LA LEGGENDARIA FORTUNA DI SETTI

Era leggendario il culo di Sacchi (Arrigo) ai tempi della Nazionale, narrato in chiave comica e con un gioco di parole linguistico (cul de sac, vicolo cieco) in un libro da Gene Gnocchi. Ma anche Setti (Maurizio) non scherza.

Appena sembra spacciato, riemerge. Ogni volta che sembra precipitare, per errori suoi di presunzione, pesca il jolly. Oggi è Verdi, l’attaccante della rinascita, che era già stato venduto a gennaio e rimasto solo per un cavillo e pure con malcelato fastidio del club; ieri era Aglietti, l’allenatore della promozione nel 2019, ingaggiato quasi per disperazione dopo i disastri di Grosso con il Verona fuori dai play off di B (senza dimenticare nella stessa stagione i guai del Palermo che ci liberarono proprio quel posto ai play off); ieri l’altro era stato l’improvviso, irripetibile e quasi casuale eurogol di Romulo nel derby con il Vicenza che (ri)spinse in A il Verona di Pecchia e Fusco che si stava sgonfiando. Per tacere del padre di tutti i jolly, quello che ti salva quando precipiti: il paracadute, inserito dalla Lega di serie A nel 2016 mentre il Verona stava scendendo in picchiata in B con Mandorlini e Delneri.

Sliding doors fortunate che hanno cambiato la vita a Setti, che altrimenti sarebbe probabilmente già da un pezzo un ex. Botte di culo, insomma, grazie alle quali il nostro presidente, che ama svendere, fare cassa e rompere sul nascere qualsiasi programmazione sportiva (mandando via o creando le condizioni per l’addio dei suoi migliori collaboratori: da Sogliano a Juric e D’Amico, fino a Tudor), riesce a resistere.  Un Setti talmente (e volutamente) debole da ammettere candidamente che lui non è in grado di tenere i giocatori che se ne vogliono andare (chiedete ai Pozzo cosa fanno nelle stesse condizioni…). Eppure Setti ha culo. Ma del resto lo diceva pure Napoleone: “Meglio avere generali fortunati che generali bravi”.

VINCA IL MIGLIORE? SPERIAMO DI NO

“Il calcio è un mistero senza fine bello” amava dire Gianni Brera, trasponendo al pallone una frase di Guido Gozzano sul fascino femminile. E in effetti, tornando alle nostre piccole cose, non c’è logica o ragione che possa spiegare la vittoria dello scalcagnato, e per lunghi tratti abulico, Verona contro il Sassuolo. Ma del resto il calcio è lo sport che per vocazione risponde meno alla logica e alla ragione. E così sono bastati cinque minuti con la bava alla bocca e una gentile concessione di Consigli (bravo però Gaich a calciare istintivamente verso la porta), per sovvertire l’andazzo di una partita a senso unico. Del resto il Paron Rocco sublimava l’irregolarità del football con una frase rimasta ai posteri: “Vinca il migliore? Ciò, speremo de no”.  

Teniamo viva la fiammella, ma come ha scritto Vighini per salvarsi servono le prestazioni, che ancora non si vedono. E quattro punti da recuperare restano tanti: con 9 partite da disputare, tra cui Napoli, Milan e Atalanta fuori casa e Inter al Bentegodi, significa che il margine di errore è quasi inesistente. Però la classifica si è accorciata e non c’è solo lo Spezia: ora anche il Lecce e perfino la Salernitana non possono dirsi fuori dalla bagarre. Questo potrebbe abbassare la quota salvezza, che però – ribadisco – oggi è complicato pensare sotto ai 35-36 punti. Significa che l’Hellas deve vincere 4 partite e rosicchiare un punto in altre due.

Oggi il Verona, per una serie di motivi (rosa, allenatori ecc), sembra la meno dotata tra quelle ancora in corsa. Del resto la Salernitana, per investimenti e parco giocatori, è squadra di fascia media, il Lecce fino a poco tempo fa era una delle sorprese e lo Spezia ha un allenatore solido e navigato.

