BASTERÀ COSÌ POCO?

E’ un potere che si nutre sull’altrui debolezza quello del Verona. E ancora non realizzo se questo sia un sollievo o una preoccupazione.  Questa serie B è miseramente imbarazzante per la sua insipida sciatteria e il patetico balletto di ricorsi e contro-ricorsi sulla B che non si sa (ancora! dopo 9 giornate!) se sarà a 19 o 22 squadre attesta il livello di degrado del mondo che ci sta attorno.  E così anche il nostro Hellas, pur costruito con casuale qualità in estate e con un gioco soporifero, riesce a resistere nei quartieri alti di questo nulla.

Questa è la serie B e questo è il Verona, diremmo per sintesi. Basterà? Ancora non l’ho capito. La nostra classifica non è ancora specchiata e pura. A Cosenza abbiamo vinto a tavolino perché manco avevano il campo pronto, abbiamo maturato due deludenti pareggi con squadre di bassa classifica come Padova e Venezia, con il Perugia – altra compagine di modesto cabotaggio – ci ha tenuto in piedi Silvestri sennò era un altro pari. Abbiamo perso con le uniche due squadre tre le prime otto (zona play off) incontrate.  Togli il convincente exploit di Crotone,  in un calcio normale oggi non potremmo definirci competitivi per tornare in serie A. Ma questo, questa B intendo, è un calcio normale?

Potremmo scriverne tante di cose. Potremmo consigliare a Grosso di pensare meno all’accademia e alla teoria e di diventare più camaleontico e pragmatico nel suo modo di proporre gioco. Potremmo continuare a ripetere che Setti investendo poco gioca eternamente con il fuoco e ci complica la vita (e questo lo scopriremo cammin facendo, quando incroceremo avversarie più degne). Ma poi torniamo lì, alla solita domanda. questo è un calcio normale? E allora forse ha ragione Setti. Chi gli lo fa fare di spendere, quando può bastare così poco? A cosa serve investire se il resto è declino?

MONDO PARALLELO

E’ tutto così surreale. E pure stancamente virtuale. C’è una distanza siderale tra il mondo che è e quello che ci vengono a raccontare. Pubblicamente si celebrano: tagli del nastro, inaugurazioni, narrazioni retoriche e del tutto vacue, annunci di centri sportivi di proprietà poi abortiti, ora pure dibattiti su stadi londinesi avveniristici. Ci proiettano un futuro che non esiste. Ma la realtà poi si ripresenta, ogni volta puntuale e uguale a se stessa, già da qualche anno. Il Verona non sboccia, anzi regredisce e appassisce lentamente. In campo e in società, con i soliti errori, la consueta presunzione, l’eterno vuoto di passione e carisma, l’annoso deficit di investimenti, esperienza e competenze. La mediocrità è il risultato, in completa assenza di qualsiasi slancio (emotivo, calcistico, progettuale).

Dove stiamo andando? Dove sta andando il Verona? In campo basta un modestissimo Venezia a confermare (dopo Salernitana e Lecce) le fragilità di cui sospettavamo già in sede di mercato e di scelta dell’allenatore. Gioco monocorde, lo spartito è sempre quello, la prevedibilità è un marchio di fabbrica, i cali alla distanza una costante. Ruoli scoperti, caratteristiche specifiche assenti, equivoci di fondo fanno il resto. In società da anni ci ripetono che conta il bilancio, poi però hanno spiegato che i conti erano stati finalmente sistemati, eppure a fronte dei cospicui introiti ancora non si scorge una seria politica di investimenti. Il piccolo cabotaggio non è bastato ovviamente a salvarsi l’anno scorso, sarà sufficiente a risalire in serie A quest’anno? Speriamo, la bruttezza della B può essere un’alleata, ma perché giocare sempre con il fuoco?

