È SETTI CHE DEVE VOLTARE PAGINA, NON IL TIFOSO

Voi la fate facile. Le storie di ieri già morte, sepolte, dimenticate. Capisco: anche il mio alter ego tifoso, come un innamorato, anela sempre una nuova speranza. Anzi ne necessita, di essa si nutre. Sennò che senso avrebbe ogni cosa? Intendo, il Verona: sostenerlo, seguirlo, gioire, imprecare. La vita è già dura, è fatica, l’elisir è di diritto.

Eppure io non posso. Non posso con disinvoltura scrollare le spalle e, noncurante, voltare pagina. Da giornalista devo essere razionale. Vi piaccia o no. Setti è in crisi di credibilità da tempo e non bastano due-tre strapuntini ruffiani o qualche foto con gli ex leggenda per colmare il gap. E sarebbe da miopi pensare di creare consenso solido e non effimero con la narrazione positivista e la sponda mediatica degli embedded.

Il tifoso oggi è informato e maturo e sa separare le cose: ama il Verona a prescindere, ma chiede altro al suo presidente. Serve tornare in serie A, investire lì e restarci. Come da promessa disattesa. Poi ne riparliamo. Le altalene ci piacciono con i nostri figli o nipotini al parco giochi. Di Carmine è un buon acquisto, ma basta? Chiaramente no e non metto fretta a nessuno, il mercato chiude a fine agosto e io sono della teoria che se sono forti possono arrivare anche all’ultimo. Ma se vogliamo vincere il campionato (minimo sindacale per la forza economica del Verona) servono altri quattro titolari (due difensori, un mediano e una punta esterna). Ma poi impertinente domando: i soldi per Di Carmine (a prescindere dalla formula tecnica dell’acquisto) non potevano essere messi a gennaio per due-tre giocatori? Domando, non affermo. Con terribile insolenza chiedo: perché alcune comparse l’anno scorso ingaggiate per la A, oggi vengono cedute (giustamente, intendiamoci) in B? Se non sono ritenuti all’altezza ora, come potevano esserlo un anno fa?

Ma non è solo quello, non c’è solo il campo. Per recuperare terreno va completamente cambiata l’impostazione filosofica settiana: il mantra “prima il bilancio” come feticcio assoluto, il surreale “io non vi faccio fallire” (ma dai? Grazie), danno l’idea di una società in affanno, senza spessore e grande prospettiva. E la percezione di un’altalena quasi programmata (non affermo che sia così, lungi da me, scrivo di una percezione della gente).

Sensazioni che spengono l’anima (e il dato degli abbonati in tal senso fa riflettere). Il resto è turbamento, disaffezione, disagio, sospetto, irritazione. La morte, lenta e agonizzante, del sentimento. E vale per chi si è abbonato e per chi ha deciso di non rinnovare. Così è se vi pare.

IL TRAVAGLIO PSICOLOGICO DEI TIFOSI

I tifosi dibattono tra loro e dentro di loro: mi abbono, o non mi abbono? E già solo questo travaglio emotivo (qualsiasi sia la scelta finale) dà l’idea di cosa è diventato, nel suo rapporto inesistente con il popolo gialloblu, il Verona di Setti. Una crisi di credibilità che difficilmente potrà rientrare con qualche ruffianeria populista. La spaccatura è più profonda ed è cominciata due anni fa con la vergognosa retrocessione del 2015-16. Da lì in poi una serie di fatti, comportamenti, omissioni, silenzi, presunzioni, sceneggiate hanno allargato la crepa, fino all’ultima retrocessione, ancora più imbarazzante di quella precedente.

Ora Setti evidentemente sta cercando di riavvicinarsi alla piazza con operazioni cosmetiche: dal probabile ritorno di Roberto Puliero alle radiocronache, alla partnership estiva con la Melegatti, fino alla (tardiva e non ancora certa) presentazione della squadra allo stadio ai primi di agosto, passando per un rinnovato e più vigoroso rapporto con l’associazione degli ex gialloblu e le nuove maglie che riprendono il blu originario.
Tuttavia queste (ottime) iniziative rischiano di rivelarsi effimere se il proprietario di Verona e Mantova non pianificherà corposi investimenti per la squadra. Investimenti di cui da anni non si ha traccia e l’attuale calciomercato non si discosta dal solito copione (si spenderà per Di Carmine, ma non basta dopo le ultime ed ennesime plusvalenze). Anzi, addirittura questo improvviso e strano slancio del presidente verso i simboli veronesi – fatalità nel suo momento di minimo storico – potrebbe rivelarsi agli occhi dei più decisamente sospetto proprio per la poca credibilità di Setti e per un passato che quanto alla voce passione (non) parla per lui.

