L’AZZARDO DI SOGLIANO

A Sean Sogliano deve piacere l’azzardo. Un mercato di scommesse, anche coraggiose, il suo. Forse troppe. Il ds si è seduto al tavolo da poker seguendo un metodo preciso: puntare poco e vincere tanto. Il budget non permetteva la splendida arroganza dei “rilanci” in stile Sergio Leone di “C’era una volta il West”. E la sua trasparenza nemmeno i memorabili bluff di Asso-Celentano, o dei fascinosi Redford e Newman in “Butch Cassidy”. 

“Preferisco avere un giocatore in più, che uno in meno”, il motto del ds figlio d’arte. E l’abbondanza non manca nella rosa del Verona. Forse non è perfettamente distribuita – tanti centrocampisti (otto per tre posti) e solo un terzino destro (anche Romulo lo è, lo so, ma io non lo toglierei mai dal centrocampo) – ma Sogliano ha puntato più sull’occasione che sul ruolo.

E’ stato il mercato delle apparenti contraddizioni. Ottimi colpi (Romulo appunto, Toni e le conferme di Jorginho e Martinho) e scelte discutibili (Donadel, che ha lo stesso procuratore di Rubin). Giocatori dall’ottimo passato ma dati per finiti, come Donati e Rubin, e giovani di talento tutti da scoprire (Longo, il riscatto di Bianchetti, Iturbe e Cirigliano).

E tanti (troppi?) sudamericani, con i pro e contro del caso. Si ambienteranno? Come sarà il loro impatto col nostro calcio? La storia del campionato italiano è ricca di giocatori venuti da Oltreoceano. Fuoriclasse (specie negli ani ’80 e ’90), discreti giocatori, mestieranti e ciofeche. Categoria, questa, sempre affascinante: il mio cuore continua a battere per il brasiliano sciupafemmine Renato Portaluppi, più bravo nei club notturni e nelle riviste patinate che in campo. E’ solo invidia, lo so.

Di Sogliano mi fido. L’uomo ha intuito e “odora” i calciatori. E Iturbe e Cirigliano sono prospetti interessanti. Cirigliano era titolare del River Plate, ma il campionato argentino non è quello italiano. A Buenos Aires lo definiscono un giovane Mascherano: interditore dalla gamba tosta, ma anche dal discreto palleggio. Iturbe, paraguaiano-argentino, invece é un ventenne con un futuro già alle spalle. Talento sopraffino, scoppiettante a sedici anni al Cerro Porteno (Paraguay) di Pedro Troglio. E’ finito a prendere polvere al Porto, con un furtivo passaggio addirittura al Gallipoli. Verona è la sua rampa di lancio. E’ un trequartista che può fare anche la punta esterna. Se sboccia abbiamo in casa un patrimonio. 

L’uruguaiano Gonzales, a differenza dei due compagni, è nel pieno della maturità ed è stato un investimento economico non da poco in rapporto al ruolo che ricopre (2,5 milioni di euro). E’ un difensore rapido, grintoso, di temperamento: più un Maietta che un Moras per intenderci. Nei piani di Sogliano (e di Mandorlini?) deve diventare il leader della difesa. Marques, carioca di esperienza, ha vinto ed è rispettato in Brasile. Lui è un simil Moras (o Bianchetti): pulito, tecnico, gioca più sulla posizione che sulla corsa.  

E’ stata costruita una rosa con molti giocatori universali (i vecchi jolly), che permette molte variabili tattiche. E su questo Mandorlini dovrà lavorare e smentire coloro (tra cui io) che lo annoverano tra gli “integralisti”.   

La salvezza è possibile. Mandorlini ha storici difetti (testone e poco flessibile tatticamente appunto), ma due grandi qualità: il suo calcio lo sa fare egregiamente e ama i giocatori “cazzuti”. Molta sciabola e poco fioretto, insomma. Questo vale anche per i talenti e Jorginho ne è l’esempio. Il centrocampista di Inbituba, classe cristallina, è apparentemente leggerino, in realtà ha personalità, corsa e interdizione. Ne fosse stato privo, Mandorlini mai l’avrebbe lanciato. E’ lui l’esempio da seguire per i Cirigliano, Iturbe, Bianchetti e Longo. Il campionato, e anche il futuro del Verona, dipenderà molto dalla loro maturazione.

Il resto starà nella capacità di riscatto di quei giocatori considerati – prima che arrivasse Sean – “vecchi arnesi” da buttare; nell’entusiasmo della vecchia guardia e nel rendimento dei gioiellini.

Buon viaggio vecchio Hellas.  

SCONFITTA SALUTARE

Orgoglio scaligero in un pub di Bruxelles. Siamo in sei veronesi e a pochi metri di distanza un gruppo di romanisti, che passano il primo tempo a smoccolare contro alcuni loro giocatori. Gli stessi verranno portati in gloria nella ripresa. Nessuna sorpresa: Roma e i romanisti sono questi, vivono la partita come se fosse un perenne ping pong  pre e post coito. Vogliamo diventare come loro? Direi di no. Non eravamo fenomeni dopo il Milan (ma come dice Mandorlini, quei tre punti li abbiamo e ce li teniamo), non siamo da buttare ora.  Piuttosto pregi e difetti sono gli stessi, è solo cambiato l’avversario. Un Milan svogliato e distratto una settimana fa, una Roma organizzata e talentuosa ieri.

