaneamente, così. Scriverò che Setti è giovane e bello, elegante e raffinato. Racconterò che è quotidianamente qui a Verona, presenzialista in sede perché innamorato dell’Hellas e che quello di Mantova è solo un omonimo, un Ranzani minore. Non porrò più domande – ad oggi ancora senza risposta – su cosa è cambiato a livello finanziario dopo i primi tre anni di vacche grasse e gli ultimi di montiana spending review. Sarò la fiera dei luoghi comuni, delle frasi fatte e innocenti. Un cliché vivente. Sarò più realista del re, più leccaculo dei leccaculi (lo so la compagnia è numerosa e bisognerà dare di lingua per battere la nutrita e talentuosa concorrenza). Ma in tempi di “querela facile”, come scrive Gianluca Vighini, preferisco sottrarmi a quella che io ritengo una delle (tante) cause della malagiustizia italiana: l’intasamento dei tribunali. Nello scorso campionato mi è stato tolto l’accredito allo stadio e sembra che – a parte il mio editore – non gliene freghi un cazzo a nessuno, nemmeno a chi sarebbe nato per tutelarli, i giornalisti. Ma poco male, mai stato corporativo il sottoscritto, troppo anarchico e libertario per appartenere a qualsiasi parrocchia.

Il punto semmai è che a leggere certi commenti sotto il significativo articolo di ieri di Vighini, pare che non gliene freghi un cazzo nemmeno a chi dalla nostra libertà dovrebbe sentirsi tutelato: il lettore,  in questo caso anche tifoso. Alcuni, sia chiaro, non tutti, fortunatamente. Sono gli stessi che sotto l’articolo di Vighini parlano d’altro (della puntata di Pecchia, che comunque la si pensi è piccolissima cosa rispetto all’allarme lanciato da Gianluca e che peraltro dimostra una volta in più che Telenuovo non fa guerre, dunque il contrario di ciò che questi geni affermano in un inconsapevole cortocircuito logico). Sono gli stessi che hanno già dimenticato il coraggio che Gianluca ha avuto nel gennaio 2016 – da mediapartner! – di scrivere certi articoli (e all’epoca quello stesso qualcuno lo insultava perché troppo severo e invece ci aveva visto lungo). Sono gli stessi che approfittano della libertà che i blog offrono per scrivere (con nick anonimi) commenti (questi sì) da querela, peraltro in casa dello stesso giornalista che insultano.

Perché badate bene: i giornalisti, vi piaccia o meno, sono solo intermediari tra il potere e l’opinione pubblica, o per dirla più romanticamente alla Enzo Biagi “dei testimoni del tempo”. Noi vi raccontiamo ciò che sappiamo, ma se smettiamo di raccontarlo continueremmo a saperlo lo stesso. Voi no.

Dunque ora saranno solo carezze, elegie e agiografie. Sarà tutto più facile, comodo e avrò meno rotture di coglioni. Tranne, inteso, che con la mia coscienza e la mia onestà intellettuale, le uniche armi che io piccolo giornalista ho sempre utilizzato perché amo il Verona, che è essenza, spirito e comunità, dunque molto di più del tempo che stiamo vivendo e dei dirigenti di oggi, dal presidente agli obbedienti peones. E io devo rispettare quell’essenza, quello spirito e l’intelligenza di chi è parte di quella comunità. E devo rispettare il lettore.

Per questo, in fin dei conti, so che sopra ho scritto solo una marea di cazzate e che continuerò a fare quello che ho sempre fatto: scrivere come so e guardarmi allo specchio la mattina.

 

SCANDALIZZATEVI E SCONCERTATEVI…IN SILENZIO

Il redivivo (toh c’è) Barresi dice che loro sono “scandalizzati e sconcertati”. Oh finalmente un po’ di sana autocritica, mi son detto. Finalmente un po’ di umiltà e l’ammissione dell’ignominia: la vergognosa retrocessione a cui la città ha assistito impietrita e impotente. E invece no: scandalo (sic) e sconcerto (doppio sic) di Barresi sono per il taglio del paracadute da 25 a 20 milioni. Barresi, intendiamoci, che parla chiaramente come direttore operativo del Verona e non come consigliere di amministrazione del Mantova (da oggi in poi sarà sempre meglio specificare).

