INCHIOSTRO SPRECATO

Lettere aperte che non si chiudono mai. Cupo e sordo inchiostro. Parvenza di rabbia epistolare. Ridondanza stucchevole. Solita minestra allungata. Noia e sbadigli. “Un bel tacer non fu mai scritto” scrisse il poeta Iacopo Badoer, ma chi pensa solo ai bilanci forse si occupa poco di letteratura e ancora meno di psicologia, leggi alla voce empatia.

Non c’è gloria in Setti. Non c’è epica neppure nel suo declino (di popolarità e di investimenti). Il presidente e il (si fa per dire) consigliere bolognese collezionista di ruoli, rispondendo alla Curva Sud, denotano ancora una volta la loro scarsa conoscenza della piazza e dell’humus veronese. Servirebbe umiltà, come richiesto dai tifosi, non risposte piccate e al solito senza sostanza e contenuti degni di nota. E trasparenza, appunto, perché se proprio si deve parlare o scrivere sarebbe opportuno rispondere nel merito alle analisi sul marketing pubblicate da Verona col Cuore. Non è (ancora) stato fatto.

Setti non ha mantenuto le promesse del 2012 (consolidamento in A e centro sportivo) e perciò ha perso ogni credibilità. Il Verona è suo e decide lui, dice. Premesso che non stiamo parlando di una fabbrica di bulloni e che c’è un patrimonio morale, ma anche economico (leggi abbonati e indirettamente i diritti tv legati in parte alla piazza) costituito dai tifosi, proprio perché Setti è il presidente di questo affannato Verona retrocesso indegnamente si limitasse a lavorare in silenzio e a fare il minimo sindacale con 25 milioni di paracadute: vincere il campionato e tornare in serie A. Tutto il resto è, al solito, inchiostro sprecato.

CHI PARLA E CHI FA

Giovedì scorso ero all’inaugurazione del nuovo centro sportivo della Bluvolley Verona all’ex area Glaxo della Spianà. Complesso che il club di Stefano Magrini (lo stesso Magrini che il 14 gennaio scorso, in un’intervista a questo sito, mi rivelò di sognare il Verona) avrà in usufrutto per 42 anni da GlaxoSmithKline.

Una formula che permetterà corposi investimenti perché, ha detto Magrini alla presentazione, “il centro sportivo vuole diventare la casa dello sport veronese e rappresentare il primo passo verso la costituzione di una polisportiva gialloblu di vertice. Non a caso abbiamo investito qui alla Spianà, cioè in un’area vicina a stadio, antistadio, palazzetto e al campo di via Sogare. Il modello è il Benfica. I tempi non sono ancora maturi, io stesso a volte tendo a correre troppo, ma ci arriveremo”.

Dichiarazioni che ricalcano quanto il presidente di Bluvolley e di Petas (azienda con commesse in tutto il mondo e che vanta tra i suoi clienti Calzedonia, che è anche mainsponsor di Bluvolley) disse al sottoscritto, quando svelò che nella polisportiva ci sarebbe stato anche il calcio professionistico.

Magrini poi, con un sorriso sibillino e sornione, ha rimarcato che anche la stessa “Calzedonia è contenta” dell’investimento di Bluvolley nell’ex area Glaxo.

Come vedete c’è chi fa. Poi c’è chi parla. C’è chi da cinque anni annuncia di voler fare il centro sportivo, ma ad oggi non c’è traccia di nulla. Tutto è lettera morta. Ma l’annuncite deve essere un vizio difficile da debellare da certe parti, se è vero che di recente si aggiunta la velleità dello stadio nuovo, con tanto di volo a Londra del direttore operativo del Verona al cantiere del Tottenham. Peraltro, da quanto è emerso sinora, non si tratterebbe di stadio di proprietà del Verona.

C’è chi fa e c’è chi parla. Ecco a cosa ho pensato giovedì uscendo dal nuovo centro sportivo della Bluvolley. Ricordate quel vecchio gioco de La Settimana Enigmistica? Trovate le differenze.