Ed è in questo scenario che si consuma il travaglio psicologico dei tifosi, sospesi a mezz’aria tra la fedeltà al Verona per tutto ciò che il Verona rappresenta (l’aggregazione dei butei, la fede sportiva, l’istituzione, il rito del giorno della partita, l’identità-stadio) e la voglia di dare un piccolo-grande segnale a questa società che invece non li rappresenta.

Ed è Setti ad aver creato questo vulnus morale. Un vulnus morale che non ha precedenti.

P.S. Mi auguro davvero che Roberto Puliero possa tornare. Sarebbe la normalità, nulla più. Un rimedio parziale e tardivo a un torto subìto. Un anno fa, proprio di questi tempi, una mattina mi trovai con lui all’Arsenale, dietro al palcoscenico dove in quelle sere stava recitando, e chiacchierammo un paio d’ore per l’intervista che poi sarebbe uscita su questo sito. Io, lui, un cortile e due sedie, all’ombra di un luglio afoso come pochi. Ne colsi la sofferenza emotiva. Roberto è una bella persona. Viva Puliero. Viva il nostro Verona.

CAMBIO LINEA…ANZI NO

Tuffo carpiato con avvitamento. Cambierò opinione e linea. Subitaneamente, così. Scriverò che Setti è giovane e bello, elegante e raffinato. Racconterò che è quotidianamente qui a Verona, presenzialista in sede perché innamorato dell’Hellas e che quello di Mantova è solo un omonimo, un Ranzani minore. Non porrò più domande – ad oggi ancora senza risposta – su cosa è cambiato a livello finanziario dopo i primi tre anni di vacche grasse e gli ultimi di montiana spending review. Sarò la fiera dei luoghi comuni, delle frasi fatte e innocenti. Un cliché vivente. Sarò più realista del re, più leccaculo dei leccaculi (lo so la compagnia è numerosa e bisognerà dare di lingua per battere la nutrita e talentuosa concorrenza). Ma in tempi di “querela facile”, come scrive Gianluca Vighini, preferisco sottrarmi a quella che io ritengo una delle (tante) cause della malagiustizia italiana: l’intasamento dei tribunali. Nello scorso campionato mi è stato tolto l’accredito allo stadio e sembra che – a parte il mio editore – non gliene freghi un cazzo a nessuno, nemmeno a chi sarebbe nato per tutelarli, i giornalisti. Ma poco male, mai stato corporativo il sottoscritto, troppo anarchico e libertario per appartenere a qualsiasi parrocchia.

Il punto semmai è che a leggere certi commenti sotto il significativo articolo di ieri di Vighini, pare che non gliene freghi un cazzo nemmeno a chi dalla nostra libertà dovrebbe sentirsi tutelato: il lettore,  in questo caso anche tifoso. Alcuni, sia chiaro, non tutti, fortunatamente. Sono gli stessi che sotto l’articolo di Vighini parlano d’altro (della puntata di Pecchia, che comunque la si pensi è piccolissima cosa rispetto all’allarme lanciato da Gianluca e che peraltro dimostra una volta in più che Telenuovo non fa guerre, dunque il contrario di ciò che questi geni affermano in un inconsapevole cortocircuito logico). Sono gli stessi che hanno già dimenticato il coraggio che Gianluca ha avuto nel gennaio 2016 – da mediapartner! – di scrivere certi articoli (e all’epoca quello stesso qualcuno lo insultava perché troppo severo e invece ci aveva visto lungo). Sono gli stessi che approfittano della libertà che i blog offrono per scrivere (con nick anonimi) commenti (questi sì) da querela, peraltro in casa dello stesso giornalista che insultano.

Perché badate bene: i giornalisti, vi piaccia o meno, sono solo intermediari tra il potere e l’opinione pubblica, o per dirla più romanticamente alla Enzo Biagi “dei testimoni del tempo”. Noi vi raccontiamo ciò che sappiamo, ma se smettiamo di raccontarlo continueremmo a saperlo lo stesso. Voi no.

Dunque ora saranno solo carezze, elegie e agiografie. Sarà tutto più facile, comodo e avrò meno rotture di coglioni. Tranne, inteso, che con la mia coscienza e la mia onestà intellettuale, le uniche armi che io piccolo giornalista ho sempre utilizzato perché amo il Verona, che è essenza, spirito e comunità, dunque molto di più del tempo che stiamo vivendo e dei dirigenti di oggi, dal presidente agli obbedienti peones. E io devo rispettare quell’essenza, quello spirito e l’intelligenza di chi è parte di quella comunità. E devo rispettare il lettore.