E noi? Restiamo ancorati al fascino misterioso e irregolare del calcio e ci votiamo con cieca fede al pensiero del Paron Rocco…

RETROCESSIONE FIGLIA DI UNA SOCIETÀ DEBOLE E DALLE SOLE LOGICHE FINANZIARIE

Titoli di coda. Possiamo star qui a tirarla lunga, annacquare il brodo, ma ieri a Genova si è consumata ogni speranza. Cinque punti di gap sono tanti sempre e comunque, diventano una montagna insormontabile con un Verona che evidentemente ha ormai alzato bandiera bianca.

Guardi Marassi e cadono le braccia. Hai la partita della vita, in settimana il direttore sportivo ha caricato l’ambiente a pallettoni, esponendosi con fin troppa generosità in mezzo ai silenzi presidenziali, nel frattempo lo Spezia ha perso e puoi tornare a meno 2: ma con la Samp giochi “quel” primo tempo. Imperdonabile.  

Zafferoni parla di calo mentale. Fa tenerezza. Diciamo pure che la squadra, il gruppo, lo spogliatoio sono cotti, a fine ciclo, demotivati, divisi, ognuno si sente in libera uscita. E gli allenatori – uno senza patentino e l’altro senza esperienza di A – non sono all’altezza. Sogliano nella pausa di dicembre aveva ricomposto i cocci alla bell’e meglio, una fatica d’Ercole per costruire un castello di carta. Anche il ds, che mancava dal grande calcio da un po’ di anni, si è trovato a gestire da solo una situazione creata da altri e più grande di lui.

Ci siamo illusi, fino all’ultimo. E’ stato anche un segno di riconoscenza per una bella persona qual è proprio Sogliano, uomo vero, competente, legato a un’idea antica e romantica del calcio, dove i procuratori sono il mezzo e non il fine, il mercato si fa in un certo modo e lo spogliatoio si regge su rapporti franchi e leali. Il calcio di oggi invece è iper-individualista, i giocatori sono mini-aziende per i quali i club sono cavalli di troia di una carriera e i procuratori fungono da ds ombra nei rapporti con le società: sono loro a costruire le squadre, ma non con la logica del campo, piuttosto dei loro interessi di bottega. Un andazzo generale, quello degli agenti, che s’incunea ancora più potente nelle società deboli.

E il Verona è una società debole, con un presidente che in serie A è solo l’ultimo anello della catena. Con un aggravante: Setti a Verona si è sempre posto con poca umiltà e zero empatia. Quasi che l’Hellas fosse un affare che non lo riguardasse del tutto e i veronesi gente da non prendere troppo sul serio. E’ sempre stata solo una questione di finanza, di gestione di flussi di denaro che entrano (soprattutto) ed escono. Più che “prima il bilancio”, lo slogan tormentone, direi “solo il bilancio”, come se non esistesse altro, che so, un progetto sportivo e manageriale, un piano per dare una struttura identitaria al club, un goccio di passione e di enfasi che andasse oltre ai numeri. Tutto questo corroborato da un modo di pensare e uno stile di vita poco affine ai veronesi.

E ora che succede? La sensazione, rispetto ad altre retrocessioni, è che non ci sia più la forza per giocare alla solita altalena, quindi per risalire immediatamente. Ma ci sarà tempo e modo di parlarne.  

A MARASSI L’ ULTIMA SPIAGGIA

Il 20 febbraio, dopo la sconfitta con la Roma all’Olimpico, scrivevo che sarebbero serviti almeno 6 punti nelle successive quattro partite (Fiorentina, Spezia, Monza e Sampdoria) per restare a galla. Dovessimo domenica vincere a Genova con la Samp ne avremmo ottenuti solo 5 e mancherebbe all’appello il punto casalingo con la Fiorentina, quello pesa più ancora delle mancate vittorie nello scontro diretto al Picco, o di ieri con il Monza.

Assodato che se non vinciamo a Marassi è pressoché finita, la salvezza rimarrà un affare complicatissimo anche se dovessero arrivare i 3 punti e lo Spezia arrestasse il passo (sconfitta o pari) con il Sassuolo. A meno 3 o meno 2 ci sarebbe ancora più che una speranza, certo, tuttavia il Verona visto nelle ultime settimane è tornato a essere davvero poca cosa. Sembra essere rifluita l’onda emotiva nata con l’arrivo di Sogliano. La Samp è pure messa peggio, quindi possiamo batterla: ma le altre poi? Inoltre se fai cinque punti nelle prime 15 giornate, infilando dieci sconfitte consecutive, di fatto ti sei già compromesso. Ricordiamolo sempre: la classifica è figlia di quel disastro lì.