E COSÌ TUTTO PASSA… (IN CAVALLERIA)

No, Fonzie, no. Fonzie resta imbattibile. Fonzie quando doveva chiedere scusa balbettava. Ma Fonzarelli è un cult.

Setti invece troneggia nell’anonimato, comanda nell’indifferenza. Non c’è gloria nel fu Ranzani, ma solo malinconia. Così pure quando deve fare qualche timida ammissione di colpa, fateci caso, il nostro abbassa di un tono la voce quasi volesse far scivolare via il pentimento.

Pentimento, non esageriamo. Perché Setti ammette a spizzichi e bocconi, giusto qualcosa qua e là, più che altro obbligato dagli infausti eventi che mosso da una seria autocritica. Sembra quasi di risentire Flaiano: “La situazione è grave, ma non è seria”.

Così Setti ammorbidisce l’umiliazione di una stagione oscena – nata dai suoi non investimenti – parlando d’altro. Dunque di bilanci, conti, partite doppie da tenere sotto controllo. L’ovvio venduto come virtù. Che mestizia.

Ma più tristi e desolanti ancora sono le articolesse di chi ha già assolto Setti, con gli acrobatici minimalia che sostituiscono temporaneamente i soliti peana. “Ha ammesso le sue colpe” sostengono gli scribi. Mica paglia.

E così tutto passa in cavalleria. E nella retorica assolutoria non si affronta ancora una volta la sostanza. Setti ha ancora le possibilità economiche per tenere fede alla sua promessa d’ inizio mandato (il consolidamento in serie A)? Il Verona merita questo? Ci accontentiamo della mediocrità, così, a prescindere? Non sarebbe meglio cominciare tutti a pensare all’alto e non al basso? A pretendere qualcosa in più? Non la luna, sia chiaro, ma semplicemente quanto fu promesso e garantito.

Invece sembra tutto normale. Archivi usati a piacimento per rammentarci quante volte siamo retrocessi e non le promesse disattese. La retorica del “futuro immediato” e del “voltare subito pagina” quasi subentrasse l’ansia del voler dare una pennellata di verginità a quanto accaduto. Fiumi d’inchiostro sull’eterno cliché buono per tutte le stagioni “del silenzio degli imprenditori veronesi”. La solita minestra.

Per fortuna poi arriva Setti che, nonostante gli sforzi immani degli scribi e forse al solito ben consigliato (si fa per dire) dal giornalista-allenatore-scout-speaker-comunicatore-amico (e chi più ne ha più ne metta) bolognese, a Premium ci ricorda a modo suo le vecchie promesse disattese. “Per l’anno prossimo garantisco il massimo impegno da parte di tutti” dice. Roba forte. Neanche fosse il presidente della bocciofila.

EPPURE SETTI NON È A FINE CORSA

Un fatto è assodato e pure il diretto interessato – ancora ieri parlando in primis di bilanci – lo ha a modo suo confermato: Setti non è in grado di mantenere stabilmente il Verona in serie A, come promesso all’inizio del suo mandato. Questo, a mio modo di vedere, è il suo vero fallimento tecnico e morale che lo relega a presidente senza più credibilità.

Ed è da qui che bisogna partire nel ripensare al futuro dell’Hellas. Setti, conscio pure lui delle corbellerie che ogni tanto si lascia sfuggire, ieri davanti all’ottimo Vitacchio perlomeno ha ridimensionato la storia dei 70 milioni per cedere la società: “Chiedo una cifra in linea con il mercato. Il Verona ha zero debiti”.

Ora si tratta di capire cosa significa in soldoni (anzi in soldi) l’espressione “in linea con il mercato”. Ma occorre ancor di più domandarsi: Setti ad oggi è interessato davvero a vendere? Perché prima di cadere nel solito e ormai stanco cliché del “nessuno vuole il Verona” bisogna capire quali siano le reali intenzioni dell’attuale proprietario e interiorizzare un fatto nuovo: rispetto all’epoca pre-Setti, quando quel cliché forse aveva qualche ragione di essere, il calcio è diventato un grande business e fa gola a molti.