Vorrei capire il senso di tutto questo. La prospettiva. Eppure tutto scorre come se niente fosse in città. Chi glielo spiega a quei 1300 che si sono fatti ore ieri sotto acqua, grandine e vento al Penzo? Cosa diciamo loro? Ce ne approfittiamo perché il loro amore incondizionato per il Verona (non per la dirigenza) li porta a cantare nonostante tutto? Perché dopo una settimana di lavoro hanno pure il sacrosanto diritto di godersela, stare insieme, essere comunità gialloblu?

Ma niente paura. Nessun problema. Perduto per sempre il modello Borussia che fieri vagheggiavamo come un grande amore, ora ci rifaremo presto una nuova vita  aspettando sognanti lo stadio del Tottenham. E’ il mondo parallelo su cui gravitiamo. Ci salverà dalla realtà?

IL NEMICO INVISIBILE E PERICOLOSO

Cronache surreali dal pianeta Verona. Condannati a vincere, ma pare non freghi a nessuno. Il Verona di Grosso è ancora nel limbo, manca ancora di una sua precisa identità e pare difetti in personalità. Ma nell’ambiente tutto scorre inerte e indifferente.

Non c’è slancio in Setti, che qualche collaboratore sembra voglia convincere a venire a vivere  a Verona per “ripulirsi” un po’ l’immagine. Ma Setti, che ha tanti difetti, certo non pecca di ipocrisia. Cioè lui a volte vorrebbe fingere, ma proprio non gli riesce. Un libro aperto. Intendiamoci, ci ha provato a fare un po’ il ruffiano il presidente, tra lettere alla Totò e Peppino e video fiume più lunghi di un comizio di Fidel Castro ai tempi belli, ma i nefasti esiti li conosciamo. Gli hanno creduto giusto quei 3-4 giornalisti sempre proni. Sono soddisfazioni. Ebbene, Setti è tornato sottocoperta: investimenti e carisma gli eterni assenti.

Non c’è slancio in Grosso: arrendevole nella voce, remissivo nella posa, superficiale nell’analisi pubblica dopo il ko con il Lecce. L’ho scritto dopo la sconfitta di Salerno: è un errore pensare che la tattica e la teoria siano tutto, è esiziale credere che si vinca solo in un modo, è pericoloso dare per scontato che bastino le proprie convinzioni. Nel calcio non si vince sempre con le proprie idee, a volta bisogna saperle mettere in discussione. Il Verona di Grosso è ancora accademia, ma poca sostanza e nervo. Come il Bari di Grosso. Caro mister, dia segnali di vita: lo tiriamo fuori un po’ di carattere?

Non c’è slancio nella gente: in chi si è abbonato e in chi ha rinunciato, senza distinzioni. Chi va allo stadio va per sentirsi comunità con gli altri tifosi, non certo per la partita. C’è chi manco la guarda. Ed è comprensibile. Infatti il Verona è rimasto solo nell’essenza dell’appartenenza del popolo gialloblu in quanto tale. Il resto credo stia lentamente morendo.

C’è un indifferenza nell’aria. Che si vinca, che si perda, che sia A o B. E il mood dell’era Setti. Servirebbe una botta di vita: lampi, tuoni saette, qualcosa che scuota. Il nulla è il nemico più invisibile e pericoloso.

VERREMO A PATTI CON IL MONDO REALE?

Il Verona è ancora un libro da leggere. Lo sviluppo della trama è un inedito da seguire.

Ci sono alcune certezze: tre-quattro giocatori, come dicevamo, sopra la media della categoria. C’è il solito equivoco (Pazzini) su cui fatico a soffermarmi perché non voglio alimentare un dibattito che non c’è (il Pazzo se sta bene – e sta bene – deve giocare). E due questioni (chiamateli dubbi) che rimangono sospese e che solleviamo dalla scorsa estate: la squadra è bene assortita? E Fabio Grosso, bravo nella tattica e nella didattica, è l’uomo giusto sul piano motivazionale e gestionale? Ha la sufficiente elasticità per vincere un campionato?