E’ stato un buon Verona nel primo tempo. Ordinato e di personalità. A parte qualche tiro dalla distanza (ma in A non puoi concedere spazio ai tiratori nei tuoi 25 metri) e l’occasione di Florenzi in avvio, granché non ha subìto. Troppo rinunciatario? Sì, ma se la tua coperta è corta non puoi far miracoli. Un conto è avere Romulo a metà campo, un conto (con tutto il rispetto che merita) questo Hallfredsson.  Il brasiliano è talmente bravo che può giocare dappertutto (anche terzino), ma è chiaro che per lui vale il discorso che si faceva la scorsa stagione per Martinho: uno così dietro è sprecato. Romulo, schierato da mezz’ala destra, col Milan è stato l’uomo delle ripartenze. Da terzino quel lavoro non lo può fare.

Nel secondo tempo ci siamo “abbassati” (vizio storico del Verona mandorliniano). Poi il primo gol è stato un corollario di errori. Palla persa di Hallfredsson, Totti lasciato libero in rifinitura e Cacciatore in ritardo sul cross di Maicon (gli autogol non sono sempre sfortuna). Sul secondo, al di là del numero in pallonetto di Pjanic (ma sull’ennesimo tiro dalla distanza), Rafael è fuori posizione. Errori che, sommati fra loro, hanno incanalato una partita di brillante tenuta in una pesante sconfitta. Un KO, tuttavia, salutare, perché paradossalmente consegna a Mandorlini e alla società (in vista delle ultime ore di mercato) più certezze che dubbi. Certezze positive e negative, ma pur sempre certezze.

Cosa non va? La difesa, così com’è, è debole. Moras e Maietta, pur dignitosi, assieme non danno garanzie. Gonzales (più che Marques) è da provare e c’è sempre Bianchetti. Cacciatore è un onesto pedatore, ma l’impressione è che giochi costantemente in affanno. Eppure credo abbia margini di crescita. Davanti, manca una spalla di Toni da inserire a partita in corso (in attesa di Longo, Cacia non convince, su Gomez invece sospenderei il giudizio). Jankovic è (ancora) il classico giocatore nel limbo: eterna incompiuta, o talento pronto a esplodere? Hallfredsson (a cui concediamo l’alibi di una condizione approssimativa) a questi livelli è meno esplosivo. Poco convincente anche Rafael: tante buone parate, ma in tilt nel momento determinante. Va rivisto. Cosa funziona invece? Il centrocampo (Hallfredsson a parte) e non è poco. Donati (su cui mi devo ricredere) è fondamentale nel gioco di Mandorlini. Jorginho ha classe superiore. Martinho è da grande squadra. Riproponendo Romulo e tenendo in considerazione Sala, in mediana teniamo il passo. Bene a metà il modulo: questo 4-5-1 è una buona base di partenza (a patto ci siano Romulo o Sala, che sanno ripartire), mentre latitano le variabili in corsa, sia in termini di uomini (compito di Sogliano) che di tattica (lavoro di Mandorlini).

Queste considerazioni incidono anche sul mercato. Sogliano ha in colpo l’attaccante Iturbe e si sta muovendo per un terzino sinistro, ma con un paio di colpi extra per rimpolpare la panchina mi sentirei più tranquillo. La chiusura del mercato e la sosta arrivano con tempismo perfetto. E anche il Sassuolo. C’è il tempo di sistemarsi, in attesa del primo banco di prova con una diretta concorrente. Fiducia, ma antenne dritte.

P.S. Grave aggressione di un gruppetto di ultras romanisti contro il pullman della squadra. Ricordo anche l’aggressione subita dai tifosi a Palermo. Dove sono e cosa dicono i “moralizzatori” del Palazzo?  Attendo seriosi dibattiti Malagò-Casarin; aspetto solenni interviste ad Abete; confido in lenzuolate della Gazzetta. Lo so, è più facile vedere Galeazzi magro e Mazzari e Conte vincere “Mister Simpatia”.

 

LA GENIALITA’ DI UNA TIFOSERIA

Istantanea di un indimenticabile sabato pomeriggio: la faccia di Galliani già a fine primo tempo. Nera come la pece, più che accigliata direi funerea. Avreste dovuto vederla, nemmeno il Teo Teocoli dei giorni belli sarebbe riuscito a far di meglio. Lì ho avuto la sensazione che avremmo vinto. Il Milan era già col fiato corto e la testa altrove. Il Verona, seppur non al meglio e con ancora delle falle da sistemare sul mercato (e questo, sia chiaro, è un rafforzativo dell’impresa), padrone del campo.

Suspense finale di un memorabile 24 agosto: Mandorlini negli ultimi dieci minuti. Un leone in gabbia, credo sarebbe voluto entrare in campo anche lui a contrastare gli (sterili) assalti finali del Milan. Un doppio applauso al mister: per come ha disposto la squadra (un 4-1-4-1 “inglese”, fisico, corsaro e verticalizzante che ricordava il suo Verona più bello, quello del girone di andata di due campionati fa) e per il look. In tuta come un vero allenatore e non in abito com’è (quasi) d’obbligo, purtroppo, in una serie A che ha trasformato i tecnici in anonimi manager Pubblitalia, tra conferenze stampa più pallose di un meeting aziendale e banali completi tutti uguali (rimanga in tuta mister!).