Ora come ora Setti ha ancora benzina sufficiente (leggi paracadute) per avere interesse ad andare avanti. Dunque è tuttora in una posizione contrattuale di forza di fronte ai potenziali acquirenti (che certo non vengono a raccontare ai giornali le loro intenzioni, ma anzi giocano scientemente su un doppio binario: prima mettono in giro le voci poi mandano avanti i loro peones a smentire).

Tuttavia non darei per scontato l’assioma: finito il paracadute (se il Verona non torna a stretto giro in A) Setti vende. E’ plausibile, ma (ripeto) non scontato. Setti, al netto dell’apparente ranzanismo ruspante emiliano e delle tante gaffes mediatiche, è uomo che sa fare bene i suoi conti e potrebbe decidere di gestire anche un Verona navigante in serie B con la mutualità.

E’ chiaro che la retrocessione e una presumibile difficoltà a risalire subito (aspettiamo ds, allenatore e mercato, ma è certo che non partiremo favoriti come due anni fa) potrebbero togliere al proprietario Setti un po’ dell’attuale forza contrattuale nei confronti di terzi. Eppure sarei cauto ad affermare che Setti è a fine corsa.

SETTI INVESTA O SI FACCIA DA PARTE

Dove siete piccoli giannizzeri del piccolo imperatore Setti? Voi che additavate Pazzini e Bessa come mele marce di uno spogliatoio per il resto lindo e puro? Narrazione semplicistica e furbetta, da veline ufficiali e acritiche. Bene, bravi, bis, per dirla con Franco e Ciccio, dacché è meglio ridere per non piangere.

C’è un senso tristissimo di nemesi in questa vergognosa retrocessione del Verona. Dopo il karma Pazzini (di sicuro consumato, forse bollito, ma mai sostituito, ancora pagato e tutt’ora capocannoniere), il cerchio si chiude con Bessa. Dice Ballardini in sala stampa: “Bessa è un talento puro, ma è arrivato da noi che era indietro, probabilmente non abituato a certi metodi di allenamento. Poi si è messo in pari”. Populista anche lui? Non ottimista anche lui? Anche lui facente parte del famigerato “ambiente ostile”?

Quante cazzate abbiamo sentito. Quante cazzate ci hanno raccontato. E se anche è diventata abitudine togliere l’accredito ai giornalisti critici (decisione partorita da chi giornalista non è) e querelare un blogger passionale e tifoso che ha presentato Sanremo, conosciuto i più grandi personaggi e girato il mondo, le cazzate rimangono cazzate.

La verità è una: Setti non è più credibile. Ha disatteso le promesse (consolidamento in A e centro sportivo), è stato smentito dai fatti nelle sue dichiarazioni su Volpi e – nonostante i ricavi milionari di plusvalenze, diritti tv e paracaduti – da tre anni non è in grado finanziariamente di garantire la serie A al Verona, club blasonato che come ha ricordato stasera anche il radiocronista di Radio Rai “ha vinto una scudetto e ha una grande tifoseria”.

Motivi sufficienti per chiedergli un netto passo indietro. C’è una responsabilità nel guidare e presiedere una società come l’Hellas. E’ necessario un rispetto, sostanziale e formale. Oggi c’è un presidente che senza più un vero investimento non può chiedere realisticamente 70 milioni per la cessione del club.

Oggi Setti è di fronte a un bivio: o investe, o forse è meglio che si faccia da parte. Il Verona deve ripartire.

NUOVO MIRACOLO ITALIANO

La mezz’ala dal lauto ingaggio, quella che zittiva, si divora un gol determinante e non zittisce più nessuno. Chissà ora cosa scriverà sui social, dove è uso illuminarci con le sue stravaganti elucubrazioni. D’altronde è pure coerentemente il capitano di questo meraviglioso Verona settian-pecchiano. Nulla è mai per caso. Ognuno ha i suoi simboli.