Verrebbe da scrivere che è giusto retrocedere, visto lo scempio commesso da Setti la scorsa estate in sede di mercato. Non me ne vorranno i settiani in servizio permanente pronti a giustificare ogni cosa, vuoi per conformismo, vuoi per pigrizia o, peggio, per qualche ipotetico strapuntino, ma con una proprietà del genere l’Hellas è destinato più o meno a improvvisare ogni anno, a ripartire da zero o quasi, a essere per costituzione indecifrabile e inaffidabile (i famosi chiari di luna a cui Setti in undici anni ci ha abituati…). Altro che progetto. Altro che centro sportivo o nuovo stadio. Cazzate. Qui manca anche una minima programmazione sportiva degna di questo nome.

Finché c’è matematica c’è speranza. Aspettiamo domenica: sarà la pietra tombale, o ci sarà ancora un flebile lumino a tenerci ancorati a ciò che Setti non meriterebbe? Tra Marassi e il Giglio di Reggio Emilia si consuma l’ultima spiaggia dell’Hellas.

LA GUERRA DI NERVI

Questione di nervi. Qua basta pizzicarsi appena e parte la scossa. Non va bene. Perché una maratona (e la corsa salvezza, ribadisco, lo è) si corre anche con la testa. Capisco la tensione dell’ambiente, l’emotività che spinge agli alti e bassi d’umore, ma ha ragione Zaffaroni, uomo di equilibrio e di senso pratico: il percorso è ancora lungo. Ergo: certi pareggi sono da prendere senza troppi snobismi. Aggiungo: pensate al pari mancato con la Fiorentina, ora saremmo a due punti dallo Spezia e non a tre. Fa tutta la differenza del mondo: a due basterebbe una partita vinta (e una persa dai liguri) per essere salvi, a tre vai allo spareggio – è cambiato il regolamento, in caso di arrivo a pari punti tra due squadre non influisce più la classifica avulsa.

Diciamocela tutta. Il Verona ha enormi limiti, fuori dal politicamente corretto possiamo affermare senza ombra di smentite che è scarso. Ma è scadente il livello generale del campionato, figuriamoci quello delle squadre coinvolte nella bassa classifica, in primis lo stesso Spezia. E quando non si è brillanti bisogna badare al sodo e non darsi grandi aspettative. Uscire perciò dalla narrazione tossica del “si va in campo sempre per vincere”, che per esempio con la Fiorentina ha creato aspettative e tensioni ulteriori che ci hanno mangiato l’anima.

Ragionevolmente ti salvi a 35-36 punti, ne dobbiamo raccogliere 17-18 in 13 partite. So bene anch’io, dunque, che qualche colpo da tre punti lo devi mettere in saccoccia. Ma se dai continuità (lo predico da due mesi) magari te ne bastano 3-4 di vittorie e non 5-6. Quando lotti per ogni respiro, non sono dettagli.

NON SONO I CENTO METRI, MA UNA MEZZA MARATONA

Ma davvero siete delusi? Forse avete perso il senso della realtà. Credevate che il redivivo Verona del nuovo anno potesse come d’incanto prendersi punti ovunque e salvarsi con agio? Siete fuori strada. E poi ci sono sconfitte e sconfitte. Se quella con l’Inter a San Siro aveva rappresentato un passo indietro rispetto al trend cominciato con Torino e Cremonese; quella di ieri all’Olimpico ci dà due conferme. La prima: il Verona sta bene, è squadra, ha solidità, solo che la Roma è troppo più forte per i nostri limiti che, ca va sans dire, ci porteremo dietro fino alla fine. Scontato affermare: con il ritmo impresso nel secondo tempo, avessimo una punta l’avremmo pareggiata. Ma la punta non c’è ed è inutile star lì a rimuginare.  La seconda certezza: sarà bagarre, lotta dura, apnea fino all’ultima giornata.