Emozioni di un letterario ritorno nel calcio che conta (perché Verona-Milan è un romanzo classico): il trio brasileiro. La completezza di Jorginho, classe e tempismo, geometrie e dinamismo. Ci credo che il Milan lo vuole, uno così ne fa (almeno) due di Montolivo (che è il meno peggio della mediana milanista). Spero resti.  La cifra tecnica di Romulo. Qualcuno aveva dubbi sull’ex Fiorentina, io no, l’unico dubbio è perché la Fiorentina non se lo sia tenuto. La forza, la velocità e la sfacciataggine di Martinho, ancora al 70%, ma lui può far male a qualsiasi avversario già così.

Gesti eterni in un Bentegodi da brividi: quelli di Luca Toni. Il secondo gol è un gesto tecnico straordinario (preziosismo da rivedere anche l’assist di Jankovic). Toni è un campione, questo si sapeva. Va gestito e preservato, ovvio. Ieri Mandorlini l’ha fatto, togliendogli l’incombenza del pressing sul primo portatore di palla (cosa che era richiesta a Ferrari). Questo comporta qualche rischio, ma per un Toni del genere ne vale la pena. Giocherà così le altre 37 partite? No, ma Longo è più di una scommessa e credo che anche lì davanti (dietro lo do per scontato) qualcosa ancora si muoverà sul mercato (sia in entrata che in uscita).

Colpi di genio di una tifoseria: quella gialloblù. Molti (fuori Verona) l’avevano rimossa in questi anni di purghe sportive del club. E sono tornati a parlarne (vedi Gazzetta con due pagine due) solo per il (a detta loro) razzismo. La risposta? Grandi numeri, tifo intenso (è stata un bolgia, il Bentegodi sembrava l’Anfield, chi canta così in Italia?) e corrosiva ironia (unica nel suo genere). Come m’ha scritto un amico e tifoso storico: “Abbiamo preso per il culo il Sistema”. Già e la sensazione è la stessa dell’aver visto la faccia di Galliani. Perché hanno voglia le anime belle a insegnarci che non si deve godere delle disgrazie altrui. Invece io godo del Palazzo e del suo plotone d’esecuzione di cortigiani gufi zittiti. La realtà è che farsi beffe di chi ti sta orgogliosamente sulle palle è incommensurabilmente bello. Bugiardo e triste chi lo nega. Chapeau.

P.S. E’ stato bello esserci. Da due mesi sono all’estero per lavoro, e farsi in un giorno Bruxelles-Charleroi-Orio al Serio-Stadio-Orio al Serio-Charleroi-Bruxelles per il Verona è stato un piacere, non una fatica. Lo sarebbe stato anche se avessimo perso, perché chi, come noi, undici anni fa era a Piacenza, sa cosa voleva dire esserci ieri. Il significato andava oltre alla partita. Come ho scritto sul mio profilo Facebook alla vigilia: “Non è la partita, è il senso di essa”. La vittoria è la chiusura del cerchio perfetta. Ce lo meritiamo.

P.P.S. E dopo l’indimenticato “Mario su”, sbandieratore del mito gialloblù, ieri è toccato a “Mario giù”. Del resto il Bentegodi ha spento Rivera e zittito Van Basten. Figurarsi se non poteva atterrire un Balotelli.

 

BALOTELLI E… IL PLOTONE D’ESECUZIONE

Eccoli lì, pronti. Fucili spianati e pallottole cariche. Ci osservano a distanza, sadicamente speranzosi. Monitorano i nostri gesti, battiti di ciglia e lievi contrazioni del labbro comprese, come condor spietati. Ricordano quei giornalisti che preparano i “coccodrilli” prima che il morto muoia.

“Dai ululate, abbiamo già pronto il titolo”, sembrano dirci di sottecchi, giornalisti nazionali e compagnia di giro. “Su forza, abbiamo già studiato le sanzioni”, vorrebbero implorarci con infinita ebrezza, dirigenti di palazzo e cortigiani vari.  Gemono già pronti all’orgasmo, dopo lunghe settimane di petting e un amplesso che sperano breve (l’inchiostro è caldo). Avvoltoi pronti a radunarsi copiosi sul cadavere. Balotelli – e poi chissà chi altro – sono solo le loro esche (complici o involontarie poco importa) nella battaglia più ipocrita che esista al mondo: il razzismo negli stadi. Battaglia redditizia, specie in termini di voti (c’è chi in FIFA grazie alle federazioni africane ci ha costruito una carriera).

Perché il razzismo (quello vero) è una piaga troppo grande e complessa, frutto di fattori antropologici, sociologici e (anche) psicologici, per ergere a testimonial i Boateng, i Thuram e lo stesso Balotelli. Che si prestano volentieri, ci mancherebbe, un po’ per sensibilità e un po’ (forse) per marketing, perché adesso il carro tira da quella parte, ma che non credo abbiano molto in comune coi Martin Luther King, o Mandela, in termini di ideali, passioni e fervore civile.