L’allenatore invece non se ne può star zitto, in questo calcio iper-mediatico è obbligato a parlare. Ma il disco è sempre quello. Suono stonato, pare un vecchio giradischi che va al contrario. Che vuoi dire? Io sì che ho perso le parole.

Le ha perse anche il presidente. Dove sono le lettere aperte? E i video-messaggi fiume? Le citazioni a caso del “Born to tribular”? Le digressioni su bilanci, centro sportivo, antistadio e settore giovanile? Ecco, parliamone davvero, ma seriamente. C’è il record dell’ora da superare e i record, si sa, sono lì in attesa di essere battuti.

Ritratti e istantanee di un nuovo miracolo italiano. Riuscire a sciupare un calendario stra-favorevole (il Benevento condannato e un Bologna già salvo) e tentare la vera impresa sportiva: rischiare seriamente di retrocedere in un campionato dove la pur volenterosa e apprezzabile Spal, nonostante sette risultati utili consecutivi (segno di solidità tattica nella mediocrità tecnica), è ancora a soli tre punti. Ce la faranno i nostri eroi?

Sassuolo e Genoa (pure lui già salvo) le ultime chiamate. Servono almeno 4 punti per arrivare ad affrontare la Spal con qualche chances.

PERDONO ANCHE SE VINCONO

Vivono in una bolla. Fuori dalla realtà, distanti dalla sofferenza, indifferenti alla passione. E tronfi sollevano il ditino verso la bocca (nel gesto di zittire) dopo un rigoretto tirato pure male, decine di prestazioni inutili e storiche debacle. E superbi e spudorati in sala stampa accusano: “Non è facile giocare dopo quello che abbiamo subito”.

Abitano in una campana di vetro. Gli occhi chiusi e l’ovatta intorno. Vincono una partita di mediocre fattura e segnata da un episodio e si ergono a professorini. Ridicolo, surreale, grottesco deja vu. Il loro allenatore – una volta tanto vincente, forse a sua insaputa – è come il suo presidente: tende alla gaffes, nonostante l’inconsistenza di gran parte delle domande a lui rivolte: “Forse questa vittoria è figlia anche delle dimissioni del nostro direttore sportivo, che hanno dato una scossa all’ambiente” dice. Frase criptica, dalle molte interpretazioni e dai mille sottendimenti. Dimissioni che “non approvo” continua l’allenatore. Dunque, per la proprietà transitiva, se non si condividono delle dimissioni che però a detta del tecnico hanno portato a una vittoria, la vittoria è un fatto casuale, non previsto, indipendente dalla volontà di chi (l’allenatore) dovrebbe crearne le premesse? Kafkiano. Ma anche coerente, sulla falsariga del leggendario e indimenticabile verbo del nostro: “Il calcio non ha una logica”.

Una cosa è certa. Società e squadra da mesi hanno segnato una distanza netta e consapevole dalla tifoseria e più in generale dalla gente del Verona. Un fatto grave e (a mia memoria) senza precedenti. E difficilmente sarà una salvezza (non mi stanco di ripetere, comodamente raggiungibile dato l’agevole calendario rispetto a Crotone e Spal, sarà un’impresa non salvarsi e a volte sembra che siano in grado di compierla, vedi Benevento) a poterla colmare. Come ho già avuto modo di scrivere, qui c’è un vulnus che va molto al di là dell’aspetto tecnico, agonistico, di una classifica o di un pallone in rete. Società e squadra da tempo si sono creati l’alibi perfetto: se ci salveremo sarà nonostante l’ambiente; se retrocederemo sarà colpa dell’ambiente. Un noi contro di voi che lascia senza fiato. Onanismo metaforico, autoreferenzialità paracula. Ieri la mezz’ala con il ditino alzato sulla bocca e l’allenatore l’hanno ribadito: giochiamo solo per noi stessi.