Per questo, in fin dei conti, so che sopra ho scritto solo una marea di cazzate e che continuerò a fare quello che ho sempre fatto: scrivere come so e guardarmi allo specchio la mattina.

 

SCANDALIZZATEVI E SCONCERTATEVI…IN SILENZIO

Il redivivo (toh c’è) Barresi dice che loro sono “scandalizzati e sconcertati”. Oh finalmente un po’ di sana autocritica, mi son detto. Finalmente un po’ di umiltà e l’ammissione dell’ignominia: la vergognosa retrocessione a cui la città ha assistito impietrita e impotente. E invece no: scandalo (sic) e sconcerto (doppio sic) di Barresi sono per il taglio del paracadute da 25 a 20 milioni. Barresi, intendiamoci, che parla chiaramente come direttore operativo del Verona e non come consigliere di amministrazione del Mantova (da oggi in poi sarà sempre meglio specificare).

Mi chiedo solamente quanto sia opportuno (tralasciamo l’ineleganza), dopo una stagione così umiliante per i tifosi, esprimersi con cotanta isteria sul già di per sé controverso e discutibile paracadute. Mi chiedo se Setti & C. vivano sulla luna, su Marte o chissà dove per non rendersi conto del peso di certi lamenti nell’attuale contesto e momento storico: con l’ennesimo mercato che si preannuncia in spending review, nonostante il bilancio a posto (così ci hanno ripetuto alla noia), il paracadute (tagliato o meno comunque una cifra cospicua) e le ennesime plusvalenze milionarie. E dopo il (sorprendente) investimento di Setti nel Mantova, cartina di tornasole dell’ottimo stato di salute imprenditoriale di Mister Manila.

Non entro nel merito tecnico-legale sulla giustezza o meno del taglio. La società cercherà, dal suo punto di vista legittimamente, di far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune. Qua si analizza la reazione mediatica della dirigenza: inopportuna e irrispettosa nello scenario attuale, con una piazza (essa sì) sconcertata per un Verona che non vede decollare, per un orizzonte sportivo chiaro-scuro e per alcune scelte societarie (il direttore sportivo) quantomeno ambigue.

Oggi come oggi, per riavvicinare la piazza, tutto serve tranne che gli alti lai della società sui soldi. Siete incazzati per la sforbiciata al paracadute? Fate quello che dovete fare, protestate, ricorrete, ma in silenzio, con discrezione. Tutto vogliamo tranne che sentirvi parlare di soldi.

 

COLPACRAZIA

Tutto come previsto. Il Verona riparte da Toni D’Amico e Fabio Grosso. Il primo è un direttore sportivo senza esperienza, nonché lo storico collaboratore di un ds (Fusco) di poca esperienza e reduce da un fallimento tecnico. Il secondo un allenatore non certo cuor di leone e con alle spalle dieci soli mesi di professionismo a Bari, senza peraltro grandi acuti (i play off erano l’obiettivo minimo da quelle parti).

Nessuna sorpresa, dicevo. Parlai di D’Amico e Grosso più di un mese fa nell’ultima puntata di Ghe la Femo. Il resto (Foschi, Luca Toni e soprattutto Marchetti) sono nomi usciti più per gettare fumo e spostare l’attenzione. Non a caso non ho mai scritto una riga su Marchetti. Ma davvero qualcuno di voi ha creduto all’ipotesi Marchetti? Suvvia…

Dunque D’Amico e Grosso. Meritocrazia al contrario. Colpacrazia potremmo definirla coniando un neologismo. Sì, a Verona vige proprio la colpacrazia. Sbagli? E io ti promuovo. Hai poco o zero pedigree? Prego, s’accomodi. Sia chiaro, qui non vige il pregiudizio. Seguiremo D’Amico e Grosso e valuteremo i fatti, pronti a elogiarli se è il caso (e lo speriamo di cuore). Il nostro è semmai un giudizio sulla scelta, che non tiene conto dei precedenti (Fusco-Pecchia) e del clima attuale. Perché con la piazza tra il depresso e l’incazzato e dopo una stagione che ha lasciato macerie morali, erano necessarie scelte di altro peso specifico e di totale discontinuità. Con il bilancio sano (come ci è sempre stato detto fino alla nausea), 25 milioni di paracadute e altri milioni di probabili plusvalenze era lecito pretendere un ds affermato e un allenatore vincente e carismatico in grado di ricompattare la piazza. Sarebbe stato anche un gesto di distensione nei confronti dei tifosi.