C’è Verona-Milan sabato, occasione troppo ghiotta per lor signori. Sono già pronti i “coccodrilli”. Ha cominciato quel giornalista brizzolato e capellone, un mese fa (lo stesso che spaccò il capello in quattro per difendere Cellino ai domiciliari), col pretesto di un suo follower su twitter, poi cancellato. Ha continuato, a pochi giorni dal match, una rivista americana, domandando lumi a Balotelli sui “tifosi del Verona che notoriamente sono i più razzisti d’Italia”. Una provocazione bella e buona, risaputi i rapporti non facili (per vecchie dichiarazioni dell’attaccante, all’epoca all’Inter, sulla città di Verona) tra i tifosi dell’Hellas e il centravanti del Milan, il quale, di grazia, non ci è cascato e morta lì.

Lo stesso devono fare tutti i tifosi del Verona, sabato. Non cedere alle eventuali smargiassate di Balotelli, che per indole tende a provocare e ad attirarsi antipatie. Fa parte del personaggio, te lo aspetti. E’ come vedere Paperon de’ Paperoni tuffarsi nel deposito di monete. Fa parte della narrazione. Ragion per cui è ininfluente quello che Balotelli combinerà fuori dalla sfera agonistica.

Nessuna reazione. Il plotone d’esecuzione è lì: non aspetta altro; e anche Balotelli sotto sotto ci spera, per assurgersi a simbolo dei diritti civili (“spero non dicano nulla, in caso contrario dirò qualcosa io” ha già anticipato). Balotelli come Mandela: sarebbe grottesco (e insopportabile). Lo volete? Io no.      

  

 

CHE VERONA SARA’?

Tra Pirandello e Beckett. Aspettando il Verona in cerca d’autore. Mi perdoneranno dall’oltretomba i due autori, che mescolo e profano con disinvoltura incurante, ma questa è la realtà a pochi giorni dall’esordio col Milan.

Che Verona è? Una squadra ancora in cerca di una sua fisionomia precisa. E non solo per il modulo variabile (4-5-1 o 3-5-2). Oltre a discutere sul come giocare (e per questo su tggialloblu.it c’è Marco Gaburro), infatti, è opportuno capire con chi farlo. Perché, calcio moderno o meno, i calciatori vengono prima dei moduli. Questa la filosofia di Sogliano, che ha portato a Verona interpreti duttili, un po’ per scelta e un po’ per necessità (con un budget limitato, il ds si è concentrato, per sua stessa ammissione, soprattutto sul valore tecnico dei giocatori e non sulle loro caratteristiche rispetto a un modulo designato, filosofia invece cara al Chievo e a Sartori). In attesa di Longo e degli ultimi innesti (“un centrale difensivo e un terzino sinistro che possa giocare a quattro e a cinque”, mi ha confermato ieri pomeriggio Sogliano), questa duttilità della rosa permette a Mandorlini di poter variare l’assetto tattico, fatto salvo l’unico suo mantra inviolabile: il centrocampo a tre.

Il tecnico di Ravenna, senza dimenticare il vecchio e caro 4-5-1, ha proposto con insistenza il 3-5-2. Motivo? Mantenere il tridente in mediana, appunto, e salvaguardare un patrimonio tecnico come Toni, affiancandogli una punta. In serie A, infatti, il Verona difficilmente potrà giocare stabilmente nella metà campo avversaria, al contrario, spesso si ritroverà nella propria e dovrà saper ripartire. E nel 4-5-1 Toni rischierebbe di ritrovarsi isolato e inefficace, a sbattersi in un vano e faticoso lavoro. Un desolante e controproducente canto del cigno a 36 anni. Con due punte fisse, invece, il Verona può risalire il campo con più facilità. Almeno questa è la speranza dell’allenatore. La scelta sinora ha pagato solo in parte: Toni fa gol, ma il Verona di Palermo ha sofferto gli avversari non poco.

Ma, detto dell’ex campione del mondo, su chi altri punterà Mandorlini? Il tecnico del Verona sembra considerare intoccabili Maietta e Moras (e qui ho qualche perplessità, per usare un eufemismo). Il terzo centrale potrebbe essere Gonzales (adesso infortunato), o il mister X che sta inseguendo Sogliano. Non sembra esserci spazio, almeno in partenza, per il giovane e promettente Bianchetti, sul quale la società, al contrario, punta tantissimo. E questo è il primo nodo della stagione. L’esterno destro sarà Sala (o Romulo), quello sinistro Martinho (alternativa il terzino che arriverà). Agostini, adesso pure infortunato, con questo assetto è tagliato fuori (non ha il passo per coprire tutta la fascia), mentre rientrerebbe in corsa con la difesa a quattro. Idem Cacciatore, che tuttavia potrebbe riciclarsi come centrale dietro.