Sono ancora troppo poche le partite per giudicare, in un senso o nell’altro. Ma se la vittoria di martedì con lo Spezia ha mostrato un Verona solido sul piano dell’organizzazione, la sconfitta di Salerno svela per ora un deficit di personalità, che poi si traduce anche nella capacità di portarsi a casa punti nelle partite sporche, quelle incerte, poco intelligenti ma molto furbe. A Bari, Grosso ne ha perse molte di queste.

Il Verona  oggi è ancora troppo poco “bastardo”. E’ forse anche un limite del suo allenatore, che deve evitare l’errore tipico dei neofiti rampanti della panchina: pensare che il gioco, la tattica, la teoria siano tutto; credere che si vinca solo in un solo modo; dare per scontato che bastino le proprie convinzioni.

Il calcio ha anche un suo canovaccio imperfetto e inopinato, che bisogna saper leggere di volta in volta e alla svelta. Il vero pericolo è fissarsi nella propria etica e non voler scendere a patti con la realtà.

LA TRAPPOLA DA EVITARE

L’exploit di Crotone è uno di quelli che possono segnare una stagione. Per tre motivi.  Il Verona vince e convince a casa di una diretta concorrente. Il Verona, non da meno, conferma quanto di buono dimostrato la settimana scorsa con il Carpi. Il Verona si impone senza i suoi due attaccanti più forti.

C’è un senso di coerenza e legittimazione nelle due vittorie: non improvvisazione, fato, affanno, inerzia. Grosso dopo il passo falso con il Padova ha sistemato un paio di cose e sta trovando per la strada un suo disegno d’insieme. Non ci sorprende perché la didattica e la tattica – come abbiamo già sottolineato – sono da sempre i suoi punti forti. Tuttavia ci conforta, perché il tecnico nel frangente ha mostrato lucidità e sagacia. Il resto lo fa una squadra che probabilmente rispetto a molte altre  (se tutte staremo a vedere, rimango cauto) ha un tasso tecnico decisamente superiore con 4-5 giocatori fuori concorso (possono bastare e avanzare in B se gli altri fanno il loro).

Tutto bene? No, ovviamente. Il dilemma semmai è la tenuta, qualità nella quale il nostro allenatore in passato non si è mai distinto. E’ la distanza la prova del nove, sia nella partita che nella stagione. Il Verona è strutturato per arrivare in fondo? Intendo come mentalità, caratteristiche e organico nel suo complesso (al di là dei fuori concorso). Ora la differenza la fa mentalità: la vittoria di ieri può regalare convinzione, ma anche fotterti di presunzione. Il confine tra autostima o ego,  tra fiducia o vanità è labile e da non varcare. E’ questa la trappola da evitare.

 

LA MALEDIZIONE DEGLI UOMINI È CHE ESSI DIMENTICANO

E fu così che venne giù il castello. Delle ipocrisie, delle balle sesquipedali, delle mezze frasi da comari: “Eh ma Pazzini non si allena…”. Pazzini, beninteso, che per lor signori (i reggi-microfono) era finito. Perché guai a disturbare il conducente, sia mai.  E il conducente, si sa, il Pazzo lo voleva cedere (l’anno scorso, pur di liberarsene, lo si è dato in prestito accollandosi buona parte dell’ingaggio). L’altro giorno, per dire, in conferenza stampa non ho sentito una domanda che sia una a Grosso su Pazzini, che è ancora il giocatore più pagato e  titolato dell’intera rosa. Eppure era come se non esistesse. Di più: per i leoni da tastiera che si sono scordati…troppo in fretta (una fretta sospetta), eravamo noi di questa testata a montare ad arte il caso.

“La maledizione degli uomini è che essi dimenticano” diceva il Mago Merlino. Pure a Verona qualcuno ha già dimenticato la vergogna della scorsa stagione. E allora Pazzini fino a ieri era diventato un tabù. Vietato parlarne, argomento troppo scomodo. Ora gli stessi che su di lui avevano steso una (colpevole) cortina fumogena lo celebrano. Le facce di tolla non vanno mai in vacanza.