Sia chiaro, Setti ha ragione quando dice “decido io”, ma ha torto quando questo principio lo porta a chiudersi in se stesso e a incaponirsi. Ed ecco dunque il continuo giocare d’azzardo con scommesse low cost e il solito schema: ds e allenatori deboli. Con un’aggravante: ora il mare è in tempesta.

Sullo sfondo resta irrisolta, almeno dal punto di vista della percezione, la questione Fusco. Con la promozione di D’Amico resta da valutare il suo effettivo peso nell’Hellas. Il diretto interessato al Corriere di Verona ha negato qualsiasi coinvolgimento. A non fare chiarezza però contribuisce la frecciata di Pazzini a margine del recente scazzo pubblico con l’arcinemico: “Auguro al sig. Filippo Fusco di ritrovare un po’ di serenità in questa sua estate apparentemente libera dal lavoro”. Apparentemente?

PARACADUTE E PARACADUTATI

Lieta novella. Il Verona è un fiorente vivaio. Non, sia inteso, il settore giovanile. Lì c’è stata poca… Primavera, ma solo cupo autunno, con la squadra di Porta che per non essere da meno di quella di Pecchia ne ha seguito le orme: retrocessione e alibi (“siamo stati penalizzati dalla formula dei campionati” ha detto Porta). Nel frattempo l’ex Pavanel diventava l’eroe di Arezzo. Parallelismi. O forse il solito karma che si abbatte sul Verona: gli abiurati e gli esiliati diventato re altrove, i prescelti invece falliscono miseramente. Meritocrazia al contrario. Tra gli applausi diffusi di molti media.

Ma no, il vivaio vero, da far invidia ai più, è in via Belgio. Proprio lì negli uffici della sede, dove in punta di metafora è un fiorir di onesti brigadieri divenuti generali. In primis il potente deus ex machina Filippo Fusco, per un biennio più di un ds, l’uomo dalle pesanti deleghe sia tecniche che finanziarie. Eppure il suo curriculum suggeriva che l’avvocato e manager napoletano – per carriera pregressa – direttore lo era stato poco. Sarà un caso, ma non appena il gioco si è fatto difficile il nostro è quasi “evaporato”, tra le sceneggiate di Cassano, le cattive gestioni di Bessa e Pazzini e l’incredibile e grottesca melina su Pecchia, fino alle surreali dimissioni a campionato in corso dopo aver predicato per mesi il modello Crotone.

Be’, tenetevi forte. Pare che il nuovo ds sarà addirittura il collaboratore del poco ds Fusco, cioè Toni D’Amico. Una scelta per certi versi stupefacente e che lascia mille domande in sospeso.

Anche perché non sarebbe il primo assistente promosso. Era un ex assistente Fabio Pecchia, vice allenatore catapultato improvvisamente in un gioco più grande di lui. Come è un ex assistente Francesco Barresi,  già collaboratore di Giovanni Gardini e da un paio d’anni direttore operativo del club. Bravo ragazzo, per carità. Anzi, chi di recente c’ha avuto a che fare me lo descrive come una persona puntuale, precisa, pratica. Ma nel pur rispettabile mestiere dell’esecutore. Può bastare? In quel ruolo non servirebbe una figura di maggiore spessore, anche politico?

Infine da qualche mese pare sia tornato in auge, lontano dai riflettori, come consigliere amico e “suggeritore” di Setti, il multitasking Emanuele Righi, bolognese, 40 anni ma già molte cose (allenatore dilettantistico, speaker radiofonico, scouter, ex consigliere personale di Guaraldi e amico di Setti). Che ci sia  lui dietro ai mirabolanti e interminabili video e alle lettere aperte che non si chiudono mai di Setti? Colpi di teatro, ma non di genio visti gli effetti.

Ma poco male. Il vivaio fiorisce rigoglioso. Ed è solo per amor di provocazione, non certo per diminutio, che lo scriviamo: il Verona del paracadute non poteva che avere i suoi meravigliosi paracadutati.

INCHIOSTRO SPRECATO

Lettere aperte che non si chiudono mai. Cupo e sordo inchiostro. Parvenza di rabbia epistolare. Ridondanza stucchevole. Solita minestra allungata. Noia e sbadigli. “Un bel tacer non fu mai scritto” scrisse il poeta Iacopo Badoer, ma chi pensa solo ai bilanci forse si occupa poco di letteratura e ancora meno di psicologia, leggi alla voce empatia.