A centrocampo Mandorlini può sbizzarrirsi. La mediana è il settore che eccelle per abbondanza e duttilità dei giocatori. Jorginho se dovesse restare (probabile, ma non scontato, aspettiamoci di tutto) è giustamente intoccabile. L’allenatore lo vede come interno destro, con Donati davanti alla difesa e Halfredsson mezz’ala sinistra. Certo, preferire Donati al sopraffino Jorginho sembra un azzardo. Talento alla mano, la soluzione più ovvia sarebbe riportare in regia il brasiliano, con l’inserimento di Romulo (o Laner) alla sua destra e Halfredsson (o ancora Laner) alla sua sinistra. Già Laner: l’altoatesino, con caparbio cipiglio, col Palermo ha lanciato un messaggio: lui è riserva solo per i giornali estivi  Non dimentichiamo infine Cirigliano, al momento nelle retrovie, alternativa a Donati e Jorginho davanti alla difesa, e che gli esterni Sala e Martinho possono giocare anche interni. Difficile invece, in questo contesto, collocare Jankovic, più utile in un 4-3-3 come esterno offensivo. In qualunque caso e con qualunque modulo, Martinho gli parte davanti.

In attacco Toni non si discute (specie questo Toni), Cacia e Gomez se la giocano, mentre Longo (voluto fortissimamente da Mandorlini) rappresenta più di un’alternativa all’ex nazionale. Sogliano dice che con il giovane di scuola Inter il reparto è a posto, ma non sono da escludere colpi dell’ultima ora, sia in entrata che in uscita.

Questo è il Verona oggi. Una squadra costruita con pochi soldi, tra prestiti (con opzioni sul riscatto) e parametri zero. E lo diciamo senza storcere il naso. Per una neopromossa è (quasi) normale. Fa eccezione il Sassuolo, ma lì c’è il magnate Squinzi. Sogliano, dunque, ha fatto le classiche nozze coi fichi secchi e ci ha messo fantasia. Anche competenza? Lo scopriremo solo vivendo, come scrisse Mogol e cantò Battisti. Ma senza “il nastro rosa”. Sarà battaglia, è d’obbligo un Verona maschio.

 

 

 

HELLAS O VERONA?

Alambiccamenti filologici. Siamo il Verona, o l’Hellas? Ricordo lo spot di quel marchio di maglieria intima degli anni ’80: “Si dice liàbel o liabél?”. Alla fine la voce fuoricampo risolveva la querelle: era liabél e basta. Ma lì era solo una questione fonetica, di accenti. Scusate la disgressione profana.

Torniamo alle cose serie: è Hellas o Verona? Ok tutte e due, ovvio. Ma c’è di più a ben guardarla. Nei cori in curva sud la scelta non si è mai posta. Alcuni di essi inneggiano al Verona, altri all’Hellas. Ed è giusto, per il tifoso sempre della stessa squadra si tratta. Infatti. Ma non è questo il punto: la vertenza, infatti, riguarda la rappresentazione esterna (fuori da Verona) del club e il legame tra il medesimo e la città. Per questo è rilevante decidere se ci piace di più Hellas o Verona.

Tuffiamoci nella storia. Nel 1903 gli studenti del Maffei fondarono l’Hellas. Tuttavia nel corso dei 110 anni abbiamo cambiato più volte denominazione. Ricordate l’AC Verona del 1957, che ottenne la prima promozione in A, e la mitica canzone dei nostri vecchi: “Forza l’AC Verona la squadra del cuore…”? Divenne Hellas Verona AC solo l’anno seguente, fino al 1991, data del fallimento, allorché il nome Hellas malinconicamente sparì e mutò in Verona FC. Nel 1995  il “marchio” Hellas venne riacquisito dai Mazzi e si passò alla denominazione attuale Hellas Verona FC.

Fu proprio il 1995 l’anno della svolta. Fino ad allora per tutti (dentro e fuori le mura) eravamo (innanzitutto) il Verona, al massimo l’Hellas Verona, o il Verona Hellas. Dal ‘95 la vox populi – in un sussulto di comprensibile fierezza per la riacquisizione del nome Hellas – ha (via via sempre più spesso, sino alla degenerazione attuale) cominciato a chiamare la squadra con la denominazione greca, spargendo i semi, inconsapevolmente, di un sottile, ma non trascurabile equivoco.    

E qui entra in gioco, incolpevolmente, anche il Chievo. Nel 1990 Luigi Campedelli decise di cambiare la denominazione del suo club in ChievoVerona per identificarlo maggiormente con la città. Legittimo, perché Chievo è una frazione di Verona. Era il periodo in cui il Verona, da poco retrocesso, contestualmente navigava in cattive acque finanziare e Campedelli senior, l’anno dopo, avrebbe tentato di rilevarlo dal fallimento (diversi giornalisti hanno scritto e affermato più volte che l’idea di unire i due club balenava già all’epoca).  

In realtà il Verona fu acquisito nel 1991 dai Mazzi (come Verona Fc, appunto) e tornò in A, mentre il ChievoVerona continuò a navigare in serie C ancora per qualche stagione. Il discorso lì per lì sembrò chiuso e nessuno diede troppo bado a quel nome “ChievoVerona”. In fin dei conti era la denominazione di un piccolo club ancora lontano dalla ribalta.

Adesso è il 2013 e molto è cambiato. Il ChievoVerona è ormai una realtà consolidata in serie A, conosciuta e rispettata in tutta Italia, mentre l’Hellas Verona si riaffaccia nel calcio che conta dopo undici anni.