E a morire è il senso sociologico e assoluto del calcio, “l’unica religione che non conosce atei” come scrisse Eduardo Galeano: la condivisione, il campanilismo, il giocare per una bandiera, una città, un qualcosa e un qualcuno. Unire e non dividere. Rappresentare e non estromettere. Aspetti che valgono molto di più di un’effimera annata, o di una possibile salvezza che rischia di non creare nemmeno consolidamento (l’anno prossimo saranno fatti investimenti, o ci aspetta un altro campionato del genere?). Per questo hanno già perso anche se vincono.

QUESTA È LA STORIA…

Questa è una storia di ridicola e drammatica arroganza. Ridicola per la modestia dei suoi protagonisti. Drammatica perché c’è di mezzo il Verona.

Questa è la storia di un presidente con pochi denari e ancor meno credibilità, smentito nelle sue smentite su Volpi e incapace di realizzare le due promesse cardine del suo mandato: il centro sportivo e il consolidamento in serie A. Un presidente che dopo anni di gelo e noncuranza sentimentale ha provato improvvisamente e disperatamente a conquistarsi la piazza con una lettera scritta pure male, un’ora interminabile di video e una serie di interviste accomodanti (ma alle domande vere di Vighini è andato in difficoltà). Un presidente che ha detto restando serio. “Il Verona vale 70 milioni”.

Questa è la storia di un direttore sportivo che da ds in carriera ha esercitato poco. Un ds frenato da una contraddizione: decisionista, ma di scarsa personalità. Così si è circondato di collaboratori che ne hanno ancor meno, in primis l’allenatore. Un direttore sportivo che ha sistemato un po’ i conti e che nella sua prima stagione in B ha indovinato pure qualche colpo (Bessa, Fossati, Bruno Zuculini e Ferrari), ma che quest’anno ha sbagliato di tutto e di più, nel mercato e nella gestione tecnica ed emotiva (i casi Cassano, Pazzini e Caceres hanno lasciato macerie morali). E che ha avuto la debolezza di circondarsi di poco acuti signorsì,  anziché confrontarsi anche solo indirettamente con la critica. La poca lungimiranza e una costante sindrome di accerchiamento, corroborata da futili e insensati appelli all’ottimismo, hanno fatto il resto. Oggi il ds si dimette, una decisione surreale e irritante talmente è fuori tempo massimo. . 

Questa è la storia di un allenatore che faceva l’assistente. Un allenatore che in conferenza stampa non parla mai di calcio, ma di “spirito”, “approccio”, “episodi”, “crescita”, “fiducia” in una serie sconcertante di banalità e parole vuote. Un allenatore che in campo non ha saputo migliorare un solo giocatore (Fares addirittura si è involuto), la cui fase difensiva fa acqua e che via via ha smarrito anche le sue (poche) certezze arroccandosi nella più letale confusione. Un allenatore che si è spinto negli abissi più profondi dichiarando: “Il calcio non ha una logica”.

Questa è la storia di chi ha continuamente ricercato alibi. Di chi ha minimizzato. Di chi ha furbescamente colpevolizzato l’ambiente o alcuni giocatori poi epurati. E’ la storia di chi non ha posto domande. E’ la storia di chi ha scambiato erroneamente il diritto di critica con la libertà di applausi, a favore ovviamente della seconda. E’ la storia dei professionisti del vittimismo che scambiano normalissime critiche per attacchi personali. E’ la storia di chi prova a spegnere le voci non allineate. Ma poi l’unica cosa che si spegne è la loro pietosa tracotanza.

IL NOSTRO VERONA NON È IL VOSTRO VERONA

Ci avete quasi tolto l’anima. E anche dovessimo salvarci, sappiatelo, sarà senza gloria.

Fatevi un giro sugli spalti, cari addetti ai lavori. Ascoltate per una volta gli umori di una città delusa e anche un po’ tradita. Parlate, anche solo cinque minuti, con quelle persone che dovreste rappresentare. Le persone di tutti i giorni, piccoli imprenditori, commercianti, operai, lavoratori, bottegai che si fanno il mazzo tutta la settimana aspettando di abbracciare la loro passione – il Verona, LA squadra della città – e poi devono sorbirsi spettacoli indecorosi.