Mi chiedo solamente quanto sia opportuno (tralasciamo l’ineleganza), dopo una stagione così umiliante per i tifosi, esprimersi con cotanta isteria sul già di per sé controverso e discutibile paracadute. Mi chiedo se Setti & C. vivano sulla luna, su Marte o chissà dove per non rendersi conto del peso di certi lamenti nell’attuale contesto e momento storico: con l’ennesimo mercato che si preannuncia in spending review, nonostante il bilancio a posto (così ci hanno ripetuto alla noia), il paracadute (tagliato o meno comunque una cifra cospicua) e le ennesime plusvalenze milionarie. E dopo il (sorprendente) investimento di Setti nel Mantova, cartina di tornasole dell’ottimo stato di salute imprenditoriale di Mister Manila.

Non entro nel merito tecnico-legale sulla giustezza o meno del taglio. La società cercherà, dal suo punto di vista legittimamente, di far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune. Qua si analizza la reazione mediatica della dirigenza: inopportuna e irrispettosa nello scenario attuale, con una piazza (essa sì) sconcertata per un Verona che non vede decollare, per un orizzonte sportivo chiaro-scuro e per alcune scelte societarie (il direttore sportivo) quantomeno ambigue.

Oggi come oggi, per riavvicinare la piazza, tutto serve tranne che gli alti lai della società sui soldi. Siete incazzati per la sforbiciata al paracadute? Fate quello che dovete fare, protestate, ricorrete, ma in silenzio, con discrezione. Tutto vogliamo tranne che sentirvi parlare di soldi.

 

COLPACRAZIA

Tutto come previsto. Il Verona riparte da Toni D’Amico e Fabio Grosso. Il primo è un direttore sportivo senza esperienza, nonché lo storico collaboratore di un ds (Fusco) di poca esperienza e reduce da un fallimento tecnico. Il secondo un allenatore non certo cuor di leone e con alle spalle dieci soli mesi di professionismo a Bari, senza peraltro grandi acuti (i play off erano l’obiettivo minimo da quelle parti).

Nessuna sorpresa, dicevo. Parlai di D’Amico e Grosso più di un mese fa nell’ultima puntata di Ghe la Femo. Il resto (Foschi, Luca Toni e soprattutto Marchetti) sono nomi usciti più per gettare fumo e spostare l’attenzione. Non a caso non ho mai scritto una riga su Marchetti. Ma davvero qualcuno di voi ha creduto all’ipotesi Marchetti? Suvvia…

Dunque D’Amico e Grosso. Meritocrazia al contrario. Colpacrazia potremmo definirla coniando un neologismo. Sì, a Verona vige proprio la colpacrazia. Sbagli? E io ti promuovo. Hai poco o zero pedigree? Prego, s’accomodi. Sia chiaro, qui non vige il pregiudizio. Seguiremo D’Amico e Grosso e valuteremo i fatti, pronti a elogiarli se è il caso (e lo speriamo di cuore). Il nostro è semmai un giudizio sulla scelta, che non tiene conto dei precedenti (Fusco-Pecchia) e del clima attuale. Perché con la piazza tra il depresso e l’incazzato e dopo una stagione che ha lasciato macerie morali, erano necessarie scelte di altro peso specifico e di totale discontinuità. Con il bilancio sano (come ci è sempre stato detto fino alla nausea), 25 milioni di paracadute e altri milioni di probabili plusvalenze era lecito pretendere un ds affermato e un allenatore vincente e carismatico in grado di ricompattare la piazza. Sarebbe stato anche un gesto di distensione nei confronti dei tifosi.