Per me è persino ovvio che Pazzini debba giocare. Ma deve sempre essere messo nelle migliori condizioni per farlo, modulo o non modulo. Lui è un cecchino negli ultimi 15 metri e a 34 anni il fisico non è più quello di un tempo. Cosa gli chiediamo, di correre e di fare reparto da solo? O di giocare in solitaria con due ali a trenta metri? Non scherziamo, su. Attorno bisogna costruirgli una squadra, senza astruserie da pedanti professorini del pallone (e negli ultimi anni da Coverciano ne sono usciti a iosa, mi auguro che Grosso non sia uno di questi). Come ho sempre scritto e detto in tv lui sarebbe stato utile anche l’anno scorso, con Kean si sarebbe completato a meraviglia (non casualmente l’unica volta che hanno giocato assieme rimontammo a Torino contro il Toro). Invece fu trattato come un ferrovecchio.

Ma il punto per chi scrive non è nemmeno mai stato Pazzini in sé. Ma quello che il “caso Pazzini” (nato a causa della società e non del giocatore) ha rappresentato per lo spogliatoio e creato attorno. Le macerie. Come mi disse una volta confidenzialmente uno dei leader del Verona dello scudetto: “Se tu tratti così il tuo bomber e capitano che ti ha portato in A, come pensi che si sentano i compagni meno titolati e meno tutelati? Così rovini il gruppo e fattelo dire da me che qualche spogliatoio l’ho frequentato”.

Ma non si doveva dire. Non si doveva scrivere. Usciremo mai da questa palude di conformismo e di paraculi? Ma quando mai impareremo? Quanto tempo abbiamo perso nel frattempo? Oggi siamo qui a festeggiare chi non avremmo mai dovuto abiurare. Così anche la gioia, a volte, può avere un suo retrogusto amaro.

 

ERA MEGLIO GIOCARE (ECCO IL PERCHÉ)

Tragicommedia all’italiana. Nel Belpaese succede anche questo, che un club e una città che partecipano al secondo campionato professionistico italiano non abbiano nemmeno il campo pronto alla seconda giornata. Ma di cosa parliamo? Potremmo già fermarci qua, oppure continuare a contare pure gli sbadigli di Cristiano Ronaldo, panacea di tutti i mali.

“Situazione incredibile” è stata definita quella di Cosenza. Definizione scorretta, tutto questo è molto credibile in una serie B che tra fallimenti e ripescaggi ancora oggi non sa quante squadre avrà ed è trasmessa da uno streaming che in certe circostanze ha fatto quasi rimpiangere il Ceccherini che sistemava chirurgicamente e teneva ferma l’antenna della tv ne ‘Il Ciclone’.

A proposito di Dazn, definita sarcasticamente dal comico Luca Bizzarri una Rojadirecta ma senza il brivido del proibito: ci deve essere del pudore in loro. “Partita rinviata causa maltempo” era l’avviso per gli utenti di Cosenza-Verona. Che teneroni…

Pudore invece sconosciuto a sindaco e assessore cosentini, che sembra di capire stanno sulle palle anche a qualche loro concittadino. Invece di nascondere la testa sotto la sabbia della vergogna dell’inefficienza per la figuraccia nazionale hanno l’indecenza di rivoltare la frittata e scaricare le colpe sul Verona e i veronesi. Che simpaticoni…

Ora pare certo che il giudice sportivo decreterà la vittoria a tavolino del Verona e, intendiamoci, sarebbe sacrosanto, il minimo sindacale. Eppure credo che il Verona di Grosso sia stato danneggiato, perché ora come ora per la squadra è necessario giocare per trovare amalgama, conoscenza, solidità e ritmo partita. Specie dopo le sberle di Coppa a Catania e i balbettii alla prima con il Padova.