E qui si palesa l`equivoco, dunque ripasso dal via e torno all’incipit. Siamo il Verona o l’Hellas? Pur amando (da tifoso) il nome Hellas e conscio che nel 1903 nacque l’Hellas, nella vulgata mediatica preferisco Verona, perché il club è ancora LA squadra della città che la rappresenta in giro per l’Italia, e non “solo” UNA delle squadre della città. Riconoscendosi soprattutto come Hellas, il rischio è relegare il nome Verona a semplice corollario, in comune, appunto, ad altre illustri concittadine, rinunciando alla riaffermazione del proprio primato sin dal nome.  

Sottigliezze? Cazzeggio estivo del sottoscritto? Io rimango della mia: la differenza spesso la fanno i dettagli. Si tratti di nome, maglie, colori sociali da rispettare, o simboli.

FACEBOOK, BALOTELLI E IL MILAN…

Facebook esiste “per fortuna o purtroppo” (cit). Già, chissà che avrebbe detto, scritto e cantato Gaber al riguardo. Gente come lui ci manca ogni santo giorno. Siccome non è mia abitudine scomodare i miti (specie Gaber) invano, vengo al punto. Vighini ha scritto di recente un blog sulla cosiddetta “rete” e i social network. Che ne penso? Che è un’ arma potente che non tutti possono (e devono) maneggiare. Per questo esistono i professionisti dell’informazione, intermediari tra i fatti e la pubblica opinione. Vi fareste mai operare da un fruttivendolo? Comprereste mai la frutta da un chirurgo? Ecco.

Ma non voglio fare accademia, scusate il preambolo. E´ che ieri sera, appena si è saputo che il Verona esordiva col Milan, sul web qualche buontempone già si divertiva a pubblicare frasi, vignette e campionario vario sull`arrivo di Balotelli a Verona. Dando vita a un tam tam fastidioso basato, tuttavia, sul nulla. Perché nulla succederà. Balotelli farà la sua partita: quindi provocherà, cascherà a ogni refolo di vento, gesticolerà, ci marcerà. E a fine partita dichiarerà. Farà il Balotelli insomma (quello peggiore, sperando non giochi quello migliore, potenziale fuoriclasse). I tifosi del Verona, invece, faranno i tifosi del Verona. Qualche fischio e al massimo uno sfottò ironico (la miglior arma “made Curva sud”), come succede a migliaia di giocatori in giro per il mondo. E chiusa lì, alla faccia di chi – forte coi deboli e debole coi forti –  ci vuole male e non vede l`ora di scrivere e raccontare la cazzata dell’ idiota di turno (vedi fatti di Livorno), categoria peraltro presente in ogni tifoseria d’Italia e, in generale, in ogni comunità.  

Ciononostante questi buontemponi da tastiera, che pensano di essere pure divertenti, non si rendono conto dell`irresponsabilità delle loro azioni. Immagino (ci vuole poco) non abbiano mai studiato sociologia e non sappiano manco chi sia Robert Merton, che teorizzò “la profezia che si autoadempie” solo per averla espressa. Eppure non sarebbe necessario conoscere Merton, basterebbe solo un po` di cervello prima di mettere nero su bianco. Ma, si sa, “l’intelligenza non si attacca, la scarlattina si” (cit). A proposito di Gaber…

GUARDIAMOLA IN FACCIA LA REALTA’

Domande d’estate. Ma perché il mercato è aperto (quasi) tutto l’anno, che poi gli affari si fanno gli ultimi giorni di agosto? Giocano sulle mie illusioni, io che perdo tempo a immaginare il nuovo Verona e poi mi rendo conto che la squadra ad oggi è largamente incompleta e dovrò aspettare. Fatica sprecata, meglio non leggerli i giornali ‘sto periodo. Le trattative mi sfiancano, i “se e ma e forse” mi infastidiscono. E’ il sistema, bellezza. Un sistema bulimico e viziato, del mercato perenne per finta. Cui prodest? Intermediari e procuratori (i veri padroni del vapore) e anche certi giornalisti. Ma poi in fin dei conti il mercato, quello vero, si fa al fotofinish, in tempi di “saldi”, quando dopo mesi di partite a scacchi e avvitamenti strategici, i giocatori in vendita e le società che li devono piazzare abbassano le pretese. Quasi per disperazione, credo.

Del resto il fenomeno “saldi” del calciomercato è andato di pari passo con quello dei negozi.  Nei ricchi anni ’80 e soprattutto ’90 (quelli di Berlusconi, Cragnotti, Moratti, Tanzi, Cecchi Gori nel calcio, della lira e del lavoro fisso nella vita) servivano per piazzare “fondi di magazzino” e solo se ti andava bene facevi l’affare. Adesso sono necessari per vendere tout court. Segno dei tempi, succede al Milan, figuriamoci se non debba capitare al Verona.