Ed è per questo che continuo a battere sullo stesso tasto: ragionare non sulla partita singola, evitare la smania del tutto e subito, ma guardare orizzonti di medio raggio, consapevoli che qui si sta correndo la mezza maratona e non i cento metri. Tradotto: di per sé nemmeno la partita di lunedì prossimo con la Fiorentina sarà decisiva, men che meno il successivo scontro diretto di Spezia.  Piuttosto meglio guardare nel complesso il miniciclo che comprende anche Monza in casa e la trasferta contro la derelitta Sampdoria. Sono le prossime quattro partite nel loro complesso il nuovo step da affrontare, il micro-campionato che ci condurrà alla volata finale. Obiettivo? Raggranellare almeno sei punti. E’ sempre valido il motto manzoniano: adelante, Pedro, con juicio, si puedes.

P.S. Credo che, in attesa di Faraoni, Terracciano possa essere più utile di De Paoli sulla fascia destra.  

P.S.S. Nella vita, a parte la morte, vi è una sola certezza: Lazovic, in questo Verona, deve andare in doccia solo quando l’arbitro fischia tre volte.  

DEDICATO A QUELLI CHE SCREDITARONO SOGLIANO…

Occorre uno sforzo di memoria. Sean Sogliano, l’uomo che sta risollevando il Verona, non solo nel 2015 fu silurato da direttore sportivo dopo una promozione e due brillanti salvezze consecutive, ma perfino screditato da una parte dell’ambiente che appoggiava la linea del direttore generale Gardini. Mi riferisco ad alcuni giornalisti ben introdotti ai vari aperitivi, a qualche tifoso eccellente, perfino a qualche big dello spogliatoio a fine carriera che a Sogliano doveva molto, ma condizionato da un procuratore forse non proprio al di sopra delle parti. Sappiamo poi come è andata: Gardini e il fidato Bigon se ne andarono con il Verona retrocesso, non prima però di aver firmato contratti faraonici e pluriennali a calciatori al crepuscolo. Ne pagò le conseguenze anche Mandorlini, che senza l’apporto quotidiano di Sogliano perse la bussola e fu esonerato. Solo la promozione di D’Amico e l’arrivo di Juric, nel 2019, tornarono a dare senso alla gestione economico-sportiva della società.

Perché gira che ti rigira si torna sempre lì: i risultati li ottieni se fai lavorare chi conosce il calcio e pensa al bene del club. Se deleghi chi con i procuratori ci lavora ma dei procuratori non è suddito (e che per non esserlo è finito perfino in serie C). Se ti fidi di chi ti ripulisce moralmente lo spogliatoio difendendo e legittimando fino in fondo il proprio allenatore (Mandorlini ieri, Bocchetti oggi), anche quando non ne condivide tutte le idee. Insomma la questione è semplice, anche se i soloni seguitano a raccontarcela complessa: non è necessario essere santi o puri, ma leali sì, avendo la visione del disegno complessivo. Doti umane e manageriali che possiedono quelli come Sogliano e D’Amico.  

Non so se ci salveremo, ma Setti una piccola lezione dopo undici anni al Verona può averla imparata: risultati e plusvalenze dipendono da chi metti al timone della gestione sportiva. Con buona pace anche di quelli che, al tempo, additarono Sogliano. Gente, va detto, che fa tenerezza: leccano e inseguono puntualmente i mediocri, bravissimi nello sbagliare sempre cavallo…

L’AFFANNO È IL NEMICO DA EVITARE. LA PAZIENZA LA NOSTRA ALLEATA

Mi sovviene John Fante nella prefazione del suo Chiedi alla polvere. Fante faceva le pulci alla società americana dell’epoca, a “un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere”, a “coloro ingannati dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano”.

Ecco lasciando stare il sublime scrittore americano e tornando sulla terra, il concetto dell’affanno come demone mi è tornato in mente pensando a questo redivivo Verona che piano piano cerca di risalire la corrente. Bene ha detto ieri Zaffaroni spiegando che, per adesso, conta trovare certezze attraverso le prestazioni, sottintendendo che la smania di vittorie potrebbe essere psicologicamente pericolosa. È un po’ quello che scrivevo una settimana fa: ora è meglio essere formiche e non cicale, giocare (anche psicologicamente) con la consapevolezza di avere (ancora) due risultati su tre a disposizione. Il tempo non è tantissimo, ma nemmeno così stretto, permette di darsi uno spazio di un paio di mesi e una decina ancora di partite per recuperare il gap.  Affannarsi a voler rimediare subito, condizionati subitaneamente dalla classifica, invece ci condurrebbe a più rischi. Tattici, cioè giocare all’arma bianca e così prestare il fianco all’imbucata. Psicologici: se tu aneli ansiosamente a un obiettivo, al primo inciampo entri per nemesi in un loop mentale negativo. Non possiamo permettercelo.