Per questo, nonostante i tre punti (quasi) sicuri, lo scrivo senza riserva: è stato giusto non giocare, ma era paradossalmente meglio giocare. Il Verona deve ingranare e ora niente è peggio che fermarsi.

UN FILM GIÀ VISTO…

Così non si va lontano, per nulla. Anzi, si sprofonda nell’anonimato. Verona molle, spento, ombelicale nel suo estenuante e inutile possesso palla orizzontale. Con due ali impalpabili, Di Carmine isolato, un centrocampo poco assortito (troppi portatori di palla, nessun incursore), una difesa equivoca (un terzino sinistro che è destro e non va mai sul fondo, Marrone improponibile come centrale a quattro) e il déjà vu Pazzini davanti.

Scrivevo il 18 agosto: “Siamo davvero competitivi? Grosso che calcio ha in testa? Non c’è qualche doppione di troppo a centrocampo e poca qualità in difesa? Il caso Pazzini (non Pazzini in sé) non è un dèjà vù esiziale? Il pericolo è la presunzione”. Avevo delle perplessità sul metodo con cui era stata costruita la squadra, competitiva come nomi, meno nell’assemblaggio delle caratteristiche dei giocatori. E ho sempre manifestato dei dubbi ovviamente anche su Grosso, di cui non metto in dubbio la preparazione, la didattica e la conoscenza, ma il carisma, la presupponenza calcistica e la lettura delle partite e degli avversari.

E ieri si è visto un Verona improponibile e presuntuoso, a tratti imbarazzante e arrogante. Per di più in casa e contro un modestissimo Padova.

Ora è pure ovvio chiedere che Pazzini giochi (con la giusta collocazione tattica avrebbe dovuto essere titolare in A, figuriamoci in B). Ma Pazzini deve anche essere messo nelle condizioni di giocare, coccolato e protetto nei suoi 16 metri, dove è tutt’oggi uno dei migliori realizzatori italiani (e ieri ne ha dato giusto un assaggio). Pecchia in A non gli ha mai creato le condizioni intorno, la società figuriamoci, e non vorrei che Grosso, nel peggiore dei masochismi, facesse lo stesso.

Ho sentito i soliti pompieri in servizio permanente, esegeti della libertà di applauso, fuoriclasse della minimalia. Lo stesso Grosso ha reso alla stampa dichiarazioni inascoltabili e non veritiere sull’andamento della partita. E’ il solito filone pericoloso della rimozione forzata di cui parlavo recentemente (prendendomi gli insulti dei soliti sospetti corazzieri troll). Ho letto le solite irritanti banalità tipo  “aspettiamo a giudicare” e non “bisogna fare processi”. Frasi vuote, insignificanti, cliché consumati.  Invece è necessario intervenire subito, denunciare le storture, nella speranza che dall’altra parte ci sia l’onestà intellettuale e l’umiltà di cambiare e intervenire (se e per quello che si può a mercato finito).

Il tempo ovviamente c’è e in giro non mi pare ci sia molta concorrenza. Ma se non si cambia prospettiva e mentalità ogni secondo sarà un film già visto troppe volte in questi tre anni.

RIMOZIONE FORZATA (CHE NON FA BENE)

E l’incantesimo riuscì. Anestetizzati e dimentichi rimuovemmo ogni cosa. Con le solite frasi fatte, con il consueto copione del nulla, con le scontate esclamazioni evergreen con cui additare chi guarda in faccia la realtà e se ne sbatte dei conformismi: disfattisti! Polemici! Critichini!

L’onda dei social (che oggi fa opinione eccome e crea il mood) ha sancito la linea: guardare avanti. Così, a prescindere. E accidenti a chi osa muovere una mezza critica. Le solite penne (cioè lingue) campionesse della libertà di elogio – forse in perenne ricerca di lettori, o probabilmente speranzosi per una volta di indovinarne una e, presumo, con le farfalle sullo stomaco solo all’idea di reggere un microfono per il tale qualunque – poi ci hanno messo il carico: tutto è meraviglia e, figurarsi, Setti ora spende pure. Wow. E via di domande inutili a Grosso & C., di banalità o noiosi cliché estivi alla presentazione di ogni giocatore.