Ecco, il Verona. C’è entusiasmo, dicono. Ma quello c’è sempre stato, anche nei tempi bui. Il sentimento predominante, direi, è la curiosità. Perché, tocchiamoci gli zebedei, forse qualcosa è cambiato. Non è solo il ritorno in serie A dopo undici anni, credo, ma la sensazione generale che stavolta ci si possa restare finalmente a lungo (ritoccatina d’obbligo). La realtà è brutale: dal 1990 la A l’abbiamo vista solo cinque volte. Cinque volte in 23 anni, pochino no? Ma Setti, uomo che non brilla per simpatia, finezza e cultura, ci sa fare, non c’è dubbio. Lo vedo talmente determinato che mi fido. Per lui la A è un affare, non mollerà l’osso tanto facilmente. Pastorello (lo cito perché è stato l’ultimo presidente nel massimo campionato) era forse anche più capace, ma non così determinato e soprattutto aveva tutt’altri interessi. Perché poi è questo che conta, la molla che ti fa agire. Qual è quella di Setti? Che il Verona resti in A. Non per amore certo, ma a noi cosa importa?  

Eppure qualche domanda è giusto porsela. Sono arrivati Gonzales, Donati, Toni, Cirigliano e (di fatto) Jankovic, tutti nomi da catalogare alla voce “scommesse”, “incompiute” e “giocatori al tramonto”. Sono rimasti (per ora) Jorginho e Martinho e questa è una gran cosa. Basta? No, Sogliano l’ha ammesso: “Ci servono altri innesti”. E non pochi. L’ho già scritto: niente sogni di gloria. Partiamo per soffrire e il mercato che stiamo facendo lo conferma. Il budget è quello che è, la squadra che sta nascendo anche (almeno per ora). Si sogna Bradley (Sogliano ci proverà fino alla fine) e si punta a Romulo, qualcosa va fatto anche in difesa (portiere compreso) e come ha ribadito Setti un’altra punta arriverà. Mi fermo qua e non mi soffermo sui dettagli (a ognuno il suo mestiere). Solo una considerazione: “La salvezza è il nostro scudetto” ha detto il presidente. “Il primo anno è il più difficile, abbiamo tanti giocatori che erano i più bravi in B, ma la A è un’altra cosa” gli ha fatto eco Sogliano. Non è understatement, è realtà. Guardiamola in faccia, “è più sicura” (cit Vasco Rossi).   

L’ACCORDO CON NIKE ANDAVA SPIEGATO MEGLIO

Premessa: non infierisco sulle nuove maglie, basta guardarle. I più sagaci, peraltro, avevano già capito tutto da settimane con un semplice clic sul web

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Sono, sostanzialmente, maglie da catalogo. Reazioni? I “vecchi” tifosi storcono il naso, per loro l’identità si misura anche dai dettagli. I collezionisti sono accigliati. Poi, vabbè, ci sono gli entusiasti in servizio permanente, quelli non mancano mai. Sono la minoranza chiassosa e insolente (come qualsiasi minoranza che soffre nell’esserlo). Li riconosci dal cipiglio ruvido e arrogante. Entrano a gamba tesa coi soliti banalissimi insulti ormai da sbadiglio. Hanno un pelo sullo stomaco da far invidia e un senso estetico pari a quello di un tedesco sul lago, o di una ragazza coi leggings zebrati e le “ballerine”. Poveracci, devono avere una vita dura, ragion per cui si fanno andare bene tutto per tirare a campare.

Non infierisco, dicevo. Perché capisco la società. Anzi a dirla tutta, avrei fatto la stessa cosa. Quando un’azienda come Nike ti apre uno spiraglio, difficilmente puoi dettare le condizioni. E come se Belen volesse andare a letto con te. Mica fai il prezioso, ci vai. Nike ha aperto una trattativa e Setti e Gardini si sono fiondati e, con intelligenza pratica, hanno portato a casa l’accordo. Rinunciando – per ora e a causa dello scarso lasso di tempo (la trattativa si è chiusa a ridosso della nuova stagione) – a qualcosa da una parte (avere delle maglie personalizzate), in cambio dell’apertura di nuovi orizzonti commerciali dall’altra. Nike, per inciso, che non è sponsor tout court, ma fornitore tecnico (vi suggerisco questo link  http://romanews.eu/it,a113335/Roma-nike-Ecco-Perche-Giallorossi-Devono-Aspettare-Un-Anno-Indossare-Il-Baffo-Br).

Gardini, tuttavia, ha promesso che dalla stagione 2014-15 le magliette saranno realizzate su misura e con la partecipazione dei tifosi. E noi gli crediamo. Intanto pur condividendo il senso dell’operazione, muovo solo un piccolo appunto alla società, per il resto ottima: parli di più e meglio ai tifosi. Se la partnership con Nike fosse stato spiegata nei dettagli, magari tanta attesa non si creava. Mi riferisco alla grancassa mediatica (questa sì molto provinciale) genere: “con Nike siamo come Inter e Juve”. In realtà gli accordi sono diversi. E anche fosse stato, chissenefrega, noi siamo l’Hellas Verona. Unici e orgogliosi di esserlo.   

NIENTE SOGNI DI GLORIA

Sean Sogliano ha colto la palla al balzo presentando l’uruguagio Alejandro Gonzales. “Viene dal Penarol, dove la garra, come dicono loro, non manca. Ed è quello che servirà a noi quest’anno”.  Già perché sarà un campionato di sofferenza per il Verona, almeno sulla carta. La garra  è una tipica espressione uruguagia (non sudamericana). E’ la stizza, l’orgoglio, la grinta delle squadre uruguagie che si ispirano ai Charrùa, tribù antica del luogo, indios che hanno combattuto invasioni e segregazioni. 