Quel che dice Allegri parlando di Juve, vale anche per noi: si deve ragionare su micro-obiettivi. Il Verona tra un mese ha lo scontro diretto proprio con la quart’ultima, lo Spezia, che viaggia a +4. Prima però abbiamo Salernitana e Fiorentina in casa e in mezzo la Roma all’Olimpico. Non disdegnerei 4 punti (una vittoria, un pari e una sconfitta) in questo trittico, ma ne basterebbero anche 3, che comunque ci permetterebbero probabilmente di rosicchiare almeno un altro punticino ai liguri. Dopo La Spezia, avremmo comunque altre 13 partite: una vita (calcisticamente) se ancora in vita (cioè in lotta salvezza).  

Quel che serve, ora, è soprattutto la pazienza e l’attitudine a fare la corsa su se stessi e non sulla classifica. La squadra uscita dal mercato, con Duda e Ngonge, è più forte; il carisma di Sogliano ha poi rivitalizzato due ottimi giocatori come Lazovic (che da trequartista o ala di punta si allunga la carriera e torna nel suo ruolo degli inizi alla Stella Rossa) e Tameze, da cui non possiamo prescindere.

Non c’è l’attaccante, questo è vero (del resto i bomber costano…), ma una buona fase difensiva e le mezze punte forse potranno supplire. In tal senso fatemi spendere una parola su Lasagna: additarlo a capro espiatorio di tutto e tutti è la via più facile e populista ed è pure ingeneroso, del resto a Verona non siamo nuovi nella specialità (ricordo le critiche a Salvetti che fu il vero artefice della salvezza con Perotti). Lasagna ha più di 200 partite in A e ha giocato in nazionale: ha note difficoltà sotto porta e sovente sbaglia i tempi di giocata, ma dà profondità come pochi. Usiamolo e proteggiamolo per quel che sa (e può) dare, non attacchiamolo per quel non ha e mai avrà. La salvezza passa anche da questi dettagli.  

FORMICHE E NON CICALE. ORA VA BENE COSI’ (ASPETTANDO LA PUNTA E LA VOLATA FINALE)

Il Verona finalmente ha un senso. Il pari di Udine sigilla una tendenza in atto, sconfitta di San Siro a parte: ora c’è una squadra e gli otto punti nelle ultime cinque partite lo certificano. Abbiamo trovato continuità e muovere (quasi) sempre la classifica in questa fase del campionato è il fattore più importante. Sbaglia chi storce il naso per il punto di Udine: serve eccome, ora meglio essere formiche piuttosto che cicale da effimeri e irripetibili exploit. Crea solidità, in attesa che oggi la chiusura del mercato ci consegni un uomo gol. Solo quello potrà trasformare l’acqua in vino, cioè i pareggi di ieri sera (nel finale hai messo sotto l’Udinese senza cavare un ragno dal buco…). in vittorie.

Bocchetti ha sfruttato a dovere la sosta dei mondiali, stabilendo un rapporto franco con il ds di ritorno Sogliano, che a sua volta ha sistemato lo spogliatoio. I calciatori fanno sempre la differenza: è servito perciò ritrovare mentalmente uomini chiave (Lazovic e Tameze), tirare fuori dal cassetto il desaparecido Djiuric e, in difesa, recuperare Magnani (ieri sera superbo), buon stopperone di serie A frenato in carriera da frequentii guai muscolari, e nelle scorse partite Dawidovicz, che è pur sempre un nazionale. Se con l’inamovibile Hien giocano loro e non un Gunter, evidentemente tutto cambia. Poi attenzione a Terracciano, a cui se non vogliamo rovinare la carriera va tolta l’etichetta di jolly tuttofare. Lui ha il passo, la tecnica e la profondità del tornante destro, non a caso a Udine con Duda nel secondo tempo ha cambiato volto al centrocampo.