Nel frattempo non si parla della sostanza, cioè di calcio: siamo davvero competitivi? Grosso che calcio ha in testa? Non c’è qualche doppione di troppo a centrocampo e poca qualità in difesa? Il caso Pazzini (non Pazzini in sé), se non dovesse essere risolto con una cessione del giocatore, non è un dèjà vù esiziale?

Il mio timore è che questa nuova e inopinata onda ottimistica rischia di fare più male che bene. Il pericolo è la presunzione. La rimozione forzata di molti tifosi (forzata perché nessuno ha davvero dimenticato le recenti vergogne,  si è solo imposto di farlo) è come un oppiaceo: seda, rilassa, rallenta i riflessi, crea euforia e riduce il dolore. Invece con l’aria che tira tra via Belgio e Peschiera (aria indolente e presupponente) sarebbe meglio rimanere incazzati, vigili e tenere tutti sulla corda. Meno rose e più spine. E’ meno bello, ma più utile. Per questo oggi rompere i coglioni, che vi piaccia o no, è indispensabile. In nome del Verona.

LE CONTINUE CONTRADDIZIONI DI SETTI

Timidi segnali. E passi per l’avversario – la Juve Stabia è quello che è – ma nel Verona s’intravede nuova qualità. Ci sono 3-4 giocatori destinati a marcare il territorio in serie B e credo che tecnicamente questo basti in una categoria albergata da onesti pedatori.  Sia chiaro, è il minimo sindacale che ci si aspettava da una società che la scorsa stagione (ma anche due anni fa) ha umiliato colpevolmente la piazza con un’inerme decadenza. E, se vogliamo, ancora manca qualcosa là dietro.

Il legittimo dubbio tuttavia non riguarda il mercato (ripetiamo, in B basta poco) ma l’allenatore: Grosso ha idee, conoscenze, metodo, ma non è (ancora) un vincente. Lo diventerà?

C’è poi sempre quella cappa di malumore, che ora si sente meno grazie ai segnali di distensione di Setti con la piazza e la tregua sancita dalla tifoseria. Ma, si sa, le ferite finché non si rimarginano vanno monitorate e Grosso dovrà essere abile a vincere tanto e subito e a gestire eventuali passi falsi che riaprirebbero antiche e nuove piaghe (ne sarà capace?).

Infine c’è la questione Setti, che rimane aperta. Pare che Ranzani nostro abbia scoperto i tifosi dopo sei anni. Riflessi lenti? O qualcosa di nuovo bolle in pentola? Di certo aver spedito a Mantova certi (cattivi) consiglieri può averlo aiutato. Ma la domanda resta: in A possiamo tornarci immediatamente, ma poi? Continuiamo l’altalena? Il proprietario di Verona e Mantova saprà garantire la stabilità e mantenere (in ritardo, come i suoi riflessi) la promessa che fu, ergo l’agognato consolidamento? E ci sarà ancora lui al vertice del club?

Tante domande. Chi pensa se le fa, perché Setti pare andare a cicli contraddittori: primi tre anni vacche grasse (fino alle spese di Gardini-Bigon per Pazzini e Viviani), poi altri tre di prestiti e investimenti pressoché inesistenti. Adesso – grazie ai nuovi milionari incassi del paracadute e delle ennesime plusvalenze, e alla scadenza di vecchi pesanti contratti – s’intravede un minimo d’equilibrio, con l’ingaggio di molti giocatori svincolati ma di proprietà e con contratti pluriennali.

Ma la credibilità e l’affidabilità non si riconquistano in una sola estate. E’ ancora troppo poco. E’ ancora troppo presto. E le andature altalenanti dei cicli settiani ci inducono a restare diffidenti e guardinghi, e a vigilare.  Il Setti del Verona è ondivago. Come possiamo fidarci?