Il Verona la sua garra dovrà metterla in un campionato che si preannuncia difficilissimo. Banditi gli illusionismi alla Silvan, smentite le ranzanate presidenziali da spiaggia (Matri), Sogliano ha voluto essere chiaro. Forse per sgombrare il campo dagli equivoci e dai voli pindarici che si sentono in città. Sarà stato l’accordo con Nike, l’entusiasmo per il ritorno in A dopo undici anni,  la generosa campagna acquisti dello scorso anno, ma qua e là ho sentito e letto di Europa League e acquisti sfarzosi. Non sarà così, sebbene “per un giocatore spenderemo, perché dobbiamo evitare di salvarci all’ultima giornata”, il Setti dixit  alla Gazzetta dello Sport.  Confidando ovviamente che il presidente sia di parola, tuttavia è giusto essere onesti,senza voler peraltro sfociare nella retorica da pelosissimo low profile (genere che detesto). Lo scudetto del Verona, almeno quest’anno, sarà salvarsi, anche succedesse all’ultimo minuto dell’ultima giornata. Il budget a disposizione non permette altri pensieri, piaccia o no.  E se in B puoi costruire una corazzata anche cogli scambi e gli svincolati, in A la competizione è più scientifica. Prosaicamente detta: quelli bravi costano.

Il Verona da neopromossa senza un mecenate alle spalle, per forza di cose, non ha tanta liquidità. Il rimedio? Intuito, conoscenza del mercato internazionale “minore”, corsie preferenziali coi grandi club e rapporti granitici di fiducia coi procuratori e gli intermediari, che possono consigliarti, come fregarti. Il nostro mercato sta andando in questa direzione, tra scommesse calcolate (Gonzales, Seferovic?), giocatori da batteria (Donati, Pegolo?) e vecchi campioni (Toni?). In attesa del colpaccio (personalmente sogno Bradley, ma anche Kozak non sarebbe male) e dando per scontate le conferme di campioncini come Jorginho e Martinho (poi per carità tutto ha un prezzo), il resto lo farà l’ambizione e l’orgoglio di un gruppo che vorrà dimostrare di essere all’altezza.

La garra appunto, quella stessa che ha dentro Andrea Mandorlini, il quale come scrissi a suo tempo (quando davo per scontato la sua non conferma in A, sbagliando) nel massimo campionato paradossalmente può esprimere ancor di più le caratteristiche del suo gioco: difesa coperta e aggressiva, verticalizzazioni e contropiedi assassini.  Che poi è il gioco del 2011-12 da neopromossi in B, quello che ci ha fatto più divertire. Certo bisogna mettergli a disposizione giocatori adatti, che non significa – specifico – i giocatori che vuole lui,  ma quelli con determinate caratteristiche. E Sogliano, a differenza di un anno fa, così si sta muovendo.

Pur considerando Cacia molto forte (ma con precisi limiti caratteriali e comunque tutto da valutare in A), là davanti serve un simil Ferrari. Per capirci, quello che fu Corradi nel Chievo di Delneri, giocatore “da sportellate”, forte fisicamente, centravanti di manovra, capace di farsi rispettare in area e nel gioco aereo. Toni e Seferovic sono, per motivi opposti, scommesse (ma qua torniamo al budget e agli impossibili sogni di gloria), ma rispondono perfettamente all’identikit. Kozak, ne giovane e ne vecchio, sarebbe la perfetta sintesi tra i due.  Anche in mezzo al campo qualcosa cambierà. Jorginho tornerà a fare la mezz’ala destra come due stagioni fa, Halfredsson e un nuovo acquisto di peso se la giocheranno a sinistra (e c’è pur sempre Martinho che può arretrare), davanti alla difesa è stato preso Donati, ma non basta (e qua torniamo al sogno Bradley), perché l’ex Milan, Atalanta e Palermo  viene da una stagione opaca e da retrocesso. La difesa è forse il reparto che più cambierà. Cacciatore e Agostini meritano una chance, ma verranno affiancati da compagni di pari valore. Maietta potrà essere il Ceccarelli dello scorso anno, Bianchetti è un talento su cui poter contare, Gonzales – a sentire Sogliano –  il suo ideale compagno. Lì in mezzo però serve un altro innesto di qualità che sappia giocarsi una maglia. Tra i pali, confermato Rafael,  un conto è se arriva un Neto, un altro se firma un Pegolo, che difficilmente accetterebbe senza garanzie precise. Di certo la società non punta a scatola chiusa sul brasiliano, che è migliorato fuori dai pali, ma non sulle punizioni (e quanti specialisti ci sono in A?).

Ed è giusto così e vale per tutti: la gratitudine è una bella cosa ma salvarsi anche di più.  Tutti perciò devono restare sul filo, perché il nostro campionato sarà sul filo. Quello dell’incertezza e della sofferenza. Per i sogni di gloria rivolgersi a un futuro più lontano.