Non c’è gloria in Setti. Non c’è epica neppure nel suo declino (di popolarità e di investimenti). Il presidente e il (si fa per dire) consigliere bolognese collezionista di ruoli, rispondendo alla Curva Sud, denotano ancora una volta la loro scarsa conoscenza della piazza e dell’humus veronese. Servirebbe umiltà, come richiesto dai tifosi, non risposte piccate e al solito senza sostanza e contenuti degni di nota. E trasparenza, appunto, perché se proprio si deve parlare o scrivere sarebbe opportuno rispondere nel merito alle analisi sul marketing pubblicate da Verona col Cuore. Non è (ancora) stato fatto.

Setti non ha mantenuto le promesse del 2012 (consolidamento in A e centro sportivo) e perciò ha perso ogni credibilità. Il Verona è suo e decide lui, dice. Premesso che non stiamo parlando di una fabbrica di bulloni e che c’è un patrimonio morale, ma anche economico (leggi abbonati e indirettamente i diritti tv legati in parte alla piazza) costituito dai tifosi, proprio perché Setti è il presidente di questo affannato Verona retrocesso indegnamente si limitasse a lavorare in silenzio e a fare il minimo sindacale con 25 milioni di paracadute: vincere il campionato e tornare in serie A. Tutto il resto è, al solito, inchiostro sprecato.

CHI PARLA E CHI FA

Giovedì scorso ero all’inaugurazione del nuovo centro sportivo della Bluvolley Verona all’ex area Glaxo della Spianà. Complesso che il club di Stefano Magrini (lo stesso Magrini che il 14 gennaio scorso, in un’intervista a questo sito, mi rivelò di sognare il Verona) avrà in usufrutto per 42 anni da GlaxoSmithKline.

Una formula che permetterà corposi investimenti perché, ha detto Magrini alla presentazione, “il centro sportivo vuole diventare la casa dello sport veronese e rappresentare il primo passo verso la costituzione di una polisportiva gialloblu di vertice. Non a caso abbiamo investito qui alla Spianà, cioè in un’area vicina a stadio, antistadio, palazzetto e al campo di via Sogare. Il modello è il Benfica. I tempi non sono ancora maturi, io stesso a volte tendo a correre troppo, ma ci arriveremo”.

Dichiarazioni che ricalcano quanto il presidente di Bluvolley e di Petas (azienda con commesse in tutto il mondo e che vanta tra i suoi clienti Calzedonia, che è anche mainsponsor di Bluvolley) disse al sottoscritto, quando svelò che nella polisportiva ci sarebbe stato anche il calcio professionistico.

Magrini poi, con un sorriso sibillino e sornione, ha rimarcato che anche la stessa “Calzedonia è contenta” dell’investimento di Bluvolley nell’ex area Glaxo.

Come vedete c’è chi fa. Poi c’è chi parla. C’è chi da cinque anni annuncia di voler fare il centro sportivo, ma ad oggi non c’è traccia di nulla. Tutto è lettera morta. Ma l’annuncite deve essere un vizio difficile da debellare da certe parti, se è vero che di recente si aggiunta la velleità dello stadio nuovo, con tanto di volo a Londra del direttore operativo del Verona al cantiere del Tottenham. Peraltro, da quanto è emerso sinora, non si tratterebbe di stadio di proprietà del Verona.

C’è chi fa e c’è chi parla. Ecco a cosa ho pensato giovedì uscendo dal nuovo centro sportivo della Bluvolley. Ricordate quel vecchio gioco de La Settimana Enigmistica? Trovate le differenze.

E COSÌ TUTTO PASSA… (IN CAVALLERIA)

No, Fonzie, no. Fonzie resta imbattibile. Fonzie quando doveva chiedere scusa balbettava. Ma Fonzarelli è un cult.

Setti invece troneggia nell’anonimato, comanda nell’indifferenza. Non c’è gloria nel fu Ranzani, ma solo malinconia. Così pure quando deve fare qualche timida ammissione di colpa, fateci caso, il nostro abbassa di un tono la voce quasi volesse far scivolare via il pentimento.

Pentimento, non esageriamo. Perché Setti ammette a spizzichi e bocconi, giusto qualcosa qua e là, più che altro obbligato dagli infausti eventi che mosso da una seria autocritica. Sembra quasi di risentire Flaiano: “La situazione è grave, ma non è seria”.