Oggi la questione non è più nemmeno mettersene dietro tre su venti (sai che impresa!). Ribadisco, il calendario ti sorride e se vinci a Benevento (che ha dieci-punti-dieci! Sarà mica impossibile?) ti ritrovi a un punto dalla Spal (ora salva) e con lo scontro diretto in casa. Ripeto: sarà un’impresa non salvarsi, altroché, con il destino che ti ha messo in mano queste insperate fiches.

No, oggi la questione è un’altra e prescinde dall’esito. Avete fatto a fette la passione sportiva, l’ansia agonistica, l’emozionalità di un risultato. E sapete perché? Perché il VOSTRO Verona, cari addetti ai lavori, non è il NOSTRO Verona.

Noi però rimaniamo con il nostro. Fieramente. E se sarà salvezza festeggeremo tra noi e per noi, perché è il Verona, squadra, pensiero e sentimento della nostra città. Non staremo tra voi e non condivideremo con voi, che dal vostro piedistallo non avete mai capito, che rinchiusi in una bolla autoreferenziale nemmeno volete capire. E se retrocederemo sarà comunque sempre il nostro Verona. Nulla cambierà.

Ma ci salveremo, forse in campo, di sicuro nel nostro senso di comunità. Voi ci avete quasi tolto l’anima. Ma quasi, appunto. Sapete, quella è impossibile cavarla tutta finché ci stringiamo tra noi. E poi ricresce, dimentica questi giorni e mesi tristi e torna forte, fortissima. Nonostante voi, che non sarete mai attori protagonisti di questo film.

 p.s. Buona Pasqua a tutti i lettori. Questa  è un pazza vita.  Dedicate tempo a chi volete bene.

SALVARSI È UN OBBLIGO MORALE, NON UN’IMPRESA

Non sarò umorale. Non sarò sorpreso. Il Verona è questo ed è sempre stato questo. O meglio: a gennaio qualcosa è cambiato e l’Hellas ha trovato più compattezza (il famoso stato d’animo), ma la squadra e la sua conduzione tecnica e sportiva rimangono lacunose. Risultato? Il Verona, in questo stravagante e tristemente mediocre campionato di bassifondi, se la può giocare con squadre in crisi (Torino e Chievo), o demotivate (Fiorentina), ma appena l’asticella si alza tornano prepotenti i suoi limiti tecnici, tattici e atletici. Eppure, nonostante tutto, grazie a quella compattezza e a un calendario amico può salvarsi.

Paradossalmente rimango fiducioso anche dopo l’ennesima figuraccia di una stagione di umiliazioni da collezione. Si badi bene: fiducioso, non ottimista. La fiducia è un concetto razionale, l’ottimismo una categoria dello spirito che lascio volentieri al nostro direttore sportivo. Il calendario del Verona è il meno impegnativo tra le pericolanti e certamente il più adatto alle nostre caratteristiche, ergo ai nostri deficit. Troveremo diverse squadre con meno motivazioni (Benevento, Bologna e Udinese e forse pure Genoa e Cagliari) e dunque il match point in mano l’abbiamo noi. La chiave sarà ovviamente non perdere contro chi la bava alla bocca ce l’avrà davvero, vedi Spal e probabilmente Sassuolo.

Sia chiaro: dato il deprimente panorama della lotta salvezza appena richiamato, è chiaro che restare in serie A non sarà un’impresa memorabile, ma solo un obbligo morale nei confronti di una piazza che per il Verona investe tempo, denaro, sentimenti e sogni. E che quest’anno ha subito l’onta di storiche umiliazioni. E che dopo uno 0-5 si deve sorbire la conferenza stampa di un allenatore che dice che lui non parla di cose tecniche (di che dovrebbe parlare un tecnico, di grazia?). Eppure, ripeto, ciò che conta è che ci possiamo salvare. L’ho scritto dopo la debacle di Roma con la Lazio, lo ribadisco oggi a qualche ora di distanza dall’inopinata sconfitta di ieri. E sapete perché? Perché, come dice Pecchia, “il calcio non ha una logica”. Il suo Verona di sicuro.