Infine il capitolo mercato. Sogliano finora non ha sbagliato una mossa. Ilic era il più sacrificabile per fare cassa senza indebolirsi e infatti lo si è ceduto. E’ arrivato il nazionale slovacco Duda, veterano in Bundesliga, che, intendiamoci bene, è un colpaccio per la nostra modesta dimensione. Ngonge ha passo, tecnica e spunto sulla trequarti e, dopo Amrabat, conferma ciò che anni fa mi confidò l’ex ds Gibellini: Olanda e Belgio sono i mercati europei da cui pescare i giovani talenti.

Tuttavia (e torniamo sempre lì) serve come il pane il goleador, senza il quale sarà difficilissimo salvarsi. Se avessimo 30 partite da giocare potremmo restare anche così, basterebbe fare le formichine a vita, ma ne mancano 18 e almeno cinque vanno vinte, tenendo conto che altre cinque fisiologicamente le puoi perdere.

Ora il verbo è resistere: quindi perdere poco, restare a galla e rosicchiare nelle prossime 6-7 giornate un paio di punti alla quart’ultima. Tessere pazientemente la tela, senza ansie eccessive, pronti poi per la volata finale.

CON L’INTER PASSO INDIETRO. SETTI IN DIFFICOLTA’ SUL MERCATO

Se miracolo dovrà essere, non sarà con l’atteggiamento di ieri a San Siro. Il peccato mortale è aver preso gol dopo due minuti e 40 secondi, cambiando lo spartito a favore dell’Inter. Una squadra chiamata a una rimonta quasi impossibile non può permettersi un approccio così molle e indolente. Poi possiamo discutere di tutto, della prestazione certamente incoraggiante del Verona negli altri 87 e passa minuti, pur con gli enormi limiti di creatività e finalizzazione che ci portiamo dietro da agosto e riconoscendo che la sonecchiosa Inter si è limitata a gestire la pratica. Ma non si può prescindere da quei primi tre minuti, quando abbiamo concesso campo e spazi con facilità disarmante (il gol di Lautaro Martinez è ovvia conseguenza), mandando subito in malora anche la speranza di poterci giocare qualche possibilità.

E’ un passo indietro rispetto a Torino e Cremonese, contro le quali l’Hellas aveva mostrato sprazzi di una semi-rinascita, con il recupero psicologico (Lazovic e Tameze) e fisico (Dawidovicz) dei nostri pezzi da novanta e un maggiore ordine tattico. Bisogna rendersene conto in fretta se non si vuole sbagliare contro l’ottimo Lecce, a questo punto il vero banco di prova per capire se – in attesa di una svolta sul mercato – il Verona di Zaffaroni e Bocchetti nel girone di ritorno ha reali chances di recuperare il terreno perduto.

Quest’anno ci si salva a 35-36 punti, difficilmente meno, significa doverne raccogliere 26-27 nelle venti partite restanti. Complicato anche per il buon Verona visto con il Toro e quello discreto che ha battuto la modestissima Cremonese. Impossibile per quello di ieri di San Siro. Qualche speranza c’è se si trova innanzitutto un filotto di continuità nei risultati e nel frattempo si aggiunge qualità vera al centro dell’attacco. Lazovic e Lasagna, ma anche lo stesso Djuric, con un uomo gol accanto possono esaltarsi. Lazovic, con i piedi che ha, l’esterno di trequarti lo può fare benissimo, quello era il suo ruolo a inizio carriera nella Stella Rossa e, a 32 anni, oggi lo valorizzi più lì che a tutta fascia come in passato. Lasagna non vede la porta, ma salta l’uomo e crea spazi come pochi, va utilizzato per quello (molto) che sa fare, non demolito per ciò che non è. Nelle condizioni attuali il ritorno di Borini è (era?) un’idea intelligente, perché gioca sia da trequartista che da punta e ha fiuto del gol; ma secondo la Gazzetta dello Sport economicamente il Verona non sembra nemmeno in grado di competere con la neopromossa Cremonese.

Servirebbe vendere (come se negli ultimi anni non si fosse venduto abbastanza), ma per non indebolirsi non si possono cedere Doig o Tameze, l’unico sacrificabile sarebbe Ilic, che però è costato 10 milioni e che difficilmente porterebbe una plusvalenza. Ecco spiegato perchè sul mercato siamo incartati. Ma qui torniamo a Setti e a una gestione economica-finanziaria degli anni scorsi che pone tante (troppe) domande.