Così Setti ammorbidisce l’umiliazione di una stagione oscena – nata dai suoi non investimenti – parlando d’altro. Dunque di bilanci, conti, partite doppie da tenere sotto controllo. L’ovvio venduto come virtù. Che mestizia.

Ma più tristi e desolanti ancora sono le articolesse di chi ha già assolto Setti, con gli acrobatici minimalia che sostituiscono temporaneamente i soliti peana. “Ha ammesso le sue colpe” sostengono gli scribi. Mica paglia.

E così tutto passa in cavalleria. E nella retorica assolutoria non si affronta ancora una volta la sostanza. Setti ha ancora le possibilità economiche per tenere fede alla sua promessa d’ inizio mandato (il consolidamento in serie A)? Il Verona merita questo? Ci accontentiamo della mediocrità, così, a prescindere? Non sarebbe meglio cominciare tutti a pensare all’alto e non al basso? A pretendere qualcosa in più? Non la luna, sia chiaro, ma semplicemente quanto fu promesso e garantito.

Invece sembra tutto normale. Archivi usati a piacimento per rammentarci quante volte siamo retrocessi e non le promesse disattese. La retorica del “futuro immediato” e del “voltare subito pagina” quasi subentrasse l’ansia del voler dare una pennellata di verginità a quanto accaduto. Fiumi d’inchiostro sull’eterno cliché buono per tutte le stagioni “del silenzio degli imprenditori veronesi”. La solita minestra.

Per fortuna poi arriva Setti che, nonostante gli sforzi immani degli scribi e forse al solito ben consigliato (si fa per dire) dal giornalista-allenatore-scout-speaker-comunicatore-amico (e chi più ne ha più ne metta) bolognese, a Premium ci ricorda a modo suo le vecchie promesse disattese. “Per l’anno prossimo garantisco il massimo impegno da parte di tutti” dice. Roba forte. Neanche fosse il presidente della bocciofila.

EPPURE SETTI NON È A FINE CORSA

Un fatto è assodato e pure il diretto interessato – ancora ieri parlando in primis di bilanci – lo ha a modo suo confermato: Setti non è in grado di mantenere stabilmente il Verona in serie A, come promesso all’inizio del suo mandato. Questo, a mio modo di vedere, è il suo vero fallimento tecnico e morale che lo relega a presidente senza più credibilità.

Ed è da qui che bisogna partire nel ripensare al futuro dell’Hellas. Setti, conscio pure lui delle corbellerie che ogni tanto si lascia sfuggire, ieri davanti all’ottimo Vitacchio perlomeno ha ridimensionato la storia dei 70 milioni per cedere la società: “Chiedo una cifra in linea con il mercato. Il Verona ha zero debiti”.

Ora si tratta di capire cosa significa in soldoni (anzi in soldi) l’espressione “in linea con il mercato”. Ma occorre ancor di più domandarsi: Setti ad oggi è interessato davvero a vendere? Perché prima di cadere nel solito e ormai stanco cliché del “nessuno vuole il Verona” bisogna capire quali siano le reali intenzioni dell’attuale proprietario e interiorizzare un fatto nuovo: rispetto all’epoca pre-Setti, quando quel cliché forse aveva qualche ragione di essere, il calcio è diventato un grande business e fa gola a molti.

Ora come ora Setti ha ancora benzina sufficiente (leggi paracadute) per avere interesse ad andare avanti. Dunque è tuttora in una posizione contrattuale di forza di fronte ai potenziali acquirenti (che certo non vengono a raccontare ai giornali le loro intenzioni, ma anzi giocano scientemente su un doppio binario: prima mettono in giro le voci poi mandano avanti i loro peones a smentire).

Tuttavia non darei per scontato l’assioma: finito il paracadute (se il Verona non torna a stretto giro in A) Setti vende. E’ plausibile, ma (ripeto) non scontato. Setti, al netto dell’apparente ranzanismo ruspante emiliano e delle tante gaffes mediatiche, è uomo che sa fare bene i suoi conti e potrebbe decidere di gestire anche un Verona navigante in serie B con la mutualità.

E’ chiaro che la retrocessione e una presumibile difficoltà a risalire subito (aspettiamo ds, allenatore e mercato, ma è certo che non partiremo favoriti come due anni fa) potrebbero togliere al proprietario Setti un po’ dell’attuale forza contrattuale nei confronti di terzi. Eppure sarei cauto ad affermare che Setti è a fine corsa.