Sia chiaro, Setti ha ragione quando dice “decido io”, ma ha torto quando questo principio lo porta a chiudersi in se stesso e a incaponirsi. Ed ecco dunque il continuo giocare d’azzardo con scommesse low cost e il solito schema: ds e allenatori deboli. Con un’aggravante: ora il mare è in tempesta.

Sullo sfondo resta irrisolta, almeno dal punto di vista della percezione, la questione Fusco. Con la promozione di D’Amico resta da valutare il suo effettivo peso nell’Hellas. Il diretto interessato al Corriere di Verona ha negato qualsiasi coinvolgimento. A non fare chiarezza però contribuisce la frecciata di Pazzini a margine del recente scazzo pubblico con l’arcinemico: “Auguro al sig. Filippo Fusco di ritrovare un po’ di serenità in questa sua estate apparentemente libera dal lavoro”. Apparentemente?

PARACADUTE E PARACADUTATI

Lieta novella. Il Verona è un fiorente vivaio. Non, sia inteso, il settore giovanile. Lì c’è stata poca… Primavera, ma solo cupo autunno, con la squadra di Porta che per non essere da meno di quella di Pecchia ne ha seguito le orme: retrocessione e alibi (“siamo stati penalizzati dalla formula dei campionati” ha detto Porta). Nel frattempo l’ex Pavanel diventava l’eroe di Arezzo. Parallelismi. O forse il solito karma che si abbatte sul Verona: gli abiurati e gli esiliati diventato re altrove, i prescelti invece falliscono miseramente. Meritocrazia al contrario. Tra gli applausi diffusi di molti media.

Ma no, il vivaio vero, da far invidia ai più, è in via Belgio. Proprio lì negli uffici della sede, dove in punta di metafora è un fiorir di onesti brigadieri divenuti generali. In primis il potente deus ex machina Filippo Fusco, per un biennio più di un ds, l’uomo dalle pesanti deleghe sia tecniche che finanziarie. Eppure il suo curriculum suggeriva che l’avvocato e manager napoletano – per carriera pregressa – direttore lo era stato poco. Sarà un caso, ma non appena il gioco si è fatto difficile il nostro è quasi “evaporato”, tra le sceneggiate di Cassano, le cattive gestioni di Bessa e Pazzini e l’incredibile e grottesca melina su Pecchia, fino alle surreali dimissioni a campionato in corso dopo aver predicato per mesi il modello Crotone.

Be’, tenetevi forte. Pare che il nuovo ds sarà addirittura il collaboratore del poco ds Fusco, cioè Toni D’Amico. Una scelta per certi versi stupefacente e che lascia mille domande in sospeso.

Anche perché non sarebbe il primo assistente promosso. Era un ex assistente Fabio Pecchia, vice allenatore catapultato improvvisamente in un gioco più grande di lui. Come è un ex assistente Francesco Barresi,  già collaboratore di Giovanni Gardini e da un paio d’anni direttore operativo del club. Bravo ragazzo, per carità. Anzi, chi di recente c’ha avuto a che fare me lo descrive come una persona puntuale, precisa, pratica. Ma nel pur rispettabile mestiere dell’esecutore. Può bastare? In quel ruolo non servirebbe una figura di maggiore spessore, anche politico?

Infine da qualche mese pare sia tornato in auge, lontano dai riflettori, come consigliere amico e “suggeritore” di Setti, il multitasking Emanuele Righi, bolognese, 40 anni ma già molte cose (allenatore dilettantistico, speaker radiofonico, scouter, ex consigliere personale di Guaraldi e amico di Setti). Che ci sia  lui dietro ai mirabolanti e interminabili video e alle lettere aperte che non si chiudono mai di Setti? Colpi di teatro, ma non di genio visti gli effetti.

Ma poco male. Il vivaio fiorisce rigoglioso. Ed è solo per amor di provocazione, non certo per diminutio, che lo scriviamo: il Verona del paracadute non poteva che avere i suoi meravigliosi paracadutati.